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| << | < | > | >> |IndiceQuesto libro 9 Introduzione 11 Avvertenza per i lettori del Terzo millennio 13 L'esperienza dell'etologo 17 Consigli a un giovane etologo Capitolo primo 23 Capitolo secondo 31 [...] Capitolo diciottesimo 109 Appendice 1. I "padri fondatori" 113 2. Cyber-etologia 125 3. L'esperienza all'estero 133 |
| << | < | > | >> |Pagina 23Capitolo primo
Piccola etologia quotidiana
L'animale per l'uomo è stato preda - e viceversa - poi l'uomo pastore ha inventato tecnologie di riproduzione, allevamento e sfruttamento di pelli, latti, uova, corna, unghie, code secche, scacciamosche e delicate carni di giovani animali. L'uomo ha cavalcato i cavalli, poi le automobili, ha selezionato razze abbaianti di cani, per un'opera di fedele guardianaggio delle sue proprietà. L'umanità per millenni ha mandato messaggi - ora d'amore, ora di guerra mediante razze addomesticate di colombi viaggiatori: poi, molto dopo, vennero buste, sigilli, ceralacche e francobolli, telefoni e ponti radio. Ma accanto a tanto brutale sfruttamento di qualità - e vizi - animali da parte di un'umanità antica intenta a un faticoso sopravvivere quotidiano, i rapporti tra uomini e animali sono stati ben più sottili. Curiosità e affetti reciproci, soprattutto: uomini e cani proverbialmente fedeli, uomini e inseparabili gatti cacciatori di topi fin da faraoniche ere egiziane - quando l'uomo seppe addomesticare il grano a suo largo uso e consumo, il gatto divenne superbo, ma inevitabile, coinquilino di un'umanità granivora assediata dai topi. E poi uomini a cavallo, anzi centauri neppure tanto mitologici, come i mongoli cavalieri, che vivendo sul cavallo espandevano l'umanità in spazi altrimenti vuoti, e cavalcando hanno invaso terre sterminate. Alessandro Magno amò e usò anche gli elefanti, come Annibale. Poi l'epopea del lontano West, trottata anche sulla pellicola, e tanta polvere sollevata dagli zoccoli uscì dallo schermo e penetrò nelle nostre case. E Cavalline storne che nella poesia della nostra fanciullezza - forse ricordi tristi - ma che confermano quali e quanti effetti intercorrano tra chi monta in sella e chi è montato - e imbrigliato. "I miei cani e i miei figli", scriveva Yeats nei Drammi celtici: prima gli amati quadrupedi, indispensabili a un popolo di cacciatori per sopravvivere, nell'Irlanda antica di quei drammi di caccia - poi i frugoletti, evidentemente meno indispensabili alla sopravvivenza immediata. E Tolstoj stesso volle sepolto ai suoi piedi il fedele cane... Né in realtà la "domesticazione" (peraltro mai completa) - come anche le passioni e le relazioni personali di ogni genere tra uomo e animale - si è certo limitata ai nostri amici più consueti, ai comuni amici o compagni dell'uomo. C'è chi ha avuto una pecora "fondamentale" nella propria vita, e chi si è dovuto contentare di una pecora elettrica. Chi di un pesce e chi, fortunato lui, un delfino o persino uno squalo, ma queste sono storie di ragazzi cresciuti tra gli atolli corallini; chi pulci ammaestrate, chi un topo in casa, chi un porcospino in giardino. L'avventuroso e superbo incedere dell'umanità ha insomma turbato, a volte aiutato, pacifiche convivenze con animali non poi così tanto diversi da noi. Da sempre, la vita degli uomini si è intrecciata a quella degli animali. L'interesse per il loro comportamento, il desiderio di decifrarne le modalità e di interpretarne le motivazioni sono invece fenomeni relativamente recenti. Fino a un certo punto della storia dell'Occidente, la vita degli animali è stata considerata alla stregua del funzionamento di una macchina, di cui non ci si chiede neppure "perché" faccia quel che fa. Tutt'al più, caratteristiche e comportamenti "bestiali" sono stati proiettati su inclinazioni e atteggiamenti umani. E ci siamo, così, scoperti feroci come tigri, paurosi come conigli, stupidi come allocchi, ma anche fieri come leoni, furbi come volpi, pazienti e pacifici come buoi. Un bestiario fantastico, che negli animali cerca il simbolo di qualità e difetti dell'animo umano, usando chi, per definizione, anima non ha. Anzi, non aveva fino a tempi recenti, dato che papa Wojtyla, pontefice al passo con i nostri tempi "animalisti", ha rimesso in discussione il tema scottante dell'"anima bestiale". Poi, con la rivoluzione darwiniana, ormai più di un secolo fa ( L'origine delle specie è stata pubblicata nel 1859), la scoperta che gli uomini, risalendo all'indietro nelle generazioni, hanno condiviso con gli "esseri senz'anima" l'avventura di milioni di anni di evoluzione. Un cambio di prospettiva che avrebbe dato, con molto altro, anche copiosi frutti etologici. Charles Darwin stesso è, per molti versi, un etologo ante litteram, essendosi occupato non poco di comportamento animale e umano e avendoci lasciato una bella opera sull'espressione delle emozioni, utile per attualissime meditazioni sulle analogie tra affetti umani e "umori" animali. Studiare il comportamento degli animali non serve solo a sistemare, di volta in volta, una tessera nel puzzle della natura, ma anche, forse soprattutto, a capire qualcosa di noi uomini. L'etologia è stata, prima di tutto, interpretazione e classificazione di comportamenti. E se pure quelle di molti animali sono risposte comportamentali infinitamente più automatiche e stereotipate, ciò non impedisce all'etologia di mettere a disposizione strumenti molto potenti per studiare anche il comportamento umano. Non vogliamo certo affermare che la storia culturale dell'umanità non conti nulla, dato che evoluzione umana e evoluzione culturale coincidono in un atto di profonda, reciproca creatività; ma lo strumento etologico permette di "misurare" emozioni e analizzare le microstrutture degli elementi componenti i comportamenti interpersonali e si va rivelando molto utile nella pratica clinica. Alcuni test di tipo essenzialmente etologico sono ormai eseguiti regolarmente, ad esempio, su neonati e bambini. | << | < | > | >> |Pagina 31Capitolo secondo
A che servono gli etologi?
Nel rapporto tra uomo e natura, il pericolo più grande è probabilmente l'incomprensione. Abbiamo sempre più bisogno di "interpreti" che traducano i segnali che la natura ci invia: è questa, insieme, la vocazione e l'utilità dell'etologo. Sta a lui creare le condizioni culturali di nuove, più pacifiche convivenze con gli altri esseri che con noi dividono lo spazio terrestre. Convivenze improntate alla conoscenza, a volte profonda, non di rado completa, alla considerazione, al rispetto dei coinquilini non-umani. Questo vale anche quando i coinquilini in questione vantino antiche e irriducibili idiosincrasie nei confronti della nostra specie, come nel caso di ratti e zanzare. L'etologo entomologo incaricato (come, per fortuna, accade sempre più spesso) di dare indicazioni per contenere le zanzare troppo numerose e invadenti in una certa zona, non punterà certo all'estinzione dell'insetto "nocivo". Magari, proprio ingaggiando una lotta biologica, potenziando le locali popolazioni di gechi, di uccelli, di pipistrelli e di pesciolini divoratori di larve di zanzare, registrerà un biologico guadagno, almeno per varietà di esseri viventi nella zona. Ogni specie ha il suo posto, su questo pianeta, e sottrarglielo è sempre foriero di nuovi squilibri e più inquietanti. Ecco perché l'etologo dovrebbe collaborare intensamente con urbanisti, architetti, ingegneri. Sotto la sua supervisione, una certa casa, con un certo tipo di tegole e di anfratti, nel giro di un certo numero di anni sarà abitata da gufi, barbagianni, rondini, pipistrelli, rospi e porcospini. E chi ci andrà ad abitare entrerà in mutua simbiosi abitativa con gli animali del luogo. Non potrà che essere una casa più bella - anche con meno mosche e zanzare, perché tutti gli animali sopra enumerati ne sono predatori - e meno esposta alle invasioni di ratti, topi e lumache, che saranno respinti dalla presenza dei loro temibili antagonisti. State tranquilli, non proponiamo un etologo per ogni appartamento anche se non sarebbe male che ogni famiglia avesse il suo zoofilo, ma perché non mettere a frutto ciò che sappiamo sulla vita degli animali per ripristinare frequentazioni piacevoli e utili, per loro e per noi? Gli etologi possono essere consultati per evitare l'aumento insostenibile delle popolazioni di ratti; motivo palese di sofferenza per i ratti stessi e per gli umani. L'etologo sa, a questo proposito, che è inutile escogitare sistemi sempre più efferati e raffinati per sterminare i ratti: torneranno, sempre e a schiere maggiori, se non si modificano le situazioni in cui i rifiuti e le deiezioni li vanno a ipernutrire. La scarsità di cibo, infatti, è un potente inibitore per la riproduzione, per questi intelligenti e poco amati animali: a meno di non avere una tana di volpe in giardino e/o un nido di barbagianni in soffitta. | << | < | > | >> |Pagina 53Capitolo sesto
L'animale totem
L'etologo è di solito uno studioso specialista di un gruppo animale, di una qualche unità tassonomica sulla quale avrà lavorato, magari per caso; o più spesso, su cui avrà mosso i primi passi, ovvero che avrà scelto come argomento della tesi di laurea. Può a volte spaziare, ma comunque ha un animale fondamentale nei suoi pensieri, che gli farà da guida, da filo conduttore, da nume tutelare; che diventerà, o meglio, gli si rivelerà, col progredire degli studi, come un totem. Un giorno, forse, cambierà totem, ma ben difficilmente ne avrà due insieme. Sarebbe un impossibile mondo intellettuale, quello in cui coesistessero due forze gravitazionali: i pensieri barcollerebbero, i movimenti si farebbero incerti. La passione etologica, come l'amore vero, mal tollera dualità di oggetto. Il vero scopo di un etologo, come avverte il decano Donald Griffin (una vita dedicata al suo personalissimo totem-pipistrello, con la difficoltà di orientarsi nel buio senza possedere un sonar come i suoi amati Chirotteri), è di trasmutarsi nella specie oggetto di studio, fino ad arrivare a pensare con la sua testa. Come se la mente umana e quella animale si fondessero, neuroni animali tra i neuroni umani, e i pensieri e desideri di chi osserva e di chi è osservato coincidessero, in una progressiva messa a fuoco di due immagini i cui contorni finiscono per combaciare. È uno stato di grazia, in apparenza più facile da raggiungere rispetto ad animali che si fanno più comodamente interpretare, che usano la vista e segnali visivi e "sentono" i rumori: che ballano visibilissime danze di corteggiamento, che tubano, che lanciano grida, siano esse d'affetto o di paura. Ma che può realizzarsi anche in presenza delle più incolmabili diversità. Come spiegarsi, altrimenti, la categoria degli etologi entomologi, scienziati che tentano di comprendere una mente così diversa dalla loro come quella di un insetto? Karl von Frisch, sommo studioso di api e dei loro complicati linguaggi danzati, lavorava e viveva letteralmente in mezzo a questi insetti, con un tavolino piazzato tra le arnie, in una condivisione di spazi di esistenza che certo favoriva la trasmutazione di cui parla Griffin. La storia di un etologo può anche essere la storia di quello che gli capita. Quindi i rondoni, i colombi, i porcellini di Sant'Antonio, nel giardino dell'infanzia, le chioccioline, i cani, i gatti, le rane, i ragni. E la trasmutazione diventa anche "riposizionamento" di sé nel mondo, dell'uomo rispetto agli altri animali, insieme ai quali trascorre l'esistenza, nel riscatto delle tante vite umane trascorse nell'indifferenza delle vite animali che accompagnano i nostri anni. Certamente c'è il tentativo - un po' contemplativo, un po' naturista - di sentirsi parte di un'armonica integrazione nel mondo animale, senza distinzioni né superbia di "specie superiore". Niko Tinbergen, amico di Konrad Lorenz e anch'egli premio Nobel, nel 1973, ha vissuto anni felici in mezzo ai gabbiani, restando mesi interi in una tenda a osservarli. Non a caso, bird-watcher è diventato sinonimo di osservatore paziente di passo felpato tra i canneti della laguna. Anche Darwin aveva la sua brava passione ornitologica per i colombi, per non parlare di Lorenz e delle sue amate taccole: gli esseri alati evidentemente ispirano, fanno lievitare (levitare?) le motivazioni etologiche. La facoltà del volo è qualità invidiata e ammirata dagli umani, possibilità di libertà e di fusione totale con la natura. | << | < | > | >> |Pagina 93Capitolo quindicesimo
Potenziare i cinque sensi
A voler fare etologia sugli etologi, si potrebbe scoprire che gran parte della loro attività è rivolta a raggiungere, con mezzi artificiali, la sensibilità sensoriale che gli umani non possiedono, appannaggio esclusivo delle altre specie animali. Alcune di queste raggiungono apici sensoriali inimmaginabili per l'uomo: farfalle notturne in grado di sentire odori a distanza di chilometri, insetti che riescono a "vedere" la luce ultravioletta, delfini e pipistrelli che percepiscono segnali ultrasonici. Ma, piuttosto che postulare una improbabile "invidia delle antenne" o un altrettanto fantastico "complesso delle vibrisse", va chiarito che ancora questi spunti ci riportano al sottile desiderio di trasmutazione totemica che sta alla base di ogni verace vocazione etologica. Di come sia possibile potenziare la vista, sia essa rivolta al piccolo, al piccolissimo, al lontano, al notturno, abbiamo già scritto nel precedente capitolo dedicato agli strumenti di osservazione. C'è però un senso che si può potenziare essenzialmente con l'esercizio: l'olfatto. Soprattutto se si è maschi, dato che nella specie umana sembra assodato un assoluto vantaggio femminile in questo campo, non tanto forse su base genetica quanto dovuto all'uso più costante e raffinato che le donne sanno fare del loro "quinto senso". La sfera olfattiva è la più misteriosa e impalpabile, anche se per la specie umana si sospetta l'uso dei segnali odorosi, per esempio nei rapporti tra madri e neonati e nella sorprendente e rapida sincronizzazione del ciclo mestruale tra donne che vivono o lavorano insieme. Ci sono animali, come il cane, che possono essere usati come "esaltatori" dell'olfatto umano. Ben lo sapeva l'etologo Erich Zimen, esperto di lupi e grande compagno d'avventure del nostro riconosciuto "lupologo" nazionale, Luigi Boitani. Interpretando il comportamento del suo cane, Zimen arrivava a "sentire" odori incredibili, a interpretare atti lupeschi tradotti in risposte comportamentali dal suo affiatatissimo naso. Il cane non recepiva semplicemente la traccia odorosa del lupo, ma mostrava eccitazione o noia in risposta agli stimoli olfattivi, indicava punti di sosta e di appasturamento: recitava insomma la parte del lupo, svelando all'etologo storie selvatiche trascorse nel buio della notte precedente. È l'esperienza che, con scopi indiscutibilmente diversi da quelli etologici, fanno i cacciatori accompagnati dai loro segugi, veri e acuti biosensori.
All'epoca della falconeria, il falconiere liberava il falco, che
volava alto e lontano, fino a scomparire dalla vista. Per sapere dove andasse,
quando non era più possibile scorgerlo, il falconiere portava con sé un'averla
rinchiusa in una comoda gabbietta portatile, spesso fissata al pomo della sella
del cavaliere da un robusto anello metallico (a guardarli con attenzione, è
possibile notare la scena in alcuni quadri d'epoca). L'averla, volatile dotato
di una vista assai acuta, terrorizzato dal falco, "puntava" costantemente la
direzione in cui questo si trovava, come la bussola magnetica punta
costantemente a nord. E al falconiere non restava che cavalcare dietro al
proprio prezioso falcone usando questa strana specie di pilota automatico, uno
spaventatissimo pennuto chiuso al sicuro nella sua gabbietta.
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