|
|
| << | < | > | >> |Indice7 PREMESSA 19 CAPITOLO PRIMO IL REDDITO DI BASE: UNA GENEALOGIA AL FUTURO 21 1.1. Real Freedom for All: l'ideale repubblicano del reddito di base, tra società equa e post-capitalismo 26 1.2. L'eterna attualità del reddito di base 26 1.2.1. La ricchezza comune dalla Repubblica "tumultuaria" romana alla garanzia della sussistenza nell'Utopia di Thomas More, a Lovanio città umanista d'Europa, per il reddito di base 31 1.2.2. Dalle "leggi sui poveri" all'allocazione universale, tra Rivoluzione atlantica e Repubbliche giacobine (Thomas Paine, Pietro Custodi, Gian Domenico Romagnosi) 38 1.2.3. Dal costituzionalismo sociale del 1848, alla libera operosità dell'innovazione sociale e del reddito universale in Alceste De Ambris, a Fiume "città libera" (1919-1921) 47 1.2.4. Passaggi di secoli e millennio: l'arte di una degna libertà solidale 56 1.3. Utopia o un giorno ci domanderemo come abbiamo potuto vivere senza reddito di base? 65 CAPITOLO SECONDO REDDITO MINIMO GARANTITO E REDDITO DI BASE PER IL DIRITTO ALL'ESISTENZA 67 2.1. In Europa: previdenza sociale, sussidio universale di disoccupazione e reddito minimo garantito 67 2.1.1. Il piano Beveridge (1942) per la "sicurezza di reddito" 71 2.1.2. «Abbiamo ottenuto un po' di libertà dalla sicurezza sociale: The Dole for The Clash & UB40 73 2.1.3. Swinging London & Welfare! 75 2.1.4. Il reddito minimo garantito per un nuovo Welfare nel resto d'Europa in trasformazione 80 2.2. In Italia, senza reddito minimo, né sussidio universale di disoccupazione 80 2.2.1. I ritardi normativi: dalla Commissione D'Aragona del 1947 al Quinto Stato di oggi 88 2.2.2. Cinquant'anni di inascoltate intuizioni teoriche: Luciano Bianciardi, l'operaismo e il lavoro autonomo di seconda generazione 94 2.2.3. Anni Novanta e Zero: per il reddito di base e uno statuto europeo del lavoro post-fordista, contro la flex-insecurity italiana 103 2.2.4. L'avvio di un dibattito costituzional-laburista per un reddito di base come diritto di esistenza 108 2.2.5. Miopie politiche, fino ad oggi: gli ultimi venti anni senza neanche la lotta alla povertà 114 2.2.6. Il Reddito di Inclusione 2017: governance dei poveri? 123 2.2.7. La proposta del Contratto di governo M5S-Lega non è un reddito di cittadinanza, ma una misura di Workfare 129 2.3. Reddito di base oltre la società salariale, contro precarietà e Workfare 137 CAPITOLO TERZO REDDITO DI BASE E INNOVAZIONE SOCIALE E TECNOLOGICA. PER UNA NUOVA IDEA DI SOCIETÀ E SOLIDARIETÀ 139 3.1. Tra terza e quarta rivoluzione industriale: per una redistribuzione della ricchezza prodotta dalla cooperazione sociale 145 3.2. Working Class Against Mondays! Liberazione dal lavoro, ancora un inizio 161 3.3. Dalle visioni di Marx e Keynes alle accelerazioni del nuovo millennio: General Intellect e reddito di base come nuova garanzia sociale 174 3.4. Innovazione tecnologica e reddito di base: dalla Silicon Valley globale al reddito di mobilitazione nella rivoluzione "documediale"? 185 APPUNTI PER IL FUTURO PRESENTE IL REDDITO DI BASE COME DIVIDENDO SOCIALE NELL'ERA DIGITALE 187 Un francese, due britannici, un italiano, un prussiano, noialtri e le garanzie sociali 191 2018: dibattito globale e sperimentazioni per il reddito di base 194 Per una nuova idea di solidarietà riflessiva tra pari nell'era precaria 198 Per il reddito di base, verso la condivisione della piena automazione 201 Dal reddito minimo garantito, al reddito di base: in Italia, per un nuovo Welfare... 212 ...nella questione sociale europea, contro austerità e nazional-populismi 222 La transizione verso un reddito di base multilivello 231 GLOSSARIO DI BASE 245 PICCOLA BIBLIOGRAFIA RAGIONATA 251 BIBLIOGRAFIA MINIMA DI RIFERIMENTO |
| << | < | > | >> |Pagina 7La tesi centrale e fondamentale di questo lavoro è quella di sostenere l'idea di una nuova cittadinanza sociale in cui la garanzia di un reddito promuova l'indipendenza delle persone e un inedito rapporto fiduciario tra individui, società e istituzioni. Tanto nel caso di un vero e proprio reddito di base, universale e incondizionato, indirizzato a tutta la popolazione, indipendentemente da altre valutazioni di tipo salariale, lavorativo, familiare, etc. Quanto nell'ipotesi di un reddito minimo garantito in cui risulti previsto per le persone che si trovano in alcune condizioni a rischio di povertà ed esclusione sociale, e perciò condizionato alla prova dei mezzi e all'avviare determinati percorsi tra individui e istituzioni pubbliche. Perché il legame tra misure più tradizionalmente riformistiche, come il reddito minimo garantito, e opzioni più consapevolmente rivoluzionarie, come il reddito di base universale, rispondono alla primaria esigenza di non lasciare nessuno nelle condizioni di dover vivere in povertà e liberare in ciascuno le proprie potenzialità. Sono scelte di politiche pubbliche che permettono di ripensare le protezioni sociali, favoriscono tutela della dignità personale, promozione dell'autodeterminazione esistenziale, affermazione di una solidarietà sociale. Tutto questo in un Paese che solo l'anno scorso ha introdotto una prima, assai parziale, misura nazionale di contrasto alla povertà, denominata Reddito di Inclusione (ReI), che è andata a sostituire le precedenti e ancora più parziali misure del Sostegno per l'inclusione attiva (SIA) e dell' Assegno di disoccupazione (AsDi). Arrivando con un ritardo di circa mezzo secolo rispetto ai primi strumenti di garanzia di un reddito, a partire da quello minimo, introdotti nei primi decenni del secondo dopo-guerra in molti Paesi del Nord Europa e dell'Europa continentale, provando a definire un livello ulteriore di cittadinanza sociale (come è ricostruito nella seconda parte di questo volume). Proprio la consapevolezza della nostra arretratezza in tema di protezioni sociali vorrebbe provocatoriamente essere l'occasione per imporre un ragionamento aperto e determinato intorno all'introduzione di un diritto sociale fondamentale ad una esistenza libera, dignitosa e indipendente: un diritto di esistenza (Ius Existentiae) edificato intorno a due strumenti di nuove politiche pubbliche. Al centro un reddito di base, un'erogazione monetaria periodica e individuale sufficiente a mettere le persone in condizione di autodeterminare le proprie scelte di vita, quindi inteso come reddito di esistenza, quanto più universale e incondizionato possibile, che protegga le persone dai ricatti del lavoro povero, dell'inoccupazione, disoccupazione e sottoccupazione, come da quelli della malavita diffusa e della criminalità organizzata che speculano sull'impoverimento della società e delle famiglie. Intorno la previsione di un accesso universalistico a servizi pubblici di qualità, che siano in grado promuovere inclusione sociale e fiducia reciproca, potenziamento dei percorsi di istruzione, formazione, lavorativi ed esistenziali di ciascuno, quindi salute e tutela ambientale eco-sistemica. Questa visione diviene ancora più necessaria e forse possibile in un'epoca attraversata dall'accelerazione delle innovazioni tecnologiche: dall'economia digitale alla quarta rivoluzione industriale, quella dell'automazione, del trattamento e sfruttamento privato dei dati personali (Big Data), dell'Internet delle cose (Internet of Things), della blockchain, delle macchine che apprendono (Machine Learning) e dell'intelligenza artificiale su larga scala. Necessaria, perché questa nuova "grande trasformazione" tecnologica già porta una radicale riduzione e trasformazione dei posti di lavoro tradizionali, lasciandoci sospesi tra un ulteriore livello di disoccupazione di massa e/o di "pieno impiego precario", un impoverimento di non sappiamo ancora quante condizioni di lavoro e allo stesso tempo la consapevolezza che si potrebbe tutti "lavorare di meno". Possibile, perché l'avvento di questa nuova era digitale e dell'automazione può essere governato con la visione inclusiva di un'economia sociale della collaborazione, cooperazione e condivisione favorita dalle piattaforme digitali intese come come strumenti abilitanti, di semplificazione burocratica e riduzione dei costi in favore di un miglioramento complessivo delle condizioni di vita e di più incisive forme di lavoro autonomo e non eterodiretto per un numero sempre più grande di persone e Paesi. E non è per nulla un caso che negli ultimi anni molte sperimentazioni di un reddito di base universale (Universal Basic Income - UBI) vengano proposte e realizzate in due contesti radicalmente diversi. Da un lato dagli innovatori sociali della Silicon Valley, quei nuovi capitalisti dell'innovazione tecnologica che spesso sfuggono alla fiscalità e alla tassazione delle istituzioni pubbliche e si fanno portatori di una visione quasi post-umana, trans-umanista, dell'ibridazione elitaria tra macchine ed essere umano. Dall'altro si assiste a un sempre maggiore interesse per progetti di reddito di base realizzati in Paesi del sud del mondo, dove si prova a tenere insieme contrasto alla miseria con la promozione dell'autonomia individuale e della cooperazione sociale. E il reddito di base, lo ricorderemo più volte all'interno del volume, è da intendersi prima di tutto come lo strumento di sicurezza sociale all'altezza delle attuali forme di vita nelle economie capitalistiche, come in parte lo furono l'istituzione dell'assistenza pubblica e della previdenza sociale fino al precedente ciclo degli Stati sociali nazionali. Qui si vuole anche affermare con nettezza che il reddito di base, nelle sue diverse forme e nell'auspicabile percorso evolutivo dal reddito minimo garantito al reddito universale e incondizionato, non deve essere inteso solamente come una pur necessaria e fondamentale "lotta alla povertà", ma come innesco di processi di autodeterminazione individuale e promozione di una nuova idea di società, che sappia tenere insieme emancipazione e solidarietà, autonomia e cooperazione, libertà di scelta della propria attività lavorativa e di rifiuto di lavori poveri, indegni, malpagati. È la visione dell'accesso a meccanismi di sicurezza sociale nei quali la garanzia di un reddito di base sia sufficiente a garantire lo sviluppo e la promozione della libera personalità dell'individuo, nel suo autonomo progetto esistenziale. In questo senso la pur necessaria e fondamentale lotta alla povertà e all'esclusione sociale diviene solo un primo passaggio per un pieno sostegno all'autonomia dei singoli percorsi esistenziali in un quadro di solidarietà collettiva: per potere pronunciare un collettivo No ai ricatti, che sia soprattutto un Sì alla reale e concreta libertà di ciascuno. Per non lasciare le persone isolate nella povertà economica, sociale, relazionale che genera paura, insicurezza, depressione e le passioni tristi piene di rancore, risentimento, odio. Certo questa consapevolezza macro-sistemica deve essere condivisa tra l'orizzontalità della società che si organizza e vive quotidianamente nelle città e nei paesi e la verticalità dei giganti del Web e dei predatori di un capitalismo finanziario che sembra tornare ad essere nuovamente quello degli "spiriti selvaggi", in una fase in cui i tradizionali soggetti sociali protagonisti di quello spicchio di tempo e di spazio che ha dato vita alle democrazie pluralistiche, il terzo e quarto stato del ceto medio e delle classi popolari e operose, degradano in una condizione di quinto stato globale, escluso dalla cittadinanza e terribilmente costretto in una guerra tra poveri, emarginati, esclusi, impauriti, rabbiosi e sconfitti dalla globalizzazione e dall'innovazione tecnologica. Sembra quasi di essere piombati in una distopia à la Philip K. Dick all'ennesima potenza: tra un'élite iper-capitalista che ha accesso a tutto, finanche alla longevità estrema, e una folla di essere umani ridotti senza dignità e attirati dalle peggiori sirene nazionaliste, identitarie, patriarcali, xenofobiche, intolleranti, suprematiste, fasciste. Ma questo volume rifiuta una postura impolitica di abbandono alle sorti, luminose o lugubri, dell'automazione che si governa da sé, tramite un'élite tecnocratica, o dell'umanità ridotta a una condizione miserevole, obbediente a un qualche despota di turno, eternamente succube della sua servitù volontaria. E propone la sfida di agire dentro e per la trasformazione, con la consapevolezza che la visione macro-sistemica necessaria per rendere concreta l'introduzione di un reddito di base, universale, incondizionato e sufficiente a vivere in modo degno, impone di pensare ad un'articolazione multilivello nell'attuale fase di trasformazione della globalizzazione e quindi, partendo dalle strutturali carenze italiane, ad uno spazio di azione sociale, culturale, politica, economica regionale come quello dell'Unione europea: proprio ora che il processo di integrazione continentale sembra mostrare la corda, sessant'anni dopo la sua fondazione. Da quando ho vent'anni, insieme con le molte e i molti incontrati - in quel 1989 continentale del Muro di Berlino abbattuto per la rivoluzione europea che non riuscimmo a fare, nel bicentenario di quella francese del 1789, e poi nel 1990 italiano del movimento studentesco della Pantera per un'università pubblica, libera e di qualità - abbiamo sempre tenuto insieme lo studio e le lotte per l'innovazione sociale di un Welfare fondato sul reddito di base, con la visione di nuove istituzioni europee intese come spazi politici plurali, a partire dalle città, dove realizzare un sempre più evoluto grado di garantismo sociale: un cuneo progressivo nel cuore della globalizzazione capitalistica, ci capitò di scrivere nel passaggio di millennio. L'intento è, in prima istanza, quello di porre all'ordine del giorno l'urgenza di scelte di politiche pubbliche in favore del reddito di base, per scuotere il torpore della discussione intorno al modello sociale italiano, sempre incentrato sull'intervento di ultima, e spesso unica, istanza da parte della famiglia e in particolar modo da parte della donna subordinata ad una tradizione patriarcale e maschilista dura a morire. Dopo essere passati attraverso le vessatorie ed escludenti procedure burocratiche e categoriali di uno Stato sociale tanto impoverito, quanto ancora corporativo e gerarchico, inefficiente ed iniquo. Si vorrebbe insomma contribuire ad affermare un ordine del discorso che tenga insieme l'obiettivo di miglioramento delle garanzie sociali in Italia con la prospettiva di lanciare la sfida europea di una società che non lasci indietro nessuno, grazie alle possibilità di maggiore libertà, emancipazione, solidarietà che una gestione condivisa dell'accelerazione tecnologica potrebbe donarci. Per ripensare insieme il modello sociale europeo. Il tutto con una certa dose di disincanto e nuovo incantamento. Cento anni fa, nel 1917 russo della prima guerra mondiale, si avviò un processo rivoluzionario che con i soviet più l'elettricità avrebbe voluto portare il socialismo, per superare la società agraria e rifiutare il capitalismo. Il tutto finì nella paranoia di uno Stato totalitario, liberticida, poliziesco e mortifero, che continuò a perpetrare il dominio dell'uomo sull'uomo, per dirla con una formula cara alle lotte libertarie, contro ogni forma di servitù. Cento anni dopo, già oggi, anche facendo tesoro dei fallimenti precedenti, la cooperazione sociale, nel connubio con l'innovazione tecnologica, può generare una visione post-capitalistica, libertaria, solidale per le generazioni presenti e future, che bandisca il dominio dell'essere umano sull'essere umano. A partire dal reddito di base come assicurazione sociale al tempo dei robot che verranno. Perché si tratta di pensare anche, con un pizzico di visionaria passione e immaginazione, alle possibilità di un nuovo umanesimo in un quadro di ecologia sociale e politica, che alluda ad un tempo liberato dell'umanità accanto, e grazie, all'automa. | << | < | > | >> |Pagina 14Questo volume è diviso in quattro parti, con reciproci rimandi. Si inizia con il presentare il reddito di base nella sua storia plurisecolare, fino ai cinquecento anni dall' Utopia di Thomas More , stampata nel 1516 a Lovanio, simbolico punto di partenza di quella moderna e umanistica lotta alla povertà e alla miseria che conduce alla ricerca di maggiori garanzie sociali e spazi di libertà, fin dentro la crisi della società salariale.Si prosegue con una seconda parte che presenta le fratture sociali nell'Europa del secondo dopoguerra, tra l'edificazione di sistemi di Welfare universali, basati sulla garanzia di un reddito e l'arretratezza del modello italiano di inclusione selettiva, parziale, categoriale nella cittadinanza sociale repubblicana. Con una riflessione sugli ultimi anni di assai difficoltose politiche pubbliche italiane di lotta alla povertà, dinanzi all'assenza di una pur minima garanzia di reddito e alle recenti proposte e innovazioni normative. La terza parte tiene insieme il tema del reddito di base con le prospettive di innovazione sociale e tecnologica nel quadro di una nuova idea di solidarietà sociale e riflessiva, dal livello locale-statale, a quello continentale. Il tutto anche alla luce di un oramai ampio dibattito globale intorno al reddito di base inteso come strategia di sicurezza individuale e collettiva dinanzi all'insicurezza sociale, alla precarietà diffusa, alla flessibilità delle forme del lavoro e del fare impresa e alle ulteriori trasformazioni dell'economia digitale e automatizzata, che stanno favorendo una miriade di sperimentazioni e progetti intorno alla previsione di un reddito di base universale. La parte conclusiva del libro propone una serie di appunti per i1 futuro presente, intorno alle possibilità di un reddito di base multilivello, partendo da quello che si può fare in Italia e in prospettiva inteso come dividendo sociale nell'era digitale. Con la consapevolezza che il tema della protezione sociale e della promozione dell'autonomia individuale è il terreno di confronto delle innovazioni sociali, istituzionali, tecnologiche che viviamo già oggi. | << | < | > | >> |Pagina 185Per cambiare la società bisogna cominciare a liberare dentro di noi tutte quelle forze libertarie che vorremmo veder trionfare nella società futura. ALBERT MEISTER Sotto il Beaubourg, 1976 L'"audacia" dei fautori del benessere sociale, in una puntuale rilettura storica, consiste nell'aver incrinato il provvidenzialismo, senza scadere nel velleitarismo. FEDERICO CAFFÈ Umanesimo del Welfare, 1986 Quasi prigionieri delle istituzioni in cui accade di nascere, troppo spesso tendiamo a considerare moralmente tollerabili anche le più grottesche iniquità solo per il fatto che esistono, mentre liquidiamo sbrigativamente prescrizioni eticamente cogenti solo per il fatto che non ci sembrano realizzabili. MAURIZIO FERRERA Le trappole del welfare, 1998 La battaglia per la piena automazione, la settimana lavorativa corta, la fine dell'etica del lavoro e il reddito di base universale sono innanzitutto battaglie politiche. NICK SRNICEK-ALEX WILLIAMS Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro, 2015 Un francese, due britannici, un italiano, un prussiano, noialtri e le garanzie sociali Potrebbe sembrare il titolo di una barzelletta di pessimo gusto. Magari sulle cupe sorti del vecchio Continente, considerando la presenza dei due britannici e l'immediato futuro del 2019 con l'uscita del Regno Unito da una Unione europea ostaggio di austere ed egoistiche classi dirigenti nazionaliste. È invece un modo provocatorio e forse sgraziato per riannodare i fili della nostra ricostruzione e ricordare cinque nomi e cinque proposte che abbiamo già incrociato nelle pagine del primo e del terzo capitolo e che dall'ultimo scorcio del Settecento ad oggi hanno immaginato e permesso di realizzare garanzie sociali e tutele collettive, sulla spinta di una lotta per la tutela della dignità umana capace di coinvolgere generazioni di uomini e donne che nella modernità europea si sono organizzate, hanno creato, in anticipo rispetto allo Stato sociale/Welfare State, le proprie istituzioni di tutele e garanzie mutualistiche, solidali, cooperative. Quando la garanzia di dignità, libertà, indipendenza per una parte sempre maggiore della società era percepita da tutti come una lontana e irreale utopia. Il francese è il marchese di Condorcet che nei fervori della Rivoluzione Francese aveva proposto una "assicurazione sociale" come primo strumento di protezione e garanzia di "soccorsi pubblici", per ampliare la cittadinanza sociale al Terzo e al nascente Quarto Stato. L'inglese è Thomas Paine che qualche anno dopo, ma sempre in quella temperie, nel 1797, parlò di "dotazione universale" da riconoscere a ciascun cittadino non proprietario di terre al compimento della maggiore età, come risarcimento materiale dell'appropriazione da parte dei latifondisti di un bene comune come la terra. Si tratta di un vero e proprio reddito di base al tempo dell'economia agraria, una giustizia agraria come recita il già ricordato titolo The Agrarian Justice, libro dove venne proposta questa misura. L'italiano è forse il meno noto Pietro Custodi, anche lui giovane protagonista nei sommovimenti delle Repubbliche "giacobine" italiane, che nel 1801 propone una "cassa di redenzione" per ridurre le diseguaglianze tra i cittadini. Otto von Bismarck è invece il Cancelliere prussiano che negli anni Ottanta dell'Ottocento, un secolo dopo l'apertura delle spinte rivoluzionarie delle classi operose, dentro la rivoluzione industriale, introduce la legislazione sociale tedesca, con un'assicurazione sociale modellata sui contributi dei datori di lavoro, il sostegno finanziario dello Stato e la partecipazione dei lavoratori assicurati, per istituzionalizzare la sua politica in funzione anti-socialista e conservare l'ordine monarchico prussiano. È l'inizio di quello Stato sociale categoriale, corporativo e selettivo che importerà anche l'Italia repubblicana, proprio in quegli anni Quaranta del Novecento, quando in Gran Bretagna si dava attuazione al Piano Beveridge: ecco l'altro britannico, che introduce misure di sostegno al reddito e garanzie di una cittadinanza sociale universale, inaugurando la tendenza ad un Welfare universale, fatto di reddito minimo garantito, sussidio di disoccupazione e servizi sociali di qualità (sanità, istruzione, abitazione, etc.) che avrebbe dovuto essere l'emblema del modello sociale europeo. Eccoli qui: Condorcet e l'assicurazione sociale, Paine e una allocazione universale come giustizia agraria, Custodi e una cassa comune contro le diseguaglianze, Bismarck e l'assicurazione sociale nella rivoluzione industriale, Beveridge e il sostegno al reddito nel Welfare del secondo dopoguerra. Siamo fermi agli anni Quaranta del Novecento. A oltre settant'anni, nella crisi della società industriale e salariale, l'invenzione intellettuale e l'innovazione sociale, nella sinergia di movimenti di trasformazione dell'ordine esistente delle cose e superamento delle ineguaglianze, non riescono a immaginare e condividere un'ulteriore misura di protezione sociale universale da affiancare a questa evoluzione durata oltre due secoli di lotte, conflitti, progetti, sperimentazioni, fallimenti, tentativi, istituzioni. Se il terzo e il quarto stato immersi nell'intelletto collettivo hanno inventato e realizzato le loro istituzioni di garanzia sociale e di un degno vivere in comune, nella società allargata e affluente, da tempo è tutto precipitato nel vuoto di soluzioni istituzionali in cui è stato cacciato il quinto stato: ridotto a grancassa di classe dirigenti votate al populismo digitale dall'alto, un plebiscitarismo post-moderno che confina le masse in lotte tra poveri, esclusi, perdenti. Aizzando rancori, risentimenti e ogni ordine e grado di passioni tristi nei confronti di chi è più in fondo nella scala sociale, mai ripensando la redistribuzione di una ricchezza sempre più confinata in elitarie rendite finanziarie parassitarie, tra i circuiti accelerati della tecno-finanza e un pensiero economico predominante fatto di austero controllo della massa monetaria e dell'inflazione. Allora, se volessimo essere retorici - e un poco nostalgici - dovremmo osare il metaforico movimento collettivo di salire sulle spalle dei cinque giganti sopra ricordati, per tornare a immaginare e realizzare il reddito di base come nostra garanzia sociale, qui e ora, al presente e al futuro. Con l'amara consapevolezza che il grande disaccoppiamento della produttività economica dai salari mediani causato dalla terza rivoluzione industriale, digitale e del Web, ha generato una duratura stagnazione, deflazione salariale, lavoro povero, che dinanzi al progressivo sviluppo dell'automazione e dell'intelligenza artificiale può precipitare in nuova, vasta polarizzazione povertà/ricchezza. Perciò questa rapidissima carrellata di sintesi, proposta come uno scherzo dal cattivo gusto "nazionalista", è qui per ricordarci che solo dall'incrocio tra effervescenza di movimenti collettivi di emancipazione, intelletto generale in azione, intuizioni del pensiero scientifico e creazione di nuove istituzioni della ricchezza sociale può pensarsi e darsi il reddito di base come dividendo sociale nell'era digitale e in quella dell'automazione. A partire da ora. Visto che intorno qualcosa si muove. | << | < | > | >> |Pagina 212...nella questione sociale europea, contro austerità e nazional-populismiLa "questione sociale europea" viene in realtà da lontano e la prolungata crisi dell'Eurozona continua ad essere curata attraverso l'austera visione dell'ordoliberalismo monetarista che ha generato conflitti infrasistemici e all'interno delle diverse classi dirigenti europee, sempre più diffidenti tra di loro, spaccando il vecchio Continente in reciproci pregiudizi nazionalistici (il nord rigoroso, contro il sud dissipatore; la sofferta integrazione dell'allargamento all'est Europa, dal 2004, con formazione del blocco di Visegrad, etc.). Così il processo di integrazione continentale, in particolare dell'Unione monetaria, finisce in quelle che Thomas Piketty da tempo chiama «gabbie antidemocratiche», della rigidità dei criteri di bilancio, della mancanza di politiche fiscali comuni, con prevalenza della regola dell'unanimità sulle questioni fiscali, e dell'assenza di investimenti per il presente e il futuro delle generazioni europee, in un dibattito in cui l'austerità finanziaria, l'assenza di solidarietà pan-europea e classi dirigenti (politiche ed economiche) nazionaliste inibiscono qualsiasi progetto di rilancio sociale del vecchio Continente. Il tutto con effetti particolarmente distorsivi che hanno penalizzato soprattutto i Paesi della periferia meridionale dell'Europa, per giunta geograficamente prossimi ai movimenti migratori dell'intero bacino mediterraneo. Siamo dinanzi a un vero e proprio default democratico continentale, sospesi in un cortocircuito di speculari tendenze centrifughe: la fase declinante di una egemonia neo-liberista globale, e delle arraffatrici élite finanziarie e tecnocratiche di una competizione turbo-capitalista genera il cupo ritorno di nazionalismi protezionistici e un permanente plebiscitarismo digitale dall'alto. Si assiste inermi e sfiancati alla fine delle democrazie liberali e all'emergere di quelle illiberali, che trasformano le paure e insicurezze delle popolazioni impoverite in rancore e risentimento nei confronti di chi sta ancora peggio, in una guerra a più o meno bassa intensità tra i perdenti della globalizzazione e della finanziarizzazione delle nostre vite indebitate. Servirebbe una radicale scossa culturale, sociale, politica per superare questo incantesimo, un sommovimento intellettuale e politico, insieme con la condivisione di una fiscalità generale al livello di Eurozona, almeno, per rilanciare quel possibile modello sociale europeo intorno al reddito di base ai tempi dell'economia digitale, in un'ottica di solidarietà pan-europea. Ma chi lo farà? | << | < | > | >> |Pagina 222La transizione verso un reddito di base multilivelloÈ evidente che il reddito di base, universale e incondizionato, non è la soluzione di tutti i rilevanti problemi che l'umanità ha davanti a sé in questa fase calante degli anni Dieci del Duemila, non solo in tema di polarizzazione sociale e dei redditi, ma soprattutto riguardo al cambiamento climatico, sistemico, nell'era dell'antropocene, quando la presenza e gli effetti dell'azione umana condizionano in modo indelebile l'ambiente terrestre. «In un mondo dominato dalla complessità nessuno può avere una visione privilegiata del tutto». Così ribadiscono più volte Nick Srnicek ed Alex Williams in quel loro fondamentale Inventare il futuro, spesso citato in queste pagine, anche per le provocazioni intellettuali e politiche rivolte al pensiero progressista e alla sua incapacità di agire sul presente e immaginare il possibile futuro di una società post-lavoro e post-capitalistica, in cui la piena automazione legata al reddito di base universale e incondizionato generano «il regno della libertà», nell'abbondanza di ricchezza prodotta e condivisa dalla cooperazione sociale. E contro i pregiudizi di quella che si potrebbe definire come una millenaria "mentalità lavorista", che dalla maledizione biblica giunge alla retorica "economia della promessa" nel lavoro non solo più precario, ma servile e gratuito, materiale e immateriale, tra pre-modernità e post-modernità, solo una virtuosa combinazione di promozione dell'indipendenza personale e adeguate garanzie sociali può permettere di pensare la cittadinanza sociale sganciata dal lavoro, il «diritto di avere diritti» non più legato alla forma-impiego del lavoro e il sacrosanto "diritto di rifiutare il lavoro indegno".
Si tratta di azzardare una plurale e molteplice
forza - culturale, sociale, economica, politica - trasformativa sulla mentalità
e i rapporti di forza del presente, ma con una visione sul
futuro edificata intorno al reddito di base
come nuova istituzione e fondamento di un
allargamento delle garanzie sociali, promozione di una vita indipendente e
solidale, potenziamento dell'accesso a servizi pubblici di qualità, che facciano
perno su istruzione, salute, abitazione e mobilità. Una forza che parli alle
singole persone indebitate e ostaggi di banche
e malavita, come alle grandi masse sempre più
insofferenti e intolleranti, recuperando tutti
quei frammenti di forze sociali, politiche e culturali che dentro le grandi
famiglie popolari, sindacali, socialiste/socialdemocratiche, liberal-laburiste,
cristiano e cattolico sociali, dei movimenti sociali radicali e anarco-libertari
e del pensiero critico e operaista si sono da sempre confrontate con l'esigenza
di una garanzia di base di una vita degna, sicura, indipendente, libera e
solidale tra soggetti paritari.
|