Autore AA. VV.
Titolo Roma
EdizioneIperborea, Milano, 2021, The Passenger , pag. 192, ill., cop.fle., dim. 16x24x1,4 cm , Isbn 978-88-7091-588-4
LettoreGiangiacomo Pisa, 2021
Classe citta': Roma












 

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Indice


La parola ai numeri                                        6

La città non così eterna - Marco D'Eramo                   9
    Priva di una significativa tradizione imprenditoriale,
    la capitale d'Italia è ancora prigioniera di forze che
    ne frenano lo sviluppo: un apparato burocratico
    assistenzialista, un clan di palazzinari abusivi e il
    Vaticano, proprietario di un quarto del patrimonio
    immobiliare cittadino.

Guida acustica alla città - Letizia Muratori              31
    Letizia Muratori ci accompagna all'ascolto della sua
    Roma, dal centro alla periferia, una città con una
    colonna sonora propria, bellissima e caotica.

Roma non giudica - Nicola Lagioia                         45
    Per anni Nicola Lagioia ha studiato il caso Varani -
    un folle omicidio senza alcun movente - tuffandosi
    nella notte romana, cercando di scavare più a fondo
    nell'inconscio di una città che sembra smarrita,
    indecifrabile, invivibile e al tempo stesso
    traboccante di vita.

L'anima della città - Matteo Nucci                        63
    Roma ha un rapporto controverso con il fiume su cui
    è stata costruita e da cui ormai la separano altissimi
    e apparentemente invalicabili muraglioni. Eppure sul
    Tevere c'è tutto un mondo la cui storia è pressoché
    sconosciuta.

39 appunti per un libro su Roma - Francesco Piccolo       81
    È possibile capire Roma? Qualcuno, nel tempo, sembra
    esserci riuscito. Francesco Piccolo, casertano
    naturalizzato, ancora no. Ma i motivi per amarla non
    mancano e li elenca qui, in attesa del giorno in cui
    anche lui all'«amo Roma» potrà aggiungere
    «e la capisco».

Il format della «ribellione delle periferie» -
                                        Leonardo Bianchi 103
    Le periferie romane sono state contagiate da rivolte
    di «cittadini esasperati da centri d'accoglienza e
    campi rom». Dietro le proteste ci sono gruppi di
    estrema destra che soffiano sul fuoco e tentano di
    farsi portavoce del malessere degli abitanti. Spesso
    senza riuscirci.

Le mappe della disuguaglianza                            118

L'eco della caduta - Christian Raimo                     125
    Roma non sa essere normale e straborda in tutto:
    dimensioni, problemi, brutture. Christian Raimo prova
    a esaminarla facendone un carotaggio: un'area che va
    dalle borgate di Fidene e Settebagni fino alla riserva
    naturale della Marcigliana, tra speculazione edilizia,
    l'ex discarica più inquinante d'Europa e il suo centro
    commerciale più grande.

La Famiglia - Floriana Bulfon                            143
    Il clan dei Casamonica è prosperato in un deserto
    sociale e istituzionale. Il loro impero si specchia
    in un'estetica della violenza riprodotta nei romanzi
    criminali della capitale, una città aperta che troppo
    spesso distoglie lo sguardo mentre mafie locali e
    narcos internazionali si mischiano a imprenditori e
    politici per ripulire la loro immagine e i loro soldi.

Campare di Campari - Francesco Pacifico                  155
    Al confine tra Monteverde e Trastevere un gruppo di
    ragazzi di Roma centro ha cominciato a fare musica,
    parlando di vite sbandate e senza speranze. Sono
    narrazioni che raccontano una città senza coscienza
    di classe, o meglio, una città che è una classe
    sociale a sé stante.

Di cosa parliamo quando parliamo di calciotto -
                                         Daniele Manusia 169
    A Roma il calcio è molto più che un passatempo.
    Nella «città meno professionale d'Italia» è l'attività
    più seria e competitiva che ci sia: sul campo si dà
    tutto, si fanno conoscenze e si rompono amicizie,
    unghie e legamenti, si invecchia precocemente
    ma si rimane bambini.

Cose che cambiano - Sarah Gainsforth                     184
Consigli d'autore - Nadia Terranova                      186
Playlist - Giulia Cavaliere                              188
Per approfondire                                         190


 

 

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Roma


Stando al racconto contemporaneo su Roma - propugnato tanto dai media quanto dai residenti - la città è prossima al collasso. Ogni anno la si ritrova qualche gradino più in basso nelle classifiche di vivibilità. Ai problemi di tutte le grandi capitali - turismo mordi e fuggi, traffico, scarto tra centro radical-Airbnb e periferie degradate - negli ultimi anni Roma sembra voler aggiungere una lista di nefandezze tutta sua: una serie di amministrazioni fallimentari, corruzione capillare, rigurgiti fascisti non più minoritari, criminalità diffusa, mafia. Una situazione apparentemente irredimibile che ha trovato il simbolo perfetto nel record mondiale di autobus pubblici che prendono fuoco da soli. Ma questa narrazione dello sfacelo sembra contraddetta da altrettanti segnali in direzione opposta. La prima cosa che stupisce è l'assenza dell'emigrazione di massa che normalmente ci si aspetterebbe: la larghissima maggioranza dei romani non si sogna nemmeno per un istante di «tradirla», e i tanti nuovi arrivati che negli ultimi decenni l'hanno popolata sono spesso indistinguibili dagli autoctoni nelle attitudini e nell'amore profondo che li lega a questa «città vischiosa» che «ti si appiccica addosso con le sue abitudini e le sue mancanze». A ben guardare sono infinite le contraddizioni e gli opposti conciliati da Roma, una città «incredibilmente ingannevole: sembra ciò che non è ed è ciò che non appare». La si pensa grande e invece è immensa, la metropoli più estesa d'Europa. I suoi confini si spingono enormemente più in là dei capolinea della metro e ben oltre la cerchia della più grande autostrada urbana d'Italia, il Gra, che ne racchiude solo una frazione. Ma soprattutto, in contrasto con lo stereotipo più falso di sempre, per quanto fondata oltre 2770 anni fa, Roma è una città profondamente moderna, come il 92 per cento dei suoi palazzi, e tutt'altro che eterna, se la sua crescita dal dopoguerra a oggi ha «distrutto vestigia di migliaia di anni e sconvolto la geografia di mezza regione». E per capirla e guarirla - o quantomeno provarci - bisognerebbe considerarla una città normale «allo stesso titolo di Chicago o Manchester». Solo, dannatamente più bella.

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Roma è una città incredibilmente ingannevole: sembra ciò che non è ed è ciò che non appare. Sembra antichissima e invece è moderna, sembra che non cambi mai e invece in cinquant'anni ha distrutto vestigia di migliaia di anni e ha sconvolto la geografia di mezza regione.

Ingannevole Roma lo è già da uno degli epiteti con cui è conosciuta: «città eterna». In realtà, benché sia stata fondata 2773 anni fa (così dice il mito di Romolo e Remo), è al 92 per cento una città moderna, contemporanea, risultato di una immigrazione massiccia recente, allo stesso titolo di Chicago o Manchester.

Infatti, se durante l'antico impero Roma era stata una delle più grandi metropoli del mondo con un picco di un milione e mezzo di abitanti nel II secolo d.C., nell'alto Medioevo si era rimpicciolita in un borgo di non più di 30mila abitanti, per risalire a 110mila all'inizio del Seicento, e attestarsi intorno ai 170mila nei secoli successivi. Quando, nel 1870, i piemontesi entrarono nella città e posero fine allo stato pontificio, Roma aveva duecentomila abitanti ed era solo la quarta città d'Italia dopo Milano, Napoli e Genova.

A ripopolare quel paesotto a cui si era ridotta la caput mundi furono dunque gli impiegati statali venuti dal Nord e i braccianti inurbati venuti dal Sud e dagli Appennini a lavorare come operai edili nei nuovi cantieri o come personale di servizio per la piccola borghesia impiegatizia. La crescita si mantenne impetuosa per circa un secolo: nel 1950, per la prima volta in quasi duemila anni, la città era tornata ai livelli dell'antichità e toccò il picco con 2,8 milioni di abitanti esattamente un secolo dopo l'unità d'Italia nel 1971.

Il boom demografico del secondo dopoguerra coincise con quello economico, mentre la stagnazione degli ultimi trent'anni è andata di pari passo con la stagnazione economica che ha colpito l'Italia dopo la caduta del Muro di Berlino. Durante la Guerra fredda, alle sue marche di frontiera l'impero americano riservava un trattamento speciale: dovevano essere «storie di successo», vetrine in cui esibire la superiorità del sistema capitalistico occidentale. Il successo economico serviva anche a neutralizzare la forza dei partiti di sinistra in alcuni di questi paesi: così durante la Guerra fredda si assistette al boom italiano e al miracolo giapponese che per molti versi hanno avuto storie parallele.

Durante la Guerra fredda all'Italia era consentito tutto: indebitamento (a cui allora nessuno sembrava far caso), inflazione e svalutazione ricorrenti, e addirittura un modello di sviluppo anomalo, fondato sul capitalismo di stato.

[...]

D'altronde, Roma è dominata da quattro forze: l'amministrazione pubblica, la Chiesa cattolica, l'industria edilizia e la speculazione fondiaria, e infine l'industria turistica per l'immenso patrimonio storico.

Con il governo, il comune di Roma ha un rapporto questuante, sempre a battere cassa e a mendicare fondi per risanare debiti o farsi finanziare opere. Ma con l'austerità lo stato centrale non si può più permettere di essere prodigo. Oggi Roma è la capitale di un paese stremato e di uno stato allo sbando, che si deindustrializza; la produttività per lavoratore diminuisce; secondo le stime più prudenti la corruzione si mangia sessanta miliardi di euro l'anno, mentre l'evasione fiscale ne fa sparire novanta.

Questo paese e questo stato non possono e non vogliono essere munifici come in passato, è questa una delle ragioni per cui - a parte i loschi e dubbi personaggi di cui si era circondata la sindaca Raggi - il compito della nuova giunta «grillina» era fin dall'inizio mission impossible: risanare una città in cui nulla funziona è una sfida persa in partenza se il comune è gravato da 17 miliardi di euro di debiti (quasi seimila euro per abitante).

Ricordiamo che il comune di Roma è sempre stato in deficit. Negli anni Sessanta lo era già di 1500 miliardi di lire, che oggi equivalgono a 18 miliardi di euro, più o meno la cifra del debito attuale. Ma allora non c'era la psicosi del debito: tanto che le Olimpiadi di Roma del 1960 furono i soli giochi della storia moderna (insieme a quelli di città del Messico del 1968 e quelli di Seul del 1988) di cui non si è mai saputo il costo. Ora, in periodi di austerità, la questua nei confronti dello stato, non potendo avvenire nell'ordinaria amministrazione, viene attivata sempre più attraverso i «grandi eventi», come appunto Olimpiadi, Campionati del mondo di calcio (1990), Campionati mondiali di nuoto (2009) oppure Giubilei (1966,1975,1983/84, 2000, 2015/16).

[...]

Quanto alla Chiesa cattolica, che ha governato Roma per circa 15 secoli, la sua importanza è talmente grande che viene rimossa. Se chiedi ai politici romani lumi sui rapporti tra il comune e il Vaticano, la risposta somiglia sempre a quella che ti danno negli Stati Uniti sulle questioni razziali e in India sulle problematiche di casta: sono sempre problemi del passato, che una volta erano molto seri, ma che «ora sono risolti, o quasi».

A livello globale, tuttavia, la rilevanza di Roma è dovuta quasi esclusivamente al Vaticano. Il Vaticano è la company di cui Roma è la town, come Generai Motors per Detroit o Krupp per Essen. Roma è una delle rare città al mondo a ospitare due sistemi di ambasciate: quelle presso lo stato italiano e quelle presso la Santa sede. La Chiesa cattolica è la più grande multinazionale al mondo, almeno per quanto riguarda il numero di dipendenti che sono ben un milione 133mila (421mila religiosi, 712mila religiose) distribuiti in tutti e cinque i continenti. Grazie ai Patti lateranensi firmati da Mussolini nel 1929, la Chiesa ha ottenuto un suo piccolissimo stato (0,44 chilometri quadrati di superficie, 825 abitanti), con tutti i privilegi dell'extraterritorialità e con un regime fiscale che grida vendetta al cielo.

In Italia nessuno sa dire quante siano le sue proprietà, ma si calcola che un quinto di tutto il patrimonio immobiliare nazionale appartenga alla Chiesa cattolica: 115mila immobili (tra cui novemila scuole e quattromila ospedali e centri di cura). A Roma si parla di un quarto del patrimonio immobiliare. Secondo un articolo del 2016, nella capitale la congregazione Propaganda fide possiede 725 immobili, mentre l'Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) ha 5050 appartamenti. Altre fonti nominano cinquanta monasteri, più di cinquecento chiese, 22 conventi, quattrocento immobili tra case generalizie, seminari, oratori, una quarantina di collegi... E questo patrimonio continua a crescere, visto che solo nella città di Roma la Chiesa riceve ogni anno circa ottomila lasciti testamentari. In Italia quasi tutta la sanità privata convenzionata è controllata dal Vaticano, sia nei grandi ospedali che nelle cliniche; e quasi tutta l'educazione privata è cattolica.

Fino al 1980 circa il Vaticano agiva direttamente sul mercato e sulla speculazione immobiliare, secondo una tradizione inaugurata all'indomani dell'unità d'Italia quando finanzieri legati alla Chiesa cominciarono a vendere agli speculatori gli immensi terreni che gli ordini religiosi possedevano sia nella città che nei dintorni. Ma poi gli scandali della banca vaticana, lo Ior, e dei banchieri legati alla Santa sede come Michele Sindona, hanno reso più discreta (ma non meno influente) l'azione vaticana. La presenza del Vaticano vampirizza la città sia perché richiede una serie di interventi e di lavori pubblici per cui non paga nulla, visto il regime di esenzione fiscale, sia perché si assicura una buona fetta delle entrate turistiche (un quarto degli alberghi privati è della Chiesa) attraverso un'attività alberghiera esercitata nei conventi svuotati dalla crisi delle vocazioni: Roma ne conta 297. Ma la maggior parte di questi conventi/alberghi non paga la normale tassa sugli immobili, e neanche la tassa sui rifiuti, così le Piccole ancelle del Cristo re, che sul web offrono 65 camere «in ambienti signorili e confortevoli», sono in causa col comune per 320mila euro, mentre con le Suore oblate del bambin Gesù c'è un contenzioso di 694mi1a euro. E così via.

[...]

Il risultato finale di tutta quest'attività urbanistica e di queste leggi è spaventoso: la città che ai turisti appare sempre uguale a se stessa, in realtà si è trasformata in uno sprawl urbano sparpagliato su una superficie enorme: il comune di Roma ha un'area complessiva di 1287 chilometri quadrati (è il più esteso comune d'Europa), di cui ben 550 sono edificati, mentre il centro storico ne copre solo 15 (un quarantesimo del totale). Un giro in questo sprawl è un viaggio nell'orrore architettonico, che oltretutto ha fatto sì che una politica dei trasporti collettivi diventasse impossibile: la bassa densità li rende insostenibili economicamente. Perciò Roma è una delle città europee con il peggior rapporto auto/abitante: 71 auto per ogni 100 abitanti, con inoltre 13,7 moto e scooter per 100 abitanti: cioè 84,7 veicoli a motore per 100 abitanti, bambini e anziani compresi.

Ma questo sviluppo dell'hinterland evidenzia un altro paradosso, e cioè che mentre la popolazione stagna, si continuano a costruire freneticamente nuovi edifici, però cresce anche il numero delle famiglie che non trovano casa. Una sproporzione che non può essere spiegata solo dal fatto che le dimensioni dei nuclei familiari si siano ridotte, e che perciò la stessa popolazione si suddivide in un numero maggiore di nuclei e quindi ha bisogno di più alloggi.

A Roma vi sono tra i 200 e i 250mila alloggi sfitti, ma altrettanti sono i cittadini che non riescono a trovare casa. Il fatto è che il mercato immobiliare abbandonato al laisser faire non è affatto razionale. Quello che manca sono alloggi a buon mercato per i giovani e per gli immigrati, mentre i palazzinari costruiscono appartamenti che pochi si possono permettere: è il classico caso in cui l'offerta non incontra la domanda.

D'altra parte gli edifici costruiti, anche se vuoti, costituiscono garanzie per chiedere nuovi prestiti alle banche e aprire nuovi cantieri. Le città satellite continuano a spuntare nonostante la crisi in cui versa l'immobiliare. D'altronde le parabole di due immobiliaristi come Silvio Berlusconi e Donald Trump ci dicono tutta la forza che ha il settore anche in economie avanzate. Il problema è che i sindaci e le giunte comunali hanno sì molti compiti, ma hanno un solo reale potere da usare come merce di scambio, e cioè la facoltà di decidere se un determinato lotto è edificabile o meno e quanto è edificabile. Per cui la tentazione di scendere a patti con gli speculatori immobiliari è forte. E mentre le giunte negli anni cambiano, i nomi dei palazzinari potenti restano sempre gli stessi del boom economico-cementizio degli anni Sessanta: Caltagirone, Toti, Armellini, Parnasi, Mezzaroma, Cinque, Salini, Caporlingua, Bonifaci, Scarpellini, Navarra. Alle comunali del 2016, deluso dalle giunte di sinistra che l'hanno malgovernato per tanti decenni, il popolo di sinistra romano aveva votato massicciamente per la candidata del Movimento 5 stelle, Virginia Raggi. Ma anche questa speranza si è rivelata vana. Dopo aver fatto campagna elettorale contro il progetto di speculazione edilizia imperniato sulla costruzione di un nuovo stadio di calcio del club Roma, intorno a cui era prevista la nascita di un enorme nuovo quartiere di uffici e centri commerciali, la giunta «grillina» ha fatto retromarcia ed è venuta a patti con i palazzinari. Ma se gli squali dell'immobiliare si erano dimostrati troppo forti persino per il Pci, come pensare che non si sarebbero fatti un sol boccone, come in un happy hour, di un gruppo dirigente improvvisato e inesperto come quello dei 5 stelle? E l'elefantesca burocrazia capitolina, che aveva opposto una resistenza pachidermica contro le giunte rosse, con la giunta grillina si è spinta al quasi sabotaggio passivo, fino al rifiuto di raccogliere l'immondizia per la strada.

Dietro l'immobilismo, la paralisi e l'ultimo fallimento dei 5 stelle c'è perciò la storia di una lunga disfatta culturale della sinistra italiana, che si è dimostrata incapace non solo di progettare e pianificare un futuro diverso per la città di Roma, ma persino di governare i cambiamenti in atto. Una disfatta che si registra anche nel campo in cui la città eterna dovrebbe essere imbattibile: il turismo.

Per gli amanti dei numeri, Roma ha più di 2500 siti di interesse ed è la città con più monumenti al mondo. Eppure le cifre sui flussi turistici dall'estero sono deludenti. Nel 2015 gli arrivi internazionali a Roma sono stati 7,2 milioni contro i 17,6 a Parigi, i 18,6 a Londra e gli 11,7 di Istanbul. Non solo, ma con 2,3 giorni di permanenza media per visitatore, Roma si situa ben al di sotto delle altre mete turistiche (6,2 giorni Londra; 6,1 Parigi): sono lontani i tempi in cui alla domanda su quanto tempo ci volesse a girare Roma, Wolfgang Goethe rispondeva: «Io ci sto da due anni e ancora non ho visitato tutto.» Ma il dato peggiore è che, a differenza di Londra e Parigi, sono pochi i turisti che tornano a Roma una seconda o anche una terza volta.

Nel mercato delle città turistiche Roma non tira, in parte perché non si sa vendere, in parte perché è un prodotto avariato. Oltre ai celebrati landmarks che si contano sulle dita di una mano (San Pietro, Colosseo, fontana di Trevi, piazza di Spagna, piazza Navona), Roma non è capace di suscitare la curiosità dei visitatori. Rimangono sconosciuti luoghi straordinari come i laghi vulcanici a meno di venti chilometri di distanza, ma restano fuori dai circuiti turistici anche gioielli situati in zone discoste della città, per esempio la basilica di Sant'Agnese fuori le mura, con la sua cripta e catacomba o lo straordinario museo della centrale di Montemartini, in cui sculture classiche sono esposte in un ex impianto termoelettrico con delle enormi turbine di ghisa e acciaio.

Ma questi luoghi restano riservati agli indigeni soprattutto perché la rete dei trasporti pubblici romani è di un'inefficienza mostruosa: nelle ore di punta gli autobus e i vagoni della metro somigliano ai treni indiani con le persone che fanno a spintoni per riuscire a entrare, e questo perché i mezzi passano «ogni morte di papa»: l'Atac è indebitata per 1,5 miliardi di euro, e perciò gli autobus sono antidiluviani e si rompono in continuazione (ogni giorno su 1920 mezzi, 900 restano in garage: le riparazioni sono 190mila l'anno, soprattutto a causa delle buche del fondo stradale sconnesso). Sembra un tugurio diroccato e malfamato l'interno della stazione metro di piazza di Spagna, vicina a via dei Condotti, l'equivalente romana del faubourg Saint-Honoré di Parigi o di Regent street di Londra. La raccolta differenziata è una barzelletta e Roma esporta i suoi rifiuti in Germania.

Così i turisti si ammassano in poche vie del centro storico, dove i ristoranti sono pessimi (un tempo a Roma era difficile mangiare male, ora è difficile mangiare bene), la media è cara e inospitale. A differenza della Spagna, l'Italia in generale e Roma in particolare non hanno sviluppato una cultura turistica: l'atteggiamento è quello dello «spennare» il turista, una cultura della «sòla», come dice il dialetto romano.

Per di più, ormai i turisti tendono a incontrare quasi solo turisti perché il centro storico di Roma si è svuotato. Nel 1950 gli abitanti del centro (dentro le mura aureliane sulla riva sinistra del Tevere e dentro le mura gianicolensi sulla riva destra) erano 371mila; nel 1961 erano scesi a 242mila; nel 1971 a 167mila; nel 2001 a 111mila; nel 2012 erano solo 85mila. Lo svuotamento è una caratteristica comune a tutte le città turistiche che diventando città museo sono destinate a una lunga agonia e all'imbalsamazione, però qui è più drammatico che altrove per la crisi economica e il prezzo degli affitti insostenibile con stipendi da recessione.

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1. I romani, Roma non la capiscono. Anzi, no: i romani, Roma non la amano. Perché forse invece la capiscono, ed è per questo che non la amano.


2. Roma sarebbe divertente, perché è piena di feste. Ma tutti quelli che ci vivono sono delusi da ogni festa, non ci volevano venire, vogliono andare a un'altra festa che sarà migliore. Ma se ci andranno, poi, resteranno delusi anche lì.

Ora, voi capite la complessità interiore che ha raggiunto una comunità che non sta bene in nessuna festa e dice che bisognerebbe andarsene via tutti perché Roma ormai non è più Roma; e la sera dopo la incontri di nuovo in un altro locale e sta dicendo di nuovo quelle cose e sei anni dopo ancora, e dodici anni dopo ancora, e così via?


3. «Quello che ha di buono Roma è che, passato il primo momento, la gente finisce per lasciarti in pace.» (Ella Fitzgerald)


4. Quando cammino la mattina presto, c'è un punto in cui passo sempre, scendendo da colle Oppio e passando accanto al Colosseo. È un punto in cui ho il Colosseo vicinissimo da una parte, che è gigantesco quando sono lì sotto; dalla parte opposta c'è la basilica di Massenzio, davanti a me l'Arco di Costantino, e a destra il Palatino.

Camminando, anche se vai a passo sostenuto, ci metti un certo tempo, e guardo di qua, di là, davanti, e ogni volta penso: io vivo a Roma.


5. Quella volta che tornando dopo pranzo sono passato davanti alla metro a Piramide e c'era un po' di gente che si era radunata e guardava giù, intorno a una buca dove un paio di persone stavano lavorando. La buca era profonda un metro e mezzo, non di più; le teste degli stradini spuntavano dall'asfalto.

Così, sono andato a guardare anch'io, curioso. E c'era uno scheletro, appena dissotterrato. Gli uomini stavano lavorando a un problema forse di elettricità. Ho chiesto a uno di loro com'era possibile, e quello mi ha risposto: ma ne troviamo sempre, qui ce ne sono tanti, questa era zona... E poi non ha finito di dire.


6. Portare alla Garbatella qualcuno che non c'è mai stato, che non sa cosa sia, e vedere l'effetto che fa.


7. Una volta, tanto tempo fa, ho sentito alla radio l'attrice Paola Borboni che diceva queste parole: «Amo Roma. E la capisco.» Questo «E la capisco» mi piace tantissimo, e vorrei dirlo anch'io un giorno. E lo dirò.


8. Rispetto a quando vivevi in provincia, a Roma cominci a fare un po' di editing alla tua vita.


9. Primo episodio. Dopo aver detto per anni che avrei dovuto assolutamente cambiare banca senza mai farlo, un giorno mi decido. Sto lì, davanti al funzionario gentile che mi fa compilare una lunga serie di moduli. Appena legge che abito a piazza Vittorio si meraviglia, mi guarda con meno complicità e più compassione e dice: certo che state inguaiati là co' tutti 'sti extracomunitari e tutti 'sti cinesi che ce stanno, ma come fate a vive' là?

Secondo episodio. A una festa (dove mi hanno detto che sarebbe meglio andare a un'altra festa), una giovane artista molto ispirata mi parla con sufficienza, guardando sempre da un'altra parte, come se non sapesse come passare la serata. Mi chiede dove abito, le dico a piazza Vittorio. Si accende, come se in quel momento finalmente si fosse accorta che stava parlando con qualcuno al suo fianco. Mi guarda fisso negli occhi e dice che anche a lei piacerebbe tantissimo abitare a piazza Vittorio, sta cercando, pensa che sia meraviglioso, tutti quei popoli diversi (lei credo inserisca i cinesi tra gli extracomunitari, come è più corretto), chissà come è stimolante dal punto di vista creativo abitare li, no? E mi guarda.




10. In piazza Vittorio abitano in particolare due donne che si sono trasferite qui per passione della multietnicità e della globalizzazione, due comuniste che da ragazze lanciavano le molotov e urlavano «via, via, via la polizia!», e adesso passano l'intera giornata al telefono con la polizia. Le loro bocche si aprono in un sorriso solo quando assistono a una retata di gente multietnica. Noialtri le prendiamo in giro, siamo scandalizzati, ma dopo le retate stiamo bene anche noi. E non abbiamo nemmeno chiamato la polizia, e possiamo continuare a essere comunisti, barricati nelle nostre case costose, perché il lavoro sporco lo hanno fatto quelle due.


11. I romani si sono stancati di Roma. La trattano come una cosa vecchia, che non si sopporta più. Anzi, no: si sono stancati di tutto. I romani si sono stancati dei genitori, dei figli, degli amori, degli amici, dei vicini, dei colleghi, degli amanti. Si sono stancati di telefonare e di mandare messaggi, si sono stancati di passeggiare, di andare a teatro, di guardare la luna piena, di un ristorante buono, del cappuccino, della maratona, del car sharing. Si sono stancati delle luminarie di Natale, si sono stancati di Natale, si sono stancati non solo di quest'anno, ma dell'anno prossimo. Delle vacanze, degli straordinari, delle fontane, delle riunioni a scuola, delle pagelle. Si sono infinitamente e legittimamente stancati dei sampietrini, e se qualcuno vuole raccontare loro perché sono caratteristici possono ammazzarlo a morsi. Si sono stancati delle cose che durano ma la cosa più incredibile è che si sono stancati ancora di più delle novità. Si sono stancati, subito, perfino della pandemia. Si sono stancati di tutti, nessuno escluso.




16. Di Roma, Joyce disse che gli faceva venire in mente «un uomo che si mantiene facendo vedere ai turisti il cadavere di sua nonna».


17. Nell'ottobre del 1972, prendendo spunto dall'ultimo film di Fellini, Roma, il Corriere della Sera organizzò un dibattito tra Goffredo Parise e il regista sull'eterna opposizione tra Roma e Milano. In quell'occasione, Fellini raccontò che si ricordava sempre di una frase che sentiva ripetere dai padroni di casa, all'inizio, quando era appena arrivato a Roma e abitava in una camera ammobiliata. Il figlio della padrona di casa diceva la sera alla mamma e alla moglie: «Annamo a vede' Roma.»

Abitavano intorno a Santa Maria Maggiore. Fellini capiva che c'era in loro l'idea di concedersi una serata passeggiando per Roma, come se fosse uno spettacolo. E non credeva che due milanesi potessero dire «andiamo a vedere Milano».


18. Devo scrivere di quelli del quartiere Prati. Prati è come il quartiere dove abitavano i funzionari di Berlino Est, o dove abitava Fidel a Cuba. Solo che si può entrare. Però poi quando ci entri ti trattano come un estraneo. Se sei un individuo che ha qualcosa da dire, o da portare in dote, ti accolgono per qualche ora, quasi come se fossi uno di loro.

Ma poi sul far della sera ti fanno capire che te ne devi andare, che devono restare tra loro. Ti dicono con accondiscendenza e dolcezza, cioè senza dirtelo, che tu non fai parte e non farai mai parte del gruppo.


19. Io non so se capirò mai Roma. Ma c'era un attore, che poi è morto giovane, e si chiamava Victor Cavallo, che l'aveva capita. Lui nell'ultimo periodo si aggirava per i portici di piazza Vittorio. E una volta ha detto così: a Roma l'unica cosa che non devi fare è rompere il cazzo. Se uccidi tua madre, la gente cerca di capire le ragioni, dice poverino; ma se dicono che rompi il cazzo, allora non ti si avvicina più nessuno.


20. «Tu sapessi cosa è Roma.» (Pier Paolo Pasolini in una lettera)




37. Si diventa romani quando si comincia a dire ci dobbiamo vedere, ci dobbiamo sentire, e poi si rimanda per mesi e non ci si vede e sente mai.


38. Il giorno di maggior pericolo di piena del Tevere, ero in motorino sul lungofiume. In prossimità di un ponte, il traffico era completamente bloccato, i lampeggianti dei vigili del fuoco erano tre o quattro, i vigili urbani delimitavano con un nastro la chiusura di un tratto, la strada era allagata in modo preoccupante. La gente intorno era ferma a guardare, alcuni si affacciavano sul parapetto per misurare l'altezza del fiume. C'era una sorta di messa in scena da film apocalittico, che però aveva una stonatura - o una caratterizzazione - tipica. Lì in mezzo, infatti, al centro esatto della zona delimitata, quindi in coincidenza della ragione di quel blocco, ho visto la seguente immagine: un vigile del fuoco accovacciato accanto a un tombino. In mano aveva, lo giuro, un bastoncino di legno, un ramoscello d'albero e con quello tentava disperatamente di liberare il tombino dalle foglie e poi lo spingeva giù con colpi energici sperando di ottenere un effetto simile a quando riusciamo a sturare il lavandino del bagno, a casa. Quest'uomo con il suo ramoscello tentava di creare un gorgo improvviso che facesse calar giù tutta l'acqua di Roma, o almeno del quartiere. Alla fine, ha sbuffato, si è alzato e scuotendo il capo ha buttato via il bastoncino, sconfitto.

Non capita sempre di avere davanti una scena che sintetizzi il paese in cui per un destino che non ti sei scelto, sei nato e vivi. A me è capitato.


39. «Se ritorno a Roma, voglio incollarmici.» (Ennio Flaiano)

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