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| << | < | > | >> |Pagina 13CAPITOLO 1Il sole rosso di Krypton era un gigante inquieto che incombeva sul cielo. Con i suoi strati gassosi e cellule di convezione grandi come pianeti produceva grandi bolle, come un calderone infernale visto al rallentatore. Le vaporose fiamme della corona danzavano attraverso l'abisso dello spazio, interferendo con le comunicazioni planetarie. Jor-El attendeva da molto tempo una tempesta solare come quella. Nel suo laboratorio isolato aveva monitorato le sonde solari, mentre effettuava con zelo tutti i preparativi. Il momento era arrivato. Lo scienziato visionario aveva preparato il suo equipaggiamento nel grande laboratorio di ricerca della sua tenuta. Jor-El non aveva assistenti perché nessuno su Krypton capiva esattamente che cosa aveva in programma di fare; infatti, solamente pochi sembravano interessati ai suoi esperimenti. I kryptoniani erano appagati. Troppo. A differenza loro, Jor-El raramente si sentiva compiaciuto o soddisfatto. Come esserlo, se poteva facilmente immaginare mille modi per migliorare il mondo? Lui era una vera anomalia nella "società perfetta". Lavorando da solo aveva calibrato la traiettoria dei raggi attraverso i concentratori di cristallo, aveva usato degli strumenti per l'allineamento laser al fine di aggiustare l'angolo d'intersezione dei dischi riflettenti, aveva controllato e ricontrollato il suo prisma brillante per evitare qualsiasi malfunzionamento. Dato che il suo lavoro era innovativo rispetto ai banali standard della scienza di Krypton, Jor-El aveva dovuto sviluppare e costruire da sé molti degli strumenti. Quando aprì la schiera di pannelli in lega posti sul soffitto del suo laboratorio di ricerca, una luce scarlatta filtrò all'interno. Presto il flusso solare avrebbe raggiunto il livello di cui aveva bisogno. La bramosia della curiosità scientifica lo aveva incentivato a dispetto del suo timore per il gigante rosso, che i sacerdoti avevano chiamato Rao. Monitorò i livelli di potenza visualizzati negli indicatori di cristallo. Nel frattempo, la luce solare era sempre più fulgida. Le fiammate continuavano ad aumentare. Anche se era giovane, i capelli folti di Jor-El erano bianchi come avorio e gli conferivano un aspetto regale. I dolci lineamenti classici del suo viso sembravano essere stati modellati direttamente dal busto di un antico nobile kryptoniano, come quello del suo illustre antenato Sor-El. Alcuni avrebbero potuto pensare che i suoi occhi azzurri guardassero fissi in lontananza, preoccupati, ma in verità Jor-El vedeva grandi cose che gli altri non potevano nemmeno immaginare. Attivò i suoi cristalli di regolazione disposti con cura e diede inizio a una melodia armonica di lunghezze d'onda. Sul tetto, i pannelli a specchio inclinati fecero collidere e concentrare i loro riflessi in un prisma centrale. I cristalli prendevano solamente un preciso segmento dello spettro, quindi deviavano il raggio filtrato dentro una vasca parabolica di specchi di mercurio semitrasparente. Al crescere dell'intensità della tempesta solare, gli specchi di mercurio iniziarono a ondeggiare e bollire. Come prevedeva il progetto, Jor-El prelevò velocemente un cristallo d'ambra e lo inserì nel suo alloggiamento nella griglia. Sentiva le sfaccettature lucide già calde sulla punta delle dita. Il raggio primario si divise in una ragnatela luminosa che mise in connessione il labirinto di specchi e cristalli. Dopo alcuni istanti, se il suo esperimento avesse funzionato, Jor-El avrebbe aperto una porta su un'altra dimensione, un universo parallelo – e forse su più di uno. Il grande edificio isolato situato a molti chilometri da Kandor era adatto a Jor-El. Il suo laboratorio di ricerca era grande come una sala ricevimenti. Mentre altre famiglie kryptoniane avrebbero usato quel grande spazio per balli in maschera, festini o rappresentazioni, il padre di Jor-El aveva costruito quell'edificio come celebrazione della scoperta, un posto dove ogni quesito poteva essere esaminato senza badare alle restrizioni tecnofobiche imposte dal Consiglio di governo kryptoniano. Jor-EI aveva saputo far buon uso di quelle attrezzature. Per un esperimento di tale portata, aveva preso in considerazione l'idea di chiamare suo fratello da Argo. Benché poche persone potessero vantare una genialità pari a quella di Jor-El, il fratello dai capelli scuri Zor-El, nonostante i suoi occasionali scatti d'ira, sentiva il suo stesso bisogno bruciante di scoprire ciò che ancora era ignoto. Nella loro cordiale rivalità di vecchia data, i due figli di Yar-El cercavano spesso di superarsi a vicenda. Se quell'esperimento avesse avuto successo, lui e Zor-El avrebbero avuto a disposizione un nuovo universo da studiare. Jor-El prelevò un altro cristallo dalla griglia di controllo, lo ruotò e lo reinserì. Mentre la luce brillava più luminosa e i colori s'intensificavano, diventò sempre più assorto nel fenomeno che stava accadendo. Segregati nelle loro soffocanti stanze nella capitale, gli undici membri del Consiglio di Krypton avevano vietato lo sviluppo d'ogni sorta di navicella spaziale, eliminando qualsiasi possibilità di esplorare l'universo. Grazie ai documenti antichi, i kryptoniani erano ben consapevoli che ci fossero altre civiltà nelle ventotto galassie allora conosciute, ma il restrittivo governo aveva insistito nel tenere íl pianeta isolato, «per la loro protezione». Quella regola era stata osservata per così tante generazioni, che molte persone ormai l'accettavano come dato di fatto. Nonostante ciò, il mistero di altre stelle e pianeti aveva da sempre incuriosito Jor-El. Non era uno che infrangeva le leggi, non aveva importanza quanto potessero essere frivole le restrizioni, tuttavia era disposto a trovare delle soluzioni per aggirarle. Loro non potevano impedirgli di viaggiare con l'immaginazione. Certo, il Consiglio aveva proibito la costruzione di navicelle spaziali, ma secondo i calcoli di Jor-El, ci poteva essere un numero infinito di universi paralleli, innumerevoli Krypton alternative nelle quali ogni società poteva essere leggermente differente. Jor-El avrebbe potuto quindi viaggiare in un modo nuovo – se solo avesse saputo aprire la porta di quegli universi. Non era necessaria nessuna navicella spaziale. Tecnicamente, non avrebbe infranto nessuna legge. Nel mezzo dello spazioso laboratorio dispose un paio di anelli argentati, del diametro di due metri, che giravano così da poter stabilire un campo di contenimento per l'evento singolare che sperava di creare. Monitorò i livelli di potenza. E aspettò. Quando l'energia solare si intensificò e raggiunse il suo picco massimo, un raggio della luce raccolta penetrò attraverso le lenti sul soffitto fino al centro del laboratorio di Jor-El, come una colonna di fuoco. I molteplici raggi si unirono in un unico punto, quindi rimbalzarono nel tessuto dello spazio. L'esplosione concentrata colpì come un pugno la realtà stessa aprendo un varco da qualche altra parte... o in nessun posto. Gli anelli argentati di contenimento si intersecarono, girarono più velocemente e mantennero aperta una punta di spillo che si espanse in un equilibrio di energia positiva e negativa. Appena la luce abbagliante si riversò dentro il piccolo granello di vuoto, lo strappo diventò grande come una mano, poi delle dimensioni di un braccio, fino a quando si stabilizzò su un diametro di due metri, estendendosi fino al bordo degli anelli. Un portale circolare si librò a mezz'aria, perpendicolare al pavimento... qualcosa che una persona curiosa poteva semplicemente varcare. Jor-El sapeva che dietro a quell'apertura avrebbe potuto trovare nuovi mondi da esplorare, infinite possibilità. Su un piedistallo di fronte alla porta sospesa, il dispositivo di controllo di cristallo emise una luce rossa e intensa. Per stabilizzare il sistema volatile tirò via il cristallo energetico secondario, quindi inclinò le parabole di mercurio per deviare il raggio solare principale. L'energia si disperse, ma il varco dimensionale restò aperto. Stupefatto, Jor-El si avvicinò. Molte volte aveva sentito il delizioso brivido della scoperta, l'ansia del successo quando un esperimento aveva prodotto i risultati che aveva previsto o, cosa altrettanto eccitante, risultati inaspettati. Quella porta aveva le potenziali caratteristiche di entrambe le situazioni. Quando lo strano portale smise di oscillare, rallentò cautamente il moto dei cerchi argentati rotanti, in modo che stessero fermi in aria in posizione verticale. Anche se l'ansia lo spingeva a muoversi con rapidità, la sua mente analitica ebbe la meglio. Dette inizio alla procedura di controllo. Per prima cosa, come un bambino che lancia un sassolino in uno stagno, prese una penna dal suo tavolo da lavoro e la lanciò dentro l'apertura con delicatezza. Non appena il sottile strumento toccò la barriera invisibile, s'illuminò e svanì completamente per ricomparire dall'altra parte, nell'altro universo. Jor-El poteva intravedere appena un riflesso sfuocato dell'oggetto fluttuare fuori dalla sua portata. Ma non poteva percepire nessun dettaglio dello strano posto che aveva scoperto. Desiderava sapere che cosa ci fosse dall'altra parte. Pieno di stupore, Jor-El si avvicinò al passaggio. Non vedeva nulla, letteralmente nulla; un pozzo senza fondo. Avrebbe voluto avere qualcuno al suo fianco. Un momento così importante avrebbe dovuto essere condiviso. Per il suo secondo test, Jor-El attaccò una lente di cristallo per la ripresa di immagini a un'asta telescopica non utilizzata, posta su una parete dell'edificio. Avrebbe esteso con attenzione l'asta attraverso la barriera, in modo da consentirgli di registrare ciò che racchiudeva, quindi avrebbe ritirato l'attrezzo. Avrebbe rivisto le immagini e deciso i prossimi passi da compiere. Avrebbe analizzato l'aria, la temperatura e l'ambiente dell'altro universo. Sapeva di essere destinato a esplorarlo prima o poi. Trattenendo il respiro Jor-El allungò l'asta telescopica e spinse il cristallo dentro i confini del vuoto con il movimento più lento e delicato di cui era capace. Improvvisamente, come se un turbine l'avesse inghiottita, si sentì tirare di colpo dall'altro lato, e venne risucchiato attraverso l'apertura insieme all'asta e al cristallo. In un battito di ciglia si trovò in mezzo al nulla, sospeso in un vuoto nero, non riusciva a sentire il suo corpo. Non percepiva nessuna gravità, nessuna temperatura, nessuna luce. Non gli sembrava nemmeno di respirare, non ne aveva bisogno. Era semplicemente un'entità fluttuante, completamente cosciente e staccata dalla realtà. Come se guardasse attraverso una finestra sporca, poteva intravedere degli scorci del suo universo. Ma non vi poteva fare ritorno. Jor-El urlò, ma subito capì che nessun altro poteva udirlo in quella strana dimensione. Gridò di nuovo, ma invano. Provò a muoversi ma non notò nessun cambiamento. Era disperso laggiù, così vicino a Krypton, eppure così lontano. | << | < | > | >> |Pagina 19CAPITOLO 2Mentre lavorava con il suo allievo apprendista intorno alla bizzarra struttura, Lara non riusciva a decidere se il progetto dell'edificio di Jor-El fosse il risultato di genialità o pazzia. Forse le due cose erano troppo simili per poter essere distinte. Rao risplendeva su "campane di luce", finissime fasce di metallo pendevano da sottili fili metallici che giravano sotto la pressione dei fotoni, producendo un turbinio di arcobaleni. Una torre a forma di spirale, lattescente, senza porte né finestre, sorgeva al centro della costruzione, come il corno di un gigantesco animale mitologico, che si assottigliava in cima fino a diventare una punta affilata. Le altre costruzioni annesse erano strutture geometriche uniche che si innalzavano da cristalli concavi ricoperti da interessanti disegni botanici. Il maniero dello scienziato solitario era un labirinto che si estendeva irregolarmente, ricco di archi e cupole; i muri interni si incontravano in angoli irregolari, intersecandosi in punti inaspettati. Un visitatore che avesse passeggiato attraverso quella caotica disposizione avrebbe potuto perdersi facilmente. Anche se Jor-El spendeva gran parte del suo tempo nel disordinato laboratorio, sembrava aver capito che mancava qualcosa all'edificio che il padre gli aveva lasciato. I muri esterni di pietra lucida color calce richiedevano, come fossero tele intonse, la presenza di opere d'arte. Il grande scienziato aveva deciso di rimediare e aveva incaricato un gruppo di artisti talentuosi guidati dai famosi genitori di Lara, Ora e Lor-Van. Lara voleva lasciare il suo segno, separato da quello dei suoi genitori. Era una persona adulta, indipendente e piena di idee. Avendone la possibilità, immaginava di creare un'opera unica e particolare che forse anche Jor-El avrebbe notato (se l'affascinante ed enigmatico uomo si fosse mai preso la briga di uscire dal suo laboratorio). Un giorno Krypton l'avrebbe riconosciuta come un'artista fantasiosa, ma quello non era tutto ciò che desiderava. Lara sperava di andare oltre, non voleva limitare le proprie possibilità. Non solo un'artista. Si considerava anche una narratrice molto creativa, una storica, una poetessa e una compositrice di storie che evocavano la grandiosità di Krypton e la sua eterna età dell'oro. I suoi lunghi capelli terminavano in boccoli che le cadevano lungo le spalle; ognuno virava verso il colore dell'ambra. Per esercizio, Lara aveva cercato di dipingere un autoritratto (per la precisione tre volte), ma non era mai riuscita a riprodurre i propri occhi verdi, sconvolgenti, e nemmeno il mento affusolato o le labbra come boccioli di rosa che curvavano all'insù in un frequente sorriso. Suo fratello dodicenne, Ki-Van, dal naso lentigginoso, gli occhi curiosi e i capelli scompigliati color paglierino, si era recato alla tenuta, che trovava molto più interessante di qualunque mostra di Kandor. Intorno all'edificio principale, squadre di giovani artisti si raggruppavano attorno ai genitori di Lara. Più che subalterni o assistenti, erano veri e propri apprendisti che imparavano da Ora e Lor-Van sperando di potere un giorno aggiungere il loro genio alla biblioteca culturale di Krypton. Il loro compito era di miscelare i colori, innalzare i ponteggi, collocare le lenti di proiezione in modo da trasferire i disegni che il maestro aveva tracciato la notte precedente. Se i genitori di Lara avessero fatto bene il loro lavoro, i kryptoniani non si sarebbero più concentrati sul tragico declino di Yar-El e sui disturbi mentali che avevano marcato gli ultimi anni di vita del povero vecchio, sopraffatto dalla Malattia dell'Oblio. Avrebbero invece ricordato la grandezza visionaria di Yar-El. Certamente, Jor-El sarebbe stato grato ai genitori di Lara per questo. Che cosa avrebbe potuto chiedere loro di più? Con l'agilità della gioventù, Lara si sedette a gambe incrociate su un rigoglioso pezzo di terra ricoperto di prato viola, una varietà d'erba scoperta nelle pianure selvagge che circondavano Kandor. Fissava quello che considerava essere il più inspiegabile oggetto sul terreno: dodici lastre levigate di roccia venata color marrone-rossiccio che si innalzavano intorno al giardino della costruzione, ognuna larga due metri e alta tre, tutte coi bordi irregolari. Obelischi che sembravano mani appiattite che spuntavano dal terreno, vuote e immacolate. Undici lastre erano disposte a intervalli regolari, ma la dodicesima era sorprendentemente fuori asse rispetto alle altre. Che cosa voleva comunicare il vecchio Yar-El? Era intenzionato a coprire gli obelischi con messaggi incomprensibili? Lara non l'avrebbe mai saputo. Anche se era ancora vivo, Yar-El aveva smesso da tempo di spiegare le visioni chiuse dentro la sua testa. Lara appoggiò il suo album per schizzi sulle ginocchia. Utilizzava uno stilo con punte intercambiabili per variare il colore dello strato di alghe elettromagnetiche, in modo da disegnare quello che aveva già dipinto nella sua immaginazione. Mentre sua madre e suo padre raffiguravano su murali gesta epiche che narravano la storia di Krypton, Lara aveva deciso di usare quei dodici obelischi lisci per un fine più simbolico, se Jor-El glielo avesse permesso. Era sempre più eccitata mentre pianificava quello che avrebbe realizzato su ogni lastra. Soddisfatta delle proprie idee, Lara congelò le immagini sull'album e si rialzò spazzolandosi via le chiazze di erba viola dalla gonna. Esuberante e determinata, si diresse in fretta verso le impalcature dove i suoi genitori stavano discutendo del miglior ritratto dell'Adunanza dei Sette Eserciti, che aveva avuto luogo secoli prima cambiando la società di Krypton per sempre. Lara, orgogliosa, alzò l'album. «Madre, padre, guardate questo. Vorrei avere la vostra approvazione per un nuovo progetto.» Era piena di energia, pronta a mettersi al lavoro. Lor-Van aveva legato i suoi lunghi capelli biondo rame in una ordinata coda di cavallo, per tenerli lontano dagli occhi espressivi e marroni, che mostravano il suo amore verso la figlia – così come la sua infinita pazienza. Cercava di accontentare Lara ogni volta che gli mostrava uno dei suoi nuovi (e spesso poco pratici) progetti, ma a lui sembrava ancora una bambina piuttosto che una donna con una propria volontà. Sua madre, tuttavia, era difficile da persuadere. Aveva capelli corti, color ambra proprio come Lara, ma chiazzati di grigio; come sempre, alcuni sbaffi di vernice punteggiavano le guance e le mani di Ora. «Che cosa hai fatto adesso, Lara?» «Ha realizzato un lavoro di perizia tecnica, nessun dubbio» suo padre la prese in giro «ma che va oltre la capacità di comprensione di miseri mortali come noi.» «Quei dodici obelischi» disse Lara trattenendo il respiro e indicando il più vicino. Si sforzò di parlare con forza e determinazione. «Voglio dipingerli, ognuno diverso dall'altro.» Senza nemmeno guardare gli schizzi, sua madre si girò dall'altra parte. «Questo va oltre lo scopo del nostro progetto. Jor-El non ci ha dato il permesso di toccarli.» Lara ritornò sull'argomento. «Ma qualcuno gliel'ha chiesto?» «È nel suo laboratorio, sta lavorando. Nessuno dovrebbe disturbarlo. Ho dovuto far allontanare tuo fratello perché stava facendo troppo chiasso.» Guardò suo marito. «Forse Ki dovrebbe seguire le lezioni nella scuola di Kandor come i ragazzi della sua età.» Lor-Van sbuffò. «Sta imparando molto di più con noi. Quando potrà capitare al ragazzo un'altra opportunità come questa?» Lara insistette con il suo progetto, non accettando la semplice risposta. «Jor-El ha mai detto espressamente di non disturbarlo mentre sta lavorando, oppure state solo facendo delle supposizioni?» «Lara, mia cara, lui è uno scienziato molto rispettato e noi siamo qui su sua richiesta. Non vogliamo essere invadenti.» «Perché hai paura di lui? Sembra una persona gentile e simpatica.» «Vedi Lara» disse suo padre con un sorriso bonario «noi non abbiamo paura di Jor-El. Noi lo rispettiamo.» «Bene, allora glielo andrò a chiedere io. Qualcuno deve chiarire quali sono i nostri limiti.» Si voltò determinata, ignorando gli ammonimenti dei genitori. Lara bussò alla porta del laboratorio, che era grande e decorata quasi come quella del tempio di Rao. Quando vide che nessuno rispondeva, bussò con maggiore insistenza. «Jor-El? Disturbo? Devo farti una domanda.» Aveva scelto le parole con cura. Quale vero scienziato si può negare a qualcuno in cerca di conoscenza? «Permesso?» Anche se sapeva che lui si trovava all'interno del laboratorio illuminato, sentiva solo l'eco del ronzio che proveniva dagli strumenti. «Sono una degli artisti, la figlia di Ora e Lor-Van.» Si soffermò su ogni parola, addentrandosi sempre di più, e aspettando una risposta. Lo spazioso laboratorio di Jor-El era pieno di cristalli che brillavano come banchi di luce. La grande stanza era un luogo magnifico, pieno di macchinari insoliti, esperimenti lasciati incompiuti, attrezzi distrutti e oggetti vari. Sembrava che quell'uomo perdesse interesse per un progetto una volta portato a compimento, pensò Lara. Non poteva capire un simile atteggiamento. Non riusciva a trovare lo scienziato. Era forse uscito di nascosto dalla tenuta? «Jor-El? C'è qualcuno qui?» Al centro del laboratorio si libravano immobili due anelli argentati che contenevano un... buco. E, avvicinandosi alla superficie intangibile del varco, vide Jor-El che fluttuava gesticolando confusamente, la sua figura sfocata e appiattita. Anche se le sue labbra si muovevano, non emettevano alcun suono. Lara avanzò in fretta, dimenticandosi il suo album per schizzi e i disegni. Alzò la voce. «Sei intrappolato?» Anche se lui cercava di risponderle, non riusciva a sentire cosa le diceva.
Accigliata, andò sul lato posteriore dei cerchi argentati, e
vi trovò Jor-El che la fissava nuovamente, come se fosse stato sigillato dentro
un piano bidimensionale. La sua curiosità
crebbe. «Questo è un esperimento? Non l'hai fatto apposta,
non è vero?» L'espressione disperata sul suo bellissimo viso
era l'unica risposta di cui aveva bisogno. «Non ti preoccupare.
Troverò il modo di farti uscire da li.»
Mentre fluttuava, intorpidito, nel vuoto sterile, Jor-El ebbe la consapevolezza di quel momento di amara ironia. Per anni aveva sognato un posto di quiete assoluta dove non potesse essere disturbato, un posto dove poter fare vagare i suoi pensieri e seguirli fino alla loro conclusione. Adesso, intrappolato in quel surreale e mortale silenzio, voleva solamente uscirne. Nel momento iniziale in cui era stato intrappolato aveva perso l'asta telescopica e il cristallo per le riprese. Infatti, appena era riuscito a orientarsi, si era girato verso il varco che dava sul suo universo, aveva spinto l'asta, ancora nella sua mano, verso l'apertura, ma la barriera l'aveva fatta rinculare, come se ci fosse una polarità differente nel lato in cui si trovava. Il cristallo era andato in frantumi, il bastone si era piegato ed era sfuggito alla sua presa, rotolando verso il nulla. Jor-El era sospeso come uno spettro. Dopo un po' di tempo, quasi come un premio di consolazione, la sua penna ritornò lentamente a portata di mano. Jor-El l'afferrò, non sapendo come potesse tornargli utile. Non aveva modo di sapere quanto tempo fosse trascorso. Si calmò e cercò di concentrarsi sulla sfida, invece di soccombere al panico. In una situazione normale, se si fosse trovato di fronte un problema insormontabile, Jor-El avrebbe usato il suo migliore dispositivo di calcolo, avrebbe lavorato con equazioni di stringhe infinite, avrebbe seguito i suoi ragionamenti matematici fino a conclusioni spesso sconvolgenti. Adesso, pensò, aveva solo la sua mente. Per sua fortuna, la sua mente era sufficiente. Era tempo di pensare! Rifletté sulla spiegazione fisica di quel buco nello spazio, cercando di capire come era stato trasportato in quel luogo e perché non poteva tornare indietro in modo altrettanto semplice. Una volta creato, il portale si sarebbe mantenuto da solo, non credeva di poterlo richiudere se avesse voluto farlo. Rifletté sui dati del suo dispositivo di controllo di cristallo, sul conseguente raggio di luce solare rossa e le parabole di mercurio, fino a che non escogitò una tecnica che poteva funzionare per uscire da lì. Ma dal suo lato della barriera Jor-El era completamente impotente. Aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse dalla parte opposta. Mentre osservava il laboratorio, individuò un volto, un viso bellissimo come quello di un'eterea ninfa dei boschi. Le sue labbra si muovevano, ma non poteva sentire le sue parole attraverso la barriera. Quando Jor-El le urlò una risposta, capì che anche lei non poteva sentirlo. Erano entrambi tagliati fuori, separati da uno spazio tra gli universi. A Jor-El parve di riconoscere la giovane donna, avendola vista un paio di volte fuori dall'edificio. Ma certo, era la muralista che aveva invitato per abbellire le strutture del suo palazzo. Forse stava pensando di chiamare qualcuno per aiutarlo – ma chi poteva farlo? Nessuno, a parte forse Zor-El, che poteva usare le sue apparecchiature per capire che cosa fosse successo. Ma ci sarebbero voluti dei giorni per far arrivare suo fratello da Argo. La giovane donna camminò avanti e indietro nel suo campo visivo, immersa in profondi pensieri. Jor-El trovò esasperante il fatto di avere escogitato una possibile soluzione, ma che non fosse possibile spiegarla a lei. Se solo avesse potuto far invertire alla ragazza la polarità del cristallo centrale, sarebbe potuto uscire. Ma Jor-El non sapeva come comunicarle le sue istruzioni. Dimostrando una sorprendente pazienza, la donna pulì il suo album per schizzi e iniziò a scrivere l'alfabeto kryptoniano. Lui capì subito cosa stava cercando di fare. Sarebbe stato un metodo lento, ma dato che lei poteva vedere la sua faccia, avrebbe cercato di scrivere le parole un simbolo alla volta.
Jor-El si aggrappò a quel filo di speranza e iniziò a comporre
il suo messaggio.
Lara salvò i suoi disegni nell'album, pulì lo schermo e iniziò a lavorare al problema. All'inizio scrisse delle domande a cui lui poteva rispondere con un semplice movimento del capo. Era in difficoltà? Sì. Stava soffrendo? No. Si trovava in imminente pericolo? Un'esitazione, quindi rispose con un no. Voleva che lei lo aiutasse? Sì. Sapeva come tornare indietro? Una pausa, poi un sì.
Presto lei si rese conto che non poteva attingere informazioni
sufficienti in questo modo. Alla fine, picchiettando meticolosamente su una
lettera alla volta con lo stilo e aspettando che
lui scegliesse quella giusta, trascrisse il suo messaggio.
Con sguardo costernato, Lara scrisse: «Che cos'è lo schieramento principale?», «Cos'è il cristallo principale?», «Come faccio a invertire la polarità?». Ma poteva ottenere solo una risposta alla volta.
Era luogo comune dire che spesso Jor-El parlava di cose
incomprensibili per la maggior parte dei kryptoniani. Aveva
creato un divario tra se stesso e la stragrande maggioranza dei
cittadini, i quali erano contenti di accettare quello status quo.
Nel tempo che ci volle per sillabare la sua incomprensibile
seconda risposta, lei non sapeva ancora che cosa fare.
Lara si guardò intorno, ma tutta la stanza era piena di strani strumenti, nessuno dei quali le era familiare. A quale domanda lui stava cercando di rispondere? Trovò molti pannelli di cristallo, fasci di luce riflettente e strumentazioni che emettevano un ronzio. Alla fine decise di fare quello che sapeva far meglio, una forma di comunicazione che non dipendeva dalla matematica o da termini tecnici. Lara schizzò dei tratti veloci con il suo stilo, e disegnò tutto ciò che c'era nella stanza. Di nuovo, nonostante il processo meticoloso, alzò l'album davanti allo sguardo di Jor-El, mostrandogli le immagini. Indicando ogni apparecchiatura con lo stilo, gradatamente restrinse il campo di ricerca a quegli elementi che lui le indicò. Alla fine, seguendo con precisione le istruzioni dello scienziato (per quanto potesse capirci) localizzò il gruppo dei cristalli di controllo. Jor-El era teso, mentre Lara si sentiva adrenalinica. Si chiedeva se il pover'uomo stesse iniziando a dubitare della sua teoria, ma lei non nutriva nessuna riserva. Credeva in lui. Lara individuò quello che Jor-El chiamava "cristallo principale", che brillava di una chiara luce verde smeraldo. Quando lo fece scivolare fuori dal suo alloggiamento, la luce del cristallo si spense immediatamente; lo capovolse e lo reintrodusse di nuovo dal lato opposto. Improvvisamente, l'oggetto vitreo emise un bagliore scarlatto. Gli anelli argentati galleggianti che incorniciavano il buco dimensionale iniziarono a girare come sottili lame di un rasoio, quindi ruotarono in senso inverso ed espulsero Jor-El di testa dall'altro universo. Disteso sul pavimento dove era caduto, si spazzolò i suoi pratici pantaloni bianchi e la tunica – rimasti immacolati dalla dura prova – e scosse la testa per riprendersi. Lei gli corse incontro e lo prese per le braccia tremanti, aiutandolo a rialzarsi. «Jor-El! Stai bene?» Trovava a stento le parole. Prima arrossì, poi sorrise. «Che esperienza affascinante.» Quando la guardò, i suoi occhi azzurri scintillarono, gli sembrava di vedere in Lara qualcosa che nessun altro aveva mai visto. «Mi hai salvato la vita. Ma soprattutto, mi hai salvato dal rimanere intrappolato per sempre in quella... zona fantasma.» Lei continuò a sorreggerlo. «Mi chiamo Lara. Mi dispiace per il modo poco ortodosso di fare la tua conoscenza.» Decise di aspettare ancora un po' prima di chiedergli il permesso di dipingere i dodici obelischi. | << | < | > | >> |Pagina 130CAPITOLO 18Sola nella regione selvaggia, sopravvivendo grazie all'istinto e alle sue abilità, Aethyr si fece strada attraverso uno scenario impervio. Dopo settimane di ricerca, finalmente arrivò alle grandiose rovine di Xan, la fortezza abbandonata del destituito dittatore Jax-Ur. Aveva studiato i documenti storici, analizzato le antiche mappe, seguito le strade a lungo abbandonate. L'antica metropoli non era difficile da trovare. Aethyr provò disprezzo per tutti quei kryptoniani che non si erano mai preoccupati di studiarla. In origine, Xan era stata costruita nel punto d'incontro delle più importanti rotte commerciali, quando le carovane attraversavano le aride pianure dalle montagne costiere fino al grande bacino fluviale. Nei secoli, dopo la sconfitta del tiranno, con il graduale sviluppo della tecnologia e dei trasporti, i kryptoniani avevano smesso di usare le vecchie strade carovaniere e così la capitale abbandonata di Jax-Ur fu lasciata decadere in quella terra desolata. Ora Aethyr l'aveva ritrovata. Per secoli la storica città era rimasta inviolata dai ricercatori e dai cacciatori di tesori. I cacciatori di tesori! Sbuffò al pensiero. Come se qualcuno di loro fosse ancora in giro... Quella professione richiedeva ambizione. Quando Aethyr poté finalmente contemplare le rovine dalla collina che dominava la città un tempo, imponente tirò un sospiro di sollievo. I palazzi più alti erano andati distrutti, le torri svettanti si erano spezzate a metà, rimanevano solo le macerie di ciò che una volta erano stati grandi viali e viadotti. È probabile che altri avessero visto quel luogo, provando un senso di nostalgia e smarrimento, ma Aethyr intuiva la grandiosità dei tempi andati, quando i governatori di Krypton avevano lasciato un'impronta unica piuttosto che consolidare lo status quo di generazione in generazione. La storia definiva Jax-Ur un tiranno atroce, ma Aethyr sapeva che la storia spesso sbagliava. Ogni cronista "obiettivo" aveva i suoi pregiudizi. Quando Rao tramontò come un pezzo di brace all'orizzonte, Aethyr impresse il panorama nella memoria: le torri scanalate, i pinnacoli cilindrici e le altissime piramidi erano ricoperte di cristalli delicati. Ogni palazzo era stato progettato per ostentare la gloria di Jax-Ur. Il cielo a quelle latitudini era più rosso, il clima più caldo e più asciutto. L'erba era secca e marrone, anche gli affioramenti di roccia erano bruni, sembravano arrugginiti. Il calore del giorno diminuì improvvisamente con il tramonto, portando forti venti aridi tra le pianure. Brezze turbolente gemevano tra le torri distrutte ma ancora ricoperte di cristalli, frusciando e sibilando attraverso le cavità come se i pinnacoli fossero i componenti di un grande organo a canne. Aethyr si tolse lo zaino, lo posò in una cavità ricoperta d'erba e decise di accamparsi fuori dall'antica città fantasma. Assaporando già ciò che l'aspettava, voleva dedicare almeno un intero giorno all'esplorazione di Xan. L'eccitazione forte la fece sentire viva. Sistemò le coperte e decise di non preoccuparsi di montare la tenda. Preferì stare all'addiaccio per ammirare l'alba e le stelle. Mangiò cibo liofilizzato, bevve acqua dalla borraccia e chiuse gli occhi ascoltando il lamento del vento attraverso le torri distrutte. Quelle note casuali e ossessionanti aumentavano e diminuivano di continuo. Aethyr immaginò che fosse il lamento delle innumerevoli vittime di Jax-Ur proveniente dal passato. Era una sinfonia che riusciva a comprendere, era diversa dalla composizione tradizionale chiamata Marcia di Jax-Ur. I suoi professori dell'Accademia la consideravano frutto del genio kryptoniano, ma Aethyr aveva sempre trovato il pezzo pretenzioso. Non era neanche certa che Jax-Ur stesso avesse commissionato la marcia. Tuttavia la sua amica Lara ne era sicura. Avevano passato molte settimane insieme discutendo di meriti letterari e musicali, dei classici e dei lavori dei geni. Quando andavano a scuola, avevano fatto tutte quelle cose impulsive e anticonvenzionali che ogni studente non si esime dal fare. L'Accademia considerava sufficiente per uno studente leggere i documenti ufficiali pubblicati negli archivi. Però Lara e Aethyr non erano d'accordo. Infatti, insieme a un piccolo gruppo di amici avevano condotto un'esplorazione per pura curiosità e conoscenza personale. Aethyr aveva cercato di essere la prima ad andare nei luoghi poco conosciuti, a fare cose che gli altri kryptoniani semplicemente non facevano. Dopo la laurea Lara si era tranquillizzata, forse cadendo nel tipico comportamento conformista, ma Aethyr non aveva mai ceduto. Si chiedeva dove fosse ora Lara... Si era sistemata nel suo accampamento, confortevole e caldo, fremeva per l'attesa. Xan la aspettava. L'indomani. Per svagarsi durante la sera, Aethyr prese il suo flauto dallo zaino. Era un semplice e antico strumento musicale, piccolo abbastanza per essere portato ovunque. Soffiò nell'imboccatura e portò le dita sui buchi per suonare melodie scritte da lei stessa. Aethyr si divertiva da sola sfruttando le proprie capacità.
Più tardi, non appena si coricò per dormire, rifletté su Xan:
intatta, inesplorata per decenni se non per secoli. L'indomani
l'antica città caduta sarebbe stata il suo campo di gioco. Lì,
Aethyr avrebbe cercato i segreti che nessun altro aveva avuto
il coraggio di scoprire.
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