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Il Novecento è forse il secolo
del disegno per eccellenza perché è
il secolo della linea, del "punto e
linea nel piano", così come
esemplificato nella lezione dei due
grandi pedagoghi del Bauhaus,
Kandinsky e Klee. Mondrian
sosteneva che la vita moderna è
sempre più lontana dalla natura e
quindi sempre più astratta. Punti,
linee, figure geometriche diventano
così emblemi e simboli. Il disegno,
che è sempre stato considerato più
astratto della pittura (cui invece
era affidato il compito di imitare
la completezza e la varietà del
reale), diventa nel secolo
dell'arte astratta e concettuale un
fattore imprescindibile della
partica e della teoria artistica.
Con la caduta dell'obbligo
mimetico, del riferimento al dato
naturale e visivo da imitare, ecco
che la semplice essenzialità del
bianco e nero e del tratto
contengono "a priori" l'intero
universo dell'arte. Poichè tutti i
movimenti artistici del nostro
secolo hanno insistito sul fatto
che l'arte moderna non è più
imitazione del visibile ma
ricreazione artistica del mondo,
gli strumenti di questa
rifondazione (linee, volumi,
sezioni, piani ecc.) diventano gli
elementi privilegiati del discorso
teorico.
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Pagina 14
Baudelaire, che aveva sostenuto dal
versante di una "critique poétique"
uno strenuo attacco al «metodo»
considerato omologante e
improduttivo - ci vorranno
centoventi anni prima che Paul
Feyerabend assuma una posizione
analoga in campo epistemologico -,
aveva evitato di arenarsi nelle
secche di un' "estetica mistica"
teorizzando il valore determinante
della "rencontre" tra l'acuta
percezione poetica e
l'irreversibile complessione
dell'opera visuale. Poeta-critico e
artista individuano una condizione
di originale specificità
dell'opera, determinata secondo
un'intera coerenza, non separabile
però, in accordo con le due grandi
chiavi della cultura romantica, da
un'inerenza stertta al generale
clima storico e a una
individualizzata determinazione
esistenzaile.
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Pagina 27
L'esaltazione della fisicità
del gesto primario del disegnatore
come per un impulso a toccare ciò
che dovrebbe costituire solo
oggetto di percezione visuale, a
trasferire una presenza in una
memoria profonda, ridà fisicità
all'orizzonte del disegno, spesso
considerato, da Vasari in poi, una
sorta di "terreno ideale". Il
disegno è, in questa chiave, un
"cercare" prima che un
"comunicare". Non si tratta, per
Derrida, dell'esperienza di
bloccare la visione, di
recuperarne, a specchio, interne
accensioni e rivelatrici
espansioni.
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