Copertina
Autore James S. Ackerman
Titolo La villa
SottotitoloForma e ideologia
EdizioneEinaudi, Torino, 1992, Saggi 768 , Isbn 978-88-06-12460-1
OriginaleThe Villa. Form and Ideology of Country Houses [1990]
LettoreRenato di Stefano, 1993
Classe architettura
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


 IX  Prefazione

     La villa

  3  I.    La tipologia della villa
 38  II.   L'antica villa romana
 82  III.  Le più antiche ville medicee
121  IV.   Le ville di Palladio e
           i loro precedenti
146  V.    L'immagine della villa di campagna
           nella letteratura cinquecentesca
170        Appendice
           I vantaggi della vita di villa
182  VI.   La villa palladiana in Inghilterra
212  VII.  Il giardino paesaggistico
248  VIII. Thomas Jefferson
286  IX.   Il «pittoresco»
308  X.    Andrew Jackson Downing
           e la villa romantica americana
342  XI.   La villa moderna: Wright e
           Le Corbusier

387  Postscriptum

389  Indice dei nomi


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 5 [ villa/prestigio, ideologia della villa ]

Sebbene l'acquisto di una villa sia stato in genere prerogativa di persone ricche, dotate solitamente di prestigio e potere (almeno fino alla democritizzazione di questa tipologia architettonica avvenuta nel XIX secolo), essa rappresenta nondimeno un concetto borghese nel senso stretto della parola, dato che risponde alle esigenze espresse da persone che abitavano nelle città. Le ville dei re e dei principi, costruite e finanziate con il denaro pubblico, sono fondamentalmente ibride, radicate come sono in una filosofia comportamentale di tipo borghese benché vincolate, da possibilità economiche spesso illimitate e dall'esigenza di simboleggiare e rappresentare un potere supremo, a dimensioni e a un'eleganza in un certo grado antitetica alla concezione primigenia. La villa dell'imperatore Adriano a Tivoli ne costituisce un esempio significativo.


L'ideologia della villa.

Oggi come in passato il fattore e il contadino, siano poveri e oppressi che ricchi e indipendenti, non guardano alla vita di campagna come a una situazione idillica ma la accettano come una condizione necessaria e spesso in qualche modo antipatica. Nelle tradizioni popolari di ogni epoca, il campagnolo appare come colui che, con un poco di timore e di apprensione, guarda con invidia e anela ardentemente gli incentivi e le comodità della vita cittadina. Il cittadino, dal canto suo, idealizza di solito la vita di campagna e, quando ne possiede le possibilità economiche, tenta di acquistare una proprietà nella quale potersi svagare ed essere felice. Questa esigenza è originata piú da necessità psicologiche che materiali; è fondamentalmente ideologica. Il termine «ideologia» non è qui usato nella sua accezione corrente per designare una convinzione profondamente sentita ma piuttosto nel senso di un concetto o di un mito cosí saldamente radicato nella sfera dell'inconscio che tutti coloro che lo possiedono lo propugnano come una verità inconfutabile. Si tratta di un concetto che i marxisti interpretano come il mezzo attraverso il quale la classe dominante rafforza e giustifica una certa struttura sociale ed economica e la propria posizione privilegiata all'interno di quest'ultima, nascondendone allo stesso tempo le motivazioni a se stessa e agli altri. La villa è in questi termini un paradigma non solo architettonico ma anche ideologico. È un mito o un sogno attraverso il quale, nel corso dei millenni, membri di un ceto privilegiato fondato sui commerci e sull'industria urbana, sono stati in grado di espropriare latifondi agricoli, ricorrendo spesso, per la realizzazione di tale mito, allo sfuttamento di lavoratori liberi o di schiavi.

Poiché la letteratura è la principale depositaria di miti ideologici, in ogni epoca l'ideologia della villa appare riccamente illustrata sia in prosa che in poesia. In verità, le opere letterarie non hanno semplicemente rispecchiato la cultura della villa ma hanno promosso le concezioni della villa sviluppatesi a posteriori.

Le più importanti riproposte e reinterpretazioni della villa, da quelle maturate nell'Italia del Quattrocento a quelle suggerite da Le Corbusier, sono state esplicitamente giustificate dal richiamo agli scrittori romani della tarda era repubblicana e della prima età imperiale, Catone, Varrone, Virgilio, Orazio, Plinio il Giovane, Vitruvio e altri.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 30 [ villa/simbolo, Wright ]

La villa come simbolo.



Inevitabilmente la villa è l'espressione di quel complesso di miti che ne origina la costruzione: l'attrazione verso la natura, vissuta sia in modo coinvolgente che in maniera freddamente distaccata, la dialettica tra natura e cultura o artificio, le prerogative di privilegio e/o di potere, e anche l'orgoglio nazionalistico, regionalistico o di classe. Ogni elemento riveste un proprio significato: l'ubicazione e la forma complessiva dell'edificio quanto i dettagli e le sue caratteristiche particolari. E dal momento che i segni e i simboli hanno significato solo per chi sappia interpretarli, di solito sono desunti da più antiche consuetudini architettoniche oppure, benché più raramente, derivano da altri generi di costruzioni come nel caso delle ringhiere di tipo navale adottate da Le Corbusier a Villa Savoye.

L'intimo coinvolgimento con la natura è svelato da un sito e da una concezione strutturale che consentano alla villa di annidarsi e a un tempo di espandersi nell'ambiente circostante, da una pianta asimmetrica e aperta, da colori che rispecchiano la policromia dello scenario nel quale essa è immersa, dalla varietà e naturalità dei suoi caratteri esteriori. Il distacco concettuale dal luogo che accoglie la villa è invece rivelato da una struttura compatta e cubixxante (in genere dotata di un podio e di un analogo espediente architettonico che permetta di separare nettamente dal livello del suolo la zona atta ad essere abitata), da ricercare armonie proporzianali e dal rilievo dato alle superfici esterne dal bianco o da un colore luminoso che mascheri la natura dei materiali costruttivi. Può comunque manifestarsi anche un atteggiamento ambiguo nei confronti di queste due posizioni antitetiche, documentato per esempio da un'opera di Frank Lloyd Wright del 1936, la famosa casa Kaufmann a Bear Run. Meglio noto come la «Casa sulla cascata», l'edificio esprime un rapporto dialogico tra l'effetto naturalistico del camino e dei comignoli in pietra grezza locale così come dei pavimenti, posati a lastre irregolari che raccordano gli spazi interni alla parte esterna dell'edificio, e la contrastante levigatezza delle terrazze in cemento, aggettanti sulla cascata e accuratamente sagomate, che Wright voleva dipingere di color giallo oro.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 35 [ villa relazioni, città/campagna, artificio/natura ]

Conclusioni.



La vilal costituisce un paradosso culturale. Se la casa colonica resiste ai cambiamenti a causa della lenta evoluzione dell'agricoltura e della cultura materiale a essa collegata, la villa dovrebbe essere ancora piú vincolata alle convenzioni sociali essendo l'espressione di classi sociali estremamente conservatrici, rappresentando un accessorio di lusso destinato solo a membri di classi privilegiate e potenti e propugnando una ideologia rimasta pressoché invariata nel corso dei millenni. Inoltre la natura mitica dell'ideologia della villa libera quest'ultima dai vincoli materiali dell'utilità e della produttività e la rende idealmente adatta alle aspirazioni creative di committenti e artisti. Spesso questa creatività non ha travalicato la sfera del gusto, come nel caso della moda del vestire, anch'essa motivata da una mitologia rimasta immutata dal tempo in cui l'eccessivo benessere esercitò per la prima volta le sue tentazioni. La villa attira però la nostra attenzione perché attraverso i secoli essa ha articolato concetti e opinioni culturalmente differenti rispetto al rapporto dialogico tra città e campagna, artificio e natura, formalismo e informalità. La villa esprime in termini formali relazioni umani universali.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 41 [ villa otium, otium ]

Il termine "negotium" cui Orazio nel verso testé citato («Beatus qui procul negotiis...») attribuisce come gli altri autori latini il significato di occupazione, affare, preoccupazione, difficoltà, costituisce l'antitesi perenne dell' "otium", il tempo libero dalle occupazioni, condizione ideale della vita campestre nella mente dei cittadini romani. ... Se si volesse indicare un vocabolo inglese corrispondente al sostantivo "otium", questo potrebbe essere "seclusion" o "serenity" oppure "relaxation"; gli antichi però lo associavano piuttosto a una opportunità di impegno, intenso e arricchente, in occupazioni intellettuali meritorie.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 77 [ villa romana, villa otium, vita agreste ]

Una significativa metamorfosi ideologica fu il requisito indispensabile alla creazione, da parte di individui residenti in città, di un mito della vita agreste destinato a sopravvivere dall'età romana ai giorni nostri. Al tempo di Catone, e tra gli scrittori conservatori delle generazioni successive, la proprietà rurale rappresentava un solido investimento che offriva l'opportunità di accrescere i profitti personali per mezzo del duro lavoro, addirittura della fatica fisica, in un ambiente alquanto frugale. L'attività agricola, e, in generale, la vita rurale, fu cosí associata alle virtù di antenati soggetti a un processo di idealizzazione.

Fu poi una corrente ideologica epicurea - destinata ad accrescere la sua influenza sulle generazioni successive - a trasformare la casa di campagna in una dimora, spesso di grande lusso e ricchezza, finalizzata al godimento dell' "otium", al perfezionamento di per se stesso rilassante della mente e del corpo. Questi cambiamenti esercitarono una influenza notevole sul processo evolutivo delle ville romane. Da forme chiuse e compatte condizionate dall'architettura urbana (e favorite dal desiderio di sicurezza) si giunse cosí ad armonizzare alla struttura originaria elementi che potevano essere aggiunti in fasi successive quali stanze, portici, criptoportici, bagni e torri.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 83 [ Petrarca, vita rustica ]

La preferenza accordata alla villa di campagna e la conseguente avversione per i valori e le condizioni della vita cittadina scompaiono dalle testimonianze scritte della cultura occidentale con la caduta dell'Impero Romano per riafforare durante il XIV secolo. Si fece banditore e narratore di questa nuova realtà il più autorevole scrittore del tempo, Francesco Petrarca, toscano di nascita, umanista eccelso, amico e confidente di sovrani, una delle presenze piú importanti nella vita politica del tempo. La sua grande opera in encomio della vita rurale, la "Vita Solitaria", fu iniziata nel 1346 in una casetta di campagna del paese di Vaucluse, appena fuori Avignone, sede a quel tempo della corte pontificia. Il saggio contrappone la smania di cariche pubbliche e di professioni prestigiose tipica della vita urbana («negotium») alla pace e al potenziale di autorealizzazione insiti nella vita di campagna («otium»).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 143 [ Palladio, libertà, villa palladiana ]

Esiste un mito perpetuato dalle università e dalle riviste intellettuali secondo il quale per "comprendere" un'opera d'arte è necessario afferrarne il messaggio, esserne coinvolti. La nostra esperienza ci insegna invece come sia possibile amare una persona o essere colpiti dalla bellezza di un edificio senza comprenderli adeguatamente oppure comprenderli senza esserne coscienti. L'esperienza degli edifici palladiani può essere notevolmente arricchita conoscendo perchè e in quale modo furono costruiti, sapendo come furono giudicati dai contemporanei e cosa ne pensasse lo stesso Palladio. Tuttavia essi riescono di per sè a comunicare in vari modi: attraverso le loro dimensioni, proporzioni, strutture, colori, ma anche creando e reagendo a determinate condizioni atmosferiche e luministiche. Ci possono apparire diversi ogni volta che li osserviamo.

Probabilmente queste osservazioni potrebbere essere usate per sostenere il mito dell'artista-genio che crea nella piú assoluta libertà i suoi grandi capolavori unicamente per mezzo di una straordinaria sensibilità. Questo significherebbe però ignorare quanto abbiamo scoperto. Ciò che a Palladio diede libertà e trasmise l'ispirazione per creare strutture affascinanti e sorprendenti fu la consapevolezza delle limitazioni con le quali doveva misurarsi - la tradizione di un passato lontano o recente, le richieste specifiche dei committenti, la scelta dei materiali e del luogo sul quale costruire. La libertà ha senso solo in un contesto coercitivo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 163 [ villa/donna, donna/lettura, donna/piacere ]

Le donne non compaiono mai negli scritti sulla villa degli autori antichi. Al contrario, la maggior parte dei testi cinquecenteschi sull'argomento, rivela un notevole interesse nei confronti della figura femminile considerata però solo per il contributo minimale che si ritiene possa apportare alla piacevolezza della vita in villa. Questi brani dedicati alle donne rivelano comunque piú antipatia e sfiducia che amicizia o affetto. I bambini non vengono mai menzionati.

La gentildonna è in un certo senso oppressa come un contadino dal dominio e dalla condiscendenza del consorte. Agostino Gallo sostiene che le donne preferiscono la campagna alla città proprio perché la vita è piú libera e meno soggetta a obblighi di quanto sia auspicabile pensare: le donne rivestono un ruolo specifico solo nell'ambito della gestione familiare e non è loro consentito dedicarsi alla lettura e alla caccia, le due principali occupazioni della vita di villa. Scrive Bartolomeo Taegio:

        Perche di natura le donne sono piu fragili, che
        gli huomini, & sono naturalmente piu inclinate
        al mal, che al bene, vi dico, ch'elle hanno piu
        tosto bisogno di freno, che di sprone, & di
        servitú, che di libertà, la donna, che legge à
        troppo gran pericolo si mette; Et io ne conosco
        di quelle, c'hanno un gentil spirito, pur
        quando leggono la institutione delle donne si
        fastidiscono à un tratto, & si lasciano vincere
        dal sonno, & quando leggono le novelle del
        Boccaccio, mai non si satiando di leggere, ne
        sentono una dolcezza infinita, di maniera, che
        per tutte le sudette raguoni, & essempi io
        conchiudo, che l'ocio delle lettere è degli
        huomini, & non delle donne; l'ufficio delle
        quali è l'imparar à governar ben la famiglia, &
        non di leggere.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 207 [ villa inglese, villa veneta ]

Ma quale fu la ragione per cui l'ideale della villa mediterranea si ridestò proprio in Inghilterra, e non ad esempio, in Francia, in Spagna, in Germania o in qualche altro paese occidentale? La spiegazione piú ovvia è che in epoca rinascimentale la vita e l'economia agricola nell'entroterra veneto furono molto piú simili a quelle dell'Inghilterra settecentesca di quanto non lo fossero quelle di altri paesi europei. In entrambi i casi, aristocratici e ricchi borghesi, di solito attivi negli affari politici e commerciali di una capitale importante, acquistavano o ereditavano per diritto di progenitura, vasti possedimenti agricoli. Essi avevano quindi notevoli interessi finanziari anche nel settore agricolo, potendo contare sulle rendite e sullo sfruttamento delle risorse dei loro latifondi. Potevano altresí contate su una forza lavoro stabile che si stava lentamente emancipando dalla sudditanza feudale ed erano favoriti dall'incremento demografico che determinava un fabbisogno crescente di prodotti agricoli. In tutti e due i paesi, la casa di campagna subí notevoli trasformazioni al tempo della rivoluzione agraria che a Venezia si basò sull'attuazione di opere di bonifica e in Inghilterra sulle "enclosures", ossia le recinzioni del campo aperto che costituivano usurpazioni del suolo comunale ed espropriazioni di piccole proprietà contadine, autorizzate dalle leggi a favore dei grandi proprietari, iniziate fin dal XVI secolo ma verificatesi soprattutto tra il 1760 e il 1840.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 286 [ villa-giardino ]

Committenti e architetti, degni fautori del Palladianesimo inglese settecentesco, erano stati capaci di ubicare un edificio rigorosamente classico in un contesto paesaggistico apparentemente naturale senza ravvisare alcuna disarmonia. La villa e il suo giardino richiamavano alla loro mente due aspetti della natura, l'uno rappresentante la logica che governa le opere dell'universo e che può essere espressa in termini matematici, l'altro le conseguenze casuali e feraci della crescita biologica e dell'evoluzione geologica che non possono invece essere ridotte a semplice legge o numero. La distinzione era stata operata fin dall'età rinascimentale quando il primo aspetto fu definito «natura naturans» e il secondo «natura naturata».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 342 [ Wright ]

Nel corso dei capitoli precedenti abbiamo notato una straordinaria coerenza ideologica e funzionale della villa attraverso i secoli della storia occidentale a partire dall'epoca della Roma repubblicana. Nella mente dei suoi apologeti, la villa nella salubrità e nella bellezza dell'ambiente naturale circostante, favoriva la salute fisica di coloro che la abitavano (arricchendoli al contempo di grande forza morale), costituiva un luogo ideale per entità quali quella familiare, e soprattutto un antidoto alla città e ai suoi molteplici mali. Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento il carattere della villa subí un radicale processo di trasformazione causato dall'evoluzione sociale ed economica che rese la dimora di campagna accessibile non solo ai cittadini piú ricchi e potenti ma anche a vasti segmenti delle classi medie e addirittura del proletariato urbano. La democratizzazione della villa ne mutò il carattere riducendo i terreni circostanti, solitamente di vaste dimensioni, a modesti lotti di terreno inadatti ad attività di tipo agricolo. Le località favorite erano ai margini di grandi città dalle quali i proprietari che non potevano permettersi una seconda residenza potevano spostarsi quotidianamente per raggiungere il posto di lavoro o potevano guadagnarsi la vita mettendosi al servizio degli abitanti delle ville vicine. In questo modo la polarità tra città e campagna si attenuò. Il termine «villa» cadde addirittura in disuso negli ultimi anni del secolo scorso; non fu ad esempio mai impiegato dai due maggiori architetti americani di residenze di campagna, Henry Hobson Richardson e Frank Lloyd Wright, in parte anche perché essi intesero dissociarsi dalla produzione di ville, spesso di gusto alquanto discutibile, tipica dell'età romantica.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 343 [ Wright, Le Corbusier ]

La rimessa in vigore nel corso del XX secolo di questa alternanza tipologica può essere rappresentata dall'opera di Wright e di Le Corbusier. Il contrasto è forse piú profondo di quanto non fosse mai stato in precedenza, dato che ciascuno dei due personaggi fece quanto in suo potere non solo per realizzare un'espressione artistica originale e per rafforzarla con scritti voluminosi, ma per dotarla di un significato cosmico. Ciò si può notare confrontando i rispettivi disegni di ville per committenti facoltosi, quelli di Wright per il ranch Doheny nella California meridionale, che però non fu mai realizzato, e di Le Corbusier per Villa Stein-de Monzie a Garches, presso Parigi. Essi ripropongono il contrasto tra Romanticismo e Classicismo in termini nuovi, non tradizionali, e ribadiscono un atteggiamento chiaramente definito a favore della natura nella relazione che intercorre tra quest'ultima e il genere umano. Il disegno di Wright esprime il suo credo nella natura «organica» dell'architettura; egli presenta i suoi edifici come se nascessero dalla terra, emergendo dai contorni di un luogo selvaggio. L'architettura è concepita come massa e spazio; sembra avere una forma palpabile di notevole densità. La metafora organica di Wright fa di solito riferimento ai fenomeni geologici piuttosto che a quelli biologici.

La villa di Le Corbusier appare come astratta dall'ambiente circostante; il disegno isometrico geometricamente esatto, senza ombre, è esso stesso un'astrazione; a differenza di una prospettiva a volo d'uccello, le sue linee non convergono in un punto di fuga che costituirebbe un riferimento per il riguardante e non esiste l'implicita indicazione dell'orizzonte.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 359 [ Wright ]

John Dewey, Thorsten Veblen (entrambi di Chicago nei primi anni del secolo), William James, e un altro personaggio del Wisconsin, Robert La Follette, si impegnarono tutti, come Wright, a riesaminare le tradizioni sedimentate nei loro diversi campi di attività e a tentare di formulare nuovi principi non fondati su quelli già affermatisi in Europa. Erano tutti consapevoli, al pari di Wright, che la rivoluzione industriale e la tradizione democratica avessero reso la vita americana diversa da quella di ogni altro paese e che l'accettazione coercitiva di mode tradizionali dovesse essere eliminata. La battaglia ingaggiata da Wright contro una concezione antiquata della casa d'abitazione si accompagnò a lotte analoghe nei confronti del sistema sociale, dei metodi educativi, dei comportamenti sessuali, del modo di interpretare la storia e di concepire la legge. Anche la rarefazione dell'attività architettonica di Wright durante il primo conflitto mondiale non fu un fenomeno isolato bensí un destino condiviso da altri progressisti che operavano in campi diversi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 360 [ Le Corbusier ]

Nelle prime opere l'approccio di Le Corbusier all'architettura risultò per certi versi antitetico a quello di Wright dal momento che i suoi edifici non emergono per nulla organicamente dal suolo. Sono concepiti in uno spazio astratto e non rivelano alcuna armonica corrispondenza con l'ambiente circostante, essendo talvolta addirittura impostati su "pilotis", cioè su colonne di cemento armato che minimizzano il contatto fisico con la terra. Le loro superfici levigate e la loro corrusca bianchezza sottolineano il loro completo isolamento dalla natura. L'architettura è concepita secondo lo spirito della pittura cubista, preoccupata com'è di salvaguardare l'inviolabilità delle superfici piane, affascinata dai problemi del volume del modellato, portata a preferire l'aspetto del prodotto industriale quanto i pittori cubisti a prediligere oggetti creati dall'uomo (chitarre, bottiglie, quotidiani).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 374 [ Le Courbusier ]

«Non v'è dubbio che io faccia uso abbondante della luce;
la luce è, a mio avviso, l'alimento basilare
dell'architettura. Io compongo con la luce.»



Nella villa di Poissy Le Corbusier realizza le sette innovazioni enunciate nella conferenza sulla pianta della casa moderna da lui tenuta nel 1929: 1: pianta libera; 2: facciata libera; 3: ossatura indipendente; 4:finestre in lunghezza o parete di vetro; 5: pilotis; 6: tetto-giardino; 7: interno attrezzato con scaffalature e sbarazzato dall'ingombro dei mobili. (Eliminando i numeri 3 e 7, oltre che la parete di vetro al numero 4, questi elementi innovativi furono immediatamente riuniti, per essere pubblicati nell' "Oeuvre complète", nei famosi «Cinque punti» di Le Corbusier).

| << |  <  |