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| << | < | > | >> |Indice5 Dall'Italia liberale alla dittatura 21 Scoppia la pace 43 Il conflitto sociale 81 L'Italia di allora 123 La lotta politica 159 Epilogo 184 Foto simbolo 186 Cronologia 190 Letture consígliate 191 Referenze fotografiche |
| << | < | > | >> |Pagina 5Un fondo rivisitato «Non c'è sollecitazione migliore della fotografia per capire che cos'è veramente, come vive in una determinata società un partito politico. Il riscontro dell'immagine è già una proposta di lettura non settaria che vale in primo luogo per misurare quanto la vita interna come linea politica e come sociologia si sia incontrata o scontrata con i grandi avvenimenti e temi, se e quando il rapporto si sia affievolito oppure rafforzato.» Cominciava cosí l'introduzione di Paolo Spriano alla Storia fotografica del Partito comunista italiana pubblicata dagli Editori Riuniti. Eravamo nel 1981 e, dopo due anni di ricerche in archivi pubblici e privati e di foto arrivate da tutta Italia a seguito dei ripetuti appelli lanciati dalle pagine dell'«Unità», il lavoro era compiuto. Restava il desiderio di approfondire ancora, di capire il motivo di certe assenze, di trovare un nuovo filone di ricerca. In quei tempi, fra l'altro, ero stata all'Archivio centrale di Stato per cercare nel casellario politico le foto segnaletiche delle donne e degli uomini che si erano opposti al fascismo. E parlando della mia ricerca con i funzionari dell'Archivio mi furono mostrate le casse in cui era conservato il materiale raccolto agli inizi degli anni Trenta per la Mostra della Rivoluzione fascista. Stavano cominciando a esaminarlo in quei giorni e mi permisero di visionare le prime cose raccolte. Uscirono fuori da quelle casse le foto dei primi anni Venti invano cercate in ogni angolo d'Italia: la serie completa del congresso socialista di Livorno del 1921, le occupazioni delle fabbriche a Toríno, Milano, Firenze, le lotte contadine, le riunioni operaie, le feste popolari; foto private e foto pubbliche raccolte dal regime, utilizzate in piccola parte per avvalorare tesi precostituite, sottratte nella maggior parte alla conoscenza per censurare la memoria di quel periodo di fermento. Il ricordo di quelle casse e il desiderio di concludere un lavoro incompiuto mi hanno spinto a scegliere il periodo che va dalla fine della prima guerra mondiale agli inizi del fascismo - del fascismo non ancora regime - per questa nuova ricerca. Un periodo brevissimo, solo sei anni, denso di tensioni, con aspettative contrastanti ma sempre forti. La guerra è appena finita, la sua ferocia ha tolto ogni possibilità di mediazione. Le passioni sono uscite allo scoperto, il popolo ha scelto e si è schierato, la borghesia aspira a rinnovarsi, a staccarsi definitivamente dall'Ottocento; l'età nuova ha una sola parola d'ordine: modernità. Le donne mettono in discussione il ruolo di «angelo del focolare domestico», hanno interessi politici, chiedono il voto. A Roma nel maggio 1923 si riuniscono le delegate al congresso dell'Alleanza internazionale per il suffragio femminile. La stampa ironizza, cerca di minimizzare... «Quelle care donne fornite di voto sembravano nutrire un'infinita pietà per le creature alle quali non è ancora dato di deporre una scheda nell'urna, quasi che l'esperienza non abbia ormai dimostrato che il suffragio femminile non altera minimamente i resultati delle elezioni e l'equilibrio dei partiti nei paesi dove è stato applicato: rivelando che, tranne insignificanti eccezioni, prodotte generalmente dal voto delle zitelle, le donne maritate votano per gli stessi candidati per cui votano i mariti. Intendiamoci: potrebbe anche darsi che siano i mariti a votare per i candidati che raccolgono le simpatie della moglie. Ma questo avverrebbe ugualmente anche se la donna non fosse elettrice.» | << | < | > | >> |Pagina 12Le origini del fascismoMa gli operai non sono i soli protagonisti di quella stagione. Anche i ceti agricoli e urbani legati alla rendita hanno perso potere e ricchezza a causa della guerra. Il conflitto ha creato inoltre un vero e proprio ceto di spostati. In particolare ha dato un nuovo status, e l'aspirazione a renderlo stabile, agli ufficiali inferiori di complemento, per lo piú piccolo borghesi che mal sopportano il ritorno alla routine della vita civile. In uno stato di precaria incertezza, infine, si trovano professionisti e possidenti, ceti sui quali si basava il sistema liberale ora in crisi. I Fasci di combattimento, fondati da Mussolini nel marzo del 1919 a Milano, nascono in questo quadro. La prima fase di vita del movimento coincide con il «biennio rosso», quindi con il successo del socialismo massimalista, la crisi del liberalismo e dello stato, un clima di confusione e incertezza. Un clima in cui può accadere che la lotta di nazionalisti ed ex combattenti contro socialisti e «rinunciatari» assuma anche atteggiamenti «di sinistra»: per la giustizia sociale e contro chi ha approfittato della guerra, per la giustizia internazionale e contro l'imperialisMo delle grandi potenze vincitrici. Chi meglio incarna in questa fase aspirazioni e velleità del nazionalismo combattentistico è Gabriele D'Annunzio. La sua influenza sull'opinione pubblica borghese, già notevole durante l'età giolittiana, raggiunge la massima ampiezza e, soprattutto, precipita in concrete scelte politiche nel 1919, quando alcuni circoli conservatori si servono del «poeta-guerriero» aiutandolo nell'impresa di Fiume per risolvere, certo in maniera favorevole all'Italia, la questione adriatica, ma soprattutto per preparare la strada a un colpo di stato militare ritenuto necessario di fronte al crollo dell'ordine costituito. Mussolini tuttavia si mostra assai piú abile di D'Annunzio, se non altro perchè a animato da ambizioni politiche che al «vate» sono assolutamente estranee. L'inerzia (e in qualche caso la complicità diretta) degli apparati istituzionali gli permette di rafforzare la componente armata del suo movimento al riparo da ogni intervento poliziesco: matura allora la consapevolezza - una delle piú significative eredità del passato sovversivo - che nello scontro di classe la parola decisiva spetta alla «forza», che, saltate tutte le mediazioni politiche, la spinta del movimento operaio poteva essere fermata soltanto militarmente. Violenza squadrista e connivenza istituzionali (magistratura, esercito) emergevano allora compiutamente come gli elementi ai quali oggi la storiografia riconosce un valore decisivo per l'affermazione del fascismo. Dal novembre 1920 l'offensiva delle squadre d'azione dilagava in tutto il paese: al 1° settembre 1921 - secondo i dati riferiti dal dirigente comunista Angelo Tasca - si potevano contare 726 sedi devastate, 166 militanti di sinistra uccisi, 500 feriti. L'elemento dinamico di questa offensiva era il fascismo agrario, una nuova componente che nell'agglomerato sociale e ideologico del movimento innestava schemi e comportamenti da guerra civile, direttamente mutuati dalla tradizione di sopraffazione feudale delle campagne italiane. Nasceva fuori dalle cinte urbane, intorno ai capi politico-militari che si ispiravano ai modelli arcaici dei «condottieri» come l'ala militante del fascismo, militarmente organizzata, provvista di armi e di mezzi di trasporto, mobilissima, pronta a colpire con rapide concentrazioni di ingenti forze le singole roccaforti operaie, impreparate a una lotta su questo terreno. L'efficacia delle azioni squadriste indicò in una soluzione di forza la prima tappa dell'unificazione politica della borghesia. Il fascismo, caratterizzato dagli agrari che in quella fase ne costituirono il primo «principio di organizzazione», si candidava ad essere lo strumento di questo processo assecondandone la tendenza a «fare da sé», a scendere in campo come corpo sociale senza piú deleghe politico-istituzionali a un personale politico giolittiano ormai in disfacimento. «La reazione è diventata cosi forte - scriveva Gramsci il 17 ottobre 1920 - che non ritiene piú utile ai suoi fini la maschera di uno stato legale: significa che vuole, per i suoi fini, servirsi di tutti i mezzi dello stato.» La Confindustria, infine, è il fatto nuovo della storia italiana. Nata nel dopoguerra per fronteggiare con un potere unitario le organizzazioni dei lavoratori e per esercitare un'influenza piú diretta sui poteri pubblici, è dominata, perlomeno inizialmente, dagli interessi delle industrie protette, prima fra tutte l'industria pesante, affermatesi nel corso del conflitto grazie soprattutto alle forniture militari; industrie incapaci di riconvertirsi, di cercare nuovi mercati confrontandosi con la concorrenza estera, di ampliare quelli interni elevando i consumi e il generale livello di vita, e preoccupate essenzialmente di continuare nella politica dei profitto facile. Gli industriali guardano inizialmente al fascismo come a uno strumento da utilizzare per i loro scopi immediati: come strumento di terrore contro le organizzazioni operaie, come mezzo di pressione contro gli eventuali propositi riformatori che possono venire dai governi. Nella crisi istituzionale che si va delineando, la grande industria si indirizza presto verso obiettivi piú radicali: fare dello stato uno strumento al suo diretto servizio; uno strumento che non solo la liberi dal «pericolo rosso» ma le dia anche la possibilità di sicuri profitti attraverso il protezionismo doganale, la compressione dei salari e la concessione di ogni possibile privilegio. Decisivi, lungo questo percorso, sono gli avvenimenti del 1921: il crollo dell'Ansaldo e dell'Ilva e di un gigante della finanza come la Banca italiana di sconto. È solo appoggiandosi a queste forze, a cui via via se ne aggiungono altre - larghi settori dell'apparato dello stato, una parte della vecchia classe dirigente liberale, la Chiesa, infine la stessa monarchia - che il colpo di forza del 28 ottobre 1922, la marcia su Roma, potrà risultare vincente. Quando Mussolini viene ricevuto dal re, il 30 ottobre del 1922, e incaricato di formare il governo, la crisi ha ormai toccato il suo punto piú alto. Il 28 ottobre, giorno della marcia su Roma, le squadre sono state costrette a bivaccare alle porte della capitale (faranno una rapida apparizione solo il 31, per ritornare la sera stessa ai luoghi di provenienza). Ma Vittorio Emanuele non ha voluto firmare lo stato d'assedio, e Facta, ultimo dei capi di governo del vecchio ceto politico liberale, ha dovuto cedere il passo a Mussolini. I Giolitti, gli Orlando, i Salandra non sono piú in grado di offrire una prospettiva al paese e né i socialisti né i popolari hanno saputo raccoglierne l'eredità. Il fascismo ha ormai via libera. |
| << | < | > | >> |RiferimentiLetture consigliate Per un inquadramento generale dei periodo si raccomandano alcune opere di sintesi che espongono con grande chiarezza i problemi relativi all'Italia del dopoguerra e all'avvento del fascismo: G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol.VIII: La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo, Milano, Feltrinelli, 1978; A. Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Roma-Bari, Laterza, 1974; N. Tranfaglia, La prima guerra mondiale e il fascismo, in Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, vol. XXII, Torino, Utet, 1995. Su aspetti piú specificamente legati all'immagine del fascismo nel suo primo periodo, si vedano: Archivio centrale dello Stato, Mostra della rivoluzione fascista, inventario a cura di G. Fioravanti, Roma,1990; M. Giordano, La stampa illustrata in Italia, Parma, Guanda, 1983. A metà degli anni sessanta i primi due volumi della biografia mussolíniana di Renzo De Felice provocarono vivaci polemiche alimentando il dibattito storiografico sul fascismo: R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965; Id., Mussolini il fascista, vol. I: La conquista del potere 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966. Di opposta ispirazione: R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L'Italia dalla grande guerra alla marcía su Roma, 2 voll., Bologna, Il Mulino, 1991. Sul Partito socialista: P. Nenni, Storia di quattro anni (1919-1922), Milano, Sugarco, 1976; G. Arfè, Storia del socialismo italiano. 1892-1926, Torino, Einaudi, 1965, nuova ed. 1977. Sulla scissione di Livorno e il Partito comunista: P. Spriano, Storía del Partito comunista italiano, vol. I: Da Bordiga a Gramsci, Torino, Einaudi, 1967. Sul Partito popolare: G. De Rosa, Il movimento cattolico in Italia. Il Partito popolare italiano, Bari, Laterza, 1966; F. Malgeri, Il Partito popolare ítaliano, in Storia del movimento cattolico ín Italia, diretta da E. Malgeri, Roma, Il Poligono, 1980. Sul Partito fascista: E. Gentile, Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Roma-Bari, Laterza, 1989. Sulle lotte degli agrari: R. Zangheri (a cura di), Lotte agrarie in Italia. La Federazione nazionale dei lavoratori della terra, Milano, Feltrinelli, 1960. Sull'arte degli anni dieci e venti: G. Ciucci, Dibattito sull'architettura e le città fasciste, in Storia dell'arte italiana. Il Novecento, Torino, Einaudi, 1982; R. Costantini (a cura di), La fotografia del Bauhaus, Venezia, Marsilio, 1993; P. Fossati, Pittura e scultura tra le due guerre, in Storia dell'arte italiana. Il Novecento, cit.; C. Salaris, Storia del futurismo, Roma, Editori Riuniti, 1985. Sulla fotografia nel periodo 1919-1925 si possono infine consultare: E.P Amendola (a cura di), Storia fotografica del Partito comunista italiano, Roma, Editori Riuniti, 1981; C. Bertelli, G. Bollati, Storia d'Italia. Annali 2: L'immagine fotografica 1845-1945, Torino, Einaudi, 1979; C. Colombo (a cura di), 100 anni di fotografia, Firenze, Alinari, 1984; A. Gilardí, Storia sociale della fotografia, Milano, Feltrinelli, 1976; Cgil (a cura di), Il lavoro della confederazione, Milano, Mazzotta, 1988; A. Scharf, Arte e fotografia, Torino, Eínaudi, 1979; W. Settimelli, Storia avventurosa della fotografia, Roma, Ciapanna, 1976. | << | < | |