Copertina
Autore Rania al-Baz
Titolo Sfigurata
SottotitoloLa coraggiosa testimonianza della giornalista televisiva saudita massacrata dal marito
EdizioneSonzogno, Milano, 2006 , pag. 234, cop.ril.sov., dim. 140x224x19 mm , Isbn 978-88-454-1305-6
OriginaleDéfigurée. Quand un crime passionnel devient affaire d'État [2005]
TraduttoreAntonella Viale
LettoreGiovanna Bacci, 2006
Classe storia sociale
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Indice


 1. La morte all'orizzonte            7
 2. Una mobilitazione mondiale       31
 3. Donna sottomessa                 67
 4. Prima proposta di matrimonio
    all'età di undici anni           89
 5. Una ragazza molto ricercata     107
 6. Sedici anni: primo matrimonio   123
 7. Mia madre, mia amica            139
 8. Star della tivù                 165
 9. Man bassa sulla mia libertà     187
10. Essere donna in Arabia          217



 

 

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Pagina 45

Per ore e ore i rappresentanti dei media sfilano davanti al mio capezzale e solo in quel momento realizzo l'impatto di ciò che mi è accaduto. Certo non sono l'unica donna picchiata del Paese, purtroppo, ma sono stata la prima a scatenare una reazione così imponente. Mi sorprende che i giornali si buttino pieni di indignazione su una storia di aggressione. Mai visto prima! Di solito prestano pochissima attenzione ai problemi delle donne e, intervista dopo intervista, finisco per chiedermi se sono una martire o, mio malgrado, una militante...

Accetto di darmi in pasto ai media perché penso sia indispensabile suscitare il dibattito sui problemi della nostra società, se vogliamo che sia la società stessa a risolverli. Io, la presentatrice che chiedeva alle donne di raccontare la loro storia, come posso rifiutare di rendere pubblica la mia? È allora che ho capito quanto sia più difficile raccontare che ascoltare. Ma mi sono anche resa conto che la mia gente vuole cambiare, anche se non sa come farlo. Non si può dire dall'oggi al domani: "Abbiamo sbagliato a comportarci così con le donne". È un passo molto difficile. Ma prima di tutto è importante mettere al corrente l'opinione pubblica, incitarla a trovare delle soluzioni.

Il giorno dopo, il mio orribile ritratto campeggia su tutte le prime pagine e MBC FM manda in onda la mia intervista. È un momento durissimo, immagino i commenti:

"Era tanto bella..."

Eh, sì, e non lo è più! Tutt'altro! E non è solo lo specchio a rimandarmi la terribile immagine del mio volto devastato, ma anche le prime pagine dei quotidiani, lo schermo della tivù. Non vivo più il mio dramma da sola, nell'intimità di una stanza d'ospedale, l'ho svelato a tutti e tutti hanno scoperto questa faccia distrutta per sempre. Speriamo solo che capiscano che sorte è riservata talvolta, qui da noi, alle donne.


Questo è il problema. Chiedere delle riforme radicali significa prendersela con una cultura maschile che ha radici profondissime e in cui la donna non ha molto spazio al di là della cucina e del letto. In Arabia Saudita le decisioni spettano solo a quelli che fanno parte delle classi sociali più elevate, che non conoscono più la tradizione popolare e non sentono, non capiscono le rivendicazioni della classe media.

Ecco perché sono capitata al momento giusto con i miei occhi cerchiati e la faccia spappolata. Sono capitata al momento giusto perché sono conosciuta, famosa. Il Paese è abituato a vedere il mio volto in televisione. Non sono più soltanto una donna, faccio parte della quotidianità, sono un'immagine familiare che è stata distrutta. Massacrandomi, mio marito ha anche privato la gente di uno dei suoi volti familiari, e questo è grave.

Così grave che l'emiro di Gedda mi ha fatto riferire da uno del suo seguito durissime parole di condanna per il gesto di Rachid, assicurandomi di aver incaricato le forze dell'ordine di fare di tutto per ritrovarlo, perché possa essere condannato severamente secondo la legge. L'emiro mi ha augurato inoltre una pronta guarigione, auspicando che io riesca a lasciarmi presto alle spalle questo doloroso ricordo.

Sono parole che mi fanno venire la pelle d'oca per l'emozione e la commozione. Un'altra grande esclusiva! Non si era mai visto prima un emiro, membro della famiglia reale, prendere le difese di una donna maltrattata. Anzi, era impensabile. In piena crisi internazionale, con l'Arabia sospettata di finanziare sottobanco il terrorismo, l'emiro dimostra che non è così, che la società saudita si evolve. È vero che si tratta di una presa di posizione privata, ma segna una svolta. Sono sicura che passerà di bocca in bocca, che verrà letta come una volontà di cambiamento, un segnale di pace.

Realizzo appieno l'importanza della dichiarazione e ne valuto le conseguenze. Penso a mio marito, che adesso saprà di essere braccato senza quartiere, sempre che non abbia fatto l'idiozia che continuo a temere. L'ondata mediatica deve averlo sommerso comunque. Sognava la celebrità: eccolo servito. Anche se penso che ne farebbe volentieri a meno.

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Pagina 98

"Devi lavorare seriamente a scuola se vuoi diventare medico..."

In tutte le famiglie ricche saudite i genitori sognano di avere una figlia dottore. C'è sempre bisogno di qualcuno che curi le donne, visto che non possono mostrarsi nude davanti a un uomo, neanche se è medico. Così le ragazze sono spinte verso gli studi di medicina per ovviare all'inconveniente.

Il futuro che mi prospetta mio padre sembra così lontano che non ci faccio caso. Medico? Perché no, se gli fa piacere? Sono sicura che parla sul serio, ma non riesco tanto a seguirlo né a condividere i suoi progetti. Medico? Vedremo... sono ancora piccola, non sono pronta per il mondo dei grandi, lasciatemi ancora ai giochi e ai sogni di bambina...

Bambina — questo è ciò che credo — fino al giorno in cui mia madre mi annuncia:

"Un uomo ti ha chiesto in moglie".

Ho appena compiuto undici anni.


La notizia mi disintegra. Non ci credo, sta scherzando, forse. Non è il tipo. Infatti non ride. Divento rossa come un peperone e le chiedo di ripetere. Ha l'aria imbarazzata mentre dice seccamente:

"Ma sì, presto sarai donna... è normale che gli uomini comincino a interessarsi a te. Alla tua età la nonna era già stata chiesta in sposa parecchie volte".

Mi sembra che la terra mi si spalanchi sotto i piedi. Le immagini più insensate mi attraversano il cervello. Un uomo mi ha chiesta in moglie... Matrimonio? Ma se sino a poco fa al massimo facevo la damigella, ai matrimoni! Un uomo? E cos'è un uomo? Non è uno della mia età: un uomo è mio padre, è zio Farid! Non potrei certo essere la loro moglie, posso essere solo la figlia, la nipote di un uomo.

Non capisco più niente e guardo disperata mia madre, sicura che scoppierà a ridere, dicendomi che voleva solo farmi paura, che era un gioco...

Purtroppo non si gioca più. Un uomo ha davvero chiesto la mia mano a papà. Fa il pilota per una compagnia aerea di Gedda. Mio padre ha preso in considerazione la proposta, che gli è sembrata conveniente. Ecco perché mia madre sta cercando di prepararmi.

Ben presto non ho più dubbi: è vero, ma non gli do importanza, non mi rendo pienamente conto. A undici anni è impossibile immaginare il matrimonio. È vero che le orientali si maritano prima delle occidentali, è vero anche che all'epoca di mia nonna certi uomini sposavano delle bambine, ma i tempi sono cambiati, oggi l'età giusta per una donna è tra i diciassette e i diciotto anni. Allora perché contravvenire alla regola? Perché fare un passo indietro e sposare proprio me a undici anni? Che mio padre voglia liberarsi di me? Non ci posso credere! Evidentemente c'è qualcosa che mi sfugge.

Il giorno dopo, appena tornata da scuola, filo immediatamente in camera, ma mia madre mi raggiunge per riprendere lo stesso argomento:

"È un ottimo matrimonio per te, sei molto fortunata. Il tuo futuro marito è un pilota di linea, ti rendi conto? Non sarà quasi mai a casa, lo vedrai di rado, dovrai cucinare pochissimo e potrai fare quello che vorrai".

Comincio a rendermi conto che sta parlando proprio sul serio, ma il resto continuo a non capirlo. In una cosa la mamma ha ragione: la prospettiva di non vedere spesso mio marito è rassicurante. La mia vita non sarà troppo stravolta, continuerò ad andare a scuola e, forse, avrò ancora la mia camera in casa. Ottimo. Comunque è un paradosso. Allora perché mi fanno sposare? Se non vedrò mai mio marito, se la mia vita e la sua non cambieranno, perché non mi lasciano in pace? Perché non mi permettono di crescere tranquillamente con la mia amata sorella e le mie compagne di scuola? È al di là di ogni comprensione.

Non sono ancora riuscita a fare un po' d'ordine nella mia testolina quando, qualche giorno dopo, la mamma mette fine drasticamente ai miei tormenti. Appena tornata da scuola non mi dà neanche il tempo di posare la cartella e mi dice: "Tuo padre ha respinto la proposta di matrimonio. Questa storia è finita per sempre".

Stranamente il colpo è altrettanto violento di quello ricevuto all'annuncio della domanda. Un'ondata di gioia sale dentro di me, mi pervade, mi soffoca. Sono troppo felice, eppure voglio sapere tutto per sentirmi veramente al sicuro:

"Cos'è successo? Il pilota ha fatto qualcosa che non è piaciuto a papà? Gli ha mentito?"

"No, tuo padre si era confuso sull'età, credeva che avessi dodici anni. Quando gli ho fatto presente che ne hai solo undici ci ha ripensato. Sei troppo piccola, non sei ancora donna e bisogna aspettare un po'."

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Pagina 134

Tiriamo a campare in questa maniera per qualche mese finché una sera, mentre sto ascoltando una cassetta con le cuffie, Jamal mi osserva a lungo senza parlare. Non mi rimprovera, prende il giornale e si siede tranquillo in poltrona. Quella calma ostentata non è normale. Spengo, tolgo le cuffie e mi siedo di fronte a lui. Che abbassa il giornale e dice, guardandomi fissa:

"Torna dai tuoi, verrò a prenderti più tardi".

Mazzata. Ho paura che sia l'avvisaglia di un divorzio imminente. Rimango in silenzio, con la bocca spalancata, in cerca d'aria. Eppure dovrei essere contenta, sollevata: sarò di nuovo libera, potrò dimenticare gli obblighi pesanti della vita di coppia. Jamal mi offre la libertà ed ecco che, all'improvviso, non la voglio più.

Può sembrare paradossale, ma me lo aspettavo già da un po' lo scontro tra sentimenti e cultura, tra felicità e vergogna. Ecco il problema: ho la testa in cortocircuito.

È ovvio che la prospettiva di ritornare la ragazza spensierata di una volta mi fa piacere. Solo che, insomma, dovrei dare delle spiegazioni, farlo accettare ai miei cari, giustificarlo. Una donna divorziata, e per di più con un bambino, da noi è una pecora nera. Il divorzio è un fatto molto grave. Ero infelice con Jamal, ma dovevo rassegnarmi: ripudiandomi, mio marito mi condanna. Mi denuncia davanti a tutti come cattiva moglie, mi mette al bando dalla società. Cosa ne sarà di me? Come farò a dirlo a mio padre? Come gli spiegherò il fallimento? Ha accettato il matrimonio a malincuore perché gli ho fatto pressione, ora la rottura gli darà ragione, confermerà le sue certezze, ma non sarà comunque soddisfatto, casomai riattizzerà il suo disappunto, la rabbia di essersi lasciato manovrare, di non essersi attenuto a ciò che avava deciso, col risultato di essere costretto a riprendersi, sotto gli occhi di tutti, una figlia separata dal marito.

Questi sono i pensieri che mi si affollano nella mente mentre Jamal, silenzioso, si è rituffato nella lettura del giornale torcendosi nervosamente la punta della barbetta con la mano sinistra. Sembra stupito quando ritrovo la parola e gli chiedo con voce rotta:

"Ma perché?"

Alza gli occhi e mi spiega con tono monocorde:

"Perché ne ho abbastanza di vivere con una donna-bambina, una ragazzina futile e immatura. Mi sembra di vivere con la mia sorellina, non con una moglie, con la madre dei miei figli. Sei fatta così, il tempo non ti cambierà, quindi è meglio finirla prima che sia troppo tardi".

L'analisi è dura e un po' di verità c'è, anche se faccio fatica a ingoiare l'accusa di immaturità, anche se ho voglia di ricordargli che non gli ho chiesto di venirmi a cercare e che ha parecchio forzato la mano di mio padre per strapparmi a lui. Ma è pur vero che, chiedendo la mano di una ragazzina che ha appena intravisto, l'uomo rischia grosso. E il peggiore inconveniente della nostra tradizione. Jamal non mi conosceva neanche un po' quando mi ha voluta a tutti i costi. Avrebbe potuto rifletterci su un attimo e rendersi conto allora che ero solo una bambina. Invece erano intervenute le sorelle a dirgli che la ragazzina era carina e allegra, un'occasione da non perdere.

Non ho contrattato. Oggi leggo in quel mio comportamento il riflesso di una frustrazione, una richiesta di aiuto, di gioia di vivere, un rifiuto della noia che mi opprimeva ma, in quel momento, non ho voglia né di difendermi né di giustificarmi. Comunque faccio la domanda classica, conoscendo la risposta in anticipo:

"Ci hai pensato bene?"

E la risposta che prevedevo cade come una mannaia:

"Ci ho pensato. È irrevocabile. Torni dai tuoi e poi sistemerò tutto con tuo padre".

Sbattuta fuori. Sbattuta fuori senza riguardi. Non mi resta che fare i bagagli. Anche se Jamal non mi lascia neanche il tempo di farle per bene, le valigie, di organizzare la partenza. Prima ancora che chieda, specifica:

"Prepara subito le tue cose, appena sei pronta ti porto dai tuoi".

All'improvviso penso a nostra figlia:

"E Rahaf?"

"Puoi portarla con te. Deciderò più tardi. Sbrigati."

Ciò detto, Jamal fila in camera a cambiarsi.

Rimasta sola fisso a lungo il telefono prima di chiamare la mamma. Non so come dirglielo, però devo decidermi perché sento Jamal che si prepara. Alzo lentamente il ricevitore.

Mia madre ascolta in silenzio. La sua reazione mi stupisce e mi conforta. Mi aspettavo una sgridata, invece sembra quasi contenta del mio ritorno all'ovile. Comunque mi compatisce e rassicura:

"Vieni subito, figlia mia, tutto si sistemerà, non è un problema. Adesso vado a dirlo a tuo padre e a preparare la camera per te e Rahaf".

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Pagina 180

La mia prima apparizione sul piccolo schermo aveva scioccato, senza però provocare la levata di scudi che temevo. Le classi sociali privilegiate, che conoscevano il mondo, erano sorprese da tanta audacia in Arabia Saudita, e non ne erano rimaste sconvolte; e il grande pubblico, colto di sorpresa, non era riuscito a trovare argomenti per protestare. Magari qualcuno avrebbe voluto farlo, ma in nome di quale principio? Non avevamo infranto nessuna regola religiosa.

Ben presto sento che il pubblico si sta abituando alle mie apparizioni sullo schermo; giro un servizio dopo l'altro e acquisisco sicurezza. In poche settimane programmo da sola il mio lavoro, non ho più bisogno dell'aiuto di Abu e volo con le mie ali. All'inizio l'audience è stabile, poi comincia ad aumentare, al punto che i produttori si fanno coraggio e moltiplicano i miei contratti. Intanto giro per tutto il Paese e sempre – o quasi – le nostre troupe vengono accolte a braccia aperte dalle autorità. Ne sono orgogliosa, così come mi sento fiera di vedere nel programma uno dei segni del cambiamento di mentalità nei confronti della donna: la liberalizzazione della sua posizione sociale sarà lenta, difficile, ma va avanti. Anche se la strada sarà ancora lunga, perché certe categorie oppongono resistenza, lo constato lavorando ovunque sul territorio. Sebbene mi presenti regolarmente col foulard in testa, molti uomini rifiutano ancora di incontrarmi. Non insisto mai: sono loro a dover fare il passo di accettarmi, non il contrario. Non forzo la mano, mi limito a lasciare che si emarginino.

Incontro reticenze anche tra le donne. Alcune occupano posizioni importanti – soprattutto nel settore sociale – in cui si investono capitali, ma rifiutano di parlare, di confidarsi. Non fa parte né delle loro abitudini né della loro tradizione apparire su uno schermo.

E tuttavia, trascinate dalla spirale del successo, le mie trasmissioni suscitano un interesse sempre crescente: un gran numero di responsabili locali e nazionali desiderano comparire. Gli altri, quelli che mi ignorano, si mettono da soli fuori dal gioco. Sia chiaro, non ho la pretesa di sostenere che i miei servizi siano fondamentali per la vita del regno, ma sono alla moda, fanno tendenza, ed essere associati all'immagine del programma, anche in questa Arabia tanto preoccupata della tradizione, ha un risultato positivo. Si può benissimo rimanere fedeli alla propria cultura senza vedere una rivoluzione dove c'è soltanto evoluzione. Questo è il messaggio pedagogico che Channel 1 cerca di trasmettere attraverso la mia immagine. Ne sono consapevole e non è facile tenere la testa sul collo. Donna simbolo, donna star a ventidue anni in un Paese dove conta solo l'uomo, c'è proprio da perderla, la testa! Devo stare attenta a non scivolare, a rimanere lucida, sarebbe troppo stupido distruggere per vanità un'avventura tanto bella e un formidabile passo avanti per la donna saudita.

Grazie all'assistenza vigile di Abu Sultan e del direttore riesco a gestire la situazione piuttosto bene e, dopo qualche mese, vengo "adottata" dai telespettatori, maschi compresi, che sono sempre più numerosi. Si stanno abituando a vedermi, le mie apparizioni sullo schermo non danno più fastidio, alcuni si spingono addirittura ad affermare che le desiderano. Quindi non soltanto è stata accettata l'idea della presenza femminile in tivù, ma sto filando diritta verso la gloria... Rania, superstar a Gedda. Incredibile.

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