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| << | < | > | >> |Pagina 3È successo. Dopo anni di deserto sentimentale, popolato solo da rari e consumati cialtroni, mi sono innamorata.È una sensazione magica, mi sembra che tutto sorrida, persino Torino è diventata allegra, una città piena di vita e di progetti. Dettaglio non trascurabile, mi sento una ventina d'anni in meno. A dire il vero, anche un po' sperduta e stordita come quando avevo diciotto anni e il futuro davanti a me appariva immenso, francamente troppo. E sai bene quanto abbia paura a essere felice. Senso dei propri limiti? Controllo del delirio di onnipotenza? Chi lo sa, ma di questo parleremo un'altra volta, adesso friggo per raccontarti la novità. Lui. Non so quanto dovrò pagare per questo regalo, ma siccome mi è stato recapitato con tanto di fiocco (sogni a occhi aperti), me lo tengo. Finché dura. Ahi, fa male solo a dirlo. Comunque, sto a vedere che cosa accadrà. Assieme a te, naturalmente. Quando abbiamo deciso di scriverci via e-mail sulle faccende di massima importanza, non pensavo a un esordio così cheap, perfetto per il tuo giornale. L'innamoramento tardivo. Ma questa è anche un'occasione speciale per confrontare il tuo minimalismo ormai agli sgoccioli (da quanto tempo non ti innamori più, Ilaria?) e il mio massimalismo sempre pronto a esplodere. Che ne dici? Torniamo a lui. Naturalmente è la persona sbagliata, come avrai già immaginato. Sposato, e della categoria «così soddisfatti che ci sembra giusto essere rimborsati. O meglio, ricompensati». Magari con un ghiotto dessert, con tanto di ciliegina. La stranezza sta nel fatto che come ciliegina abbia scelto me, ingombrante frutto candito: e pure con una taglia che non è propriamente la tua. Il che depone a suo favore. Non ti offendere, ma lo diceva anche qualcun altro che le donne belle sono per gli uomini senza fantasia... A proposito, come va con l'ineffabile Franco? Scusami, oggi sono così egoista. Effetto collaterale della malattia amore: sembra impossibile che qualcun altro provi una simile beatitudine. | << | < | > | >> |Pagina 40Da brava masochista orgogliosa, aveva inaugurato il cosiddetto nuovo corso: non dovevano più considerarsi due persone che stavano insieme (pur standoci). «Smettila di menartela con tutti questi complessi di colpa», lo rassicurava, «mica sono una sciura Pina qualsiasi a caccia di una sistemazione.» «Ci vediamo quando ci va, nessun impegno, nessun problema.» Da buoni amici. Due Sic, due Single In Coppia - anche se lui era ancora un po' tanto sposato.Che donna spiritosa, che donna brillante. Chissà perché, adesso era brillante in tutto: giornalista brillante, umorista brillante. Più perdeva sicumera, più perdeva smalto, più brillava. Bizzarri meccanismi della sorte. Con le sue trovate da quattro soldi aveva pure scritto due libercoli: l'ultimo, Sic e sigh, era stato in classifica, nonostante i tempi grami (evidentemente, le metropoli pullulavano di scoppiati soli e infelici, ma cultori dell'umorismo brillante). In verità, a parte Daria, che bruciava più che brillare, l'unica persona brillante che aveva conosciuto di recente era quella strana ragazza, Roberta. La metteva persino in soggezione con il suo sguardo penetrante, la faceva sentire opaca, arida, cinica. Quella ragazza di ventisei anni aveva talento da vendere, sprizzava voracità per le cose sane della vita: la fiducia in se stessi, per esempio, alla faccia delle noiose regole del mondo, alla faccia degli uomini sbagliati, alla faccia dell'orrenda gavetta giornalistica (un misto di arrivismo ottuso e di faticaccia inutile). La sua sgamata sottoposta sembrava aver già capito tutto. Le era proprio simpatica, quella lenza di Roberta, anche se sapeva che la cosa non era reciproca. Del resto, come poteva pretenderlo? Si era quasi trasformata in una di quelle donne che aveva sempre detestato, quelle manager che pensano solo al lavoro, sempre sull'orlo di una crisi di nervi, con una vita affettiva puntellata sulle ceneri di tracolli sentimentali continui. Le persone riuscite riescono in tutto, hanno una pagella con voti buoni in ogni materia. Vita sentimentale di Ilaria Corsini: due meno. Che intesa era mai, la sua con Franco? Una toppata amara, ecco cos'era. Se non metteva uno zero tondo era solo perché lui la ispirava, con la sua codardia: mentre prosciugava le sue ormai scarse possibilità d'amore, le forniva gratis un intero repertorio di spunti umoristici. La disillusione di Ilaria si stava polverizzando per orgoglio in soda caustica. Un dolore silenzioso, in briciole piccole piccole, che lui poteva pure far finta di non vedere, per non sentirsi cattivo. Che orrore. E Franco non voleva nemmeno essere cattivo: in fondo al suo cuore di codardo si nascondeva un animo buono (oppure essere cattivi costa troppa fatica?). All'inizio della loro storia, Franco, folgorato dalla passione e forse sotto l'effetto di psicofarmaci, si era presentato come un leone temerario. Erano passati poco più di due anni e mezzo, e sembrava una vita. Ilaria non pensava volentieri a quei primi mesi. | << | < | > | >> |Pagina 73Si vede che era la festa nazionale della litigata con la mamma: finita l'inchiesta, mandata la missiva a Daria, Ilaria aveva litigato con Claudia, la sua angelica mammotta. L'esatto contrario, da quel che ne sapeva, di Dolores. Una di quelle mamme così buone che fanno sentire perennemente in colpa (ragion per cui, a loro volta, si sentono perennemente in colpa). Il massimo del faticoso, insomma. Discreta, rispettosissima delle scelte di Ilaria. Pur non avendone capita nemmeno una. Non aveva capito il suo matrimonio con Vanni, anche se poi aveva amato Vanni finché Vanni aveva amato sua figlia. Non capiva ora quel suo strano rapporto con Franco, di cui sapeva pochissimo, quel pochissimo che bastava a farle dedurre che lui non stravedeva per la sua bambina. Claudia, Claudia: in un angolo del suo cuore un po' avvizzito, Ilaria la sentiva maledettamente sua. Nonostante cercasse invano di difendersi dall'amore claudiesco, fatto di rinunce, raccomandazioni e canottiere di lana, un amore formato famiglia che protegge, ingabbia, ricatta, omologa, impedisce di spiccare il volo (o evita lo sfracello). Un amore, come tutti gli amori pretesi dal sangue, e non capitati on the road, che toglie libertà a chi ama e non lascia scampo all'amato. La sentiva un pezzetto di sé, ma in tutta la sua giovinezza aveva cercato forsennatamente di staccare da sé quel pezzetto, chiamiamolo pure cordone ombelicale. Essere la figlia di, la nipote di, la sorella di non le piaceva affatto, anzi, detto fuori dai denti, la soffocava. L'appartenenza: una mortificazione intollerabile per il suo ego dilatato, una palla al piede per le sue fragili forze, un buco troppo angusto per il suo scazzo cosmico. Lei voleva essere Ilaria e basta, leader di se stessa, leader della propria rivoluzione. E com'era ingenuo, allora, il suo miraggio inconsapevole di ventenne: realizzarsi come avventuriera, spiccare il volo dal suo territorio sovraffollato per conquistare orizzonti più vasti e liberi. Per respirare a pieni polmoni, per diventare il capo riconosciuto di un suo mondo, di una sua tribù. Per essere in grado di portare, dopo il trionfo, meravigliosi doni a tutti, principalmente a Claudia, che l'avrebbe ringraziata per essere scappata da lei (ma il dono più grande che Ilaria poteva fare a Claudia non era quello di restare? Che catastrofe, la famiglia). In fondo, a quel tempo, non le sembrava di pretendere chissà che. Alla faccia. Lei non era, non sarebbe mai stata Ilaria e basta: dalla nascita lei era Ilaria perché figlia di Claudia ed Ernesto, sorella di Francesco, nipote di Anna. Non era il capo di un tubo, era il membro di una famiglia scomoda (come tutte le famiglie) che apparteneva a un mondo ancor più scomodo affollato di pinocchi. Ilaria aveva sempre avuto bisogno di leggerezza: l'insostenibile pesantezza della vita (nascite e morti a ciclo continuo) l'affliggeva dalla punta dei piedi fino alle doppie punte dei capelli. Da figlia, da nipote, da sorella, Ilaria amava male, con la sensazione di soffocare da un momento all'altro. Tanto da avere bisogno di fuggire il più lontano possibile per respirare liberamente, senza il rischio di ferire né di farsi ferire, senza giudicare né farsi giudicare. | << | < | > | >> |Pagina 118Tre marmocchi in quattro anni: aveva sfornato subito i gemelli, in un exploit provocato da personalissimo training autogeno mamma is magic, la bimba invece era stata frutto di amorevole distrazione... a ciclo continuo li aveva accuditi, allattati, ripuliti da pipì e popò, medicati, ingozzati di omogeneizzati. Tre adorabili pesti che la facevano sgobbare come un mulo e che la rendevano a tratti felice, a tratti no. Ma chi l'aveva inventata la bubbola che le donne coi figli sono più equilibrate? D'accordo, Ilaria era l'esempio vivente di una donna ben poco equilibrata, ma anche Mariana in fondo in fondo non scherzava. Certi giorni si sentiva una bella frasca al vento, con tre pargoli attaccati. Che incoscienza.Quante volte Ilaria avrebbe potuto offenderla con le sue considerazioni antifamiglia, ma non era mai accaduto. Anzi, con lei si sfogava in libertà, poteva confessare tutte le sue smanie, i suoi cedimenti, i suoi rifiuti senza paura di venir fraintesa o, peggio, di suscitare moralistiche indignazioni. Con Ilaria si sentiva ancora per metà ragazza, per metà donna, e per niente mamma. O forse sì, anche mamma: perché una mamma dovrebbe traboccare solo di amore limpido e senza ombre?
Quando aveva scoperto di essere incinta di Titta si era sentita sopraffatta
dalla disperazione e dal disorientamento: una mongolfiera sballottata a
mezz'aria, sempre più lontano dalla giovinezza, fra nausee e occhiaie provocate
da notti insonni per strilli gemellari intermittenti. L'unica persona con cui
aveva avuto voglia di sputare il rospo, l'unica che non l'aveva offesa a morte
pretendendo da lei il martirio sfigato e coatto della mamma a oltranza, era
stata Ilaria. La più umana nella sua egoistica autosufficienza (che delitto
imperdonabile cercare di bastare a se stessi), la più simpatica con le sue
risoluzioni improbabili, proposte solo per farla sorridere, per tirarla su di
morale con il consueto repertorio di frizzi e lazzi.
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