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| << | < | > | >> |IndiceFlamenco 1 Manuel Soto Sordera Con lo poquito que había (tango) 3:04 (J. Manuel Caballero; chitarra Manuel Moraíto, José Molero) 2 Manuel Zapata Sale de San Agustín (saeta) 1:17 (tradizionale) 3 Fernanda de Utrera Te pedo un favor (bulería) 4:48 (tradizionale; chitarra Eduardo de la Malena) 4 Antonio Mairena A mí me da sentimiento (malagueña) 5:03 (Antonio Cruz; chitarra Melchor de Marchena) 5 Beni de Cádiz Los van a prender mañana (alegría) 3:00 (tradizionale; chitarra Manolo Brenes) 6 José Menese Fué sentenciao Juan García (toná) 4:57 (F. Moreno Galvàn) 7 Antonio Mairena Se levantó el conde niño (corrido) 5:54 (Antonio Cruz; chitarra Melchor de Marchena) 8 Manuel Soto Sordera Me fui detrás de los míos (tiento) 4:45 (J. Manuel Caballero; chitarra José Molero) 9 Manuel Agujetas Como cosíta mia (siguiriya) 4:30 (tradizionale; chitarra Parrilla de Jerez) 10 Bernarda de Utrera Como loca me salí (bulería) 2:54 (tradizionale; chitarra Eduardo de la Malena) 11 Fernando Terremoto Con intención de dejarme (soleá) 4:34 (tradizionale; chitarra Manuel Morao) 12 María Vargas Romera, ay mi romera (romera) 2:45 (tradizionale; chitarra Paco Cepero, Paco Antequera) 13 Beni de Cádiz Por Cisco ala fnndición (martinete) 2:46 (J. Manuel Caballero) 14 El Turronero Olivares del campo (bulería) 3:25 (J. Manuel Caballero; chitarra Paco Cepero) Durata totale 53:42 |
| << | < | > | >> |Pagina 2Flamenco
di Maria Cristina Assumma
Il flamenco è un'espressione musicale prodotta in Andalusia all'inizio dell'Ottocento, i cui elementi formativi sono di tipo vocale, strumentale e coreutico.
In esso si realizza la sintesi tra l'Andalusia cristiana
e quella musulmana. Una terra abitata, peraltro, da
gitani erranti, mercanti ebrei e schiavi provenienti
dall'Africa, e che, in seguito alla Conquista del
Nuovo Mondo, si è altresì alimentata degli influssi
culturali di ritorno dalla civiltà atlantica formatasi
oltreoceano, anch'essa meticcia. Il flamenco, allora,
è innanzi tutto una musica da ascoltare, ma anche
un eloquente documento del
pluralismo etnico
dell'Andalusia medievale e dell'età moderna.
L'Oriente è presente nella penisola iberica non
soltanto durante il Medioevo in virtù della dominazione musulmana, ma anche in
seguito alla riconquista cattolica del regno (1492), dato il permanervi di ampi
contingenti di
moriscos,
ovvero gli ispano-musulmani che preferirono la via della
conversione al cristianesimo piuttosto che quella
dell'espulsione. Una conversione evidentemente
strategica, di facciata, come risposta difensiva
alla assimilatrice politica regia, che si orientava
verso la decaratterizzazione culturale dei mori
attraverso la messa al bando della loro identità
religiosa e linguistica. Il patrimonio sonoro della
medievale società arabo-andalusa, che i
moriscos
verosimilmente continuarono a custodire, aveva
dato forma alla
moaxaja,
allo
zéjel
e alla
jarcha,
portatori di molte delle caratteristiche musicali
confluite poi nel flamenco.
Il passato orientale della Spagna si riflette chiaramente nella morfologia del cante jondo, definizione che indica le primitive forme vocali flamenche. Si tratta di canti a cappella (nel caso della tona, del martinete e della saeta) e dotati di un tempo lento, di una linea melodica discendente e di uno stile monodico e melismatico, come anche nel caso della soleá e della siguiriya. Ma l'influenza jonda è ugualmente presente nel tiento, di creazione posteriore (che deriva dal tango il ritmo in 4/4), e nella malagueñas, ovvero il versante drammatico della famiglia del fandango. Tra i cristianos nuevos, prodotto dell'intolleranza dei re cattolici, vi erano, unitamente ai moriscos, i discendenti degli ebrei sefarditi, anch'essi di antico insediamento iberico. Vi erano, inoltre, più recenti minoranze etniche: curiose bande di zingari, giunte nella penisola all'inizio del Quattrocento, e un gruppo neanche tanto esiguo di africani. | << | < | > | >> |Pagina 6Nel corso dell'Ottocento il giovane flamenco si è abbeverato, inoltre, a un'altra fonte: il ricco pozzo del folclore delle colonie spagnole d'Oltreoceano. Si è abbeverato, in particolate, della musica cubana che, mentre definiva la propria specificità rispetto agli antecedenti ispanici e africani, retroalimentava la stessa Spagna con i ritmi e la gestualità sabrosa della habanera (che ha influenzato il tango gitano), della guajira e della milonga, generando il gruppo di stili cosiddetto di ida y vuelta (andata e ritorno).
Ma allora,
dov'è l'ispanicità
del flamenco? Essa non ne esce affatto umiliata. Innanzi tutto, come
abbiamo visto, sono state le condizioni storiche
e sociali del Sud della Spagna a permettere la
nascita del flamenco. Inoltre, le diverse influenze
extraispaniche furono assemblate dai gitani in
una forma sostanzialmente autoctona, espressa
a livello strumentale nell'adozione della chitarra
spagnola, discendente del
laud
islamico; a livello linguistico nell'uso della variante andalusa del
castigliano; a livello musicale nell'alternanza,
propria anche del folclore andaluso, tra il sistema
temperato occidentale e quello orientale dotato di
intervalli inferiori al semitono. Sarebbe più corretto parlare, allora, di una
confluenza musicale moro-afro-gitano-andalusa,
senza volere ora scomodare l'
Hispania
romana e paleocristiana. I gitani, insomma, non furono altro che la mano
che impastò quanto di musicale si era depositato
e stratificato in Andalusia.
Molto dibattuta è la questione della paternità del flamenco, se gitana o paya, ovvero bianca o più propriamente andalusa. Ma il cante jondo si configura inequivocabilmente come il luogo della differenza gitana. Lo zingaro spagnolo era tollerato come uguale a patto che diventasse identico. L'uguaglianza gli veniva riconosciuta, insomma, a costo dell'identità. È così che il suo nomadismo si è azzoppato e la sua lingua, il caló, si è azzittita, sopravvivendo in quelle poche parole che con orgoglio si affacciano sui testi del canto. Intatta è invece rimasta la coesione gruppale, strutturata su famiglie estese, e si è prodotto il flamenco come bandiera di autonomia culturale. Come parola propria che accoglie il medesimo ed esclude il diverso, in cui riconoscersi e ritrovarsi. Come difensivo demarcatore dell'identità.
Il flamenco si configura, anche, come spazio protetto della
denuncia.
Per i gitani il
cante
è il sentimento che si solleva dall'anima e diventa voce. Rappresenta
l'espressione lirica, non solo della sentimentalità propria di tutti gli uomini
(pena, gioia, amore, morte, eccetera), ma di un
malessere specificamente zingaro, legato alla privazione della libertà, alla
difesa dell'identità e alla difficoltà di tirare avanti. Per dirla con Federico
García Lorca, in esso, perfetta poesia delle lacrime,
piange la melodia così come piangono i versi. Ed è
proprio per la sua natura di sfogo esistenziale che
il poeta di Granada,
señorito
ma 'diverso' a modo suo, ha adottato e ricreato il mondo poetico del
cante jondo.
Ne apprezzava la particolare intensità emotiva, il
duende,
frutto del dolente sussulto dell'anima gitana.
Il valore tecnico-espressivo del flamenco ne ha giustificato la tempestiva conversione in forma di spettacolo e musica d'arte, e l'acquisizione di un carattere di universalità a partire dallo specifico geografico (andaluso) e sociale (gitano). Infatti, sotto la spinta dell'esotismo romantico è presto emigrato dalle ermetiche case gitane ai cafés cantantes andalusi, un po' sordidi e clandestini; è approdato, quindi, ai chiassosi palcoscenici del varietà spagnolo, ai colti teatri d'Opera di tutto il mondo, e attualmente al cinema, all'industria discografica e alla diffusione radiofonica e televisiva. | << | < | > | >> |Pagina 12Il contenuto del CDIl CD illustra un ventaglio sufficientemente rappresentativo degli stili del canto flamenco, comprendendo sia le forme primitive del cante jondo sia quelle derivate, non escludendo gli stili folclorici 'afflamencati' né quelli di influenza ispano-americana.
È stata data la precedenza alle
tipologie musicali principali:
per esempio della famiglia delle
cantiñas
è presente l'
alegría,
ma vi è anche la
romera;
la
soleá
è stata preferita alla
caña,
il
tango
alla
rumba,
la
siguiriya
alla
serrana.
La famiglia delle
tona
è presente anche con il
martinete
e la
saeta.
La vasta famiglia del
fandango
è a sua volta rappresentata dalla
malagueña,
impegnativa dal punto di vista sia tecnico sia espressivo.
La selezione non si è evidentemente fondata su una concezione gerarchica dei diversi stili che compongono il repertorio flamenco, ma sul tentativo di una documentazione sufficientemente rappresentativa eppure necessariamente parziale, data la considerevole varietà stilistica del flamenco. Nella selezione si è optato per un repertorio caratterizzato da modalità interpretative, vocali e strumentali, tradizionali, escludendo pertanto il cosiddetto nuevo flamenco, dotato di una vocazione fusionistica che si riflette sia sul tipo di strumentazione (che accosta alla tradizionale chitarra strumenti extraflamenchi quali basso, batteria, chitarra elettrica, percussioni afrocubane, sitar, eccetera), sia sui profili melodici e caratteristiche esecutive che traggono suggerimenti dal rock, dal jazz e dalla salsa, nonché da altre musiche etniche. La discografia del nuevo flamenco è, peraltro, ampiamente disponibile sul mercato extraspagnolo, diversamente da quanto avviene per il flamenco tradizionale. Per questo stesso motivo (la facile reperibilità) si esclude dalla selezione la nuova generazione dei cantaores, i quali rappresentano l'evoluzione attuale del flamenco 'puro', non prescindendo dunque dai parametri esecutivi tradizionali e dagli stili del cante jondo. È il caso del superbo Camarón de la Isla, peraltro pioniere dello sperimentalismo, e di vari altri colleghi e discepoli.
La presente raccolta ambisce a rappresentare, piuttosto, quegli
interpreti
che sono considerati dei classici: per esempio l'enciclopedico Antonio Mairena,
capace di cimentarsi con ogni
palo;
Fernando Terremoto, dotato di un'intensità tutta gitana, la graffiante Fernanda
de Utrera e Bernarda, sua sorella; il versatile Beni de Cádiz, abile
tanto nella
alegría
quanto nella
saeta.
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