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| << | < | > | >> |Pagina 7Ci ero venuto per fare una ricerca, qui alla Chalancho, in questa borgata di pietra appesa ai pendii ruvidi della val Grana. Ci ero venuto perché qui, i miei avevano una baita e conoscevo la gente del posto. Avevo deciso di fare la tesi sui racconti di masche, le streghe, e pensavo di intervistare quei montanari che conoscevo bene, da anni.All'inizio, fu meno facile del previsto. Mi conoscevano, è vero, avevano piacere a parlare con me, ma quando iniziavo a parlare di «quelle faccende», tutto cambiava. Va bene parlare di montagna, della terra, della guerra, ma «quelle cose lì», le streghe, erano cose private, cose loro. Di colpo ritornavo a essere il cittadino che vuole sapere di tradizioni andate, magari per poi ridicolizzarle, chissà. Forse, con me non era proprio così, non ero proprio del tutto estraneo, ma un po' di diffidenza c'era.
Quando qualche anno dopo pubblicai una
prima versione di questo testo, lo presentammo
a Pradleves, il capoluogo della valle. C'erano
quasi tutti quelli che avevo intervistato e che
mi avevano aiutato. Alla fine, si avvicinò un
anziano, che tante volte mi aveva raccontato
storie di masche, e mi disse: «Se sapevo che
facevi un libro, te ne raccontavo molte di più».
Rileggere qualcosa scritto tempo prima fa sempre una strana impressione, ti viene da correggere una frase, rivedere un pensiero, cambiare una parola, ma mi è sembrato ingiusto rivedere il testo. Mi pareva un tradimento. Meglio qualche ingenuità dovuta all'età che un falso, pulito e limpido, ma senza la sua vera anima. Per questo ho lasciato il racconto così com'era, con il peso degli anni passati e la leggerezza dell'età di allora. |