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| << | < | > | >> |Indice5 Prefazione di Eleonora Puntillo 7 Introduzione LAZZARIATA 13 Personaggi 15 Atto primo 95 Atto secondo |
| << | < | > | >> |Pagina 5La tematica gay non ha avuto finora posto, di solito, nella narrazione di eventi storici, dove peraltro hanno stentato ad averla fino a poco tempo fa ogni genere di relazioni interpersonali, salvo esempi di grande fama anche nella tradizione popolare, non mancando casi di relazioni amorose che hanno avuto ruolo determinante nei fatti storici. Un esempio: la contessa di Castiglione, fascinosa cugina di Cavour, che viene da questi mandata a sedurre Napoleone III per indurlo ad allearsi con i Savoia e ad appoggiarne l'azione espansionistica in Italia. Nelle scuole la grande maggioranza dei prof sorvola più o meno abilmente quando la lettura dell' Eneide giunge alla tragica vicenda di Eurialo e Niso, o quando i versi dell' Iliade si soffermano sulla disperazione di Achille per la morte del cugino e amante Patroclo. Tutti e tre muoiono per aver disobbedito agli ordini. I due giovani troiani sbarcati sul suolo italico al seguito del profugo Enea escono dal campo fortificato cinto d'assedio da nemici italici, fanno strage dei guerrieri immersi nel sonno, vengono scoperti, Eurialo è circondato, Niso si lancia per salvarlo ma entrambi vengono trafitti e Niso muore abbracciando il corpo del giovane amato. Anni prima, all'assedio di Troia, Achille infuriato aveva deciso di non combattere più, Patroclo gli aveva disobbedito, ne aveva addirittura indossato l'armatura per andare allo scontro, per lui fatale, con Ettore. Achille, spinto dal dolore per la morte di Patroclo, tornerà in armi per vendicarlo uccidendo Ettore. Antonio Addati e Gerardo De Rosa hanno voluto aprire e chiudere con una storia d'amore e morte di due umili nient'affatto eroici (uno sguattero e un servo) la loro Lazzariata. Purgatorio Napolitano, intrecciandola sommessamente con le vicende della repubblica giacobina del 1799 la cui eco arriva nella casa di un Principe che s'è allontanato senza dire quando tornerà, ma lasciando l'ordine di organizzare una festa ma non si sa per quanti invitati. Nella cucina, nella sala da pranzo e nella balconata del palazzo del Principe recitano la loro parte tanti altri personaggi: il prete spagnolo, il bibliotecario, la governante, le cameriere, i fornitori di alimentari, il portatore di ghiaccio che si rivela capolazzaro e sanfedista, il lazzaro civilizzato che si batte contro i francesi e poi ne diviene partigiano quando questi riconoscono il suo valore e lo nominano capitano. Quello che i vari personaggi dicono litigando, inveendo, piangendo e bestemmiando, pettegolando e lamentando, ci racconta di ciò che accade fuori: la fuga del re Ferdinando a Palermo, le tresche della regina Maria Carolina, l'arrivo dei francesi, il miracolo forzato di San Gennaro. Finché arriva direttamente sulla scena la reazione sanfedista, con lazzari e briganti fedeli al re che saccheggiano, e fanno strage dei "traditori giacobini". Reazione che si manifesta con il triste ludibrio cui sono sottoposti i due giovani amanti prima di dar loro la morte in una scena che ricorda la fine dei due giovani guerrieri troiani descritti da Virgilio. Ma sguattero e servo trovano la forza, prima di morire pugnalati l'uno nelle braccia dell'altro, di gridare ai sanfedisti che loro sono la peste del mondo. Una grande verità viene detta da due umilissimi personaggi inseriti dagli autori nella vicenda storica della Repubblica napoletana del 1799, su cui si è scritto molto, ma mai abbastanza. | << | < | > | >> |Pagina 7Volle il caso che incontrassimo alcuni giovani allievi di una Scuola di Teatro del centro storico che, da anni, per il saggio finale, metteva in scena un nostro vecchio canovaccio, un'opera corale ispirata ai fatti di Napoli del 1799. Come tutti coloro che inseguono sogni e con passione cercano di raggiungerli, i ragazzi ci parlavano ammirati "d' 'o cupione": erano entusiasti di averlo interpretato, proprio come noi che, poco più che adolescenti, in quegli anni Settanta, fecondi di passione politica e di impegno civile, fummo entusiasti di metterlo in scena. Quel copione ancora suscitava nei giovani d'oggi uno stupore appassionato per la scoperta di una città che aveva vissuto vicende gloriose e tragiche, popolata da una moltitudine senza voce che soffriva e sopportava le angherie della vita come un vulcano in quiescenza, per esplodere, talora, d'improvviso, come un'eruzione del Vesuvio. Nasce così Lazzariata che, attraverso l'artificio del teatro, dà voce al popolo della Napoli del 1799, a una storia locale che, pur avendo confini spazio-temporali, è sempre capace di oltrepassarli. Dar voce al popolo significò riflettere sul linguaggio: «Molta parte dell'anima nostra è dialetto», affermava Benedetto Croce, e Federico Fellini asseriva: «Il dialetto è come i nostri sogni, qualcosa di remoto e di rivelatore, è la testimonianza più viva della nostra storia, è l'espressione della fantasia». Sfruttando le opportunità espressive della lingua napoletana, abbiamo cercato di mettere in scena una parlata che rivelasse le caratteristiche istintive, sociali e culturali dei nostri personaggi; e quando le parole non sono bastate a esprimere l'assalto delle emozioni, un canto di amore, una danza di festa, un tono, un gesto, ci hanno aiutato a ritrovare un mondo che credevamo perduto, nel quale cogliere, attraverso infinite coloriture, l'amore e l'odio, il sacro e il profano, il detto e il non detto. Lazzariata è parola che contiene in sé queste dualità: ispira l'immagine compassionevole di persona profondamente ferita, seviziata, massacrata. Napoli, proprio perché crocevia del Mediterraneo, fu appunto lazzariata da una lunga storia di assoggettamenti e dominazioni straniere, altresì da innumerevoli calamità naturali e da diverse pestilenze. Paradossalmente, di senso opposto è lazzaro nell'accezione di uomo appartenente allo strato sociale più vile fra la plebe di Napoli, uomo che, non suscitava né suscita alcuna pietà. Il lazzaro, infatti, non aveva alcuna intenzione di migliorare socialmente la sua condizione, anzi fieramente ergeva il suo stato a bandiera: il forte senso identitario di appartenenza a una "tribù", che lo rendeva strafottente e spavaldo, induceva il popolo a rivolgersi a lui con timorosa ammirazione. La sfegatata devozione a San Gennaro, eletto speciale protettore della lazzarìa e la benevolenza con la quale "Tata Maccarone", cioè Ferdinando IV di Borbone, accordava a questi sudditi "figli", invogliavano gli altri umili strati sociali a considerare questa orda alla stregua di un fenomeno naturale al quale rassegnarsi. Nelle loro fastose dimore, borghesi e aristocratici, costretti a vivere, per così dire, circondati da dedali di vicoli bui e maleodoranti e dai bassi e dai fondaci della città antica, tolleravano la contiguità fisica con i lazzari, da cui ottenevano servigi vantaggiosissimi, ma anche li riprovavano marcando con disprezzo la sostanziale lontananza da essi. La sparuta élite rivoluzionaria del 1799, intuendo la natura ribelle dei lazzari, che in un tessuto sociale economicamente povero rappresentavano l'anima della grande città plebea, cercò di affrancarli alla sua causa, ma la cultura raffinata e i nobili e utopici ideali del cittadino si scontrarono con l'ignoranza e le plebee e concrete necessità del lazzarone. Il potere borbonico non esiterà a servirsi di camorristi e briganti per annientare la giovane Repubblica Napoletana e quei lazzari che in essa avevano creduto. L'audacia del lazzaro mostrata nella battaglia sanguinosa per le vie di Napoli, ormai fa paura ai re e ai guappi. La lazzaria, che era stata formidabile snodo colloquiale fra "o populo bbasce e chillo auto", cade così in disgrazia. Lo scellerato patto fra "Bonavita e Malavita" ratificherà la definitiva esclusione del popolino da ogni forma di dialogo. Avanzo patetico e pittoresco della lazzarìa, divennero gli scugnizzi, molti di loro, "anime del purgatorio", vagarono nel reticolo sulfureo dei bassifondi come "anime perse". Fin dalla prima adolescenza, gli scugnizzi andranno a ingrossare le fila della camorra, o saranno dediti ai più infimi e ributtanti commerci, mentre alcuni di loro troveranno un porto sicuro sotto il manto bruno della "Mamma Schiavona" e, ricreando riti arcaici e misteriosi, come coribanti danzanti al tempio di Cibele, rievocheranno il culto dell'antica anima femminile del Mediterraneo. Sul dissidio interiore fra le due polarità maschile-femminile, termina Lazzariata, sciogliendosi nel canto di Ciccillo, il femminiello metafora incarnata di una città costretta a campare la contraddizione della sua doppia natura, in una condizione di perenne sospensione, dove precarietà, incertezza, timore di un ennesimo servaggio sono i demoni che la percuotono e la tormentano. Il sangue di San Gennaro si scioglierà come mestruo regolare della Grande Madre Napoli, che assisterà impotente al sacrificio dei figli suoi. Il sangue di Ciccillo scorrerà dalle ferite della sua carne viva lacerata a morsi. Un lamento d'amore e morte, spezzato da un macabro rituale sanfedista, porrà fine a ogni speranza e la tela misericordiosa calerà su quelle "anime scurdate". Antonio Addati e Gerardo De Rosa | << | < | > | >> |Pagina 15Le cucine di un palazzo principesco di Napoli: al centro un focolare, sulla cappa un cero rischiara appena l'immagine di San Gennaro. Ad ambo i lati dei fornelli due grandi arcate invetriate, parzialmente riparate da un pesante panneggio, attraverso queste un giardino pensile che guarda sulla via. Tavoli, suppellettili e varia mobilia da cucina. La sagoma indefinita di Ciccillo, il giovane sguattero addetto al focolare, lentamente si accosta a soffocare la brace; è stanco e per alleviare la fatica di un giorno ormai spento, sospira un canto, mentre il domestico Biasiello lo ascolta rapito. Ciccillo Nu juorno ca chiuveva e ca trunava chella jurnata ca nascett'io mammà me fece sott"o fucularo nisciuno d' 'a genta mia lu sapeva. Chella cunculella ca me lavava chiena de buche e fore ll'acqua asceva chillo saveniello ca m'annettava era 'ntessuto de malinconia. Quanno 'a vammana me jett' a bbattjare io meschinella cadette p' 'e grade manc' 'o speziale vennev' 'e cannele jett' a la chiesia e la truvaje 'nzerrata.
Biasiello, inebriato dalla melodia, accarezza Ciccillo; poi i
due vanno via. Compare furtivo padre Ignazio, porta una candela accesa e cerca
qualcosa da mangiare; alle sue spalle, non vista, lo segue la matura, ma ancor
bella governante: donna Ottavia.
OTTAVIA Con comodo... PADRE IGNAZIO (Sorpreso e imbarazzato, con cadenza spagnola) Oh!... Donna Ottavia!... ehm... ecco... cercavo... (Confuso tasta il ventre sofferente) sentivo... è lo estomago ulceroso... OTTAVIA Capisco... ma bastava avvisarmi... c'era bisogno di spulicià la cucina come l'ultimo d' 'e criate?... (Chiama il vecchio maggiordomo) Don Saveriooo! (Rivolgendosi al vecchio che ridicolmente si è affrettato) Andate in dispensa e pigliate qualcosa per padre Ignazio... (Ironica) che puveriello sta murenne... (Saverio si avvia) PADRE IGNAZIO Lo estomago me tormenta! OTTAVIA (Confidenziale) Jamme assettateve!... (Caccia da un tascone del grembiule delle carte da gioco) mi vulevo fare un solitario... però mangiando mangiando ce facimme 'na partetella (Decisa) giusto?! PADRE IGNAZIO (Con impaccio) Giusto. OTTAVIA (Intrigante, mentre dispensa le carte) Saccio tuttecosa!... Il nostro Principe è partito di fretta per ambascerie... Allora?... Che ha combinato il Re? PADRE IGNAZIO (Sorpreso) Il Re, che sapevamo vittorioso a Roma, è tornato in gran segreto a Caserta, in un calesse accompagnato da un solo caballero, che portava el vestido del Re, mientre il Re portava l'abito di quel signore... (Con pena) Il nostro esercito è stato costretto alla ritirata dai Francesi! La colpa es del Generale Mack! Es fuìto via da Roma con tale rapididad che... OTTAVIA Venette, vedette e fujette! Chill'austriaco malaurio! Ca pozza sculà! Isso e chi l'ha chiammato!... Dobbiamo ringraziare a quella, che come dice il Re: "Dorme comm'a 'na marmotta e suda comm'a 'na troja!" (Tira una carta) PADRE IGNAZIO (Con finto biasimo) Signora, parlate della Reina! OTTAVIA Si, sì 'a Riggina... "Purpetta mmocca", come la chiamano i lazzari. Padre Ignà. Sono venti anni che campo in questa casa! Lo sapete pure voi che a mme il Principe mi dice tutto! PADRE IGNAZIO (Con malcelata malizia) Lo so... dalla morte della Principessa... OTTAVIA (Noncurante a continuare) Proprio accussì! Mi ha detto in confidenza che Carulina da quando ha fatto pariglia con quel... (A voler cercare una parola offensiva e, nel frattempo, indeciso nella risposta di gioco) cu chillo... PADRE IGNAZIO Sir Acton. El primiero ministro! OTTAVIA Giusto... mi ha detto che proprio quel primiero scurnacchiato e la Riggina hanno convinto il Re a se movere contro i Francesi. (Ritorna Saverio che inizia a servire) PADRE IGNAZIO Il nostro Principe si era tanto adoprato, per persuadere Sua Maestà il Re a stringere un patto coi Francesi... la Spagna era in accordo e, per il momento, bastava. (Inizia a mangiucchiare) OTTAVIA Invece no! Carulina, per paura di perdere la capa, che fa?... Tutte 'e juorne s' 'a prufuma, se l'arriccia e ce la mette in mano ad Acton... PADRE IGNAZIO (Scandalizzato) Signora! OTTAVIA La capa... io parlavo d' 'a capa, padre!... Ma se avete capito male, non vi siete sbagliato! "Donna Purpetta" ha mbriacato 'e ccarte! (Fa per arraffare velocemente la presa) PADRE IGNAZIO (Ferma la mano della donna) Es terrorizzata dai giacobini. OTTAVIA Ma primma la Riggina li frequentava tutti quanti i giacobini: miedece, prufessure, artiste... "la Signora" s' 'e mettette tutte 'nculo 'nculo! PADRE IGNAZIO Ehm... diplomazia... (Tira una carta sbocconcellando) OTTAVIA No! Primma era puttaneria franzesa... e mo è zoccoleria ingresa... è cambiata solo la clientela! (Prende e raddoppia la posta) SAVERIO (Serve brontolando) Questo perché abbiamo sul trono un Re che, invece di cacciare i Francesi, (Allusivo) va a cacciare... le sue belle "pullanchelle," per i festini nella villa di San Leucio... OTTAVIA Ma voi di che v'impicciate?! PADRE IGNAZIO (Con fervore) Si potrebbero ancora fermare i Francesi! (Invasato) Sotto la bandiera della Santa Fede e la benedizione del Cardinale, con la mano de hombres de accion, si può sollevare todo el Pajs! OTTAVIA (Incalzandolo ironica) Li sappiamo gli uomini del "Cardinale": briganti! SAVERIO (Sconcertato) Briganti?!? OTTAVIA (A continuare) Eh!... propio accussì. SAVERIO (Meravigliato fra sé) Ma come? Uno che è 'o Rre 'e Napule, s'accocchia a briganti sanguinari e senza timor di Dio? Uno che è nipote di Luigi quattordici, figlio di Carlo III... che si chiama Ferdinando IV! OTTAVIA (Rivolta a Saverio, scorbutica) Eh... tre, quatte e quattordice... avimme fatto terno! Ma nun tenite niente 'a fa'?!... (Saverio si allontana) PADRE IGNAZIO "Per fas et nefas"... (A spiegare) Insomma, Mammone e Fra Diavolo saranno... como dir... defensor de Dios, di San Gennaro e del Re... Il popolino è siempre devoto al crocifisso. OTTAVIA La mazzamina è facilmente stupetiabbile... e pure se nel cuore del popolo 'o Rre è secondo solo a San Gennaro... della Riggina e del suo piecuro primmo ministro non si fidano... li schifano! PADRE IGNAZIO (Segnandosi) Speriamo nella vittoria del Re! OTTAVIA (Mescola le carte sferzante, con un cenno invita il prete alla rivincita) Per il momento sto vincendo io! Un'altra partita? PADRE IGNAZIO Signora! Questo mese ho giocato troppo, non voglio aumentare il mio debito. OTTAVIA Tutt'abbunato! (Fa per ridare la giocata al prete, ma non appena questi allunga la mano, si blocca repentina) Però vi chiedo un favore: (Imperativa) nisciuno adda sapé il vero motivo della partenza del Principe, soprattutto don Nicolino che è giovane, è squitato e chiacchiera troppo. (Compiaciuta) In ogni caso il Principe mi ha promesso che tornerà prestissimo e, per il suo ritorno, deve essere tutt'apposto... per una grande festa con importanti ospiti... ma non mi ha detto se gli ospiti sono spagnuoli, inglesi o francesi?! ... PADRE IGNAZIO Francesi? (In crescendo mentre Ottavia mesce vino) Dio voglia che le trascorse buone relazioni diplomatiche, che il Principe ha intrattenuto con Madrid, Londra e Parigi, preservino questa casa dalla sciagura.
OTTAVIA (Alzando il calice) Ammèn!
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