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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 Stefano Petrucciani Prefazione 15 Christoph Gödde Il concetto di filosofia 17 Note 137 |
| << | < | > | >> |Pagina 41I. RIASSUNTO E CONCLUSIONE DELL'INDAGINE SULL'«AMORE PER LA SAGGEZZA» Pensiero filosofico è quello nel quale la relazione tra soggetto e oggetto costituisce il tema della meditazione. Soggetto e oggetto non sono statici, non sono il plasmatore e l'oggetto della conoscenza, bensì sono storicamente mutevoli. Di conseguenza l'emergere del soggetto sollecita la critica della conoscenza. A queste condizioni, il soggetto non può più venir estratto dall'oggetto. La teoria della conoscenza coincide con la filosofia. Tutte le altre opinioni rimangono indietro rispetto a Hegel. Il soggetto gioca un ruolo anche nei riguardi delle scienze particolari, sebbene il concetto di conoscenza di queste ultime tenti quanto più possibile di eliminarlo. Kant si è imbattuto nella difficoltà per la quale non v'è conoscenza senza soggetto. La sua novità è costituita dalla via d'uscita da lui escogitata, consistente nel salvare l'oggettivo trasferendolo all'interno del soggettivo (svolta copernicana). Ciò però non indusse le scienze particolari a volgersi verso il soggetto: poiché la condizione soggettiva vale per tutto, la scienza può astenersi dal riflettere sul soggetto. Per la filosofia è essenziale determinare il rapporto tra soggetto e oggetto nel processo della conoscenza. La verità non è ciò che avanza dopo l'allontanamento di tutto il soggettivo, non è un concetto residuale. Il positivismo assume soltanto la statica tra soggetto e oggetto e non può quindi essere chiamato filosofia in senso proprio. Il mutamento storico di forme nella relazione soggetto-oggetto non è casuale e arbitrario, bensì è determinato dalla progressiva demitologizzazione.
Osservazione sul rapporto di soggetto e individuo. Soggetto (il concetto
generale) è ciò che si riflette come alcunché di spirituale; il concetto di
individuo è derivato dalla biologia. Al livello socratico, essi giacciono
assieme ancora indivisi. Il soggetto nell'uomo è ciò che è assolutamente
universale, in Aristotele è la «sostanza pensante», in Kant, infine, l'unità
formale degli atti del vissuto. È eliminato tutto ciò che rende il soggetto
affetto dalla casualità della conoscenza: quanto più esso giunge ad essere in
tal modo universale, tanto più diventa un concetto di funzione e tanto più si
allontana dall'ambito di forze magico. Si potrebbe dire che il resto empirico si
chiama «individuo». Ma anche il concetto di individuo si attua nel processo
dell'Illuminismo. L'«individuo» è una realtà che appare nella antropologia. È
impossibile ottenere nuovamente l'intero partendo dalle due metà, all'incirca
nel seguente modo: l'individuo come contenuto del soggetto e il soggetto come
forma dell'individuo. In Socrate l'individuo è concepito come universalità. Si
veda la grandiosa analisi hegeliana di Socrate.
II. FILOSOFIA COME «RICERCA DELLA CHIAREZZA ULTIMA» Questa è la definizione sostenuta da Cornelius qui a Francoforte per molti anni. Già quando ero studente essa non mi soddisfaceva, sebbene non ne avessi una migliore. La «chiarezza» è una qualità essenzialmente soggettiva. «Chiari» sono dei giudizi, «chiaro» è un modo di pensare. Ma il compito della filosofia non può essere quello di produrre giudizi chiari. Essa adempie alla propria destinazione solo quando produce qualcosa inerente alla cosa stessa. Cornelius enunciò tale definizione anche in un'altra forma, dicendo che la scienza è la ricerca della chiarezza, mentre la filosofia della chiarezza ultima. Perché una cosa incompiuta dovrebbe apportare più chiarezza di qualcosa di concluso come il formalismo logico? La filosofia viene resa una sorta di condizione mentale; essa si realizza quando mette l'uomo in un determinato stato d'animo (Stoa). E questa è certamente una caratteristica secondaria. Se si pensa alle filosofie storiche, risulta dubbio che la chiarezza sia un criterio decisivo del loro rango. Una volta, durante un gioco di società, fu chiesto a Scheler che cosa si augurasse come «ultima parola» ed egli rispose: «più oscurità». Si tratta certo di un gioco, ma nella sua risposta c'è una grande ricchezza di esperienza. La filosofia intesa come il processo in corso tra soggetto e oggetto presuppone la vittoria del soggetto. Tutto allora dovrebbe lasciarsi risolvere in pensiero. Ma questa possibilità non può venir elevata ad una destinazione della filosofia. I razionalisti avrebbero allora una pretesa di verità maggiore di coloro che lasciano non illuminato il non-illuminato e si limitano a determinare le contraddizioni. Kant è tra quelli che fanno vedere le contraddizioni. Il «concetto di cosa in sé» non è chiaro, è definito in modo contraddittorio. Quando Kant era oscuro in senso molto serio, egli obbediva alla costrizione della cosa stessa, da un lato orientandosi sul materiale scientifico, e dall'altro rendendosi conto che è insito in questo qualcosa di irriducibile. | << | < | > | >> |Pagina 49HEIDEGGER E LA CONFUSIONE LINGUISTICA Non intendo negare che il livello linguistico di Heidegger, fintantoché non civetta esteticamente, sia largamente superiore al livello generale. Se però, come è necessario, si prende così sul serio il linguaggio, il tono heideggeriano non è quanto si debba esigere in merito: già per il semplice fatto che si possa parlare di «tono». Si è sviluppato un gergo che si lascia imitare facilmente. Ciò che va raggiunto è la creazione di un'aura teologica. Sintomo della vanità è il fatto che, alla maniera heideggeriana, possono essere comunicate cose che non hanno nulla a che fare con intenzioni filosofiche: vedi il discorso di rettorato friburghese con suoni di fanfara di marca nazionalsocialista. Lo stesso fenomeno si verifica anche nella controparte politica, quella staliniana, dove Ernst Bloch (Lipsia), fa risuonare indiscriminatamente il suo stile per qualsiasi tematica. Là dove gli uomini hanno scoperto che la filosofia ha a che fare col linguaggio, e lo coltivano consapevolmente, il soggetto si separa già dall'oggetto. Il tentativo heideggeriano di salvataggio nei confronti del linguaggio filosofico sembra essere una sorta di pseudo-poesia, di contro a Nietzsche nel quale esso ha assunto il carattere di un predicare. Che cosa è in gioco in questo linguaggio? In genere c'è il tentativo, all'interno di una reazione soggettiva, di rappresentare con esso tonalità emotive in modo tale da dare l'impressione che queste siano prodotte non dalla soggettività ma dalla cosa stessa. Si deve però rendere onore a Heidegger del fatto che la medesima cosa v'è nel contenuto della sua filosofia, ossia che determinati modi di comportamento vengono concepiti come chiavi per la comprensione dell'essere. Né si deve contestare il fatto che in questa stessa intenzione sia contenuto un pezzo di verità. È suo grande merito l'aver ricordato queste cose, sebbene altri prima di lui abbiano fatto tutto ciò in modo più radicale ed energico. Il linguaggio di Heidegger cerca dunque di far apparire un momento soggettivo come se fosse l'essere oggettivo stesso. Dal punto di vista della storia dello spirito, gli elementi di questo linguaggio, dimostratisi capaci di così grande presa sui giovani, sono un'eredità espressionista, sono cioè scaturiti da un sforzo d'espressione soggettivo. Sono le figure linguistiche coagulate in cui allora si era venuta a manifestare la protesta contro il linguaggio convenzionale. Intendere il «soggetto» come qualcosa di derivato, di secondario, è propriamente feticismo. Qual è lo pseudos di questo linguaggio? Esso ha l'aria di qualcosa che è stato ottenuto con l'inganno; il soggetto non risponde di ciò che vuole. Ci si imbatte qui in una palese confusione: dietro a Heidegger c'è la teoria che il linguaggio non è un mero sistema di segni né una questione di espressione, bensì appartiene in modo essenziale alla filosofia. A questa concezione manca il concetto di [storia]. Di contro alla non-redimibilità del linguaggio inteso come semantica si assume la posizione secondo cui esso sarebbe il linguaggio stesso dell'essere. In modo non dissimile, i cabbalisti intendevano desumere dalla lingua ebraica, rivelata da Dio, strutture oggettive. Heidegger non è altro che un simile cabbalista. Mancando a tale linguaggio la storia, questa viene mitologizzata. Vi è un nesso tra questa filosofia e i fascisti: per il tramite di essa ogni possibile qualità storica poteva essere enucleata come se non fosse storica ma le spettasse invece una verità assoluta: feticismo. Contenendo in sé l'intera dialettica dell'Illuminismo, questi tentativi sono condannati al naufragio. Propriamente, un filosofia simile non dice altro se non che essa «è»: Si risolve in tautologie. Le frasi introduttive di una conferenza di filosofia del linguaggio tenuta da Heidegger suonano: «Il linguaggio è linguaggio. Il linguaggio parla. Il linguaggio è linguaggio. Il linguaggio è linguaggio che parla». | << | < | > | >> |Pagina 61IL METODO FILOSOFICO IN RAPPORTO AL METODO DELLA SCIENZA Adotto la tesi di Külpe secondo cui anche nel metodo non si può indicare nessuna differenza specifica in forza della quale la filosofia si distingue dalla scienza. La filosofia moderna, che facciamo partire da Cartesio, si è sviluppata proprio dal metodo scientifico. La clara et distincta perceptio è stata introdotta per la prima volta in un'opera giovanile di Cartesio. Il metodo matematico è rimasto determinante per la filosofia razionalistica del XVII secolo. Il metodo di Leibniz è parimenti in stretto rapporto con la matematica: modus geometricus. In Spinoza però il metodo geometrico serve in realtà ad accrescere la dignità. Non è molto difficile mostrare che le sue non sono proposizioni matematiche. Non è perciò necessario approfondire questo punto, ma si può dire a ragione che l'ideale di conoscenza di questo pensatore è orientato alla matematica. C'è qualcosa come un pensiero filosofico distinto da un altro pensiero per la sua natura metodica? Se fosse così sarebbe impossibile introdurre qualcuno alla filosofia; essa sarebbe accessibile soltanto a colui che è «nel mistero», che è dotato. Si insinua così il concetto dell'esoterico o del carismatico. Qui è il punto di partenza della speculazione. Hegel si oppone fermamente alla speculazione intesa come un concetto sui generis. Egli è lungi dallo scorgere in essa un procedimento che sia in linea di principio contrapposto a quello della riflessione. Nel suo colloquio con Goethe riportato da Eckermann, Hegel spiega che la dialettica altro non è che lo spirito di contraddizione sistematico e portato alle ultime conseguenze. È qui che sta propriamente il momento tramite il quale il filosofare si rende specificamente comprensibile. Anche il pensiero socratico si collega sempre alla coscienza generale, in modo da superare le opinioni limitate per il tramite del colloquio. La differenza metodica consiste dunque in ciò, che il metodo filosofico si volge sempre contro quel metodo presente in ogni singolo caso; esso domanda metodicamente del metodo stesso. Si tratta di un prendere coscienza-di-se-stessi. Ciò ci riporta al concetto di riflessione in cui il pensiero diventa oggetto di se stesso. Nello «spirito di contraddizione conseguente» sono poste una gran quantità di relazioni che possono ampliare il nostro concetto di filosofia. «Insistenza» significa non rimanere fermi a risultati determinati. «Intelligenza», come si dice spesso, «è la capacità di risolvere dei problemi». Ciò non significa altro che il ricorso al metodo dei test. La filosofia si distingue da questo spirito oggi dominante per il fatto che essa non si accontenta di assolvere a compiti stabiliti; non accetta l'eteronomo. Essa eccede i compiti stabiliti. Dove è in primo piano il concetto di definizione si opera nel quadro di relazioni rigide e precostituite. La filosofia che si muove all'interno del suddetto punto di vista preserva, al contrario, una certa diffidenza nei riguardi di ciò con cui la realtà le viene incontro. Proprio nella attuale situazione il pensiero si caratterizza per via del sospetto nutrito nei riguardi dell'esser preformato che, dalla disposizione d'animo teologica, giunge sino al positivismo logico. È esattamente questo il significato dell'ingenuità: il pensiero filosofico è costituito in modo tale da non lasciarsi preformare dagli «incasellamenti» della realtà sussistente. Differenza tra essenza e apparenza: del concetto di filosofia fa parte in modo determinante l'interrogarsi sull'essenza e sulla differenza tra essenza e apparenza e il porre ad oggetto di riflessione la loro relazione. Ci furono grandi filosofi che non riconobbero tutto ciò (cfr. gli «abitanti di un mondo dietro il mondo» di Nietzsche). È però evidente che proprio Nietzsche ha tentato di andar oltre il meramente fenomenico con i mezzi della riflessione filosofica; inoltre, in lui l'interpretazione è altrettanto essenziale. Sono incline a scorgere l'essenza della filosofia proprio nell'insistenza dell'interpretazione, sebbene così mi allontani probabilmente dalla tradizione filosofica e vada a finire in una completamente diversa. L'insistenza, la fermezza nel non lasciarsi fuorviare è un gesto, anzi il gesto spirituale della filosofia. Esso è diverso da quello della scienza generale. Ciò che mette in contatto un uomo con la filosofia è questo gesto. È molto difficile condurre alla filosofia chi non ha un debole per esso, e qui sta il piccolo granello di verità dell'esoterismo.
Il pensiero del genus proximum viene in parte scosso dalla scienza. Il punto
di vista dei positivisti logici è quello secondo cui la filosofia intesa come
scienza delle scienze deve comprendere la scienza con una dottrina del metodo.
Se però devo comprendere l'essenza della logica presuppongo già la logica. Qui
la conclusione circolare è permessa giacché i positivisti logici la riconoscono
(cfr. Max Horkeimer, Il più recente attacco alla metafisica). Al posto della
relazione vivente emerge il risultato coagulato: fluidificarlo è appunto il
compito della filosofia. Se però la filosofia deve comportarsi secondo il
modello della scienza, essa diventa riproduzione di quest'ultima, ideologia.
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