Copertina
Autore Kader Abdolah
Titolo Il messaggero
EdizioneIperborea, Milano, 2010, n. 183 , pag. 300, cop.fle., dim. 10x20x2,5 cm , Isbn 978-88-7091-183-1
OriginaleDe boodschapper
EdizioneUitgeverij De Geus, Breda, 2008
TraduttoreElisabetta Svaluto Moreolo
LettoreDavide Allodi, 2011
Classe narrativa iraniana , religione
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Indice


1.  Zayd, il cronista                               11
2.  Alla ricerca del Corano                         16
3.  Omar, il secondo successore di Muhammad         18
4.  La vita di Muhammad                             21
5.  La Mecca                                        23
6.  La ripartizione del potere alla Mecca           25
7.  Jahiz, il più vecchio ambulante della Mecca     27
8.  Sabir, il mercante di ferro                     30
9.  Bahira, il santo monaco                         33
10. Il mercante Waraqa scopre Muhammad              37
11. Alla ricerca di Waraqa                          38
12. Ibrahim, il modello di Muhammad                 42
13. Khadija, la prima moglie di Muhammad            45
14. Samiha, la figlia di Khadija                    49
15. Khadija legge la Bibbia                         52
16. Il soggiorno di Muhammad nel caravanserraglio   55
17. I lustri della vita di Muhammad                 58
18. Muhammad e la grotta del monte Hira             60
19. Sayyid, l'amministratore di Muhammad            64
20. Abu Naim                                        69
21. Il creatore delle olive                         73
22. Gabriele, l'inviato di Allah                    75
23. L'angelo nella stanza                           79
24. Abu Bakr, Omar e Uthman                         82

    [...]


 

 

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Pagina 11

1
Zayd, il cronista



Zayd ibn Thalith è il mio nome.

Ero il cronista del messaggero Muhammad.

Il messaggero non aveva figli maschi. Mi adottò quando avevo all'incirca sette anni.

Mi chiamavano tutti Zayd ibn Muhammad: Zayd il figlio di Muhammad.

Dovevo avere cinque anni quando mia madre mi portò a trovare dei parenti nella città di Ta'if. Non ho ricordi di quel viaggio, è stata lei, molti anni dopo, a raccontarmi come andarono le cose: "Attraversavamo il deserto con una carovana di dodici cammelli. Ti tenevo sempre in grembo. Finché eravamo in sella stavi fermo e guardavi il paesaggio, ma appena la carovana si fermava a riposare, facevo fatica a tenerti vicino. Scappavi da tutte le parti e andavi con chiunque. Al mercato di Ta'if ti sei liberato della mia mano e sei scomparso dietro una bancarella. Ti sono corsa dietro, ma non ti ho più visto. Sono corsa alle altre bancarelle: nessuna traccia di Zayd. Piangevo, gridavo, correvo avanti e indietro, ma non eri da nessuna parte. Quando il mercato finì e tutti se ne andarono, rimasi lì a mani vuote. Non osavo tornare da tuo padre. Avevo perso il suo figlio prediletto."

Io, Zayd, ero stato rapito e non so più come avvenne. Non mi ricordo più neanche di mia madre, o del mercato. Ma mi rivedo come fosse ieri, nudo e sporco in una gabbia con altri bambini nudi, come un branco di scimmiette.

A posteriori ho capito di essere passato da un mercante all'altro per due anni.

Quando avevo sette anni fui comprato da un piccolo mercante di schiavi della Mecca al bazar di Jandal.

Quell'uomo si chiamava Hakim bin Haram e aveva una grossa pancia. Mi portò alla Mecca.

Da quel momento ricordo quasi tutto, perché fu una svolta radicale nella mia vita.

Sapevo che La Mecca era la mia città e speravo di incontrare i miei genitori per strada o al mercato degli schiavi. Ripetevo tutto il giorno i loro nomi come una nenia per non dimenticarli.

Mio padre si chiamava Thabit bin Sharasil.

Il nome di mia madre era Sadi bin Salab.

Sognavo il momento in cui vedendo mia madre al mercato avrei urlato: "Sadi bin Salab, sono Zayd, tuo figlio!"

Ma la madre e il padre della mia immaginazione non potevano essere uguali a quelli della realtà. In più neanche loro avrebbero potuto riconoscermi, perché ero cambiato: il sole aveva colorato la mia pelle di bruno scuro.

Ma niente è più capriccioso del destino.


Il mercante di schiavi Hakim bin Haram mi portò a casa sua e mi liberò in cortile come una capra. Qualche ora dopo mi permise di entrare in casa.

Quel primo giorno bussarono alla porta e Hakim urlò: "Va' ad aprire, Zayd!"

Ubbidii. Entrò una donna di una certa età. Pensai che fosse sua moglie.

"E tu chi sei?" mi chiese con tono dolce.

Non risposi.

"Come ti chiami?"

"Si chiama Zayd", urlò il mio padrone dalla sua stanza, "l'ho comprato al mercato di Jandal."

La donna era una sua cugina. Si fermò a parlare un po' con lui e quando uscì dalla sua stanza disse: "Andiamo, tu vieni con me."

Guardai incerto il mio padrone. "Sei fortunato, Zayd", disse lui. "Mia cugina non ha figli maschi e ti ha appena comprato. Si chiama Khadija e adesso è lei la tua padrona. Comportati bene."

Khadija mi prese per mano e mi portò via.

Per quanto fossi piccolo, capii subito di essere finito in una casa meravigliosa. Perché rispetto alle altre case della Mecca, Khadija abitava in una piccola reggia.

Mi fece lavare e indossare abiti nuovi. Ritornai un essere umano, un bambino come gli altri.

Verso sera arrivò suo marito.

"Ho una bella sorpresa per te!" gli disse lei indicandomi con aria felice.

Suo marito si chiamava Muhammad ibn Abd Allah. Più tardi sarebbe diventato il messaggero di Allah.

Il mattino dopo Muhammad mi ordinò: "Seguimi, Zayd!"

Era il mio nuovo padrone. Non ero tenuto a sapere dove andasse, lo seguii e basta.

Non potevo sapere che stava andando alla ricerca dei miei genitori.


E li trovò. Loro non riuscivano a credere che fossi davvero loro figlio, così alto, così pulito e vestito bene. Mia madre se ne stava contro il muro, rigida come una trave, non riusciva a muoversi dallo spavento. Mio padre si lasciò cadere in ginocchio ai piedi di Muhammad, ma lui lo aiutò a rialzarsi.

Rimasi una settimana nella misera casupola di mio padre, ma il venerdì lui mi riportò da Muhammad dicendo: "La sua felicità è con voi. E se lui è felice, lo siamo anche noi."

Fu così che diventai il figlio di Muhammad.


Khadija era la prima moglie di Muhammad.

Lei mi ha insegnato a leggere, mi ha insegnato a scrivere, ma è stato Muhammad il mio maestro. L'ho seguito come un'ombra fino alla sua tomba.

Allora non sapevo perché lo facevo.

Poi l'ho capito. Andavo pazzo per la poesia e mi perdevo nei suoi racconti.


Quando iniziò la sua missione di messaggero anche la mia vita cambiò radicalmente. Non lo lasciavo solo neanche un istante, a meno che non dovessi allontanarmi per qualche incarico.

Quando gli veniva rivelato un testo tremava tutto. Poi crollava sulle gambe, cadeva in ginocchio e premeva la testa a terra come un cavallo, farfugliando parole incomprensibili.

In quei momenti eravamo spesso soli. Le prime volte mi spaventavo, non sapevo cosa fare. Allora correvo ad avvertire Khadija.

Ma poi smisi di farlo. Capivo che il mio compito era quello di stargli vicino e che dovevo imparare ad affrontare da solo quelle situazioni.

Aspettavo con calma che ricevesse il messaggio, finché cadeva a terra sfinito. Poi lo coprivo subito con una coperta e lo lasciavo riposare.


Quando Muhammad morì ero un uomo adulto. Avevo ancora tutti i capelli neri, ma i baffi già mezzi grigi.

Ero ancora in profondo lutto per la sua morte, quando un cavaliere in sella a un arabo baio si fermò davanti alla mia porta.

"Zayd!" mi chiamò. Era il messo di Omar.

Non esitai. Sapevo perché Omar mi aveva mandato a chiamare, montai a cavallo e lo seguii.

Dopo Muhammad era Omar la guida più importante dell'Islam. Fu lui ad assumere il comando alla sua morte. Era un capo astuto e uno spietato condottiero.

Madido di sudore, mi inginocchiai ai suoi piedi.

"Zayd ibn Thalith!" disse. "Muhammad se n'è andato, ma noi non abbiamo le sue rivelazioni. Raccogli i suoi testi. Subito. Non c'è tempo da perdere!"

Conoscevo Omar, e lui conosceva me, ogni altra parola era superflua.

Gli baciai la mano, uscii, balzai a cavallo e lasciai la città al galoppo verso i campi. Ero talmente ebbro di felicità per l'incarico che mi aveva affidato, che per un attimo smarrii la via di casa.

Quella notte non riuscivo a prendere sonno. Ah, che notte radiosa, che missione gloriosa! Ma come mettermi all'opera? Ero stato direttamente testimone della rivelazione di alcuni testi. Ma la maggior parte dovevo raccoglierli attingendo alla memoria dei suoi seguaci.

Andai alla finestra e contemplai la notte infinitamente serena sopra il deserto.

A me, Zayd ibn Thalith, era stato dato di trascrivere il Corano.

Colui a cui toccava questo onore, doveva saper trattenere le lacrime per non morire di felicità.

Non appena la luce dell'alba sfiorò la mia finestra, presi la borsa e sellai il cavallo.

Ero partito!

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Pagina 25

6
La ripartizione del potere alla Mecca



Ecco qual era la gerarchia del potere in quei tempi alla Mecca:


    *  Gli idoli
    *  I proprietari di schiavi
    *  I grandi mercanti
    *  Gli ebrei
    *  I cammelli
    *  Gli uomini
    *  Gli schiavi
    *  Le schiave
    *  Le capre
    *  Le donne

I proprietari di schiavi facevano lavorare gli schiavi nelle fattorie e nel deserto. E vendevano i loro figli ai mercanti.

Il cammello era il simbolo della ricchezza. Più cammelli avevi e più eri ricco e potente. C'erano grandi mercanti che avevano centinaia di cammelli. E un'infinità di persone che lavorava per loro. Le loro carovane andavano a prendere le mercanzie nell'Impero bizantino e le portavano fino ai confini orientali per barattarle con quelle dei mercanti persiani.


Gli ebrei commerciavano in oro e stoffe. Oltre a ciò guadagnavano molto denaro sporco prestandolo a interesse. Inoltre, siccome avevano un Libro, si comportavano con arroganza. Si sentivano superiori agli altri e li guardavano con disprezzo.


Le donne venivano trattate come animali. Ogni uomo benestante aveva venti, a volte trenta mogli a casa. In più possedeva un'infinità di schiave e fuori casa aveva rapporti con donne di facili costumi.

Le schiave avevano più potere delle donne normali, perché lavoravano duramente ed erano indispensabili nelle fattorie.


Gli uomini si vergognavano quando una delle loro mogli partoriva una figlia femmina. Chi ne aveva già tante offriva la neonata in sacrificio agli idoli.


Fu in questa tradizione che Muhammad venne al mondo. Suo padre si chiamava Abdullah. Era morto poco dopo la sua nascita.

Sua madre si chiamava Amina. Poiché non poteva nutrirlo al seno, Muhammad fu allattato da un'altra donna. Aveva cinque anni quando perse anche sua madre.

Suo nonno diventò il suo tutore. Questi morì quando lui aveva nove anni e allora fu il più vecchio dei suoi zii ad assumere la sua tutela. Muhammad lo chiamava zio Talib.

Questo zio Talib lo mandò in montagna con un gregge di capre perché si guadagnasse da vivere. Fu così che Muhammad divenne pastore.

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Pagina 27

26
Jahiz, il più vecchio ambulante della Mecca



Talib, lo zio e tutore di Muhammad, era un piccolo mercante. Aveva una bancarella al mercato del venerdì alla Mecca. Una volta cresciuto, Muhammad non dovette più badare alle capre. Suo zio Talib lo prese a lavorare con sé come galoppino.

Per saperne di più su quel periodo andai a trovare Jahiz bin Ismail, il più vecchio ambulante della Mecca. Con gli anni era diventato cieco. Gli rivolsi la seguente domanda: "Jahiz, tu hai lavorato tutta la vita al mercato. Hai visto lavorare lì anche Muhammad quand'era ragazzo. Puoi dirmi che cosa faceva, e cosa vendeva di preciso?"

"Che cosa posso dirti di lui?" mi rispose Jahiz. "Sono passati così tanti anni! Muhammad era un ragazzo taciturno, con lunghi capelli neri e gli occhi di un color castano scuro. Se ne stava tutto il giorno tranquillo dietro al suo banco. Se non ricordo male, vendeva questi prodotti: formaggio di capra, grasso di cammello, qualche ciotola di miele, tralci di datteri freschi, bottiglie d'olio d'oliva, fichi secchi, grandi ossa di cammello, penne in ferro per scrivere sulle ossa, rametti di menta essiccata, flaconi di acqua di rose. E statuine in pietra degli idoli.

Il giovane Muhammad controllava con calma ciò che avveniva attorno a lui.

Ricordo un episodio che coinvolse un vecchio mercante ebreo poco lontano dal mio banco. Quell'uomo non aveva una bancarella, ma sedeva per terra. Vendeva anelli d'oro e d'argento e i suoi clienti erano tutte donne. In realtà commerciava in oro. Concedeva prestiti alle donne che gli lasciavano in pegno anelli, bracciali e collane.

'Jahiz!' mi chiamò Muhammad.

C'era molta folla al mercato e non sentivo bene.

'Jahiz!' mi chiamò di nuovo.

'Che cosa c'è, Muhammad?' urlai al di sopra della gente.

'Quella donna', disse lui, indicando il mercante ebreo.

Guardai, ma non notai niente di strano.

'Zio Talib', urlò allora Muhammad rivolto a suo zio, che stava parlando qualche bancarella più in là.

'Che cosa c'è?' fece lui.

Muhammad indicò di nuovo il mercante ebreo. Ma neanche suo zio notò niente di strano.

'Qasim!' urlò a quel punto Muhammad, rivolto a un altro venditore.

Nel frattempo, però, avevo lasciato il mio banco per vedere cosa stesse succedendo. Vidi una donna che aveva afferrato il mercante ebreo per una mano e lo implorava: 'In nome del tuo profeta Mosè, ridammi l'anello!'

Ma quello non ne voleva sapere, perché la donna non aveva pagato in tempo gli interessi sul prestito.

A un tratto arrivarono anche Talib e Qasim. Eravamo in tre adesso attorno al mercante ebreo, che non poté far altro che restituire alla donna il suo anello d'oro. E questo grazie allo sguardo vigile di Muhammad."

"Jahiz, hai qualche altro ricordo di lui in quel periodo?"

"I poeti venivano al mercato con uno sgabello, ci salivano sopra e recitavano le loro poesie", rispose Jahiz. "La gente si metteva in cerchio intorno al poeta e quando apprezzava una sua poesia gli gettava una moneta. I più amati erano i poeti del deserto. Nei loro versi parlavano della sabbia, dei cavalli, della luna, della spada, dei serpenti, dei falò, del vino e delle donne selvagge e smaglianti del deserto. La poesia più bella dell'anno veniva scritta su una pergamena e appesa al muro sinistro della Ka'bah.

Muhammad andava in visibilio per quei poeti. La poesia lo affascinava."


Le parole di Jahiz coincidevano con il seguente racconto sul giovane Muhammad che avevo sentito da Ibrahim bin Zaheri, il venditore di pelli. A sua volta, questo Ibrahim l'aveva sentito da suo padre. Diceva più o meno così: "Il poeta del deserto Abd al-Rahman recitò la sua ultima poesia. Oh, che poesia! Tutti lo ammiravano, tutti gli gettavano monete. Muhammad, in estasi, si tolse la sua giacca nuova di pelle di cammello e gliela lanciò come ricompensa per i suoi versi."

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Pagina 86

26
Muhammad, il messaggero



Per un anno intero Muhammad si sforzò di convincere la gente che era il messaggero di Allah.

E io lo seguivo ovunque.

All'inizio andava a trovare le persone che conosceva.

In quei casi aspettavo a debita distanza. Cosa dicesse a quelle persone non lo sentivo, ma vedevo che indicava con la mano il cielo e la Ka'bah.

Sapevo quando parlava degli antichi profeti. E da come muoveva le mani capivo che si riferiva ai paesi vicini, dove non adoravano gli idoli.

Sapevo che poi avrebbe parlato del monte Hira, dell'angelo che aveva incontrato.

Quelle persone ricevevano Muhammad con rispetto. Lo conoscevano, ma nessuno gli dava ascolto.

Per un anno intero andò di negozio in negozio a parlare con i suoi ex colleghi, ma alla fine di quell'anno non c'era ancora nessuno che gli credesse.

"Allah? Ma quale Allah? Di cosa parli, Muhammad?" Lo deridevano. Ne avevano visti passare tanti di presunti profeti come lui.

"Da tutti ce lo saremmo aspettati, ma non da te", gli dicevano. "Sei un uomo perbene, Muhammad, il marito di Khadija. Sei a capo di una grande azienda. Com'è possibile che di punto in bianco tu vada in giro ad ammonire la gente come un pazzo? Un messaggero, tu? Ma come ti salta in mente?"


Namin bin Nasir, un mercante di sale, pepe e spezie, mi ha raccontato quanto segue: "Appena metteva piede al bazar, i mercanti si nascondevano nel retrobottega, perché se Muhammad li vedeva entrava in negozio e attaccava il suo discorso su Allah e la pioggia, la mela, i datteri, i semi, e non la finiva più."

Questo Namin si ricordava anche di una conversazione con Abu Jahl, il capo della polizia della Mecca: "Abu Jahl entrò nel mio negozio e disse: 'Ho appena incontrato Muhammad per strada. O meglio, mi ha fermato e mi ha fatto la predica. Mi ha detto: «Abu Jahl, se mi segui diventerai il condottiero dell'esercito di Allah.»

Gli ho risposto con una battuta: «E se muoio in battaglia?»

«Se morirai in battaglia andrai in paradiso, dove su panchine, all'ombra degli alberi, ti attendono vergini vestite di verde e ornate di bracciali d'oro, con un boccale di vino in mano.»

Abu Jahl fece una grossa risata e aggiunse: «Ora che ha la barba bianca e la sua attività è fallita, Muhammad se ne va in giro a vendere vergini!»"

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Pagina 98

30
Gli abitanti della Mecca deridono Muhammad



Ogni giorno prendevo lo sgabello e seguivo Muhammad.

Non appena la gente si accingeva a entrare nella Ka'bah per pregare, sistemavo lo sgabello in un angolo della piazza.

Prima ci salivo sopra io e urlavo: "Gente! Parla Muhammad, il messaggero di Allah!"

Poi ci saliva sopra Muhammad e proclamava: "Voi, abitanti della Mecca! Non chiedete aiuto agli idoli! Non vi sentono! Sono solo statue di legno e pietra!"

La gente si arrabbiava. "Proprio tu, Muhammad! Tuo nonno e il padre di tuo nonno e il padre del padre di tuo nonno erano i custodi delle chiavi della Ka'bah! Non puoi offendere i nostri dei! Così offendi anche i tuoi morti!"

"Gli idoli non possono offendersi", ribatteva Muhammad. "Sono sordi. Sono sordi, ciechi e muti."


Poi spostavo lo sgabello in un punto affollato della piazza del mercato e urlavo: "Gente, ascoltate gli ammonimenti del messaggero di Allah!"

Ma prima che Muhammad potesse iniziare a parlare, inveivano tutti contro di lui: "Tu crei grande confusione nel popolo della Mecca con il tuo Allah! Se quello che dici è vero, mostraci un segno del tuo Dio."

"Prendete un'oliva", diceva allora lui. "Un'oliva si può mangiare o spremere e usare l'olio per far ardere una lanterna. L'olio limpido dell'oliva è un segno.

Prendete un cammello. Anche quello è un segno."

"Ma cosa diavolo dice?" protestava la gente. "Olive, cammelli? Gioca con le parole. È assurdo. Se quello che dice è vero, perché Allah non manda un angelo dal cielo ad aiutarlo? Non è un messaggero, è un essere umano come noi, che mangia, dorme e si lava nel fiume come tutti."


Allora andavo a mettere lo sgabello nella piazza dove si compravano e vendevano i cammelli e gridavo: "Gente, al messaggero è stata rivelata una nuova sura."

E Muhammad cominciava:

"Non abbiamo fatto della terra una culla?
E le montagne come grandi pioli?
Noi vi abbiamo creato a coppie.
E abbiamo destinato il sonno al vostro riposo.
Abbiamo fatto della notte una veste per voi.
E creato il giorno perché poteste andare alla ricerca del pane."

"Che ce ne importa di quella culla e di quei pioli?" disse un giorno un venditore di cammelli.

"È il testo che gli è stato rivelato", rispose un altro.

"Tutte frottole. Tutte invenzioni."


Ogni venerdì mattina mettevo lo sgabello sulla strada che facevano gli uomini per andare a portare le offerte al grande idolo di al-Uzza.

"Uomini!" proclamava Muhammad. "Non dovete vergognarvi di avere delle figlie femmine. Non dovete sacrificare le vostre figlie neonate ad al-Uzza.

Allah lo proibisce."

Al ritorno dalla Ka'bah, gli uomini si fermavano a litigare con lui: "Tu esageri, Muhammad. E meglio se non ti fai più rivedere da queste parti."


Poi andavo con lo sgabello al mercato dei cavalli e annunciavo: "E arrivato il Messaggero di Allah."

La gente gli si radunava attorno. "Muhammad, non capisco perché questo Allah abbia scelto proprio te come suo messaggero. Tu, che sai a malapena leggere e scrivere."

"Neanch'io lo so", rispondeva lui. "Solo Allah lo sa. Lui sa tutto."

"Muhammad, tu dici che Allah sa tutto e può tutto. Chiedigli di far piovere qualche moneta d'oro qui davanti ai miei piedi."

"Io non so fare miracoli", rispondeva Muhammad, "sono un semplice messaggero."

"Non sa niente e non sa fare niente", concludeva la gente, e se ne andava piantandolo in asso.


Quando si accorsero che continuava ad ammonirli anche se nessuno prendeva sul serio le sue parole, gli abitanti della Mecca cominciarono a deriderlo. Lo offendevano. Si infilavano le dita nelle orecchie e si coprivano per scherzo la testa con la giacca. E quando lui invocava Allah, urlavano i nomi degli idoli: Wad, al-Lat, Nasr, Isaf, al-Uzza.

Poi si prendevano a spintoni finché uno di loro urtava Muhammad e lo faceva cadere dallo sgabello. Ma lui riprendeva pazientemente il suo posto e proclamava: "Non vi chiedo niente. Non dico queste cose per me stesso. Ho solo il compito di condurvi sulla retta via."

"E dove porta quella via?" gli urlò un tizio sogghignando.

"Vuole portarci con lui in paradiso, dove ci aspettano le belle pollastre!" scoppiò a ridere un altro.


Una sera, mentre parlava di nuovo sullo sgabello, qualcuno gli tirò una pietra. La pietra lo colpì alla testa e Muhammad cadde a terra davanti ai miei piedi.

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Pagina 107

32
Allah, Islam, Corano



Asha rimase assorto un po' nei suoi pensieri. Forse immaginava di abbracciare quel grande cigno selvatico. Poi riprese a parlare.

"In cuor mio invidiavo Muhammad. Non lo difendevo, ma nemmeno lo contestavo. Tacevo, ascoltavo. Gran parte delle cose che diceva mi sembravano assurde, ma le diceva in una lingua araba nuova. Ancor oggi non capisco come abbia potuto fare tanta strada con quei testi incomprensibili. A un tratto si metteva a urlare dal nulla: 'Allahu Akbar, Allah è grande!'

Chi è Allah? E come fa a sapere che è grande?

Allah era un concetto nuovo e la Sua grandezza impossibile da dimostrare.

Diceva: 'La ilaha illa Allah: È uno solo ed è Allah.' Era una costruzione sintattica nuova: «Lah» in Allah significa «no», o «non più». Allah è dunque «Uno solo e non più».

Muhammad diceva anche: 'Salam alaykum! Il mio salam a te!'

Nessuno prima di allora aveva mai usato la parola «salam» come saluto. 'Salam alaykum!'

Quando lo dicevi a qualcuno per la prima volta aveva un bel sapore zuccherino, era come mangiare un dolce appena sfornato.

Diceva anche: 'Lam yalid wa lam yulad: Egli non è stato generato da nessuno. E non ha generato nessuno.'

Ti veniva la pelle d'oca quando lo sentivi per la prima volta: era una frase semplice, ma potente al tempo stesso, con molte «elle» e molte «a». A pronunciarla suona come se stessi parlando di un'alta catena montuosa.

Anche la parola «Islam» era nuova. All'inizio non voleva dire niente, ma con il tempo finì per significare: «Sottomettiti».

'Va bene!' diceva la gente. 'Ma a chi dobbiamo sottomerci?'

'Al Creatore di tutte le cose!' rispondeva Muhammad.

Neanche la parola «Corano» significava niente. In seguito si tradusse in: «un po' alla volta. Pezzetto per pezzetto. Un pezzetto di testo ora, un pezzetto di testo più tardi. Leggilo e recitalo a memoria!»


Muhammad era infervorato, quasi invasato. Diceva cose strane e ne faceva di ancora più strane.

Mentiva, mentiva in un modo incredibile. E credeva alle sue bugie. Forse mentire non è la parola esatta: immaginava. Sosteneva che i testi del Corano gli fossero stati rivelati, mentre li inventava tutti lui. Da solo. Nella sua testa, e io adoravo la sua fantasia.

Ma c'era qualcosa di stridente nel suo messaggio. Era un uomo eccezionale, questo è poco ma sicuro, e quello che diceva suonava bello, ma perché si legava con un filo invisibile al cielo e a un Allah immaginario?

Voleva scatenare una rivoluzione. E aveva compiuto un'impresa inaudita nella lingua araba. Era un capo carismatico, ma perché si spacciava per un finto profeta senzatetto?

Credeva davvero di essere un messaggero? E che quei testi gli fossero stati rivelati?

È difficile rispondere a questa domanda. Resta un mistero che lo rende enigmatico. Ma si era così fissato con quel suo Allah da essere diventato una cosa sola con Lui. Lui era Allah. E così creava testi divini. Ma non importa. Quei testi contengono molti, anzi moltissimi brani stupendi. I più belli sono quelli in cui giura:

'Per il sole e quando risplende.
E per la luna quando lo segue.
E per il giorno quando lo illumina.
E per la notte quando ricopre ogni cosa.'

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Pagina 140

La convalescenza era finita, Muhammad si era ripreso e appariva più combattivo che mai.

"Zayd", mi chiamò. "Metti in ordine la mia stanza e porta via questo letto, non voglio più vederlo."

Ma io, Zayd, non mettevo in ordine niente. Non facevo più il galoppino da un pezzo, ero colui che rendeva possibile ciò che il messaggero desiderava.

Così chiamai i domestici e dissi: "Mettete in ordine la stanza e portate via il letto."

E aprii le finestre sul cortile per arieggiare il locale.

Vidi Abu Bakr, Omar e Uthman parlare accanto al portone.

"Falli entrare!" disse Muhammad. "Ci metteremo in camera mia."

Li feci accomodare e loro entrarono sorridendo. Baciarono Muhammad sulla fronte, sul viso e sulle mani, poi si sedettero tutti e quattro in cerchio sul pavimento.

Chiusi le finestre.

Muhammad era il messaggero!

A lui succedette Abu Bakr. Come primo califfo dell'Islam, Abu Bakr riuscì con la sua saggezza a unificare il paese.

Omar fece conoscere l'Islam in tutto il mondo.

Io, Zayd, raccolsi i pensieri di Muhammad e composi un libro meraviglioso: il Corano.

E Uthman costrinse il mondo a leggerlo.

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Pagina 165

51
Hassan bin Hadi, l'astronomo



Non andavo a trovare solo gli ammiratori di Muhammad, andavo anche da quelli che avevano un'immagine molto diversa di lui, del suo Corano e del suo Allah. Alcuni di questi lo consideravano un bugiardo, altri un uomo dalla fervida immaginazione.

Andai a casa dell'astronomo Hassan bin Hadi bin Ibrahim. Abitava fuori dalla Mecca, in un curioso edificio con una cupola blu che simboleggiava il tetto del cielo, dove con i suoi allievi studiava il sole, la luna e le stelle.


Hassan era un uomo prudente e coraggioso al tempo stesso: "Non dico che Muhammad raccontasse bugie. Era più che altro ignorante. E questo si rifletteva anche su Allah. Muhammad non sapeva come fosse fatto il mondo. E diceva cose sbagliate.

Neanch'io so come è fatto il mondo, però me ne sto zitto. Osservo e taccio.

Muhammad era convinto di quello che diceva quando parlava del sole, della luna e delle ombre. Ma ne aveva una visione tutta sbagliata. Pensava che le ombre si inchinassero dinnanzi ad Allah. Errore. Non sapeva mettere in relazione tra loro il sole, l'albero e l'ombra. Li vedeva come elementi separati. Sbagliato. E nei suoi racconti non fa che ripetere: 'Allah è onnisciente.'

Ma il suo Allah è ignorante!

'Il cielo è sorretto da pilastri', dice.

Ma come gli è venuto in mente? Quali pilastri? Come mai i miei allievi non li incontrano mai nelle loro osservazioni? Altro errore. Il tuo maestro era ignorante, Zayd. E il suo Allah pure."

Ma mentre andavo nella scuderia a prendere il cavallo, Hassan bin Hadi mi urlò dietro: "Però io lo ammiro, il tuo maestro! È un miracolo che pur essendo così ignorante sia riuscito a concepire un libro con cui ha cambiato la carta geografica del mondo!"

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Un nuovo ordine



Muhammad aveva deciso di rischiare il tutto per tutto pur di abbattere la gerarchia del potere.

E i governanti della Mecca avvertivano questa minaccia.

Nei suoi testi Muhammad aveva stabilito un nuovo ordine del potere.

    *  Allah
    *  Il profeta
    *  I credenti
    *  I cristiani
    *  Gli ebrei
    *  I pagani

E produceva ogni giorno nuove leggi rivoluzionarie per gli abitanti della città:

Le donne erediteranno la metà di ciò che spetta agli uomini. (Gli uomini erano sgomenti. Le donne, che non avevano mai ereditato niente, avevano tutt'a un tratto diritto ai loro beni.)

Uomini, donne, grandi mercanti, schiavi e schiave sono tutti uguali davanti ad Allah. Solo chi compie buone azioni si avvicina a Lui.

Tutti offriranno in dono un quinto dei propri guadagni, saranno i doni di Allah.

Se uno schiavo o una schiava rivendica la propria libertà, concedetegliela: potrete dedurre il costo della sua liberazione dai doni di Allah.

Aiutate gli schiavi e le schiave a sposarsi se non hanno denaro.

Non lasciate vostra moglie quando invecchia.

Potrete dormire solo con vostra moglie o con le vostre schiave, e con nessun'altra donna.


Nelle vie della Mecca si combattevano feroci battaglie. I governanti della città non potevano più dormire sonni tranquilli. Era impossibile andare avanti così. Bisognava fare qualcosa. Bisognava porre fine ai disordini provocati da Muhammad.


E così avvenne ciò che non sarebbe mai dovuto avvenire. Il Consiglio della Mecca prese una decisione definitiva. La partita andava chiusa, o adesso o mai più. E decise di bandire Muhammad e i suoi seguaci dalla città. Tra lo stupore degli abitanti della Mecca, venne proclamata una nuova legge, scritta su una grande pergamena di pelle di cammello, che fu appesa al muro della Ka'bah:


In nome di al-Uzza, il primo Dio della Ka'bah, il Consiglio della Mecca ha approvato una nuova legge:

    *  È vietato avere rapporti commerciali con Muhammad e i suoi seguaci.
    *  È vietato offrire loro un giaciglio.
    *  È vietato donare o vendere loro cibo.
    *  È vietato dare loro in moglie una donna o prendere
       in moglie una donna della loro famiglia.
    *  Muhammad e i suoi seguaci dovranno lasciare la città entro ventiquattr'ore.
    *  Chi non rispetta questa legge verrà trattato come un seguace di Muhammad.

Era venerdì mattina e la gente fissava la pergamena a bocca aperta. Neanche gli uomini più anziani della Mecca ricordavano che qualcuno fosse mai stato cacciato in quel modo dalla città.

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