Copertina
Autore Antonia Arslan
Titolo Il cortile dei girasoli parlanti
EdizionePiemme, Milano, 2011 , pag. 172, cop.ril.sov., dim. 13,5x22x2 cm , Isbn 978-88-566-1973-7
LettoreDavide Allodi, 2012
Classe narrativa italiana
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Indice


Per chi legge                                 5

MAGIE D'INFANZIA

Casa di bambola                               9
Le sferruzzatrici                            11
La bambina e il soldatino ussaro             13
La verdigiallumina                           15
Un cucchiaio di Adisole                      17
Madama Conigliut                             19
Il medaglione della zia Rosina               21
Io sono Carmen                               23
Sorci verdi                                  25
Del modo di mangiare gli spaghetti           27
L'albero di Aurora                           29
Le filastrocche di Tirititùf                 31
Lo zucchero di nonna Virginia                33
Camilla e le rose gialle                     35
Ninnananna veneziana                         37
La Primula Rossa                             39
Pioggia di rose                              41
Evar e Candullino                            43
Don Camillo a Grenoble                       45
Gelosie d'infanzia                           47
Burro di bagigio                             49
I biscotti di zia Enrica                     51
Il prosciutto di nonno Carlo                 53
Calli e calce                                55
Il trenino Märklin                           57
Segni di primavera                           59
Il cortile dei girasoli parlanti             61

IL COLORE DEI RICORDI

Nostalgia di un amore                        65
La grotta delle Ninfe                        67
Il Fechner Day                               69
Di anguille e di veleni                      71
Oh mia bella Cunegonda...                    73
Kriminal Tango                               75
Ippopotami di peluche                        77
Agosto alla Ferriera                         79
«Accòmodati lo stomaco»                      81
Il capitano von Köpenick                     83
Un concerto a Göttingen                      85
Avventura in Transilvania                    87
Il letto come una culla                      89
L'acquata                                    91
I grandi si onorano lavorando                93
Neve                                         95
Un'avventura di guerra                       97
La Cassa Peota                               99
Katramìs                                    101
Panzarottini abruzzesi                      103
Il pianoforte di Saddam                     105
La contessa Maria                           107
L'armeno che voleva imparare l'italiano     109
Oh, mia Cilicia                             111
Beneficenza giapponese                      113

FRA SACRO E PROFANO

Santa Maria delle Armi                      117
Angeli                                      119
Mattutino                                   121
Generosità di un soldato rodiano            123
Pietra Relitta di Mastro Bonincontro e
    la catena del bene                      125
Solitudine di un parroco                    127
San Fortunato dalle scarpette d'argento     129
La lapide dello zio Augusto                 131
Santa Patata                                133
Le favette dei morti                        135
Christmas Spectacular                       137
Messe in latino                             139
Una domenica a Sant'Ilario                  141
La cappella della stazione                  143
Messa di mezzanotte a San Gaetano           145

TEMPI MODERNI

Furia belluina                              149
La curiosità della scimmia                  151
Il tempo non fa marcia indietro             153
Le colline di New York                      155
Inverno a Venezia                           157
Il lamento del tassista                     159
Il ritorno del congiuntivo                  161
Ingegnosità italica                         163
Lacrime e riservatezza                      165
Treni di provincia                          167


 

 

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Pagina 9

Casa di bambola



Convinta che fosse un giorno speciale, avevo deciso che la guerra sarebbe finita per il 30 aprile, il mio compleanno.

Comunicai quindi, a pranzo, la cosa all'intera famiglia: ma invece di applaudirmi, tutti si misero a sospirare e a prendermi in giro, dicendo che ci sarebbero voluti ancora dei mesi prima del crollo della Germania.

«Con tutta la fiducia che si può avere negli Alleati, io ho studiato a Berlino» disse papà con aria pensierosa «e ti assicuro che non è facile aver ragione di loro, domarli, insomma.»

«In guerra, hanno sempre una marcia in più, come i turchi» aggiunse zia Enrica, e impallidì, come ogni volta che ripensava alla terribile storia della sua vita.

Io non volevo arrendermi, e allora dissi, con aria petulante: «Scommetto che per la fine di aprile i tedeschi saranno scappati».

«Se succederà davvero» disse il nonno «ti farò fare una casetta per le bambole dal signor Bedorin.»

«Non viziarla, papà» scattò la mamma «ha già troppe stramberie in testa, manca solo che si metta a fare la profetessa.»

Il nonno si accarezzò il pizzetto e concluse: «Vedremo».

La guerra finì il 25 aprile, e io ebbi la mia splendida casetta quadrata, con quattro stanze e le tendine alle finestre... La mamma protestò, dicendo che in verità la Germania aveva capitolato solo in maggio.

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Pagina 27

Del modo di mangiare gli spaghetti



Papà Khayël non aveva molta pazienza, né tempo, ma sul modo di mangiare gli spaghetti era esigentissimo, sicché quando venivano portati in tavola, un lamento si levava da tutti noi, che dichiaravamo concordi di non aver fame. Non serviva a niente. Dovevamo esibirci ad arrotolarli sulla forchetta, con l'assoluta proibizione di aiutarci col cucchiaio, o di tagliarli, che era il massimo dell'orrore.

La faccenda si svolgeva in vari stadi, e finiva sempre in pianti di Carlo, che li chiamava serpenti, e si batteva con ogni spaghetto come fosse nella giungla. C'erano spesso ospiti stranieri, colleghi del papà, i quali naturalmente apprezzavano moltissimo gli spaghetti, ma li mangiavano peggio di noi.

Così un giorno decisi di spezzare la tirannia dello spaghetto: e al buon professor Huizinga l'olandese, da noi amatissimo perché sapeva muovere le orecchie da sole (oltre che le sopracciglia, che andavano ognuna per suo conto), spiegai che il giusto modo di mangiare quella delizia italiana era di tirarli su dal piatto uno a uno, succhiando rumorosamente. Quando arrivò il piattone fumante, Huizinga fu servito per primo, e tutti aspettavamo ansiosi. Lui succhiò su dal piatto il primo spaghetto, con aria compita; e allora papà guardò lui, e poi me, sospirò, e attaccò anche lui a succhiare.

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Pagina 41

Pioggia di rose



Avevo appena imparato a leggere, dopo aver imbrogliato per molti mesi nonni e zii, facendo finta di capire la prima pagina di un numero del «Corriere dei Piccoli» che amavo moltissimo, e che sapevo a memoria.

Allora stavamo al Dolo, sulla Riviera del Brenta.

E dopo pochi giorni di scuola, scoprii la cartolibreria di fronte al canale.

Sul davanti, era un negozio come tanti altri; ma dietro, c'era un retrobottega odoroso di legno e di libri, il profumo della felicità.

Mi arrampicavo sulla vecchia scaletta di legno con i gradini scricchiolanti (e dal tipo di rumore il vecchio signor Arrigo, il proprietario, sapeva su quale scalino ero arrampicata, e a volte veniva a tirarmi giù: «No la xe par ti, sta roba», diceva con autorità).

Ma un giorno trovai Pioggia di rose, una raccolta di novelle di Ferenc Herczeg, edizione Corticelli.

Mi innamorai di ogni storia di quel libro.

Mi piaceva ogni cosa: la copertina un po' rigida, le illustrazioni dal segno netto, senza sfumature, le pagine dalla stampa ben spaziata, che si leggeva facilmente; e soprattutto il titolo.

E lo lessi tutto, seduta sulla scaletta, finché un pomeriggio trovai il coraggio di chiedere al signor Arrigo se mi permetteva di portarmelo a casa.

«Certo» rispose «ma prima, sai, devi pagarmelo. Ricordati che chi legge, paga.»

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Pagina 43

Evar e Candullino



I libri della Scala d'Oro erano stipati nel vano di una vecchia porta, in casa dei nonni.

Avevano comprato tutta la collezione, e l'avevano sistemata là per i nipoti.

Quella porta era per me un paradiso e un tesoro, di cui non volevo far parte con nessuno.

Andare a Roma dai nonni significava la vecchia casa di via Nomentana, i piccoli aeroplani e i manifesti della crociera transatlantica di Balbo (in casa del nonno erano tutti aviatori), la pizzeria in viale Regina Margherita e il negozietto di verdura al di là della strada, dove potevo andare da sola e ascoltare l'affettuoso romanesco della sora Letizia; ma anche la Scala d'Oro, da leggere all'infinito, entrando nelle storie e nei disegni meravigliosi.

Il più amato era il libro delle avventure di Candullino, l'eroe d'Irlanda dai capelli fiammeggianti.

Il bravissimo disegnatore era, ricordo, Vsevolod Nicouline, e Diego Valeri raccontava le gesta straordinarie dell'eroe e della sua innamorata, Evar dalle bionde trecce e dagli occhi di viola, che un disegno mostrava bellissima, con le trecce mollemente semisciolte intorno al viso.

Volevo imitarla, con passione: ma non mi riuscì mai di rendere seduttive le mie treccioline scure, strettamente legate ogni mattina dalla signora Zaira, che non ammetteva teste vuote né frivolezze.

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Pagina 57

Il trenino Märklin



Nel "camerone" in fondo al corridoio dormivano eventuali cugini in visita e troneggiava il trenino Märklin del papà. Non era permesso toccarlo. Il signor Bedorin, che aveva costruito il tavolone che serviva da base per le locomotive, i vagoncini, le stazioncine e la casetta dei ferrovieri, aveva fatto anche le collinette e il laghetto. «Ci sono perfino i pesci disegnati sul fondo!», commentò un giorno ammirata nonna Virginia.

Lo sfondo era stato realizzato, con colori vividi e un segno forte, da un giovane pittore silenzioso, che in pochi giorni affrescò anche tutta la parete, e poi scomparve.

Non riuscimmo mai a sapere il suo nome, nonostante andassimo da lui in ogni momento libero, estasiati per come lavorava. C'erano alte montagne e paesaggi lunari, neve e sole, realistici edelweiss e fiori sconosciuti; un camoscio snello, in bilico su una vetta, esibiva le sue corna orgogliose. Pastori dall'aria severa pascolavano mucche e pecore e capre in idilliaca libertà su prati smeraldini; ma ai lati c'erano vipere in agguato, così minacciose che l'attenzione finiva per convergere su di loro.

«È un profugo» disse papà quando gli domandammo di lui «non vedete dal quadro quanta paura ha? Al contrario di voi, non ha più una casa, non può fermarsi in nessun posto: deve continuare a scappare.»

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Pagina 85

Un concerto a Göttingen



Andai in Germania dopo l'esame di maturità.

La città di Göttingen, con la sua grande università, era stata poco toccata dalla guerra, e nel mio ricordo è piena di alberi e fontane; la più nota si chiamava Gänseliesel, la Lisetta con l'oca. Era una statua di modesta altezza, dall'aria gentile e romantica — affabile, direi — che ci inteneriva tutti, una ragazzina campagnola che portava a spasso una bella oca grassa.

Non c'erano tradizioni né leggende antiche dietro il suo bel visetto, ma solo l'amore della città, che, volendo una bella fontana nella centrale piazza del Mercato, decise che fosse una popolana, invece che qualche austero universitario.

Tutti noi studenti l'amavamo, e le portavamo mazzi di fiori, da quando salire a baciarla era stato tassativamente proibito dalle autorità civili e accademiche.

Con Bruno, il mio ragazzo di allora (provvisorio: non volevo studenti di medicina!), un giorno arrivammo con un mazzetto di giunchiglie e ci sedemmo sul bordo della fontana.

Poi lui si aprì sulle ginocchia un piccolo giradischi e disse: «Chiudi gli occhi e ascolta».

Fu così che io, ignorantissima di musica, ascoltai per la prima volta sul serio, con un'intensità moltiplicata dall'emozione amorosa, il Concerto per violino e orchestra di Beethoven, e me ne innamorai per sempre.

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Pagina 105

Il pianoforte di Saddam



La signora Seta era una pianista di vaglio; vivendo in Iraq, dove i pianisti non abbondavano, era diventata la più importante del paese.

Saddam Hussein, allora al potere, la ascoltò in un concerto a Baghdad, alla presenza dell'intero corpo diplomatico, e decise di mostrarle il suo gradimento donandole un bellissimo pianoforte a gran coda.

Seta e i suoi furono molto grati per il munifico dono, e lui poi convocò la pianista in diverse occasioni, per esibire lei e il suo meraviglioso strumento.

Ma quando la vita per gli armeni in Iraq si fece difficile, molti se ne andarono dal paese, e con loro Seta, la sua famiglia e il pianoforte.

Io la conobbi diversi anni dopo, a St. Paul, Minnesota.

Era una vecchina vivace e dallo sguardo acuto, che ancora si entusiasmava quando conosceva gente nuova.

Mi invitò a casa sua per un tè «con pasticcini orientali, non queste schifezze di qui», mi specificò.

Quel giorno mi mostrò il suo famoso «pianoforte di Saddam», e suonò qualche pezzo classico e un paio di canzoni popolari, accompagnandosi con una vocina esile, ma ancora perfettamente intonata.

E infine disse: «Sono senza soldi, dovrei venderlo, ma nessuno lo comprerebbe!» e, alzando il coperchio, ci mostrò l'interno, dove campeggiava, a eterna memoria del dono, il faccione del dittatore.

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Pagina 109

L'armeno che voleva imparare l'italiano



Mi viene a trovare un amico dalla Turchia. Ogni volta mi porta qualche frammento che trova qua e là, resti della grande civiltà armena di Turchia anteriore al 1915: un piattino, un pezzetto di stoffa... Ieri è arrivato con un libro, un esile volumetto malconcio, Cento regole di grammatica italiana a uso della quarta e quinta classe elementare, stampato dalla Paravia a Torino nel 1889. Qualcuno lo ha studiato con diligenza: ci sono molti segni a penna e a matita, crocette, annotazioni. Sulla prima pagina, in bella calligrafia, il nome dello studente, e la data: «Gabriele Attar, 1893»; sull'ultima, alla rovescia, la stessa mano ha scritto lo stesso nome in armeno, ma completo: «Gabriel Attarian».

Chi era Gabriele, quali sogni, quali speranze nutriva questo giovane che voleva imparare l'italiano, e si comprò per cominciare un breve compendio per le scuole elementari? Qual era la sua città, quale fu il suo destino? L'anno dopo, nel 1894, cominciò il calvario degli armeni dell'impero. 200.000 vittime fra il 1894 e il 1896, opera del Sultano Rosso Abdul Hamid; 30.000 nei massacri di Adana, 1909; più di un milione nel genocidio del 1915-16. Poi il buio e l'oblio.

Chissà dove sarà finito, se è sopravvissuto. Dal mare della storia mi è arrivato un frammento della sua vita, un silenzioso appello.

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