Copertina
Autore Antonin Artaud
Titolo Alice in manicomio
SottotitoloLettere e traduzioni da Rodez
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2008, Eretica speciale , pag. 216, trilingue, ill., cop.fle., dim. 15x21x1,6 cm , Isbn 978-88-6222-057-6
OriginaleŒuvres Complètes tome IX, ..., Nouveaux écrits de Rodez
EdizioneGallimard, Paris, 1997
CuratoreLeonardo Boero
PrefazionePasqale Di Palmo
TraduttoreLeonardo Boero
LettoreFlo Bertelli, 2009
Classe biografie , teatro francese , classici inglesi
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Indice


Il tempo della riappropriazione di sé            5
Cenni biografici                                20


Le traduzioni                                   23

Il bimbo di fuoco                               25
Israfel                                         29
Variazioni su un tema tratto da Lewis Carroll   36
Variazioni su un tema                           39
Il cavaliere da salotto                         43
L'uovo e l'uomo                                 47
Note                                            90


Lettere                                         91

Al dottor Ferdière                              93
A Henri Parisot                                110
A Henri Julien                                 117
A Marc Barbezat                                118

Articolo dell'abate Henri Julien
apparso sulla rivista "La Tour de Feu"         149

Immagini da Rodez e dintorni                   159

I suppliziati del linguaggio                   179
Note                                           198

Bibliografia                                   203


 

 

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Pagina 5

Il tempo della riappropriazione di sé


Rodez è considerata la capitale "del nord del Midi-Pirenei e del sud del Massiccio Centrale e delle Cevennes" e pare che la consacrazione vera e propria a capoluogo dell'Aveyron sia avvenuta in concomitanza con la costruzione di un nuovo modernissimo ospedale. Circostanza sicuramente rassicurante e lodevole. Ma se consideriamo questo evento attraverso la lente della memoria si ha quasi l'impressione di trovarci di fronte ad una collettiva volontà di silenzio e di oblio di cure mediche ingombranti e dolorose.

In quella tranquilla cittadina del Midi infatti, nel periodo intercorso fra il 1943 e il 1946, in un ospedale psichiatrico di cui ormai non rimane quasi più traccia, se si eccettua la cappella Paraire che faceva parte della struttura, fu ospitato l'attore e scrittore Antonin Artaud. Perfino la piazza principale della città, che porta il suo nome, dà l'impressione di svolgere questo compito più per dovere di cronaca che per un'intima aspirazione. Sembra quasi che la modernizzazione della città, lanciata a partire dagli anni Settanta con una vasta operazione di ristrutturazione e di riqualificazione del centro storico, abbia estratto con dolcezza dal fianco di una società operosa e attiva il ricordo di una vita dolente e tormentata.

Ma proviamo per qualche istante a tornare a quell'11 febbraio 1943 quando, con il numero di matricola 4311, Artaud viene ricoverato a Rodez.

Vi giunge dopo sei anni di terribili esperienze: ospedale psichiatrico di Rouen, Asile de Saint-Anne a Parigi, Ville-Ιvrard. Sei anni che hanno lasciato un segno profondo. Θ magrissimo, sporco, la barba lunga. Non gli rimangono che pochi denti. Il momento poi non è dei migliori: la Francia è sotto l'occupazione nazista e, se le normali condizioni di vita sono precarie, non è difficile immaginare quali possano essere quelle all'interno di un manicomio. Ma Rodez, trovandosi al di là delle linee tedesche, rappresenta pur sempre un miglioramento rispetto alle precedenti degenze. Sono soprattutto Robert Desnos e Paul Ιluard coloro che si sono interessati per farlo ricoverare in questa struttura gestita dal dottor Ferdière, uno psichiatra che ha vive simpatie nei confronti del movimento surrealista. L'ospedale, inoltre, è all'avanguardia nel trattamento delle malattie mentali. Lui, insieme alla moglie, accetta di ospitare Artaud, questo personaggio strano e scomodo, che sputa, mangia con le mani, scoreggia. Lo accoglie con calore e farà del suo meglio per cercare di ridargli una dignità. Inizia così un lento e paziente processo in cui il delirio lascerà a poco a poco il posto al monologo, spesso accompagnato da una gestualità che evoca la disposizione dell'attore a meravigliare la platea. Giorno dopo giorno Rodez diventa così il tempo della fiducia ritrovata, della riappropriazione del proprio corpo e della propria personalità. Si evolve addirittura in parentesi di fede religiosa che trasforma il blasfemo Artaud in un paladino al servizio di Cristo e della vergine Maria.

Ma è anche il tempo in cui prendono forma e si concretizzano parecchie situazioni palesemente opposte, in cui il doppio manifesterà la sua personale verità, come il complesso rapporto fra medico e paziente o fra Artaud e Lewis Carroll, l'autore inglese amato e disprezzato, segnato da volontà di accettazione e moti di rivolta, rimando reale alla dicotomica diversità fra Alice e il personaggio a forma di uovo, fra vita e letteratura.

Dunque, quando giunge a Rodez, Artaud è smembrato, privo della propria coscienza. Le lettere anteriori al 17 settembre 1943 portano in calce addirittura un'altra firma, quella di Antonin Nalpas, come se uno sconosciuto, un alieno, fosse cresciuto dentro di lui, avesse preso il suo posto e occupato il suo corpo. Egli stesso ci assicura in una lettera che Antonin Artaud "è morto nell'agosto del 1939 a Ville-Ιvrard e il suo corpo è uscito dalla città durante una notte bianca, simile a una di quelle citate da Dostoevskij" e come Gesù Cristo è morto per essersi fatto carico di tutti i peccati del mondo. Così mentre nega il proprio corpo e la propria sessualità, valutata negativamente attraverso il messaggio cristiano del peccato originale, accoglie la religione dell'infanzia, dispensatrice di un conforto semplice e immediato.

Ma a partire dal 17 settembre 1943 Artaud incomincia a riappropriarsi della sua personale identità e dichiara in una lettera indirizzata al dottor Ferdière: "Mi chiamo Antonin Artaud, perché sono il figlio di Antoine Artaud e di Euphrasie Artaud, che è ancora viva mentre mio padre è morto a Marsiglia nel settembre del 1924. Sono nato il 4 settembre 1896 a Marsiglia, al numero 4 di rue du Jardin-des-Plantes": Elenca anche tutte le opere da lui firmate e poi spiega che il nome Nalpas, da lui assunto nel periodo precedente, è il cognome di sua madre, nata a Smirne nel 1870, nome di origine leggendaria, mistica e sacra. Θ un'oggettivazione importante: non solo segna il momento della rinascita, con l'accettazione di esistere come uomo, ma ci lascia scorgere, attraverso l'origine turca della madre, il forte legame con un mondo sonoro ben noto che tanta parte avrà nella traduzione del VI capitolo di Attraverso lo specchio di Lewis Carroll, cioè quel poliglottismo levantino, naturale catalizzatore delle glossolalie, sillabe inventate che riproducono l'intonazione di una determinata lingua, congeniale ad una immediata ed intima comprensione.

Dunque la terapia messa in atto dal dottor Ferdière produce dei risultati.

Ma chi era questo medico che propugnava un processo terapeutico basato sull'arte e nello stesso tempo infliggeva ai propri pazienti violente sedute di elettroshock?

Un poeta che non ha lasciato dietro di sé tracce di eternità o un rigido moralista che utilizza l'arte per riportare Artaud nell'alveo di una banale normalità?

Θ difficile pronunciare un giudizio. Del dottor Gaston Ferdière, dalle svariate testimonianze scritte, riusciamo soltanto ad avere un'immagine sfocata e talvolta contraddittoria: un uomo fine e istruito, un medico generoso e competente a cui forse ha fatto difetto l'ispirazione poetica. Ma il terapeuta è cosciente dei progressi che il suo paziente compie e nella relazione che redige, quando gli effetti della sua arte-terapia incominciano a manifestarsi, possiamo leggere:

"Il risultato che ho ottenuto è in gran parte merito dell'Arte-terapia. Sono stato, si sa, un pioniere di questa metodologia di cui ho delineato le regole in un grande numero di congressi e riunioni. La mano di Artaud ha dovuto imparare di nuovo a scrivere, grazie alla corrispondenza sempre maggiore intercorsa con i suoi amici (all'inizio, bisognava obbligarlo a una risposta, anche se corta e piena di formule precostituite), grazie soprattutto alle traduzioni che gli ho chiesto come amico: si trattava di farmi un favore di cui avevo urgenza; avevo bisogno, per diversi lavori che stavo svolgendo, di un adattamento di una poesia di Lewis Carroll o di un intero capitolo di Attraverso lo specchio. E così un giorno, quasi a sua insaputa, ho mandato Il bambino di fuoco di Southwell a Pierre Seghers, e qualche giorno più tardi, in "Poesie 44", Artaud ha trovato il suo lavoro stampato nero su bianco: è avvenuto dopo anni di oscurità e di silenzio; la sua gioia è stata immensa; ho visto il suo sguardo illuminarsi; rileggeva i suoi versi con una soddisfazione non dissimulata; la partita sembrava vinta."

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Pagina 59

Quando ricominciò a parlare, lo fece con un profondo brontolio.

– Θ una cosa profondamente ingiuriosa, – disse infine – che qualcuno non riesca a distinguere un girocollo da un giropollo!

– Riconosco che sia una questione di ignoranza da parte mia, – ammise Alice con un tono così umile che Ciccio Frittella si calmò.

– Θ un antro, bambina, una cosa cava e una garrotta, un laccio per il morso, bambina, e inoltre veramente magnifico, come ha detto...

– Θ un regalo avvolgente fra uomo e donna, e fra donna e bifolco. Ecco cosa è!

– Veramente? – disse Alice molto felice di aver trovato finalmente un buon argomento.

– Me l'hanno regalata – continuò Ciccio Frittella meditabondo (accavallando le ginocchia) e intrecciando le mani. – Me l'hanno donata, un regalo per un giorno di non-compleanno.

– Scusi? – intervenne Alice con l'aria di chi non ha capito.

– Non c'è di che! – sospirò Ciccio Frittella.

– Voglio dire: che cosa è un regalo per un giorno di non-compleanno?

– Un regalo che le fanno quando non è il suo compleanno, naturalmente.

Alice rifletté per un attimo, poi disse: – Credo che i regali di compleanno siano meglio.

– Lei non sa che cosa sta dicendo – squittì Ciccio Frittella, con un'intonazione completamente diversa.

– Quanti giorni ci sono in un anno?

– Trecentosessantacinque – dichiarò Alice.

– E quanti compleanni festeggia?

Uno.

– E togliendo uno a trecentosessantacinque, rimane?

– Trecentosessantaquattro, evidentemente.

Ciccio Frittella non sembrava essere sicuro: – Preferirei vederlo scritto su un foglio.

Alice non riuscì a trattenere un sorriso mentre estraeva il suo taccuino e faceva l'operazione per lui:


trecentosessantacinque meno uno uguale trecentosessanta e rotti.


Ciccio Frittella afferrò il taccuino e lo studiò con attenzione. – Mi sembra assolutamente esatto – cominciò.

– Ma lo sta tenendo girato alla rovescia! – lo interruppe Alice.

– Per essere sicuro, son sicuro! – confermò Ciccio Frittella gioioso, mentre lei glielo girava nel giusto senso. – Mi sembrava un po' strano. Come dicevo, mi pare che sia assolutamente esatto, benché non abbia il tempo di controllare con più attenzione, e ciò dimostra che ci sono trecentosessanta quattro giorni in cui lei può ricevere dei regali di non-compleanno.

– Certamente – assentì Alice.

– E solo un giorno per i regali di compleanno, vede. Ecco che ciò le fa onore.

– Non capisco che cosa intenda con onore – aggiunse Alice.

Ciccio Frittella sorrise con aria di sufficienza. – Certo che non lo sa, finché non glielo dico. E aggiungo: – Ecco un bell'argomento!

– Ma onore non significa un buon argomento – obiettò Alice.

– Quando uso una parola, IO, – proferì Ciccio Frittella con un po' di disprezzo – il suo significato è proprio quello che ho deciso che abbia, né più né meno.

– Il problema è di vedere – disse Alice – se lei ha la facoltà di assegnare alle parole così tanti significati, diversi e con così infinite varianti.

– Il problema è di sapere – disse Ciccio Frittella – chi è il padrone, è tutto qui.

Alice era troppo stupita per poter rispondere qualcosa, così dopo un momento Ciccio Frittella aggiunse: – Le parole hanno una loro personalità, per lo meno alcune, in particolare i verbi, che sono i più fieri, perché degli aggettivi lei può farne ciò che vuole, ma non dei verbi, anche se IO, io posso disporre di tutto a mio piacimento! Impenetrabilità? Significa quello che dico IO!

– Potrebbe spiegarmi per favore – intervenne Alice – che cosa significa?

– Ora lei parla da bambina ragionevole – sentenziò Ciccio Frittella, dando l'impressione di essere molto soddisfatto.

– Con Impenetrabilità volevo dire che ne ho abbastanza di questo argomento, e che sarebbe molto meglio se lei dicesse quali sono le sue intenzioni, perché suppongo non vorrà rimanere qui per tutto il resto della sua vita.

– Troppi significati per una parola sola – osservò Alice con un'aria sognante.

– Quando infarcisco una parola così tanto, come in questo caso – spiegò Ciccio Frittella – la pago sempre per le sue prestazioni.

– Oh! – esclamò Alice, così esterrefatta da non poter aggiungere altro.

– Ah, dovrebbe vederle quando si radunano intorno a me il sabato sera – continuò Ciccio Frittella, scuotendo il testone da un polo all'altro, da un lato all'altro e da una parte all'altra, a seconda di come gira al verbo. – Lei capisce, d'altra parte?

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Pagina 77

Alice rimase in silenzio.
    In primavera quando gli alberi si ornano di verde
    Tenterò di spiegarle che cosa dir intendo.

— Molte grazie — annuì Alice.

    D'estate, quando le giornate sono lunghe
    Forse potrà meglio capire la mia canzone.

    In autunno, quando le foglie si tingono di rosso
    Prenda inchiostro e penna, e tutta la riscriva.

— Lo farò, se riesco a ricordarmi una cosa così lunga — esclamò Alice.

— Potrebbe evitare di fare delle simili osservazioni — dichiarò Ciccio Frittella — non hanno senso e mi fanno perdere il filo.

    Sul mare mi sono sporto
    Volevo il mio messaggio ai pesci
    Comunicare:
    — Ecco quel che cerco e che vorrei sapere.

    Gli argentei pesciolini
    Dalle profondità del mar son risaliti
    Per dare una risposta alla domanda posta.

    Tale fu l'opinion dei pesci:
    — Non glielo possiam dire,
    Caro signor


        PERCHΙ...


    A quel punto arrivati, il mare li ha bloccati.

    Allora ho scostato il mare
    Per meglio vederli in volto
    E il mio dilemma a loro ho ancor rivolto:
    — Θ meglio essere o meglio è obbedire?

    I pesci il naso han storto:
    — Dove hai cotto il tuo cervello
    Per porti un tal rovello?

    Ancora ho chiesto, di nuovo ho domandato
    Ma anche se tutt'intorno ho ben gridato
    Non hanno voluto intendere ragione!

    Allora ho preso una secchia nuova
    Eccellente per 'sta prova
    In cui il mare andavo a dominare.

    Il mio cuor faceva tic, il mio cuor faceva tac
    Mentre empivo, per punirli,
    La secchia d'acqua dolce alla fontana.

    Mi disse un che mise fuor la testa:
    — Dei pesciolini neppure un ne resta.

    — Per veder se li risvegli —
    Strepitai nelle sue orecchie
    — Scendi giù fin in fondo al mare.

Ciccio Frittella mentre declamava questi ultimi tre versi aveva alzato la voce fino ad urlare, e Alice con un brivido pensò: "Per nulla al mondo avrei voluto essere quel messaggero!":

    Chi non c'è non sa
    Chi obbedisce non patisce.

    Questo lui deve sapere
    Perché la vera sommissione
    Θ per chi non ha mai sofferto

    Mentre l'Essere si disgrega
    Come il mar tutto d'un pezzo.

    Liberarti mai più potrai,
    Al fin loro vanno e tu t'inguai,
    Il più amaro è il tuo destino.

    I pesci del mar son morti
    Perché d'esistere han scelto
    Di giungere fino in fondo senza sapere
    Nulla di ciò che obbedir tu intendi.

    Solo Dio non obbedisce,
    Ogni altro esser patisce
    perché dio ancora non è.

    Soffron questi ma non son vivi né morti.
    Perché?

    Vivon gli obbedienti in fin dei conti,
    Questo non lo si può negar.

    Ma pur vivendo non esistono
    Perché?

    – Perché? Bisogna far crollar la porta
    Che tiene l'Esser dall'obbedir distante!

    – L'Essere è colui che crede d'esser
    Essere quanto basta dal dispensarsi
    D'imparare ciò che vuole il mare...

    — Ma ogni pesciolin questo lo sa!

Ci fu una lunga pausa.

– Θ tutto qui? – chiese timidamente Alice.

– Θ tutto qui – confessò Ciccio Frittella. – Addio.

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