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| << | < | > | >> |Pagina 9Fanny, che molto tempo prima aveva sposato un certo Mr Skeffington, da cui aveva divorziato per ragioni che considerava assolutamente fondamentali, benché non avesse pensato a lui nemmeno una volta per anni, iniziò con sua grande sorpresa a pensarlo in continuazione. Se chiudeva gli occhi a colazione lo rivedeva oltre il vassoio del pesce e ormai, pur non chiudendo affatto gli occhi, lo rivedeva praticamente oltre qualsiasi oggetto.Ciò che in particolare la disturbava era il fatto che non vi fosse alcun vassoio del pesce. Soltanto durante il piuttosto breve regno di Mr Skeffington quale marito vi era stato del pesce per colazione; essendo egli un uomo attaccato alle tradizioni, al quale piaceva vedere ancora sulla tavola ciò che aveva sempre visto in gioventù. Con la sua scomparsa sparì anche il piatto di portata del pesce, d'argento massiccio, tenuto caldo dal supporto elettrico; non perché 1'avesse portato con sé - era troppo infelice per pensare alle suppellettili - ma per il fatto che la colazione di Fanny, dal giorno della partenza del marito, consisteva in mezzo pompelmo. Naturalmente era in buona misura preoccupata per il fatto di rivedere sia lui che il piatto in maniera tanto nitida, ben sapendo che né lui né il piatto fossero presenti. A tale proposito si era quasi decisa a consultare un dottore ma, non essendo particolarmente ben disposta alle visite dei medici, pensò di aspettare un po'. Poiché dopo tutto, ragionò Fanny che si considerava una donna molto assennata, stava per avvicinarsi il suo cinquantesimo compleanno, e nel raggiungere una pietra miliare così importante, così esortativa alla sobrietà, cosa vi era di più naturale che concentrarsi sui propri pensieri e rimestare tra i ricordi? Ma come, rimestando tra i ricordi, si chiedeva, evitare di incrociare Mr Skeffington? Era stato, lo ammetteva, il perno centrale della sua vita. Era soltanto grazie alle rendite che le aveva assegnato - rendite di un uomo estremamente ricco ed estremamente amorevole - che ora si ritrovava così facoltosa ed era solo grazie alle sue infedeltà, - ma si dovrebbero mai ringraziare le infedeltà? Beh, poco importa - che si trovava libera. | << | < | > | >> |Pagina 14Fanny era a letto e rifletteva. Era una mattina di febbraio gelida e nebbiosa fuori, ma nella sua camera tutto era caldo e roseo. Un bellissimo fuoco di legna inondava la stanza di bagliori rosati e Fanny indossava una camicia da notte rosa, essendo ora le tonalità e le sfumature del rosa quelle che più le donavano. Quando era più giovane, invece, i corredi del suo letto erano verde acqua; curioso che i letti delle donne più mature assumessero inevitabilmente tonalità tendenti al rosa, si disse, mentre faceva, o tentava di fare, la sua colazione che consisteva in mezzo pompelmo.Ma che vivanda fredda e aspra, con cui iniziare una giornata d'inverno, rifletteva, al contempo rinunciandovi e spostando il vassoio a lato. L'idea era quella di mantenersi snella; ma anche supponendo che una donna riuscisse a mantenersi snella - e nessuno, dopo la sua recente malattia poteva esserlo di più - a quale scopo se poi non aveva più capelli? Era andata da Antoine, naturalmente, e ne aveva acquistati un po'; ma l'idea di comperare dei capelli, comperare dei capelli, quando ne aveva avuta una tale incredibile quantità fino a pochi mesi prima le sembrava raccapricciante. Ed il fatto di avere sulla testa qualcosa che non le appartenesse veramente aveva segnato la fine di così tante cose! Per esempio il povero Dwight, l'ultimo, e anche il più giovane dei suoi adoratori - da qualche tempo avevano preso a essere sempre più giovani uno studente americano fresco di Harvard che l'adorava con foga transoceanica. Egli non avrebbe più potuto toccare i suoi capelli con riverenza, come a volte gli permetteva di fare quando era stato più dolce e paziente del solito. Se l'avesse fatto sarebbero potute accadere le cose più sciagurate; anzi le cose più sciagurate accadono se una donna si concede degli ammiratori quando cade letteralmente a pezzi. Nonostante la pena che questo pensiero le dava, l'ombra di una risata, il più esile suono di distorta ilarità affiorò sulle labbra dinanzi all'immagine che le si formava nella mente. Gli spasimanti avevano giocato un ruolo rilevante nella sua vita, la parte più importante in assoluto, conferendovi colore, calore e poesia. Come sarebbe stata arida la vita senza di loro. È vero che essi avevano provocato anche una certa quantità di preoccupazioni quando, dopo un po', l'accusavano di averli incoraggiati. Ogni volta qualcuno faceva quell'affermazione e ogni volta ne rimaneva parimenti colpita. Averli incoraggiati? Le sembrava che, ben lungi dall'aver bisogno di incoraggiamento, fossero giunti impetuosamente mentre lei, da parte sua, stava semplicemente seduta senza fare nulla. | << | < | > | >> |Pagina 74Anche il suo riflesso sembrava vecchio, pensò. Presto anche la sua stessa ombra, probabilmente, avrebbe iniziato a deteriorarsi. Quando fosse successo, allora avrebbe gettato la spugna. Fino ad allora non vi era stato nulla che non andasse almeno riguardo alla sua ombra che rimaneva, era felice di poterlo dire, una sagoma ancora snella e molto elegante.Si appoggiò all'indietro sui cuscini, accennando appena un sorriso. Spesso aveva riso di sé per questo genere di perplessità, anche se mai così impercettibilmente; ma il riflesso delle sue guance scavate, che poteva vedere con la coda dell'occhio nel finestrino, vi pose presto termine. Vi era ogni genere di scusa, però, ragionava, a giustificazione delle sue guance scavate, dopo una giornata di duri colpi sopravvenuta in seguito a una notte tormentata e insonne. Eppure, fino a cinque anni prima, forse addirittura fino allo scorso anno, non vi sarebbero stati colpi duri o insonnia di sorta che avrebbero impedito alla sua immagine riflessa di rispondere dallo specchio mostrando la sua abituale grazia intatta, o a malapena scalfita. Era stata quell'orribile malattia a combinarle questo pasticcio. Ammalarsi così sulla soglia dei cinquant'anni era tutt'altra cosa che ammalarsi sulla soglia dei trenta e, poiché sembrava che la bellezza non le sarebbe stata più restituita in modo integrale, era meglio pensare a cosa fosse possibile ricavare di buono dal futuro noioso e scialbo che l'attendeva. Sì, così noioso; così scialbo. Avrebbe dovuto cercarsi un buon lavoro? O frequentare dei corsi? O studiare lingue straniere? O interessarsi alla situazione europea? Che desolazione! Ma non era ancora più desolante, per non dire squallida, l'alternativa di lasciarsi trasportare in totale ozio verso la vecchiaia, in una serie di lente fasi caratterizzate da un senso crescente di depressione e insoddisfazione intervallate - che gioia! - da eventi quali attacchi reumatici e sordità? Fanny immaginava la lenta trasformazione in quella che sarebbe stata la caricatura di se stessa, una creatura sgarbata - più che sgarbata, una parodia assolutamente maligna di quello che era stata un tempo - una vecchia che frequentava ancora i ricevimenti perché non sopportava di star sola e quando vi arrivava riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti; sempre avida di inviti e pronta a ordinare nuovi abiti per ogni occasione mondana; una creatura che sarebbe stata descritta alle giovani invitate indifferenti come colei che un tempo era stata molto più bella di quanto loro potessero mai sperare di essere.
«Anche se sembra difficile immaginarlo» Fanny poteva quasi sentire chi la
stava descrivendo, «quella donna anziana là nell'angolo, lady Frances
Skeffington, sì, la vecchia con il bastone che non riesce a tener dritta la
testa, un tempo era una bellezza molto celebrata».
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