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Pagina 9
[ inizio libro ]
Dal momento che lo chiede con tanta buona grazia,
giovanotto, io le dico: con le disgrazie basta incominciare.
E quando sono incominciate, non c'è niente che le faccia
fermare, si estendono, si sviluppano come una merce a buon
mercato e di largo consumo. L'allegria, invece, compare
mio, è una pianta capricciosa, difficile da coltivare, che
la poca ombra, che dura poco e che richiede cure costanti e
terreno concimato, né secco né umido, né esposto ai venti,
insomma una coltivazione che viene a costar cara, adatta a
quelli che son ricchi, pieni di soldi. L'allegria va
conservata nello champagne; mentre la
cachaça
tuttalpiú consola delle disgrazie, quando consola. La
disgrazia è una pianta dal legno resistente; a ficcarne un
germoglio nella terra, non c'è bisogno di occuparsene,
cresce da sola, frondeggia ne son piene le strade. Nel
cortile dei poveri, poi, amico mio, la disgrazia nasce in
quantità, non si vede altra pianta. Se un tizio non ha
la pelle indurita e la schiena incallita con calli di dentro
e di fuori, è inutile che ricorra agli
encantados,
non c'è
ebó
che tenga. E le dico un'altra cosa, mio bel signore, non
per darmi delle arie né per lodare a tutti i costi i poveri
diavoli, ma percbé è la pura verità: non c'è che il
popolino che abbia razza e coraggio sufficienti a far fronte
a tante disgrazie e continuare a vivere lo stesso. E adesso
che ho parlato e nessuno mi ha contraddetto, sarò io a
domandare: perché le interessa, fratellino, di conoscere le
disavventure di Teresa Batista? Forse che lei può metter
rimedio alle vicende passate?
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