Copertina
Autore Edoardo Albinati
Titolo Orti di guerra
EdizioneFandango, Roma, 2007 , pag. 212, cd, cop.fle., dim. 14,8x21x1,1 cm , Isbn 978-88-6044-029-7
LettoreAngela Razzini, 2007
Classe narrativa italiana , aforismi
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Indice


1993                              9

1994                             53

1995                            111

1996                            173

Tavola                          193
Note                            197
Orti di guerra: il cd           207


 

 

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Pagina 11

                            Sono stato promosso servo della gleba.

                                                   Antonio Delfini



1. QUI DOVE ABBIAMO NUOTATO. Qui è dove il bambino sbagliato venne sotto i riflettori, e lo rifiutammo come merce difettosa. Siedo al tavolo vagliando mosse di guerra: la teoria è tutta contro di me, ma forse non mi vedi quando volo sul tetto per un difetto dei tuoi occhi e non delle mie ali. Ci sarà pace nel mondo e faremo un uso gioioso delle cicatrici, della batteria nuova di pentole, persino gli stranieri venuti dall'iperspazio, farfugliando nel loro linguaggio affetto da virus, ci esprimeranno bavose congratulazioni. Sono venuti con te? Gradite qualcosa di più corposo di una birra? Bene. Complimenti alla casa. Il tricheco e l'uomo-uovo non erano maschere, nessun trucco o travestimento, anzi! Ce ne fosse di gente così alla mano, che canta e si sbornia e ti presta l'automobile senza battere ciglio. Qui è dove perdemmo l'entusiasmo nella vita. Ma lo ritrovammo al tramonto, nella luce rossa, nella cabina di sviluppo di un fotografo che ci aveva lasciato le chiavi in portineria: le mosche dei film dell'orrore volarono via e le piante assetate chiesero acqua per la prima volta facendo un piccolo sforzo. Non erano cose importanti, Nino, Guglielmo, Margherita, state tranquilli, non vi siete persi nulla. dormi tranquilla anche tu, o grande Cina, abbiamo comprato un paio di scarpette di tela nera che durano una vita. Sono morbido come un piumino, fiero come la spada e questa è la mia firma.


2. CAMMINAVAMO COME EGIZIANI, quando una voce che veniva dalle tombe oltraggiate ci disse che era inutile parlare, se sapevamo leggere la mente dei passanti, e tacque. Ogni pensiero è una scarpa spaiata, può avere un tacco elegante o volgare a seconda del fango che calpesta, anche se i poeti dicono che si perde parecchio in stile mettendosi a correre per strada, qui oppure all'inferno dove si soffre a causa del concetto di eternità: si soffre da matti, e senza speranza. La palla calciata di sbieco rotolò dove il selciato assumeva una pendenza curiosa, e i bambini parlavano nel sonno temendo di cadere su quei sassi e poi essere picchiati dove la pelle è più rossa e fa già male per conto suo. Allora correvano via, rapidi, leggeri, senza mai fermarsi, senza gravità. Sfido a produrre una musica migliore di quella, dove la paura e la fantasia occupavano il posto che proprio io, ipocrita tra gli ipocriti, volevo negargli. La paura sta all'inizio della saggezza. Per strada non si vede nessuno, adesso, nemmeno i giornalisti che non riescono più a eccitarsi con qualche trucchetto imparato a scuola durante le ore di noia: succede poco o niente che meriti una vera bugia, e basta una svastica tatuata su una chiappa per far gridare le riviste alla nuova Marlene Dietrich.


3. SAI COSA SUCCEDE DOPO IL BUIO, quando i cuori radicali soffiano in bicchieri di acqua tonica i loro peccati e il loro romanzo perverso, e i missionari emergono sudati e confusi dopo aver rasato i capelli di bambini dalla pelle angelica, senza convincerli a obbedire? E tutte le peggiori imitazioni diventano di colpo persuasive? Gli amici del cuore sono partiti per Londra proprio un minuto prima che suonaste alla porta. È aperta, entrate, il vostro cappotto è subito sommerso da quelli degli altri, diventa uguale agli altri, come carne dei soldati sottoterra. Allora un'anima nuda e umida viene a scaldarsi al fuoco delle vostre barzellette volgari, voi la accogliete con palpeggiamenti, e gli ultimi monumenti cadendo mostrano di essere fatti con nodi di lenzuola.


4. ANDIAMO A VOTARE INSIEME, bella ragazza reazionaria? Ad annullare reciprocamente il nostro voto, tu a destra io a sinistra in modo che nel segreto dell'urna le nostre schede formino yin e yang, come vorrei che anche i nostri corpi facessero. Mamma una volta fu sorpresa a contare le falci e i martelli nei simboli elettorali, e rimproverata dal presidente di seggio. Be', sembrava un granaio. In quegli anni non avrei scambiato un giorno d'elezioni con nient'altro al mondo. Il gusto democratico sta tutto nella fatalità della matita, nella sua arida mina neoclassica, che sa però rendere omaggio al tratto universale della nostra cultura quando forma il segno della croce. IL POPOLO PUÒ ANDARE IN CULO — W LA LIBERTÀ — W ME — COMPAGNI VI TAGLIEREMO L'UCCELLO E LO FICCHEREMO IN BOCCA ALLE COMPAGNE (e sotto aggiunto: ESAGERATI!). Da allora so che ti sei sposata e separata dopo aver avuto un bambino, il classico figlio unico, che allevi gelosamente rasentando la perfezione. Io ho passato la notte a leggere in un libro i nomi zeppi di accenti dei comunisti di Praga e il loro viavai tra carcere e Castello, perciò oggi ho sonno e lavorando non riesco a farmi schizzar fuori furore: la mano penzola tra le carte alla ricerca di un appiglio, potresti essere tu quanto l'ebreo Spinoza, che la vena fantastica del mio cuore venera e ammira, e spinge in alto verso la mente, pompando. Tra un po' si spegne la luce sul comodino e chiudono i pub. Buonanotte, dottor Cechov: "Nella mia vita ho scritto di tutto, tranne che delazioni".


5. I CAVALLI SI SCONTRANO COI MUSI, i cavalieri si strappano la bandiera dell'onore e fanno smorfie bestiali. È una battaglia leggendaria. Sono stato ad Anghiari e ho respirato la polvere dei seimila cavalli. Firenze se la vide brutta. Il perugino, piccolo e storto ma furbo, sembrava invincibile. Gli uomini combatterono in silenzio e quando ebbero spezzato le lance si presero a pugni coi guanti di ferro. I ducali erano stanchi morti per il viaggio. L'affresco si scrostò dal muro; i cavallini di cera li sciolsero per farci candele. La zuffa durò ventiquattr'ore. Rubens esagera con la carne, cuscini di carne. Avevo tredici anni quando mio padre mi regalò una storia delle compagnie di ventura di cui lessi solo la lista dei cavalli che ogni capitano possedeva – ma la lessi mille volte. Il Tevere nemmeno si vede laggiù. I fiorentini e gli uomini del papa stavano facendo merenda sotto gli alberi, in camicia. Tanto, vittoria o sconfitta è lo stesso. A quei tempi la sapevano la geografia, tastavano le valli, annusavano i fiumi, i passi delle montagne. Il bilancio epico dello scontro fu di un solo morto, non per ferite inferte dal nemico ma perché cadde e il suo cavallo lo pestò.


6. UN MESE FA è uscito un articolo in cui gli scrittori italiani vengono definiti delle merde impotenti, ma accidenti, non c'era la mia foto. L'ho letto dal dentista mentre sulla facciata del palazzo di fronte alcuni manovali si arrampicavano e io li osservavo congratulandomi con loro. Il pomeriggio colava lento come sciroppo in bocca a un bambino che le prende se prova a risputarlo. Qualcuno un giorno mi ha insegnato a sopportare il dolore, forse era un cinese, forse un prete cattolico con la faccia rossa e congestionata, ma io non lo sopporto. E le persone buone mi fanno paura.


7. LA MIA FAMIGLIA È CELEBRE, il mio cervello ottuso e raggelato. Quando studieranno le orme lasciate nel parco penseranno ad animali rabbiosi e inquieti e non alle nostre conversazioni dell'ora della messa, quando ci si immaginava, ragazzi megalomani, che qualcuno un giorno avrebbe pagato un biglietto per venirci a sentire. Occorre a ogni costo fuggire la corrività della morte, il suo banale pensiero. Il mese prossimo dirò a mio figlio che compie otto anni: non credere ai preti. Poi gli dirò di credergli con tutto il cuore e poi di non credergli e di mandarli al diavolo. L'amore cancella il mondo...

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Pagina 34

45. IN UN PAESE DI VECCHI e nuovi credenti, mi trovo a mio agio con ragazzi di diciassette anni che non credono a nulla.


46. LA LETTURA PREFERITA DI MIO NONNO era l'Apocalisse, ma forse preferita non è la parola giusta, visto che lo turbava tanto che si ammazzò.


47. IN LORO, NEL LORO CORPO, era presente un'altissima percentuale di carne di porco, di cui si sono nutriti per tutta la gioventù sotto forma di prosciutti, salami, culatelli, ciccioli, lonza e sanguinaccio.


48. BRUTTO SEGNO, in politica, quando alla borghesia si scalda il cuore. Io la preferisco fredda, sensata, arida, come si conviene.


49. VADO A UNA FESTA, sprizzando lotta per l'esistenza da tutti i pori. Che fine hanno fatto i grossi nasi audaci dell'adolescenza, le api tatuate maldestramente sul polso delle campionesse juniores di uno dei tanti sport creati apposta per provocare ora invidia, ora disprezzo? I padroni di casa sembrano stufi dei mobili di metallo comprati quando dominava la ragione: li hanno ricoperti con le stoffe che gli indiani dipingevano a cazzo di cane prima di venire sterminati da truppe monocromatiche. Per allungare la serie di Incubi e Rimorsi Occidentali (The Agenbite of Inwit). Io indosso una giacchetta protestante, nera, piuttosto in combutta che in conflitto coi miei peccati, onde attrarre il prossimo verso la scena della mia perdizione e rifilargli di straforo una predica sull'arte che ho preparato nei pomeriggi di afa, ispirandomi alla Tavola di Mendeleev, alla botte di Attilio Regolo e mille altre nozioni impartitemi alle scuole medie da qualche sacerdote timidamente gay e disperato. Gli oscillanti fumi del turibolo... formavano una cortina impenetrabile... sbarravano la strada verso la vera fede... ma non verso i suoi surrogati. Quando finalmente mi sentivo svenire, in sacrestia mi obbligavano a scolare un bicchierino di centerbe il cui bruciore disgustoso mi ha vaccinato. Le pieghe della gonna della tonaca giusto all'altezza del mio viso. Nell'ansia e nel ridicolo si andava temprando una parte di me rimasta intatta e inservibile. E ora mi tocca bere tutto il bevibile di questa falsa Bisanzio, prima che faccia giorno e arrivi la donna delle pulizie...


50. PISCIARE SULLA NEVE come nelle barzellette sulla moglie di Clinton. La gente aspettava che cadesse per poter dire "è bianca come il Natale di una volta". Quando la punta degli abeti scintillava e i bambini ascoltavano i campanelli delle slitte tintinnare nel bosco sempre più forte e più vicino al cuore di chi era stato buono tutto l'anno. Il cielo era di ghiaccio puro, poi all'arrivo dell'estate si poteva fare il bagno al fiume, nell'acqua gialla vorticosa, dove vennero buttati i corpi dei figli di Seiano e Donato Carretta fu finito a colpi di remo, al termine di una caccia che ancora oggi si racconta con dettagli sempre diversi. In mutande bianche, magri o con la pancia, si tuffavano dal greto, con addosso solo lo sguardo delle statue, ansiose madri dai grandi occhi asciutti.


51. GLI OCCHI DEGLI ANGELI DI PIETRA sono colmi di lacrime pisciate dai piccioni.


52. SEI CASCATO MALE, in una guerra dove i ragazzi di quindici anni combattono per strada e i genitori li guardano morire alla tv. In cortile o in soffitta, dietro le casse coi vestiti delle nonne o sotto il letto, come ci si può nascondere a ciò che non tramonta dell'uomo? Non perder tempo allora, non aspettare Natale, abbonati anche tu, e potrai riceverlo "comodamente seduto nella tua poltrona".


53. SI GIOCHERA AI SOLDATI da un capo all'altro del paese. L'Italia ansima per il sovrappeso. Grossi ventri borghesi esibiranno pistole alla cintura. Fucileranno per esercitarsi prima le pecore, poi i cani randagi.


54. DIO PRESE IL MONTE SINAI, lo sollevò in aria e disse al popolo eletto: "Osservate la mia legge, o ve lo rovescio sul cranio".


55. CACO DUE VOLTE al giorno si cambia la camicia. Ama stare pulito. L'oro che tiene nelle casse non rappresenta nulla, è ricchezza allo stato puro, inutile, splendente. Potrebbe farsi gli zoccoli d'oro, se volesse lasciare orme più nette sotto l'Aventino. I ragazzi vanno in palestra dopo aver sparato tutta la notte contro il bianco delle statue, e si picchiano con un metodo che li fa pisciare sangue. Alcuni di loro assomigliano tanto a dipinti a olio cattolico: hanno la fronte alta e bozzuta e il naso rotto, la gola pulsante. Caco li aspetta fuori e li ammazza con un colpo per uno.


56. IERSERA INCONTRAI TRE O QUATTRO VESTALI dal fuoco spento. Ero entrato dalla porta regale in fondo al garage, alla ricerca di scorciatoie contro la notte romana, il vagare tra fabbriche dismesse, barconi, rovine che alla lunga influiscono sul modo di vedere rendendolo pericolosamente orizzontale come se la terra fosse davvero piatta e oltre le luci australi del Gazometro si cascasse di sotto. La possessione si era spenta molto tempo fa senza dare altri frutti che una boccata di fumo, un cerchio che saliva senza rompersi verso il soffitto, in alto, sempre più in alto, o forse verso il basso, visto che a tutti era venuto sonno a furia di guardarlo, un sonno strabico, lento, con un occhio chiuso e uno mezzo aperto per controllare chi ronzava intorno al lucchetto del motorino. Ladruncoli vestiti leggeri, da Buddha, da Baghdad. Ma non c'era tempo per leggere uno di quei santi testi pieni di bastonate istruttive. Alla fontana vidi un barbone piegato in due, sembrava stare malissimo, forse era sul punto di morire: ma se qualcuno si avvicina per aiutarlo, lui mugugna sotto la barba unta come uno straccio da cucina: "E lasciame 'n pace, nun lo vedi che me sto a lava' i piedi?!".

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Pagina 68

113. NO, NON CORRERE PAPA, che ti becca la stradale. Figlio mio io corro perché ho voglia di andarmi a schiantare. Cosa dici papà? Se muori resterò solo. Solo con la mamma ci starai benissimo. Ma io ti voglio bene. Anch'io, non ho mai voluto tanto bene a qualcuno come a te. Mi viene da piangere, papà. No, non piangere, non devi essere triste, figliolo: sono io che ho voglia di essere triste, di bere fino a farmi uscire il cervello e poi schiantarmi contro un albero. Non capisco, papà. Un giorno capirai.


114. MA ORA NON LASCIARMI. Dimmi che non te ne andrai, che le parole non ti disturbano, e la steel guitar di Orfeo suona senza incantarci, perché noi abbiamo bisogno di stare svegli e affilati come lame.


115. ANDAVO A UNA SCUOLA di ragazzi per bene. Quelli più grandi rapirono due ragazze e le torturarono in tutti i modi, cercando di annegarle in una vasca da bagno. Poi le chiusero, una morta e l'altra che ancora respirava, nel bagagliaio di un'auto. A questo punto le leggi del racconto imporrebbero di andare avanti, ma tutti sanno come è andata a finire perché leggono i giornali. E io posso dedicarmi a cercare altrove la gloria.


116. DALLA CASERMA usciamo con un permesso falso, firmato da noi, coi bolli e tutto. Un quarto d'ora a piedi e siamo alla pensione Michelangelo tenuta da un nostro amico, che ci accoglie nella stanza dietro la reception. Lì beviamo e fumiamo ascoltando Tangerine Dream, Kraftwerk e B52's, mentre arrivano giovani pellegrine dell'anno santo, austriache, irlandesi, con zaini torreggianti e le bandierine cucite sopra. Il nostro amico non le segna sul registro, e vuole essere pagato in anticipo. Con Marco hanno ideato un altro registro: quello dei flirt dell'anno santo. È fatto come un medagliere olimpico: a sinistra la colonna delle nazionalità, e poi bronzo, argento e infine l'oro per il rapporto sessuale completo. Marco per adesso conduce, malgrado le notti sprecate montando la guardia. C'è molto argento nella sua classifica. Le ragazze cattoliche danno volentieri qualcosa del loro corpo a Marco, non tutto, a meno di farle bere molta birra, ma questo è un procedimento tortuoso che può condurre al pianto e al vomito, a confessioni in inglese stentato. Io non partecipo, sono fidanzato. Purtroppo dopo un'ora dobbiamo tornare in caserma e prepararci alla guardia.


117. IL SERVO INTELLIGENTE di un padrone sciocco pensa che è meglio così, poiché a ruoli invertiti non saprebbe cosa farsene di un servo sciocco.


118. I PIÙ BEI PALAZZI DELLA MIA CITTÀ sono occupati da anonime burocrazie internazionali. Nei saloni affrescati e stuccati, concepiti per le orge inesauribili, si tengono poco frequentate conferenze culturali, e i giardini restano deserti. Le ville mezze chiuse. Élite impiegatizie, formate da vincitori di concorsi statali nei rispettivi paesi, un paio di volte all'anno festeggiano bevendo spumante in bicchieri di plastica e sputano ossi d'oliva da nascondere sotto la ghiaia con la punta della scarpa.


119. UNO SPADACCINO DI OGGI, il più bravo e il più sponsorizzato, vince un'Olimpiade, ma non infilzerà mai una guardia del Cardinale.


120. E GIUSTAMENTE LA NOTIZIA che una delegazione di indiani Mohawk e Crow è giunta nella nostra città per eseguire la Cerimonia della Pace, e seppellirà l'ascia di guerra sotto un pino di Villa Borghese, è riportata sul giornale nella pagina degli spettacoli.


121. QUALCHE RIGA SOLO PER DIRTI CHE SEI BUONO CON ME e forse non me lo merito, non merito la tua preoccupazione, che mi costringe a preoccuparmi di me stesso. Il mio me stesso (famelico, esigente, e anche un po' trucido) vorrei trattarlo alla stregua di un falso problema: ho troppo da fare adesso per pensarci, la vita gli è tanto manifestamente superiore... Perciò non spaventiamoci della leggerezza delle parole, che pesa sulla nostra sensibilità morale maltarata, se poi le parole aiutano davvero a traghettare l'inverno: mi pare che Camus una volta ringraziasse un prosciutto per avergli salvato la vita. Era disperato, allora che fa, si mette sottobraccio il prosciutto e bussa a casa di René Char: "Mangiamoci insieme il prosciutto altrimenti non arrivo a domani mattina". E invece ci arrivò, insieme all'amico, fetta dopo fetta. Pensi che fecero profondissimi discorsi? Se c'e una cosa che qualche volta mi ha frenato nel parlarti è stato il tuo frequente stupore, la tua capacità di scandalo di fronte ai miei argomenti (benedetta facoltà, guai a chi non si scandalizza! Ma guai sopratutto a chi reca scandalo, dico bene?). Talvolta mi sembrava di stracciare valori uno a uno sotto i tuoi occhi, e tu ne fossi in qualche misura offeso o rattristato o addirittura corrotto. E pensa che avevamo appena morso la buccia della mela. Sapessi quanto sono più osceni i miei desideri! E non ti dico quali, appunto. Come spiegarmi meglio? Ti ho sentito indifeso contro la mia (eventuale) sincerità, forse si tratta di questo e di nient'altro.


122. QUANDO ERO UN CAPRETTO non pensavo che a te. La vita era un ballo e la mia carne era bianca. La mente, una Grande Corniche e la macchina giù coi freni rotti. Abbiamo attraversato il mare svestiti. Abbiamo fatto cadere lentamente i vasi cinesi. E ballavamo, ballavamo così a lungo che ancora balliamo, facendo correre il gregge giù dalla collina inseguito da nuvole rotolanti come massi e da fischi. I primi ad arrivare sono sempre i più impauriti.

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Pagina 91

150. DUE BAMBINI SALENDO SOPRA IL LETTO della madre con in mano una fetta di pane spalmata di crema al cioccolato, sporcano tutto il lenzuolo di marrone. Cercano allora di pulire il lenzuolo ma il risultato del loro strofinare è che la macchia si allarga sempre più e i due bambini sono al tempo stesso spaventati da quello che dirà la loro madre vedendo la grossa macchia marrone, e tremendamente divertiti dal fatto che essa assomigli a una macchia di merda. Per cui i bambini pur tremando all'idea di ricevere una punizione, che sarà quasi inevitabile, visto il pasticcio combinato e le molte ammonizioni a non salire sul letto della madre, ridono a crepapelle e questo loro ridere di fronte al guaio li eccita e li spaventa ancora di più.


151. UN UOMO TAGLIA i capelli alla sua giovane moglie nella stanza da bagno. I capelli sono lunghi e biondi e l'uomo cerca di tagliarli pari sulle spalle della moglie, ma incontra qualche difficoltà perché non ha le forbici adatte, sono troppo piccole, e col pettine non riesce a trattenere i capelli mentre li spunta, gli sfuggono perché sono molto lisci e fini. A lui piacciono i capelli della moglie e gli piace che lei li porti lunghi sulla schiena, così come quando l'ha conosciuta, tre anni prima, a un party di Natale, ma essendo costretto ad aggiustare e pareggiare gli errori commessi, finisce per tagliarglieli corti, sempre più corti, e lei se ne accorge quando abbassando gli occhi vede il mucchio dei suoi capelli biondi sulle piastrelle blu del pavimento.


152. LA VERITA in sé e per sé, che è la ragione, è la semplice identità della soggettività del concetto e della sua oggettività e universalità. L'universalità della ragione ha perciò il significato dell'oggetto, che nella coscienza come tale è dato soltanto, ma che è ora esso stesso universale e abbraccia e compenetra l'io; e altresì quello del puro io, della pura forma che sorpassa l'oggetto e lo chiude in sé.


153. ATTENZIONE a non far troppo casino, i genitori si potrebbero svegliare, e avrebbero da dire la loro sull'amore e un violino elettrico su cui suonare la ballata dei morsi e dei sorrisi, le follie e gli inganni, gli slip lacerati, gli appuntamenti mancati e le leggende della Ragazza Senza Cuore, di Giovanni Senza Testa e della Monaca Che Non Rispose. Tutta gente strapazzata dalla passione. La storia fa un po' male dove ti siedi, te la raccontano piangendo per motivi non così diversi dai tuoi, cioè facendo finta di piangere. Eppure è tutto vero. Se non fossimo già periti, periremmo per quei motivi. Potrebbe svegliarsi suo padre, alzarsi dal letto di corsa e in punta di piedi balzare nel corridoio, ma non la rimprovererebbe, oh no, non perderebbe le staffe perché state scopando in salotto da tre ore, ma vorrebbe raccontarti che anche lui è innamorato e soffre, e chiederti consiglio.


154. IL VECCHIO CAMMINA CURVO guardandosi di fianco, ha i calzoni rotti e un bastone così secco che si spezzerà prima di arrivare al ponte. Ponte, poi... una tavola crepata messa di traverso sull'acqua. Il vecchio in viso è intelligente anche se stanco e mostra una tremenda amarezza, certo quello che ha intorno non è bello: un teschio e ossa di pecora sparsi nel prato, dietro di lui banditi che legano un poveretto a un albero; sotto un altro albero (e poi basta, il resto del paesaggio è spoglio e giallastro) un uomo e una donna ballano al suono della zampogna e si disinteressano di tutto il resto, avendo in testa un unico programma, ristretto e preciso, quello di fottere. Sullo sfondo, stanno portando qualcuno a impiccare. La forca si disegna contro il cielo bianco con appoggiata una scala a pioli: forse deve ancora salirla il condannato oppure la folla sta sciamando dopo aver calato il corpo. Sembrano formiche. Il vagabondo prosegue il cammino della vita seguito da un tozzo cane rosso, non meno malinconico del suo padrone, con un collare irto di chiodi, macilento eppure gonfio, mordendo l'aria, facendo scattare le fauci a vuoto, davanti agli ossi già spolpati da un pezzo e non da lui. Si capisce che non ha mai ricevuto carezze, né verrebbe voglia di dargliele. Sono esseri che vanno senza riposo.

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