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| << | < | > | >> |IndiceNell'ora che precede il tramonto 7 Quesalid. Lo stregone che non credeva nella stregoneria 11 Qualche verità sulle bugie. Miti, leggende e fake news 25 1. Il Medicine Show. La nascita della pubblicità 31 2. Il finto attacco di Gleiwitz. La fake news che forni il pretesto a Hitler 51 Fake o non fake. Un'idea di mondo 65 3. Ogni giorno ha il suo colore. La bufala del Blue Monday 71 4. L'isola della musica eterna. Quando le fake news alimentano (o generano) la leggenda 79 5. Nessie. La leggenda piú grande di una fake 89 6. Il lungo viaggio. Le bufale sugli immigrati 97 7. L'affare Roswell. La fake di Stato 107 8. Come ti faccio vedere le stelle. Mai stati sulla Luna 117 9. Non siamo soli nell'universo! L'annuncio dell'annuncio della Nasa 125 10. Pensionati contro alieni. I cerchi nel grano 131 11. I robot assassini. Quando la fake è una fake 143 12. Salva la app, salva il mondo. Le scie chimiche 151 13. La danza di Vottary. Le catene di sant'Antonio su WhatsApp 159 14. Un viaggio a sorpresa. La pubblicità comportamentale 165 15. La macchina della verità. Come smascherare un bugiardo 171 Nell'ora che precede l'alba 179 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Vogliamo sapere quello che succede nel vasto e mutevole mondo. E vogliamo saperlo mentre accade. Fino a qualche anno fa, per esserne informati, dovevamo scendere in piazza, raggiungere l'edicola e acquistare il nostro quotidiano preferito. O potevamo rimanere a casa ad attendere l'ora della messa in onda del primo telegiornale utile. Oppure, avremmo potuto girare la manopola della radio, alla ricerca di un radiogiornale. In ogni caso, fino a qualche tempo fa, saremmo stati noi ad andare in cerca di notizie. Anche oggi possiamo farlo ma, molto piú probabilmente, saranno le notizie a venire in cerca di noi. Attualmente, grazie alle tecnologie che portiamo sempre in tasca, le notizie riescono a raggiungerci ovunque. Veniamo cosí a conoscenza dei fatti principali del giorno, e anche di fatti molto meno importanti, quasi senza volerlo. In questo mare di informazioni che spesso rischia di travolgerci, c'è un tipo particolare di notizie sul quale ci soffermeremo. Si tratta delle fake news, le false notizie che possono rivelarsi molto pericolose perché mutano i nostri comportamenti, influiscono sulle nostre scelte e ci mettono in condizioni di rischio. Ci chiederemo cosa le generi, cosa le renda cosí insidiose e proveremo a capire se esistano dei modi per difendersene, specie quando navighiamo in internet. C'è chi sostiene che il Web sia la principale causa di decadenza del nostro tempo, a partire dall'imbarbarimento del linguaggio. Secondo questi detrattori, è necessario organizzare una fuga in massa dai social media e dalla rete. E c'è, invece, chi sostiene che il Web rappresenti un luogo virtuale nel quale è possibile socializzare, scambiare idee, apprendere e divertirsi. Eppure, per apprendere e divertirci, abbiamo bisogno di muoverci in un ambiente che abbia una irrinunciabile caratteristica: la possibilità di sbagliare. Attualmente, per come è concepito il Web, un errore durante la navigazione comporta un rischio troppo alto. Basta fornire i propri dati personali in maniera avventata per finire in qualche pasticcio. Viviamo un delicato momento di passaggio. Le tecnologie sono in costante evoluzione e, attraverso di loro, stiamo rivoluzionando il nostro modo di pensare ed esprimerci. Sempre piú labile, ad esempio, è diventata l'idea di «confine nazionale», sempre piú complesse le sfide che l'uomo deve affrontare. Molte di queste passano attraverso il Web. Io credo che stiamo vivendo il tramonto di un'epoca. E che, molto probabilmente, anche il Web, per come lo conosciamo, stia andando incontro a un profondo cambiamento. Pur essendo un fenomeno antico, le fake news oggi raccontano proprio questo: un mondo in crisi che fa sempre piú fatica a distinguere il falso dal vero. Noi esseri umani da sempre agiamo nel mondo, lo modifichiamo, lo riformuliamo e, forse, adesso, siamo finalmente sul punto di rifondarlo. Il libro che state per leggere ha come tema il rapporto tra verità e menzogna. Prima di affrontare una questione cosí delicata, però, permettetemi di raccontarvi una storia. Servirà per scaldare i motori prima di partire per questo lungo e appassionante viaggio. E ci aiuterà a familiarizzare con l'atmosfera che incontreremo in questa terra misteriosa, un paesaggio sospeso tra la realtà e l'invenzione, una giungla dove tutto può essere vero o forse nulla lo è. La storia che vi voglio raccontare si svolge in un'epoca lontana ed è ambientata nell'isola di Vancouver, in Canada. Come ogni storia che si conviene, anche questa ha un protagonista che non esiterei a definire «un eroe». Il suo nome è Quesalid. | << | < | > | >> |Pagina 25Miti, leggende e fake news Prima di partire in viaggio anche noi alla ricerca della verità, conviene che lo dica subito. Le bugie, quando sono ben raccontate, riscuotono tutta la mia simpatia. Io sono un bugiardo, lo confesso, piú o meno come tutti gli scrittori. Narrate davanti al caminetto, in un grande teatro o in un romanzo, quasi tutte le storie celano qualche menzogna. Evviva! Si tratta, in fondo, solo di frottole innocue, usate come fossero antiche spezie, giusto per insaporire un po' le storie, per esaltarne il gusto e il piacere provato da chi le ascolta. La menzogna, si sa, è antica quanto l'uomo. Pensate ai miti greci, a tutte quelle storie affollate da dèi e semidèi, centauri e sirene. Si tratta di racconti inverosimili, zeppi di assurde trovate e di palesi menzogne, eppure i Greci credevano ai loro miti. Cosí come noi crediamo ai nostri. Perché non esiste conoscenza priva di narrazione. E in ogni narrazione vi sono sempre delle bugie, piú o meno nascoste. Siamo fatti cosí, noi esseri umani, siamo macchine teneramente imperfette che per funzionare hanno bisogno di aria e di luce, di movimento e di riposo, di tante storie e di tante bugie. A mentire, però, non sono solo gli scrittori o gli antichi Greci. E, purtroppo, non esistono solo bugie innocue e spassose. Ve ne sono anche di pericolose. Bugie dalle quali è necessario imparare a difendersi. Bugie in grado di generare odio o di scatenare vere e proprie guerre. È questo il caso delle fake news. Ne avete mai sentito parlare? Le fake news sono un particolare tipo di racconto: sono notizie false, inventate da qualcuno e poi messe in circolazione e spacciate per vere. In Italia, spesso vengono chiamate «bufale». Con questo termine, identifichiamo, piú in generale, tutte le narrazioni truffaldine, quelle cioè in grado di «menarci per il naso», proprio come si fa con i buoi e i bufali quando ce li tiriamo dietro tenendoli per l'anello attaccato al naso. Le fake news sono bugie insidiose e, al tempo stesso, molto seducenti. Talvolta si fanno beffa della nostra «creduloneria». La maggior parte delle volte, però, possono essere molto pericolose. Se non vengono prontamente smascherate, sono in grado di modificare le nostre abitudini, di scompigliare i nostri progetti e, talvolta, di minare i piú profondi convincimenti. Potete incontrarle ovunque, sui giornali, in televisione, ma piú verosimilmente le incontrerete navigando in internet. Grazie al Web, soprattutto attraverso i social media, questo genere di menzogne riesce a raggiungere immense platee in pochissimo tempo. Ma niente paura. Se è vero che abbiamo bisogno delle bugie, è pur vero che possediamo tutti gli strumenti per smascherarle. Analizzare le menzogne, capire da dove nascano e per quale motivo, studiare il loro e il nostro funzionamento è l'unico modo che abbiamo per orientarci nella realtà e provare a migliorarla. Il Web è una risorsa preziosa, ci dice tutto quello che vogliamo sapere. Ma non ci dice come filtrare le informazioni, come separare le false dalle vere. Non esiste ancora un organo preposto a questo scopo. Un'autorità o un ufficio di controllo delle notizie somiglierebbe troppo a un organo di censura e finirebbe con il limitare la libertà di chi si muove in internet. Eppure non bisogna scambiare le regole con il controllo. La mancanza di regole ha reso violenta e volgare la comunicazione sul Web, in particolar modo sui social media, contribuendo a creare una visione del mondo e dei fatti spesso eccessivamente semplicistica. In questo modo, hanno avuto via libera molti banali pregiudizi e moltissime falsificazioni. Le storie che incontrerete provano a rispondere a queste domande: è possibile distinguere la realtà dalla menzogna? Riusciremo mai a smascherare i bugiardi? Esiste un metodo per rifondare il nostro rapporto con l'informazione, con i fatti e con la verità? Da questi interrogativi nasce il libro che avete tra le mani e che tenta di dire qualche verità sulle bugie. A questo punto, forse, vi starete chiedendo come potete fidarvi di me. Ebbene, per questa volta sento di potervi rassicurare. Quella che state per leggere è «verità vera», basata su fatti reali. Fidatevi, a volte gli scrittori sanno essere sinceri. Vi do la mia parola. Parola di scrittore. | << | < | > | >> |Pagina 65Un'idea di mondo Cos'è una fake news? Fake è tutto ciò che non dovrebbe essere una notizia e che non si dovrebbe trovare su un giornale. Le notizie possono essere vere o false. Se sono vere, aiutano il lettore a costruirsi un'idea del mondo. Se sono false, possono indurlo in errori di valutazione, spingerlo ad acquistare prodotti inutili, spaventarlo senza che esista un pericolo reale. Talvolta, hanno come scopo quello di illudere chi le ascolta, di fargli credere che i problemi abbiano una spiegazione semplice e un'agile soluzione. La maggior parte delle volte, però, quella spiegazione si rivela fallace e la soluzione truffaldina. Eppure, accade con una certa frequenza che queste notizie appaiano sui quotidiani. Quando, poi, queste notizie sono diffuse tramite il Web, nonostante vengano presto smascherate, molto spesso non vengono rimosse. Restano cosí a disposizione di chi naviga su internet. Capita quindi che rimangano in circolo nonostante siano false e che continuino a venire condivise, a volte per anni. Ma com'è possibile riconoscere una notizia falsa da una notizia vera? La prima risorsa alla quale si può ricorrere è proprio la rete. Se una notizia vi colpisce, approfonditela! La rete vi offre la possibilità di confrontare quella notizia su piú siti di informazione. Confrontate le varie versioni fornite da differenti quotidiani. Soprattutto provate a isolare i fatti dai commenti. Le opinioni sono importanti, ma prima di conoscere il punto di vista di chi scrive è necessario capire quale sia il fatto sul quale si esprime, se sia rilevante e se sia realmente accaduto. La prima domanda da porsi in questo caso è: chi sta parlando? È un giornalista che ha firmato l'articolo, è un nickname del quale è impossibile sapere la reale identità oppure si tratta di un articolo privo di firma? Nel primo caso, potrò farmi un'idea sull'affidabilità del giornalista, leggere altri articoli firmati da lui e ricostruirne la storia professionale, cosa che mi risulterà impossibile con articoli anonimi o firmati con uno pseudonimo e dei quali, quindi, conviene diffidare. La domanda successiva è: il fatto al centro della notizia è realmente accaduto? Per scoprirlo, è indispensabile individuare la fonte della notizia. Bisogna verificare, cioè, se la testata che la dirama sia o meno attendibile. Le «fonti» sono l'origine delle notizie. Possono essere testimoni diretti di un fatto oppure istituzioni in grado di fornire informazioni sul fatto stesso. Il giornalista vi ricorre quando non è testimone diretto di un evento. La fonte garantisce la veridicità della notizia e quindi deve sempre essere citata nell'articolo. Piú la fonte è autorevole, maggiore è la garanzia della veridicità dell'informazione. Non fermatevi al titolo che può avervi incuriosito per il tono sensazionalistico, ma leggete l'articolo per intero. A volte, il titolo è quel che si dice «uno specchietto per le allodole», non ha cioè altro scopo che quello di attirare il vostro click. È necessario, inoltre, prestare attenzione al linguaggio utilizzato nel testo. Se l'articolo, ad esempio, è pieno di svarioni e di grossolane sgrammaticature, probabilmente non è altro che un servizio pubblicato su un sito straniero ed è stato reso nella nostra lingua in maniera frettolosa, magari servendosi di un traduttore online. In tal caso, molti possono essere gli errori, anche involontari, che ne alterano il contenuto. Non ultimo, lo stile può essere rivelatorio. Se l'articolo che state leggendo, infatti, piú che a informare tende a stupire, indignare, spaventare, lasciando poco spazio all'informazione reale, molto probabilmente vi trovate di fronte a una notizia inventata o volutamente stravolta. Ricordate, infine, che un buon servizio giornalistico deve sempre rispettare la «regola delle cinque W», come vengono chiamate nei paesi anglosassoni. In altre parole, il giornalista, nel dare una notizia, dovrà fornirci la risposta a queste domande: «Who?», «What?», «When?», «Where?», «Why?». Egli dovrà essere in grado di informarci su chi ha fatto cosa, quando, dove e per quale motivo. Esistono numerosi siti di debunking, ovvero pagine curate da esperti in grado di smascherare le fake. A volte, di fronte a un articolo che ci lascia perplessi, basta attendere qualche ora perché i debunkers entrino in azione, la smontino e siano in grado di smascherarla. Quel che conta è non condividere subito una notizia della quale non siamo certi, altrimenti ci rendiamo complici di una probabile truffa o di un cinico scherzo del quale non possiamo valutare le implicazioni. Ma bastano questi pochi criteri per riconoscere la verità dalla menzogna? Io credo che l'unica risposta possibile sia nel kreis. Ogni mattina, negli asili tedeschi, la giornata inizia con il kreis, ovvero con il cerchio. I bambini sono richiamati alla responsabilità della gestione comune degli spazi, alla scelta dei giochi da svolgere insieme durante la giornata. Dal momento di condivisione collettiva, si passa poi alle votazioni. Per alzata di mano, si stabilisce il program0ma del giorno. Il cerchio è condivisione ed è contatto reale di corpi e di sguardi. È il luogo per ricomporre le liti, la scena naturale nella quale esporre miti e raccontare storie. Il cerchio è pace e festa. Oltre all'attività di debunking, forse l'unico modo per ristabilire la verità, la rilevanza e l'utilità di un'informazione sta nel metterla in circolo. Bisogna confrontare la propria opinione con quella degli altri, senza preconcetti. Quando qualcosa non ci piace, c'è solo una cosa da fare: crearne una nuova che ci piaccia e ci rispecchi fino in fondo. È giunto il momento di scambiarsi sogni, idee e conoscenze. È arrivato il momento di rimettersi seduti in cerchio, per costruire assieme una nuova idea di mondo. Intanto, però, impariamo a orientarci in quello attuale e proviamo a distinguere i miti dalle leggende, i fatti dalle opinioni, le verità dalle menzogne. | << | < | > | >> |Pagina 97LE BUFALE SUGLI IMMIGRATI La mia storia, lo so, è una vecchia storia. Ma è sempre qualcun altro a raccontarla e cosí, in questa mia vecchia storia, io non ci sono quasi piú. Mi chiamano migrante, rifugiato e profugo, come se queste parole avessero tutte lo stesso significato. Come se il senso delle parole non contasse davvero, come se contasse solo il suono che fanno. Quelle parole suonano per molti come una minaccia. E allora lasciate che sia io, per una volta, a raccontare e a fare un po' di chiarezza. C'è chi parte dal proprio Paese volontariamente e va in cerca di un lavoro e di una vita migliore. Se vuoi, puoi chiamarlo «migrante». C'è chi fugge dal proprio Paese perché viene perseguitato per il colore della pelle, per la religione che professa o per le sue idee. Non può piú fare ritorno a casa, altrimenti rischia la vita. Cerca un rifugio. Se vuoi, puoi chiamarlo «rifugiato». Infine, c'è chi, pur non essendo perseguitato, davanti alla guerra, alla povertà o a una grande calamità naturale, è riuscito a fuggire. Se vuoi, puoi chiamarlo «profugo». Quale che sia il motivo per il quale sono fuggito, posso dirti questo: non sono qui per turismo. Sono qui perché sono fuggito. E fuggire vuol dire dover andare via da casa senza il tempo di salutare, senza bagagli che non siano i propri occhiali, una testa spettinata, una bugia e una scusa da ripetere a memoria. Fuggire via con il bagaglio che siamo. Ho avuto giusto il tempo di scattare l'ultima fotografia alle mie spalle, poi... via! Ho saltato il burrone e sono corso incontro alla vertigine dell'esiliato, alla ricerca di quei miracoli senza i quali mi sarà impossibile la normalità. Sono qui perché sono scappato senza guardarmi indietro, via di corsa fino a farmi esplodere il petto dalla fatica e i piedi nelle scarpe. Sono fuggito lontano, per mettere tempo e strada tra me e il mio Paese. Sono scappato perché sono vivo e perché voglio continuare a esserlo. Mi sono detto: «Lí gli uomini amano, custodiscono e assicurano a tutti i diritti civili, sarò finalmente libero e rispettato, lí». E invece, non appena «lí» è diventato «qui», sono cominciate le accuse. In pochi si domandano chi sono e per quale motivo sono qui. Soprattutto, non lo domandano a me. Mi accusano. I capi di imputazione sono numerosi e gravi. C'è chi li scrive a grosse lettere sulle prime pagine dei giornali e c'è chi ha cosí tanta paura di me che sceglie di allertare anche gli altri attraverso i social network. All'inizio diffondono notizie su di me, senza preoccuparsi di verificarle. Poco dopo, danno spazio alla rabbia, all'odio e arrivano a proporre azioni repressive, se non addirittura violente. La ferma convinzione che io sia un pericolo riesce a essere molto persuasiva. Gli accusatori sono sempre piú numerosi e volgari. E anche le loro accuse. Sono un bugiardo, dicono. Mento sapendo di mentire. Basta guardare le immagini degli sbarchi per rendersi conto di quanto siano rari gli arrivi di donne, vecchi e bambini. Basta vedermi arrivare: sono forte, in salute e tra le mani stringo un costoso smartphone. In realtà, non sto fuggendo dalla guerra o dalle carestie. E forse sono addirittura ricco. Non appena sbarcato in Italia, sono stato accolto calorosamente dalle autorità locali, dicono. Mi hanno offerto alloggio nella splendida suite di un hotel di lusso. Dopodiché mi hanno donato del denaro, una piccola cifra, certo (quaranta euro al giorno), ma questa cifra mi è stata assicurata per tutto il tempo della permanenza senza che io debba fare nulla, neppure provare a trovarmi un lavoro. Dicono. Tutto ciò li indigna, ma quello che piú li preoccupa è che un esercito di invasori ora sta bussando alle loro porte. Siamo sempre di piú, manca lo spazio per ospitarci, mancano le risorse e manca l'aria. Come se non bastasse, infine, portiamo con noi pericolose malattie, da tempo estinte in Europa, e poi commettiamo orrendi crimini perché siamo violenti e selvaggi. Quando finalmente ci decidiamo a trovare un lavoro, in realtà lo facciamo piú che altro per il gusto di privarne gli italiani. Per dispetto. Noi, profughi, rifugiati e migranti, siamo l'origine di tutti i mali. Ma l'argomento di fondo, non sempre dichiarato, è questo: chi giunge in un luogo per la prima volta è diverso da chi lo abita. E non è solo diverso, è peggiore. È meno evoluto, meno civile, meno sano. E cosí, in questa mia vecchia storia, io non ci sono quasi piú. Non ho voce e neppure un nome. E allora lascia che ti spieghi e che ribatta, punto per punto. Il mio viaggio è stato lungo e pericoloso. In piedi per ore nel gelo di una notte assoluta, stretto con altre migliaia di compagni di viaggio, su una vecchia e malandata imbarcazione da tempo in disuso. Solo la speranza di salvarmi da un pericolo piú grande mi ha indotto a salire su una scatola di latta arrugginita. Alla fine del viaggio, sopravvivono i piú forti. È per questo motivo che io mi sono salvato. È per questo motivo che hai visto solo uomini forti come me. Gli altri dormono sul fondo del mare. È vero, possiedo uno smartphone, ma questo fa di me un uomo ricco? L'ho acquistato dopo grandi sacrifici perché quell'oggetto può salvare la vita a un uomo perso in un continente del quale non conosce nulla, né le lingue, né le strade, che non ha un posto dove andare e nessuno al quale chiedere. Una volta giunto in Italia, sono stato accolto da una struttura umile, nulla a che vedere con gli alberghi di lusso. Solo un posto dove mangiare, dormire e provare a immaginare un futuro da realizzare. Lo Stato spende quaranta euro al giorno per consentirmi di sopravvivere, ma quel denaro non viene consegnato a me, bensí alle strutture che mi ospitano e agli italiani che vi lavorano. Lo Stato italiano, è vero, mi riconosce una diaria giornaliera che ammonta a due euro. Anche questo ti sembra troppo? Preferiresti che me la cavassi da solo? Rifletti: se una volta giunto in Italia venissi abbandonato al mio destino, sarei costretto a vivere per strada, senza nessuno disposto a ospitarmi o a farmi lavorare, in breve mi trasformerei in un malfattore. Per questo motivo, lo Stato ha deciso di curarsi di me. Dei quasi due milioni di rifugiati in Europa, l'Italia ne ospita circa centoventimila. La sola Turchia ne ospita due milioni e mezzo. Trovare un'occupazione può essere molto complicato, tanto piú per me che non conosco la lingua e non ho avuto ancora modo di orientarmi. Tuttavia, ho scoperto presto che ci sono molti lavori che gli italiani non sono piú disposti a svolgere, come, ad esempio, il contadino. Molti di noi, infatti, svolgono questo mestiere contribuendo al benessere del Paese che ci ospita. Non è vero che portiamo malattie – non è mai stata registrata un'epidemia diffusa dagli immigrati. Seppure una volta giunti nel Paese che ci ospita noi ci ammalassimo, ricevendo le dovute cure non rappresenteremmo nessun problema per gli altri. Ci ammaliamo come voi e come voi possiamo essere curati e guarire. Non è vero che commettiamo orribili delitti – non è aumentato il numero «consueto» di crimini con il nostro arrivo. Non è vero che siamo diversi dagli altri. È un'antica bugia quella che vede lo straniero diverso dall'indigeno. Eppure ultimamente, a causa dei social network, l'odio e la discriminazione si diffondono piú velocemente. C'è anche chi ha ideato un nuovo mestiere: l'inventore di notizie false e allarmiste sugli immigrati. Basta scrivere degli articoli dai titoli spaventosi, tutti in caratteri maiuscoli, chiusi da una fucilata di punti esclamativi. I lettori allarmati leggono con avidità questo genere di articoli, e a ogni visualizzazione l'autore guadagna del denaro. Ma la mia storia, lo so, è una vecchia storia. Sono in viaggio da cosí tanto tempo. Quando è cominciato tutto questo? Da quanto tempo me ne vado in giro per il mondo a sconvolgere gli equilibri, a modificare l'ambiente, a cercare la felicità? E, soprattutto, io chi sono?
La mia storia è molto antica.
Tutto è cominciato in un tempo molto piú remoto, in Africa,
circa 200 000 anni fa. È li che
sono apparso ed è da li, circa
125 000 anni fa, che sono partito per un lungo viaggio. Per
circa 50 000 anni mi sono fermato in Medio Oriente e poi
ho proseguito verso l'Asia e poi l'Europa. Quella fu la mia
prima migrazione, da allora sono sempre in cammino. Chi
sono? Io sono l'
homo sapiens.
Io sono te.
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