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| << | < | > | >> |IndicePremessa 7 Politica in allegria Introduzione La perversa pervasività dell'economico 15 Capitolo I Antiliberismo e democrazia partecipativa 25 Capitolo II Sinistra e globalizzazione liberista 41 Capitolo III Ripartiamo dall'individuo sociale 65 Capitolo IV Ripensare il Sud 107 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Le riflessioni contenute in questo saggio sono nate in connessione con un percorso di attività politica. Proprio per questo avverto l'esigenza, prim'ancora di entrare nel merito dei problemi teorici che saranno affrontati, di comunicare al lettore, a mo' di confessione, quali sono state le motivazioni di fondo in base alle quali mi sono impegnato in questo lavoro politico. [...] Non si può vincere la morte non morendo, mentre si può vivere la propria vita nell'allegra consapevolezza che la morte l'abbiamo sconfitta nascendo. Politica in allegria per noi significa azione volta al potenziamento della vita o all'alleggerimento della vita dall'ipoteca della morte. Perciò per noi la politica è soprattutto socializzazione, riscoperta e reinvenzione delle forme del vivere assieme, riappropriazione critica dei valori e delle tradizioni, ossia delle strategie mediante cui le popolazioni hanno affermato e difeso la loro vita collettiva, il loro modo d'essere nel mondo. Non abbiamo difficoltà ad ammetterlo, anzi lo confessiamo con molta leggerezza: non siamo irresistibilmente attratti dai discorsi sul Pil (Prodotto Interno Lordo), né tantomeno da quelli sulla promozione dell'Italia nell'Olimpo delle potenze mondiali. Non ne siano attratti perché, come dice Rodolfo Ambrosio, «non siamo soggetti a depressioni psicologiche». La politica come potenziamento della vita ci porta a valorizzare quel modo d'essere proprio dell'esistenza umana che è la socialità. La politica, dunque, come socializzazione. Riscoperta dei luoghi e del tempi che la tradizione del vivere assieme ci ha consegnato. Riattivazione dei circuiti di incontro, di ritrovo, di comunicazione e di dialogo. Rilancio della festa, dello spettacolo, del racconto e della rappresentazione. Riappropriazione e uso sociale del tempo libero. Una politica, dunque, non condizionata da logiche stataliste, ma volta a «ricucire i legami sociali, a ridare senso comune alla collettività». Certo, gli obiettivi più immediati della politica sono le buone istituzioni e il buon governo. Si fa politica per migliorare l'organizzazione dello Stato. Ma lo Stato sarebbe un obiettivo feticistico se ci si dimenticasse che esso è soltanto uno strumento per la ricerca del vivere bene della comunità. Comunità: ecco un termine che sembrava dovesse scomparire dal vocabolario della modernità e che invece ritorna con forza prorompente e diventa la «parola-chiave nel dibattito politico-filosofico d'oltre oceano», il termine più in voga nelle discussioni accademiche, «nel lessico quotidiano e nei saggi degli studiosi», negli «editoriali di giornali e riviste» e tra gli scaffali delle librerie (cfr. «l'Unità», 24 aprile 1997). Comunità: ecco un referente che dà senso al «politico» e che può dimensionare e orientare ogni pratica politica; ecco un soggetto capace d'essere il vero destinatario dell'allegra volontà di valorizzare e alleggerire la vita. | << | < | > | >> |Pagina 15In una introduzione non si può certo anticipare tutto quello che seguirà. Si può, però, mettere sull'avviso il lettore su quello che lo aspetta. In questo caso, ciò che aspetta il lettore è l'enunciazione di una serie di spunti critici nei confronti del liberismo, che, come tutti sanno, è tornato ad essere da qualche tempo l'ideologia dominante all'interno dell'Occidente capitalistico. Il liberismo tende - esplicitamente o implicitamente, ossia nella teoria o nella pratica - a ricondurre il mondo della vita in tutte le sue articolazioni sociali e culturali dentro la porta stretta dell'economia e delle sue regole. Questo progetto si sta realizzando non solo in Italia, con Berlusconi e con i «galantuomini» che lo circondano, ma anche nell'Europa a maggioranza socialista, negli Stati Uniti e nel resto del mondo occidentale. Le note che seguono sono l'espressione dello stato d'animo di uno che, da una parte, è politicamente indignato, dall'altra, è umanamente rattristato per ciò che avviene. Perché? Perché si accorge che la sua vita (e quella delle persone a lui più care) ne risente, si impoverisce e perde progressivamente alcune delle attrattive che la rendono interessante. Per quel che concerne l'andamento argomentativo delle pagine che seguono, i primi due capitoli contengono una critica prevalentemente descrittiva - dei processi mediante i quali il capitalismo liberistico, come re Mida, trasforma in oro, cioè in denaro, tutto ciò che tocca, compresi quei lati della vita umana (l'istruzione, l'immaginazione creativa, la cultura, i valori etici fondativi, ecc.) che se perdono la loro autonomia e diventano mercato-dipendenti, smarriscono completamente la loro funzione e la loro dignità. Il terzo capitolo segnala qualche «valore» alternativo al liberismo che, a parere di chi scrive, la sinistra farebbe bene a salvaguardare e a rilanciare. Il quarto, invece, si intrattiene sui problemi del Sud e sul complicato rapporto fra tradizione e modernizzazione che lo contraddistingue. Non si tratta di un tema estraneo all'impianto analitico generale del testo. Al contrario, esso vorrebbe fornire un esempio di come ripensare lo sviluppo in termini non-economicistici e non-liberisti. Disponiamo ormai di varie analisi critiche sul fondamentalismo economicistico occidentale e sul dispotico dominio della «ragione calcolante». Tra queste ho assunto come punto di riferimento privilegiato le riflessioni di due autori francesi: Edgar Morin e Serge Latouche. | << | < | > | >> |Pagina 65SOCIALITÀ PRIMARIA E MODERNITÀ Contrariamente a quel che normalmente si pensa, «comunità» non è «una nozione premoderna o anti-moderna», affermano Raulet e Vaysse nell' Introduzione ad un volume di estremo interesse recentemente comparso in Francia col titolo Communauté et modernité. Occorre mettere in relazione - essi proseguono - la comunità con la modernità, giacché «la modernità si rivela costitutiva della produzione dei discorsi moderni». Un'epoca non «maitrise» la sua modernità se non s'interroga «sulle forme di comunità di cui essa è capace e su quelle che sono impossibili per essa». Considerare la comunità e la modernità come una coppia di opposti, ritenere che la comunità sia una «resurgence» irrazionale, interpretarla come una persistenza del pre-moderno, è fuorviante, dal momento che impedisce di «cogliere nella sua radicalità la problematica del politico ed insieme quella della modernità in tutta la sua attualità».
«La comunità pone oggi la questione del legame sociale, dell'associazione e
della dissociazione nella loro simultaneità». E il legame sociale e l'esigenza
dell'«essere in comune» costituiscono i riferimenti obbligati per il
«politico». Quest'ultimo è incapace di «presentarsi e assumersi come tale»,
sicché tutte le categorie in cui esso si articola vengono a ritrovare
«leur point d'orgue» nella comunità.
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