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| << | < | > | >> |IndiceLETTERE ALLA REDAZIONE 11 SOTTO LA LUNA, IN UN VECCHIO MAGAZZINO ABBANDONATO Il magazzino 29 Notte dei «Capitani della spiaggia» 32 La fermata delle Pitangueiras 53 Le luci della giostra 66 La banchina 86 Avventura di Ogun 99 Il buon Dio sorride come un negretto 113 Famiglia 122 Mattinata come in un quadro 139 Alastrim 147 Destino 166 NOTTE DI GRANDE PACE, DELLA GRANDE PACE DEI TUOI OCCHI La figlia del vaioloso 169 Dora, la madre 180 Dora, sorella e promessa sposa 189 Il Riformatorio 197 L'Orfanotrofio 217 Notte d'infinita pace 219 Dora, la sposa 220 Come una stella dalla bionda capigliatura 224 CANZONE DI BAHIA, CANZONE DI LIBERTÀ Vocazioni 227 Canzone d'amore della zitellona 235 Nel bagagliaio di un treno 240 Come un trapezista del circo 248 Notizie sul giornale 250 Compagni 254 Risuonano gli atabaques come trombe di guerra 263 Una patria e una famiglia 268 |
| << | < | > | >> |Pagina 13BAMBINI LADRI
LE SINISTRE AVVENTURE DEI «CAPITANI DELLA SPIAGGIA» - LA CITTÀ INFESTATA DA
BAMBINI CHE VIVONO DI FURTI - URGONO PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE MINORILE E DEL
CAPO DELLA POLIZIA - IERI UNA NUOVA RAPINA
Già ripetutamente il nostro giornale, che si fa indubbiamente portavoce delle più legittime aspirazioni della popolazione baiana, ha pubblicato notizie riguardanti l'attività criminale dei «Capitani della spiaggia», nome sotto cui è nota una squadra di ragazzini, banditi e ladri, che infesta la nostra città. Questi fanciulli, che così precocemente hanno intrapreso la tenebrosa carriera del crimine, non hanno fissa dimora, o almeno non si conosce loro dimora fissa, così come ancora non si conosce il luogo in cui occultano il frutto delle loro rapine, ormai praticamente giornaliere, e tali da richiedere provvedimenti immediati da parte del Giudice Minorile e del Sig. Capo della Polizia. Questa banda, che vive di rapine, è composta, a quanto si sa, di bambini delle età più varie, che vanno dagli 8 ai 16 anni. Fanciulli che, naturalmente, come resultato della trascuratezza nell'educarli da parte di genitori poco dotati di sentimenti cristiani, si sono abbandonati, fin dalla più verde età, ad una vita di crimini. Li chiamano i «Capitani della spiaggia» perché loro quartier generale è la banchina. Loro capo è un ragazzotto di 14 anni, di tutti il più terribile, non soltanto ladro, ma anche già reo di lesioni gravi, inflitte nel pomeriggio di ieri. Purtroppo non si conosce l'identità del ragazzo.
Ciò che si rende necessario è un provvedimento d'urgenza della Polizia
e del Servizio per la repressione della Delinquenza Minorile, al fine di
dissolvere questa banda e arrestare questi criminali in erba, che non lasciano
dormire in pace la città, traducendoli al riformatorio o alle prigioni. Passiamo
ora a riferire la rapina di ieri, di cui è stato vittima un onesto commerciante
della nostra città, cui è stata svaligiata la casa e sono
stati sottratti oltre mille cruzeiros, mentre uno dei suoi servitori è stato
ferito dall'efferato capo di questa banda di giovani delinquenti.
IN CASA DEL COMM. JOSÉ FERREIRA Al Corredor da Vitória, nel cuore del quartiere più elegante della città, sorge la bella villa del Comm. José Ferreira, uno dei più prosperi e stimati commercianti di questa città, proprietario di un negozio nella Rua Portugal. La villa del commendatore, circondata di giardini, bell'esempio di architettura coloniale, è una gioia per gli occhi. Ebbene, ieri quell'angolo di pace e onesto lavoro è stato turbato da un'ora d'indescrivibile agitazione e spavento, per l'invasione subìta ad opera dei «Capitani della spiaggia». Gli orologi suonavano le tre del pomeriggio e la città soffocava per l'afa pomeridiana, quando il giardiniere notava un gruppetto di ragazzini vestiti di stracci che gironzolavano intorno al giardino della residenza del Commendatore.
Il giardiniere si affrettava ad allontanare gl'incomodi visitatori. E
siccome quelli avevano continuato per la loro strada, incamminandosi giù per
la via, Ramiro, il giardiniere, se ne tornava al suo lavoro, nel giardino sul
retro della villa. Pochi minuti dopo, tuttavia si verificava
L'ASSALTO
Non erano trascorsi cinque minuti, che il giardiniere udiva delle grida
provenienti dall'interno della casa. Erano le grida di qualcuno spaventato
a morte. Armatosi di una falce, il giardiniere entrava in casa ed aveva
appena il tempo di avvistare vari ragazzini che, come una banda di diavoli (per
usare la bizzarra espressione dello stesso Ramiro) scappavano
saltando dalla finestra, carichi di oggetti di valore asportati dalla sala da
pranzo. La cameriera che aveva gridato stava prestando soccorso alla signora del
Commendatore, vittima di un lieve svenimento come conseguenza
dello spavento provato. Il giardiniere si precipitava in giardino, ove aveva
luogo
LA LOTTA Avvenne che, in giardino, il bel bambino undicenne Raul Ferreira nipote del Commendatore, al momento in visita ai nonni, si era messo a ridere e scherzare con il capobanda dei Capitani, riconoscibile da un taglio che gli segna la faccia. Nella sua innocenza, il piccolo Raul sorrideva al malvagio, indubbiamente intenzionato a derubarlo. Il giardiniere si buttava allora sul ladro. Ma non si aspettava la reazione del monellaccio, che si dimostrava maestro in quel tipo di rissa. Come resultato, il giardiniere, che credeva di aver acciuffato il capobanda, riceveva una pugnalata alla spalla e subito dopo un'altra al braccio, trovandosi quindi obbligato a lasciar andare il criminale che fuggiva.
La Polizia è stata informata del fatto, ma fino al momento in cui stiamo
redigendo questa nota, nessuna traccia dei «Capitani della spiaggia»,
è ancora stata scoperta. Il Comm. José Ferreira valuta il danno subito ad
oltre mille cruzeiros, visto che soltanto l'orologino di sua moglie era valutato
a 900 cruzeiros, ed è stato asportato.
URGONO PROVVEDIMENTI
Gli abitanti dell'aristocratico quartiere sono spaventati, e temono che
nuovi assalti si succedano, visto che non è questa la prima impresa dei
«Capitani della spiaggia». Urgono provvedimenti che portino il giusto
castigo a questi furfanti e restituiscano la tranquillità alle nostre più
distinte famiglie. Fidiamo che l'illustre Capo della Polizia ed il non meno
illustre Signor Giudice Minorile saranno in grado di prendere gli opportuni
provvedimenti contro questi criminali così giovani e già così temerari.
L'OPINIONE DELL'INNOCENZA Il nostro cronista ha ascoltato anche il racconto del piccolo Raul che, come già abbiamo detto, ha undici anni ed è uno degli studenti più diligenti del Ginnasio Antonio Vieira. Raul ha dimostrato grande coraggio, e ci ha riferito la sua chiacchierata con il terribile capo dei «Capitani della spiaggia». «Lui ha detto che ero un tonto e che non sapevo neppure cos'è giocare. Io gli ho risposto che ho una bicicletta e un sacco di giochi. Allora lui s'è messo a ridere e ha detto che lui ha la strada e la banchina. A me m'è piaciuto, sembra uno di quei ragazzi del cinema che scappano di casa per andare in cerca d'avventure». Abbiamo allora riflettuto sopra un altro delicato problema riguardante l'infanzia, quello del cinema, che ispira ai bambini tante idee errate sulla vita. Un altro fatto che merita a sua volta l'attenzione del Sig. Giudice Minorile. (Servizio pubblicato dal «Jornal da Tarde» nella pagina della cronaca giudiziaria, insieme con una fotografia della casa del Commendatore, e una del Commendatore stesso, al momento in cui veniva decorato). | << | < | > | >> |Pagina 38Il Lecca-Lecca era magro e molto alto, aveva una faccia risucchiata, giallastra, gli occhi cerchiati e fondi, la bocca sottile poco disposta al sorriso. Il Gamba-Zoppa cominciò con uno scherzo, chiedendo se «stava già dicendo le preghiere», poi si mise a parlare del furto dei cappelli; si misero d'accordo che avrebbero portato con sé un certo numero di ragazzini, che scelsero accuratamente, fissarono la zona dove avrebbero agito, e si separarono. Il Lecca-Lecca si ritirò allora nel suo angolo di sempre. Invariabilmente dormiva lì, dove le pareti del magazzino formavano un angolo. Vi aveva disposto con cura le sue cose: una coperta vecchia, un cuscino sottratto a un albergo in cui era entrato una volta portando il bagaglio di una viaggiatrice, un paio di pantaloni che indossava la domenica, insieme con un camiciotto di colore indefinito, ma abbastanza pulito. E, attaccati alla parete con dei chiodini, due immagini di santi: un Sant'Antonio che portava fra le braccia il Bambino Gesù (il Lecca-Lecca si chiamava Antonio e aveva sentito dire che Sant'Antonio era brasiliano) e una Madonna dei Sette Dolori, col petto trapassato da spade. Sotto questa effigie un fiore appassito. Il Lecca-Lecca raccolse il fiore, lo annusò, si rese conto che non aveva più profumo. Allora se lo legò insieme allo scapolare che portava sul petto, e dalla tasca della vecchia giacca che indossava tirò fuori un garofano rosso che aveva colto in giardino, proprio sotto gli occhi del guardiano, all'ora indefinita del crepuscolo. Mise il garofano fresco sotto l'immagine, fissando la Madonna con occhio commosso. Poi s'inginocchiò. Gli altri da principio lo prendevano molto in giro nel vederlo in ginocchio a pregare. Poi ci si erano abituati, e più nessuno ci faceva caso. Cominciò a pregare, e il suo aspetto ascetico si accentuò; il viso infantile si fece più pallido e grave, le lunghe mani magre si levarono dinanzi al quadro. Tutto il viso era come avvolto in una specie di aureola, la sua voce acquistò tonalità e vibrazioni che i compagni non conoscevano. Era come se il ragazzo si fosse trovato fuori dal mondo, fuori dal vecchio magazzino cadente, in un'altra terra, accanto alla Madonna dei Sette Dolori. La sua era tuttavia una preghiera semplice, non gli era stata insegnata al catechismo. Chiedeva che la Madonna lo aiutasse a poter entrare un giorno in quel collegio che si trovava al Sodré e dal quale i ragazzi uscivano trasformati in sacerdoti.Il Gamba-Zoppa, che si stava avvicinando per riparlare di un dettaglio della faccenda dei cappelli, come lo vide in atto di pregare preparò fra sé una battuta, una battuta che solo a pensarci gli veniva da ridere da solo, e che avrebbe completamente atterrato il Lecca-Lecca. Ma quando, arrivatogli vicino, vide il compagno in preghiera, con le mani levate, gli occhi rivolti nessuno sapeva dove, il volto estatico (pareva quasi rivestito di felicità), si fermò di botto, il sorriso burlone gli appassì sulle labbra e rimase ad osservarlo mezzo spaventato, invaso da un sentimento parte d'invidia parte di disperazione. Il Gamba-Zoppa restava immobile, a guardare. Il Lecca-Lecca non si muoveva. Solo le sue labbra erano in leggero movimento. Il Gamba-Zoppa era solito burlarsi di lui, come del resto di tutti gli altri del gruppo, incluso il Professore a cui portava affetto, incluso Pedro Proiettile per cui aveva rispetto. Ogni volta che un ragazzo nuovo entrava a far parte dei Capitani della spiaggia, il nuovo venuto si faceva un'opinione negativa del Gamba-Zoppa, pronto a trovargli un nomignolo, a ridere di ogni gesto, di ogni frase della recluta. Metteva tutto in ridicolo, era uno di quelli che più frequentemente si battevano. Aveva anche fama di essere cattivo. Una volta aveva sottoposto a sevizie tremende un povero gatto capitato nel magazzino. Un giorno aveva accoltellato il cameriere di un ristorante solo per portargli via un pollo arrosto. Una volta che aveva un ascesso a una gamba se lo era inciso a freddo col temperino e lo aveva strizzato ridendo sotto gli occhi di tutti. A molti del gruppo non piaceva; ma quelli che passavano sopra a tante cose e diventavano suoi amici dicevano che in fondo era un «bravo tipo». Nel profondo del cuore aveva compassione delle disgrazie di tutti. E ridendo, mettendo in ridicolo, cercava di sfuggire alla sua propria disgrazia. Per lui era come una medicina. Rimase a guardare il Lecca-Lecca che pregava intensamente. Sul viso del compagno in preghiera c'era una sorta di esaltazione, un qualcosa che a prima vista al Gamba-Zoppa era parso allegria o felicità. Ma guardando meglio il volto dell'altro decise che era un'espressione che non sapeva definire; e pensò, contraendo la faccetta minuta, che forse era per quello che a lui non gli era mai venuto di pregare, di rivolgersi a quel cielo di cui parlava tanto il padre José Pedro quando veniva a visitarli. Quello che desiderava lui era un po' di felicità un po' di gioia, sfuggire a tutta la miseria, a tutte le sciagure che li circondavano e li soffocavano. C'era, è vero, la grande libertà delle strade. Ma c'era anche l'abbandono, l'assenza di tenerezza, la mancanza di ogni buona parola. Queste cose Lecca-Lecca le cercava in cielo, nelle immagini dei santi, nei fiori appassiti che portava alla Madonna dei Sette Dolori, come un innamorato romantico di uno dei quartieri chic della città avrebbe portato un fiore alla bella che corteggiava con intenzioni matrimoniali. Ma il Gamba-Zoppa non riusciva a capire come ciò potesse bastare. Quello che lui voleva era qualcosa di immediato, un qualcosa che rendesse il suo viso sorridente e allegro, liberandolo della necessità di ridere di tutto e di tutti. Che lo liberasse, anche, dalla sua angoscia, dalla voglia di piangere che lo prendeva nelle serate d'inverno. Non voleva ciò che Lecca-Lecca aveva, il volto inondato da quella esaltazione. Voleva gioia, una mano che lo carezzasse, qualcuno che col suo amore gli facesse dimenticare la sua menomazione, e i molti anni (forse erano solo mesi o settimane, ma per lui sarebbero stati sempre lunghi anni) in cui aveva vissuto solo come un cane per le vie della città, guardato con ostilità dai passanti, spintonato dalle guardie, battuto dai ragazzi più grandi. Non aveva mai avuto famiglia. Aveva vissuto in casa d'un panettiere che chiamava «padrino» e che lo riempiva di botte. Era fuggito non appena era stato in grado di capire che la fuga significava per lui la libertà. Aveva patito la fame. Un giorno era stato arrestato. Tutto ciò che voleva ora era un po' d'affetto, una mano che passandogli sugli occhi cancellasse il ricordo di quella notte passata in prigione, quando i soldati ubriachi s'erano divertiti a farlo correre con la gambina zoppa intorno ad una stanzetta. Ad ogni angolo c'era appostato un uomo con un lungo staffile di gomma. I segni che gli erano rimasti sulla schiena erano spariti col tempo. Ma dentro di lui non si era mai cancellato il dolore di quella volta. Quando correva per la stanzetta come un animale inseguito da altri più forti. La gamba difettosa rifiutava di aiutarlo, e gli staffili sibilavano sulle sue spalle quando la stanchezza lo faceva fermare. Da principio aveva pianto lungamente, poi, senza saper come, le lacrime gli si erano asciugate. Ad un certo punto non aveva più potuto resistere, era crollato a terra. Sanguinava, e ancor oggi si sente nelle orecchie le risate dei soldati, le risate di quell'uomo dal gilè grigio che fumava il sigaro. Poi aveva incontrato i Capitani della spiaggia (era stato il Professore a portarlo, dopo che avevano fatto conoscenza sulla panchina di un giardino pubblico) ed era rimasto con loro. Non gli ci era voluto molto a farsi strada, perché era capace come nessun altro di simulare un gran dolore, e così riusciva a ingannare le signore la cui casa era poi svaligiata dal gruppetto, già al corrente di tutti i posti dove si trovavano oggetti di valore e delle abitudini della casa. E il Gamba-Zoppa provava una autentica soddisfazione nel pensare a quante male parole gli avrebbero indirizzato quelle brave signore che l'avevano preso per un povero orfanello. Era questa la sua vendetta, perché aveva il cuore pieno di rabbia. | << | < | > | >> |Pagina 124Il giorno dopo, verso le undici e mezza del mattino il Gamba-Zoppa comparve davanti alla casa. Quando suonò il campanello, la ragazza stava certamente pensando alla notte che aveva passato con Pedro Proiettile nella sua camera al Garcia, perché non lo sentì.Il ragazzino suonò per la seconda volta e alla finestra di una delle stanze del primo piano apparve la testa brizzolata di una signora, che lo osservò strizzando gli occhi: «Che c'è, figliolo?». «Signora, sono un povero orfano...». La signora gli fece cenno d'aspettare e in pochi minuti era alla porta, senza neppur sentire le parole di scusa della cameriera che non aveva aperto: «Dimmi bambino», guardava gli abiti stracciati del Gamba-Zoppa. «Signora io non ho padre, sono pochi giorni che mia madre è volata in cielo», mostrava un nastro nero che portava al braccio, per il quale era stato sacrificato il nastro del cappello nuovo del Gatto, che era incavolato nero. «Non ho nessuno al mondo, sono menomato, non posso lavorare molto, sono due giorni che non vedo cibo, e non so dove andare a dormire». Sembrava che stesse per piangere. La signora era molto impressionata: «Sei menomato, figliolo?». Il Gamba-Zoppa mostrò la gamba storpia, camminò di fronte alla signora accentuando il difetto. Lei lo guardava con compassione: «Di che è morta tua madre?». «Di preciso non lo so. Gli è venuta una cosa strana, poverina, una febbre di malaugurio, se n'è andata in cinque giorni. E mi ha lasciato solo al mondo... Se ancora ce la facevo a dar duro col lavoro, mi arrangiavo. Ma con questa gamba, solo in una casa di famiglia... Lei non ha bisogno d'un ragazzino per le commmissioni, per aiutare nei lavori di casa? Se n'ha bisogno, signora...» . E credendola ancora indecisa, il Gamba-Zoppa aggiunse con cinismo, in tono piagnucoloso: «Se volevo, mi mettevo con quei ragazzi che rubano, con quei Capitani della spiaggia. Ma io non sono così, quel che voglio io è un lavoro. Solo che a fare i lavori pesanti non ce la faccio. Sono un povero orfano, ho fame...». Ma la signora non era indecisa. Stava solo pensando al suo bambino, che era morto all'età che aveva quello, e che morendo aveva portato con sé ogni gioia sua e del marito. Lui almeno aveva le sue collezioni d'arte, ma a lei non restava che il ricordo di quel bimbo che così presto li aveva lasciati. Per questo guarda il Gamba-Zoppa nei suoi cenci con grande affetto, e nel parlargli la sua voce assume inflessioni di una dolcezza diversa da quella di sempre. C'è quasi una sfumatura di gioia nella dolcezza della sua voce, e questo stupisce la cameriera: «Entra figliolo, stai tranquillo che penso io a trovarti un lavoro...», la mano fine e aristocratica su cui brillava un solitario si posò sulla testa sporca del ragazzo; rivolta alla cameriera disse: «Maria José, prepara la stanza sopra il garage per questo bambino. Mostragli il bagno, dagli un accappatoio di Raul, poi dagli qualcosa da mangiare...». «Prima di preparare il pranzo, dona Ester?». «Prima di preparare il pranzo. Sono due giorni che non mangia povera creatura...». Il Gamba-Zoppa non diceva nulla, col dorso della mano si asciugava delle lacrime di circostanza. «Non piangere...», la signora accarezzò il viso del ragazzino. «Lei è così buona. Dio glielo renderà...». Poi gli chiese come si chiamava, e il Gamba-Zoppa disse il primo nome che gli venne in mente: «Augusto...», e siccome ripeteva fra sé il nome, per non dimenticare come si chiamava, non notò il primo moto di emozione della signora che mormorava: «Augusto, lo stesso nome...». A voce alta, poiché il Gamba-Zoppa guardava ora il suo viso emozionato: «Anche mio figlio si chiamava Augusto... È morto quand'era così, della tua età... Ma entra figliolo, vai a lavarti per andare a mangiare». Dona Ester io segui con gli occhi, commossa. Vide che la cameriera gli mostrava il bagno, gli dava un accappatoio e si avviava verso la camera sopra il garage (vuota perché l'autista si era licenziato) per metterla in ordine. Dona Ester s'avvicinò, disse al Gamba-Zoppa che si era fermato sulla porta del bagno: «Butta pure via i vestiti che porti. Maria José dopo ti porta qualcosa da mettere...». Il Gamba-Zoppa guardava la signora che se ne stava andando, e aveva addosso una gran rabbia, ma non sapeva se di lei o di se stesso. Dona Ester si sedette di fronte alla specchiera, rimase con lo sguardo fisso; vedendola si sarebbe detto che stesse guardando il cielo attraverso la finestra. Ma in verità, lei non guardava niente, non vedeva niente. Guardava, questo sì, dentro di sé, ai suoi ricordi di molti anni addietro, vedeva un bimbo dell'età del Gamba-Zoppa vestito alla marinara, che correva nel giardino dell'altra casa, da dove avevano traslocato dopo che lui era morto. Era un bimbo pieno di vita e d'allegria, gli piaceva ridere e saltare. Quand'era stanco di rincorrere il gatto, di fare l'altalena in giardino, di gettare la palla al cane lupo in cortile perché l'acchiappasse, veniva a buttare le braccia al collo di dona Ester, la baciava e restava con lei a guardare i libri di figure, a imparare a leggere, a tracciare le lettere dell'alfabeto. Per tenerlo con sé il più possibile, dona Ester e il marito avevano deciso di insegnargli a leggere e scrivere in casa. Un giorno (gli occhi di dona Ester si riempiono di lacrime) era venuta la febbre. Poi la piccola bara era uscita dal portone, e lei la guardava con occhi attoniti, incapace di capire che suo figlio era morto. Il ritratto di lui, ingrandito al formato d'un quadro, è ora appeso nella stanza di lei, ma è sempre coperto con una tendina, perché lei non ha piacere di rivedere il viso di suo figlio per non rinnovare l'angoscia. Anche il vestiario che lui usava è rinchiuso nel suo piccolo baule, e nessuno l'ha mai toccato. Ma ora dona Ester tira fuori la chiave dal cofanetto dei gioielli. E lentamente, molto lentamente, si avvia verso il baule. Tira verso di sé una sedia e ci si lascia cadere, con mani tremanti apre il bauletto. Osserva i pantaloni, le camicine, i vestiti alla marinara, i pigiamini e le camicie da notte con cui il bambino dormiva. Stringe al petti il vestitino alla marinara come se abbracciasse suo figlio. Scoppia in pianto. Ora un altro bambino, povero e orfano, è venuto a battere alla sua porta. Dopo la morte di suo figlio, mai più aveva voluto avere un altro bambino, non amava neppure vedere altri bambini, giocare con loro, per non ravvivare il dolore del ricordo. Ma uno, povero e orfano, storpio e triste, che diceva di chiamarsi Augusto come il suo figlioletto, aveva bussato alla sua porta, chiedendo pane, un giaciglio e un po' d'affetto. Per questo lei ha ora il coraggio d'aprire il bauletto dove conserva gli abiti che usava suo figlio. Per questo tira fuori il vestitino azzurro alla marinara, quello che a lui piaceva di più. Perché per dona Ester, suo figlio è tornato oggi sotto l'apparenza di questo ragazzino cencioso e storpio, senza padre, senza madre. Suo figlio è tornato, e le sue lacrime non sono più solo di dolore. È tornato suo figlio, macilento e affamato, con una gambina zoppa e vestito di stracci. Ma fra breve lui sarà di nuovo l'Augusto allegro e felice di quei tempi passati, e di nuovo verrà a gettarle le braccia al collo, e leggerà i grandi caratteri del sillabario. Dona Ester si alza. Porta con sé il vestitino azzurro alla marinara. Ed è vestito con quello che il Gamba-Zoppa mangia il miglior pranzo della sua vita. Se il vestito alla marinara fosse stato fatto su misura per lui non gli sarebbe andato meglio. Era perfetto, e il Gamba-Zoppa quando si guardò allo specchio del salotto quasi non si riconobbe. Era lavato, la cameriera gli aveva messo nei capelli la brillantina e del profumo sulla faccia. Il vestitino alla marinara era una bellezza. Il Gamba-Zoppa si rimirava allo specchio. Si passò la mano sui capelli, poi sul petto lisciandosi il vestito, sorrise pensando al Gatto. Avrebbe dato chi sa che perché il Gatto lo vedesse così elegante. Aveva anche le scarpe nuove, ma a dire il vero le scarpe lo rattristavano un po', perché avevano un fiocchetto, parevano scarpe da donna. Il Gamba-Zoppa trovava strano di essere vestito alla marinara portando scarpe da donna. Andò in giardino, perché aveva voglia di fumare, non mancava mai di farsi la sua sigaretta dopo mangiato. Alle volte non c'era da mangiare, ma un mozzicone di sigaretta o di sigaro si trovava sempre. Lì bisognava tare attenzione, non poteva fumare apertamente. Se l'avessero lasciato in cucina con le persone di servizio, come nelle altre case in cui si era introdotto per poi rubare, avrebbe potuto fumare, chiacchierare nel linguaggio spiccio dei Capitani della spiaggia. Ma questa volta l'avevano lavato, vestito di nuovo, gli avevano messo la brillantina nei capelli e il profumo in faccia. Poi l'avevano fatto mangiare in sala da pranzo. E durante il pranzo la signora aveva chiacchierato con lui come se fosse stato un ragazzino beneducato. Ora gli aveva detto di andare a giocare in giardino, dove il gatto rosso, che si chiamava Berloque, si scaldava al sole. Il Gamba-Zoppa va su una panchina, tira fuori di tasca il pacchetto di sigarette a buon mercato. Quando si era cambiato non aveva dimenticato le sigarette. Ne accende una e comincia ad assaporare ogni boccata, pensando alla sua nuova vita. Molte volte aveva già fatto la stessa cosa: penetrare in una casa presentandosi come un bambino povero, orfano e menomato, e a questo titolo restarvi il tempo necessario per fare un sopralluogo completo della casa, dei posti dove erano conservati gli oggetti di valore, delle uscite propizie ad una fuga facile. Poi i Capitani della spiaggia entravano in casa di notte, si portavano via gli oggetti di valore, e il Gamba-Zoppa, nel vecchio deposito, si sentiva invadere da una grande gioia: la gioia della vendetta. Perché nelle altre case, se lo accoglievano, se gli davano cibo e un posto dove dormire, lo facevano come compiendo un dovere fastidioso. I padroni di casa evitavano di avvicinarglisi, lo lasciavano nella sua sporcizia, mai avevano per lui una buona parola. Lo guardavano sempre come per chiedergli quando se ne sarebbe andato. E più di una volta la signora che si era commossa nel sentire la sua storia, raccontata sulla porta con voce rotta dai singhiozzi, e che lo aveva accolto, mostrava poi segni evidenti di pentirsene. Era opinione del Gamba-Zoppa che lo accogliessero per rimorso. Perché il Gamba-Zoppa trovava che tutti quanti erano colpevoli della situazione dei bambini poveri, di tutti loro. E li gratificava tutti di un odio profondo. La sua grande e quasi sola gioia era immaginare la rabbia impotente delle famiglie dopo il furto, nel pensare che il ragazzino affamato cui avevano dato da mangiare era stato quello che aveva fatto il sopralluogo in casa per indicare ad altri ragazzini affamati come lui dove si trovavano gli oggetti du valore. Ma questa volta la cosa si presentava in maniera diversa. | << | < | > | >> |Pagina 189Il vestitino le impacciava i movimenti, e lei voleva essere esattamente uno dei loro; allora lo cambiò per un paio di pantaloni che avevano dato a Barandào in una casa della città alta. Quei pantaloni erano enormi per il negretto, e lui li aveva offerti a Dora. Anche a lei erano grandi, le toccò tagliare un pezzo delle gambe per poterli portare. Se li strinse in vita con una cordicella come facevano tutti, il vestitino le serviva da camicetta. Se non fosse stato per i lunghi capelli biondi e i seni nascenti tutti l'avrebbero potuta prendere per un ragazzino, uno dei Capitani della spiaggia. Il giorno che, vestita come un ragazzino, comparve davanti a Pedro Proiettile, il ragazzo cominciò a ridere. Si rotolò perfino per terra da tanto rideva. Finalmente gli riuscì di dire: «Tu 'tà buffa...». Lei ci rimase male, Pedro Proiettile smise di ridere. «Non è giusto che voialtri mi dà da mangiare tutti i giorni. Ora anch'io faccio quel che fate voi». Il suo stupore non ebbe limiti: «Tu vuol dire...». Lei lo guardava calma, aspettando che terminasse la frase. «... che tu va con noialtri per la strada a arraffar le cose...». «Di certo», la voce della ragazzina era piena di decisione. «Tu è impazzita...». «Mica lo capisco perché». «Tu non lo vede che tu non può? Che questo non è roba da bambine. Questo è roba da uomini». «Come se voialtri era tutto omaccioni. È tutti bambini». Pedro Proiettile cercò una risposta adeguata: «Ma noialtri porta i pantaloni non le gonnelle...». «Anch'io», e mostrava i pantaloni. Sul momento lui non seppe che dire. La guardò pensieroso, senza più voglia di ridere. Dopo un po' disse: «Se la polizia ci piglia noialtri non è nulla. Ma se ti pigliano te?». «È uguale». «Ti schiaffano all'Orfanotrofio. Tu non s'immagina neppure com'è...». «Fa niente, no. Io ora vengo con voi». Lui si strinse nelle spalle, con l'aria di chi se ne lava le mani. L'aveva avvisata. Lei però sapeva bene che era preoccupato. Per questo aggiunse: «Tu lo vedrà che anch'io mi riesce di fare come tutti l'altri...». «Quando tu l'ha vista una donna a fare quel che fa un uomo? Tu non ce la fa neanche a fare a spintoni...». «Posso fare un'altra cosa».
Pedro Proiettile si rassegnò. In fondo gli piaceva il suo atteggiamento,
benché avesse timore delle conseguenze.
Percorreva con loro le strade, come uno dei Capitani della spiaggia. La città non le pareva più nemica: ora l'amava anche lei. Imparava a girare per i vicoli, per le erte, a salire in corsa sul tram, dietro alle macchine. Era agile come i più agili. Faceva sempre gruppo con Pedro Proiettile, Joào Grande e il Professore, e Joào Grande, che non la mollava d'un passo, era come l'ombra di Dora, si gonfiava di orgoglio quando lei con la sua voce amichevole lo chiamava «fratello». Il negro la seguiva come un cagnolino e si era dedicato completamente a lei. Era stupito delle qualità della bambina, la trovava quasi altrettanto coraggiosa che Pedro Proiettile. Diceva al Professore, meravigliato: «Ha fegato quanto un uomo...». Il Professore avrebbe preferito che così non fosse. Sognava di sorprendere uno sguardo di tenerezza negli occhi di Dora, ma non di quella tenerezza materna che lei riservava ai più piccoli e ai più tristi, come Siccità e Lecca-Lecca. Neppure desiderava uno sguardo fraterno come quelli che lanciava a Joào Grande, al Gamba-Zoppa, al Gatto, a lui stesso. Voleva una di quelle occhiate piene d'amore che lei lanciava a Pedro Proiettile quando lo vedevva in fuga davanti alla polizia o davanti a un tizio che dalla porta di un negozio gridava: «Al ladro! Al ladro! M'hanno derubato...».
Quegli sguardi lei li riservava solo a Pedro Proiettile, e lui
neanche se ne accorgeva. Il Professore ascolta gli elogi di Joào
Grande, ma non sorride.
Pedro Proiettile quella sera era arrivato al magazzino con un occhio gonfio e il labbro livido, sanguinante. Aveva incontrato Ezequiel, il capobanda d'un altro gruppo di ragazzini mendicanti e ladri, un gruppo molto più esiguo e meno ordinato di quello dei Capitani della spiaggia. Ezequiel era accompagnato da altri tre del suo gruppo, fra cui uno che era stato espulso dai Capitani della spiaggia per essere stato sorpreso a derubare un compagno. Pedro tornava dall'aver accompagnato Dora e Zé Fuinha ai piedi dell'erta del Taboào perché rientrassero al magazzino. Joào Grande aveva da fare e non poteva accompagnare Dora. Pedro Proiettile aveva pensato di andare lui ad accompagnarla, per non lasciarla sola a traversare l'arenile. Ma siccome la notte non era ancora calata, non c'era pericolo che qualche negro tentasse di darle addosso. Inoltre doveva andare a riscuotere qualche soldo dal Gonzales del «14», in pagamento d'una incursione che avevano fatto agli ori d'un riccone arabo. Mentre camminava in direzione del «14», Pedro Proiettile pensava a Dora, ai capelli biondi che le ricadevano sul collo, al suo sguardo. Era bella, come una fidanzatina. Fidanzata... non ci poteva pensare... Non voleva che gli altri del gruppo si sentissero in diritto di pensare a qualche mascalzonata con lei. E se lui avesse detto a Dora che la considerava come la sua fidanzata, un altro avrebbe potuto credersi in diritto di dirle la stessa cosa. E allora non ci sarebbe stata più legge né ordine fra i Capitani della spiaggia. Pedro Proiettile si ricorda che lui è il capo... Cammina talmente assorto nei suoi pensieri che quasi va a sbattere contro Ezequiel. Tutti e quattro stanno piantati davanti a lui. Ezequiel è un mulatto alto, fuma un mozzicone di sigaro. Pedro Proiettile si ferma anche lui, aspetta. Ezequiel sputa per terra: «Non lo vedi dove metti i piedi?... Sei diventato cieco?». «Ce vuoi?». Il ragazzino che aveva appartenuto ai Capitani della spiaggia chiede: «Come stanno quei finocchi?». «Non te ne ricordi più delle botte che t'hanno dato, i finocchi? Devi averci ancora il segno». Il ragazzetto digrigna i denti, si vuol buttare avanti. Ma Ezequiel lo trattiene con un gesto e avverte Pedro Proiettile: «Uno di questi giorni vengo a farvi una visita». «Che visita?», chiede Proiettile diffidente. «Dice che ora ci avete là una puttanella per tutti quanti...». «Tienti la lingua in bocca figlio di bona madre».
Il pugno mandò Ezequiel ruzzoloni, ma già gli altri tre s'erano buttati
addosso a Pedro.
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