Copertina
Autore Jacques Attali
Titolo Sopravvivere alle crisi
SottotitoloSette lezioni di vita
EdizioneFazi, Roma, 2010, Le terre 205 , pag. 188, cop.fle., dim. 13,6x20x1,2 cm , Isbn 978-88-6411-104-9
OriginaleSurvivre aux crises
EdizioneFayard, Paris, 2009
TraduttoreEmilia Bitossi
LettoreFlo Bertelli, 2010
Classe economia , economia finanziaria , sociologia , salute , psicologia
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Indice


SOPRAVVIVERE ALLE CRISI

Introduzione                                         5

1. Inserirsi nel movimento                          13

2. Anticipare: dopo la crisi, le crisi              34

3. Strategie di sopravvivenza                       86

4. Le persone                                      108

5. Le imprese                                      131

6. Le nazioni                                      158

7. L'umanità                                       174

Ringraziamenti                                     186


 

 

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Pagina 5

Introduzione



Un giorno o l'altro questa crisi si concluderà, come tutte le altre, lasciando dietro di sé innumerevoli vittime e qualche raro vincitore. Ma ciascuno di noi potrebbe anche uscirne in uno stato di gran lunga migliore di quello con cui ci siamo entrati. Questo a patto di comprenderne la logica e il percorso, di servirsi delle nuove conoscenze accumulate in vari settori, di contare soltanto su se stessi, di prendersi sul serio, di diventare attori del proprio destino e di adottare audaci strategie di sopravvivenza personale.

Il mio scopo non è pertanto quello di esporre un programma politico per risolvere questa crisi e tutte quelle che seguiranno, e neppure quello di offrire vaghe generalizzazioni moraleggianti, bensì di suggerire strategie precise e concrete che permettano a ognuno di «cercare crepe nella sventura» e di sapersi destreggiare tra gli ostacoli che si presenteranno, senza affidarsi ad altri per sopravvivere, per vivere meglio.

Ma, nel frattempo, occorre salvarsi dalla crisi attuale. Perché, contrariamente a quanto vogliono far credere le grida di trionfo di qualche politico e di un ristretto gruppo di banchieri, la crisi finanziaria del 2008 – che non faceva altro che rivelare quella economica che veniva da molto più lontano – è lungi dall'essere terminata. Negli Stati Uniti come altrove, anche se le Borse sono in alcuni casi in crescita, molte banche continuano a essere insolventi; i prodotti speculativi più rischiosi ad accumularsi; i disavanzi pubblici a crescere; il livello della produzione e il valore dei patrimoni restano ancora in grandissima parte inferiori a quelli precedenti la crisi; i rischi di fallimento delle imprese aumentano; la disoccupazione è in crescita; molte famiglie non potranno far fronte alle loro scadenze; infine, nonostante tutti i discorsi e le promesse, nessuna regolamentazione del sistema finanziario e nessuno dei cambiamenti strutturali resi necessari dalla crisi è ancora stato messo in atto.

L'incapacità dell'Occidente di mantenere il suo tenore di vita senza indebitarsi, che è la causa più profonda di questa crisi, è lungi dall'essere stata riassorbita. E la strategia messa in atto finora dai governi per rimediare è riassumibile nel far finanziare dai contribuenti di dopodomani gli errori dei banchieri di ieri e i bonus dei banchieri di oggi. Inoltre, molti altri cambiamenti radicali – tecnologici, economici, politici, sanitari, ecologici, culturali, personali – si aggiungeranno a questi, rendendo meno decifrabile e ancora più precario il mondo nel quale ciascuno di noi dovrà cercare di vivere e sopravvivere. Crisi e scosse varie porteranno alla gente, alle imprese e alle nazioni diverse delusioni e molti pericoli.

Ci toccherà riconoscere questa realtà da capogiro: i nostri sistemi sociopolitici non fanno nulla, assolutamente nulla di serio per allontanare le minacce che incombono sulla sopravvivenza degli individui, delle imprese, delle nazioni, dell'umanità stessa. Peggio ancora: nonostante i tentativi di legittimarsi, non ne hanno alcun diritto, poiché si nutrono della vitalità delle persone che abitano questi sistemi: il mercato non ha alcun interesse a far sì che la gente vivi a lungo, che le imprese durino, che le nazioni prosperino. Al contrario, ha interesse alla loro cancellazione per poter allocare nel modo più efficace e secondo i propri interessi le scarse risorse disponibili.

Alcuni continueranno però a credere che ciò che viviamo oggi è soltanto il punto più basso di un ciclo economico come altri, e che basta attendere due o tre anni perché tutto rientri nell'ordine finanziario, economico e sociale; continueranno a condurre i loro affari come prima e andranno dritti contro il muro. Altri, meglio informati sulle cause profonde dei problemi attuali e futuri, troveranno invece le opportunità per costruire nuove fortune sul fallimento altrui, comprando a basso prezzo dei beni che un giorno varranno molto di più.

Altri, infine, preparati da queste lezioni, ricorderanno che alcuni dei nostri antenati avevano capito di non poter attraversare i labirinti della condizione umana e sfuggire ai suoi trabocchetti se non prendendo in mano il proprio destino e facendo uso di strategie molto sofisticate. E si ricorderanno che tutte le cosmogonie fanno di questi rari uomini liberi, ultimi testimoni delle esperienze delle generazioni precedenti, le avanguardie di una nuova saggezza.

Di fronte ai pericoli del prossimo decennio – che è l'orizzonte cronologico di questo libro – chi vorrà sopravvivere dovrà, come le avanguardie del passato, accettare il fatto di non doversi più attendere nulla da nessuno; e che qualsiasi minaccia è anche un'opportunità per ognuno di noi, in quanto lo costringe a riconsiderare il proprio posto nel mondo, ad accelerare i cambiamenti nella sua vita, a mettere in atto un'etica, una morale, dei comportamenti, delle attività e delle alleanze radicalmente nuovi. Costui saprà che la sopravvivenza non implica per forza la necessità di aspettare questa o quella riforma generale, quella grazia o quel salvatore; che non esige la distruzione degli altri, ma soprattutto la costruzione di sé e l'attenta ricerca di alleati; che non risiede in un ottimismo illimitato, ma in un'estrema chiarezza in relazione a se stessi, in un desiderio selvaggio di trovare la propria ragion d'essere; la quale non è da costruire soltanto nel singolo momento, ma anche sul lungo periodo; la quale non è finalizzata alla conservazione di ciò che si è acquisito, ma può riguardare il superamento dell'ordine attuale; la quale non si limita soltanto a mantenere l'unità del proprio io, ma esige di prevedere tutte le possibili diversità.

Per arrivare a questo punto, costoro dovranno cominciare un lungo apprendistato relativo al controllo del sé, a cui nulla, per il momento, li prepara. In particolare, dovranno saper riconoscere, in alcune situazioni specifiche, l'importanza di caratteristiche che raramente vengono identificate e riconosciute come qualità: la paranoia, che aiuta a individuare i nemici esterni; l' ipocondria, che conduce a valutare i pericoli provenienti dall'interno; la megalomania, che incita a fissare degli obiettivi. E dovranno infine utilizzare gli ultimi risultati dell'antropologia, della storia, della biologia, della psicologia e delle neuroscienze per scoprire le prossime fonti di crescita e di occupazione, la formazione necessaria e il profilo futuro della felicità e della serenità.

I sette principi di questo apprendistato saranno applicabili a qualsiasi epoca, qualsiasi minaccia e qualsiasi tipo di crisi: che si tratti di una crisi economica come quella di oggi, di una carestia, di una guerra, dell'avvento di una dittatura, di uno tsunami, di una valanga, o anche di una crisi sentimentale o di un collasso cardiaco. A condizione, però, di applicarli ogni volta con approcci diversi e con metodi specifici, utilizzando, naturalmente, alleati e consigli differenti a seconda della natura delle minacce.

Questa strategia, frutto di un lungo ragionamento su quelle utilizzate finora, permetterà di sopravvivere in particolare ai rischi di disoccupazione, fallimento e declino.

Essa si snoda, a mio parere, attorno a sette principi da attuare nell'ordine suggerito qui di seguito, il cui utilizzo, per ciascuna di queste minacce, sarà esposto nei dettagli – per gli individui, le imprese, le nazioni, l'umanità – nella seconda metà di questo libro. Va da sé che la loro messa in opera richiede sforzi considerevoli e che pure io, come tutti, fatico molto a metterli in pratica. Vi invito a riflettere su di essi, fin da questa introduzione.


1. IL RISPETTO DI SÉ: innanzitutto, voler vivere, e non soltanto sopravvivere. Quindi, prendere pienamente coscienza di sé, attribuire importanza alla propria sorte, non provare né vergogna né odio verso se stessi. Rispettarsi e dunque cercare la propria ragione di vivere, imporsi un desiderio d'eccellenza in relazione al proprio corpo, alla propria conservazione, al proprio aspetto, alla realizzazione delle proprie aspirazioni. Per raggiungere questo scopo, non bisogna attendersi nulla da nessuno; occorre contare soltanto su se stessi per definirsi; non bisogna avere paura davanti a una crisi, quale che sia la sua natura; occorre accettare la verità anche se non è piacevole da ammettere; e bisogna voler essere protagonisti, né ottimisti né pessimisti, del proprio futuro.


2. L'INTENSITÀ: proiettarsi sul lungo periodo; formarsi una visione di sé, per sé, da qui a vent'anni, da reinventare incessantemente; saper scegliere di compiere un sacrificio immediato se può rivelarsi benefico sulla lunga distanza; nello stesso tempo, non dimenticare mai che il tempo è prezioso, perché si vive una volta sola, e che bisogna vivere ogni momento come se fosse l'ultimo.


3. L'EMPATIA: in ogni crisi e di fronte a ogni minaccia, a ogni cambiamento radicale, bisogna mettersi al posto degli altri, avversari o potenziali alleati; comprendere le loro culture, i loro modi di ragionare, le loro motivazioni; anticipare i loro comportamenti per identificare tutte le minacce possibili e distinguere tra amici e potenziali nemici; bisogna essere amabili con gli altri, accoglierli per stringere con loro le alleanze durature, praticare un altruismo interessato e, a tale scopo, fare mostra di una grande umiltà e di una piena disponibilità intellettuale; essere in particolare capaci di ammettere che un nemico può avere ragione senza provare vergogna o rabbia per questo.


4. LA RESILIENZA: una volta identificate le minacce, diverse per ogni tipo di crisi, occorre prepararsi a resistere — mentalmente, moralmente, fisicamente, materialmente, finanziaramente — se una di esse dovesse concretizzarsi. Di conseguenza, bisogna pensare a costituire difese, riserve, piani sicurezza a sufficienza, ancora una volta a seconda del tipo di crisi da affrontare.


5. LA CREATIVITÀ: se gli attacchi persistono e diventano strutturali, se la crisi si radicalizza o si iscrive in una tendenza irreversibile, bisogna imparare a trasformarli in opportunità; fare di una mancanza una fonte di progresso; volgere a proprio vantaggio la forza dell'avversario. Ciò esige un pensiero positivo, il rifiuto della rassegnazione, un coraggio e una creatività pratica. Queste qualità si forgiano e si allenano come i muscoli.


6. L'UBIQUITÀ: se gli attacchi continuano, sempre più destabilizzanti, e non è possibile nessun loro impiego positivo, bisogna prepararsi a cambiare radicalmente, a imitare il migliore di quelli che sanno resistere, a rimodellare la rappresentazione di sé per poter passare nel campo dei vincitori senza perdere il rispetto di se stessi. Occorre imparare a essere mobili nella propria identità e, perciò, tenersi pronti a essere doppi, dentro l'ambiguità e l'ubiquità.


7. IL PENSIERO RIVOLUZIONARIO: infine, occorre essere pronti, in una congiuntura estrema, in situazione di legittima difesa, a osare il tutto per tutto, a forzare se stessi, ad agire contro il mondo violando le regole del gioco, pur persistendo nel rispetto di sé. Quest'ultimo principio rinvia dunque al primo e tutti insieme formano così un sistema coerente, un cerchio.


Colui che metterà in atto questi principi, con qualsiasi tipo di crisi, e ne verificherà incessantemente l'applicazione, avrà più possibilità degli altri di sopravvivere.

Che sia un miserabile o che si ritenga un potente, nessuno potrà vivere e sopravvivere senza volerlo, senza operare la sua rivoluzione, così come nessuno potrà fare la rivoluzione senza sopravvivere. Come diceva il Mahatma Gandhi: «Siate voi stessi il cambiamento che volete vedere nel mondo».

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Pagina 64

...e senza che nessuna regolazione efficace, né nazionale né mondiale, ponga i vincoli necessari

Affinché l'equilibrio ritorni senza passare attraverso il fallimento delle nazioni, occorrerebbe che ci fossero delle forze in grado di costringere gli Stati in crisi a equilibrare i propri bilanci e le banche a risanare i loro patrimoni. Non essendo presenti all'interno di nessun paese forze capaci di fare questo, il ruolo di una regolazione finanziaria internazionale consisterebbe precisamente nel creare vincoli in grado di limitare questi squilibri e questi eccessi speculativi: è infatti politicamente più facile accettare costrizioni provenienti dall'esterno che prendere decisioni in tal senso autonomamente, come l'esperienza dell'euro ha dimostrato.

Ma, finora, nulla è avvenuto: se nel 1934 i governi occidentali avevano attuato regolamentazioni bancarie rigorose, in particolare separando le attività degli istituti commerciali da quelle delle banche d'affari, questa volta nulla sembra debba essere fatto, nonostante i ripetuti annunci in diverse riunioni, dal G8 al G20. In effetti, tutti sanno che l'attuazione di tali costrizioni peserebbe sui crediti bancari ed esigerebbe una politica di rigore estremamente impopolare.

Così, negli Stati Uniti, mentre si sta giocando una sorda battaglia tra Chicago e Wall Street per il controllo dei mercati dei derivati (a Chicago, città del presidente Obama, si trovano i principali mercati di derivati sulle materie prime), l'ABA (l'Associazione delle Banche Americane) farà di tutto perché l'aumento dei patrimoni delle banche sia il più limitato possibile e perché la FED non diventi il regolatore principale, come ha invece deciso il presidente Obama; essa si opporrà anche alla creazione di un'agenzia governativa incaricata della protezione dei consumatori. Di fatto, l'amministrazione Obama non ha potuto finora far votare la benché minima riforma del sistema finanziario da parte del Congresso, che capitola dinanzi a Wall Street.

I ventisette Stati membri dell'Unione Europea invece sembrano non poter fare di meglio: divisi sulla natura dei controlli alle banche da realizzare, ne lasciano la responsabilità alle autorità nazionali, preparando così un bel caos di regolamenti!

Inoltre, le iniziative proposte da alcuni partecipanti al G20 di Londra e di Pittsburgh, aventi l'obiettivo di controllare le agenzie di rating, gli hedge funds e gli LBO, e di proibire la speculazione per conto proprio, le posizioni speculative (in particolare nei CDS) e i debiti senza ricorso, sono state respinte.

Riassumendo, visto che la macchina mondiale continua a non essere controllata e che le banche possono assumere rischi illimitati, essendo garantite dallo Stato, l'indebitamento dell'Occidente può soltanto aumentare, gli squilibri crescere e le minacce alla sopravvivenza degli uni e degli altri ingigantirsi.

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C. Le previsioni per il 2010 e il 2011 restano incerte

Prima di esaminare, nei capitoli seguenti, le misure necessarie a far fronte a queste minacce, destinate a sopravvivere alle crisi, occorre tentare in questa sede di definire i pericoli derivanti da tutto ciò che precede. Per ora, due sono i principali scenari possibili.


Uno scenario ottimista: la U

La ripresa delle Borse dall'aprile 2009 fa sperare che la crisi possa essere superata. Infatti, l'ottimismo dei mercati borsistici potrebbe comportare un miglioramento progressivo del valore reale di alcuni attivi screditati, un riassestamento dei patrimoni delle banche, quindi una riapertura del credito alle imprese e dell'investimento privato.

Si potrà dunque sostituire la crescita della spesa pubblica con quella legata all'investimento privato. Se questo scenario si realizzasse (ma sono evidenti tutte le incertezze che gravano su di esso), occorrerebbe aspettarsi, al massimo, un'uscita lenta, detta "a U", dalla crisi attuale: il PIL americano ritornerebbe al livello di prima della crisi soltanto nel 2011; i settori più colpiti, come l'automobile o l'edilizia residenziale, ritroverebbero nel 2015 i loro fatturati del 2007, e la piena occupazione non tornerebbe prima del 2017. Occorrerebbe dunque, anche in questo scenario ottimista, convivere ancora a lungo con le conseguenze legate alla crisi finanziaria.


Uno scenario pessimista: la doppia caduta nella W

Al contrario, se qualcosa dovesse incepparsi in qualcuna delle tappe dello scenario appena descritto, si può temere (dopo una falsa ripresa dei mercati finanziari e la ricostituzione degli stock delle imprese) una ricaduta prolungata dell'economia mondiale (da cui la W) secondo l'articolazione che segue.

Il consumo (e in particolare la domanda di credito) non aumenterebbe: il pessimismo è tuttora imperante presso i consumatori occidentali; tutti hanno paura della disoccupazione, di una perdita di potere d'acquisto, e riducono i loro consumi. Molti dirigenti d'azienda, che manifestano un raggiante ottimismo, continuano a vendere con discrezione le azioni delle loro aziende per beneficiare personalmente del rimbalzo borsistico: non credono nella ripresa che promettono ai loro azionisti. E non esiste alcun modo di far ripartire le spese dei consumatori, di incoraggiare persone sovraindebitate a richiedere prestiti, mentre le Banche centrali non possono più abbassare i tassi d'interesse che sono già quasi pari a zero; i governi europei e quello americano non possono neppure aumentare la domanda privata con un ribasso delle imposte, tenuto conto del livello dei disavanzi pubblici. Infine, non ci si può aspettare che il consumo dell'Asia, che rappresenta soltanto un terzo di quello degli Stati Uniti, basti a compensare la debole domanda occidentale.

In questo scenario, si vedrebbe il consumo occidentale ridursi ancora, rendendo impossibile la ripresa dell'investimento privato. Infatti, negli Stati Uniti, la domanda di prestiti a breve termine proveniente dalle imprese è ancora soltanto la metà di quello che era nel 2003 e i rari prestiti che le aziende richiedono mirano a rifinanziare a tasso più basso i debiti esistenti.

Anche l'offerta di credito non aumenterebbe, a causa dell'esiguità dei patrimoni bancari. Anche se hanno, lo si è visto, molti mezzi per realizzare profitti (giocando sulla differenza dei tassi, con la riforma contabile, con i nuovi prodotti strutturati, vendendo titoli alla Banca centrale o attivando i CDS appena un'impresa richiede una nuova ripartizione del suo debito), le banche, in mancanza di patrimoni sufficienti, non sono tentate di riprendere il loro lavoro di intermediazione finanziaria. Si accontentano di accompagnare l'annullamento dei debiti delle famiglie e delle imprese, preferendo investire in speculazione borsistica piuttosto che in nuove attività. I fondi di investimento invece (che hanno 400 miliardi di debiti da pagare nei prossimi cinque anni) faranno molta fatica a finanziarsi, se non svendendo i loro attivi o provando a ottenere un prolungamento dei tempi dei prestiti. Allora tutto si bloccherebbe: senza finanziamenti bancari e capitali privati sarebbe impossibile una ripresa dell'investimento; senza ripresa dell'investimento, non ci sarebbe nessuna crescita.

Gli Stati occidentali dovrebbero allora continuare a finanziare banche e imprese e ciò comporterebbe un ulteriore aumento del debito pubblico, una risalita dei tassi d'interesse e la perdita di fiducia degli investitori nei buoni del Tesoro. Il processo comincerà un giorno negli Stati Uniti – che i cinesi cominciano già a guardare con diffidenza – e continuerà nella zona euro, in cui il tasso d'interesse richiesto ad alcuni paesi si allontana già da quello dei titoli pubblici tedeschi. A breve termine, il rischio sarebbe anche che l'aumento dei tassi renda impossibile finanziare il debito pubblico; gli Stati coinvolti potrebbero trovarsi in una situazione di blocco dei pagamenti, a meno di un finanziamento da parte della loro banca centrale, a carattere del tutto inflazionista.

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4. Le persone



Fin dalla notte dei tempi, in particolare nei momenti di grande confusione e durante le crisi descritte nelle pagine precedenti, ogni essere umano si confronta con mille pericoli: fame, angoscia, precarietà, slealtà, fallimenti professionali o personali, disoccupazione, stress, sovraindebitamento, disastri, catastrofi naturali, violenze, malattie, dolori, morte. Alcuni di questi pericoli — il dispiacere, la malattia, la morte — sono inerenti alla condizione umana; altri, come la slealtà o la precarietà, evolvono con i costumi, i comportamenti, l'organizzazione della società — nomadi o sedentari, ricchi o poveri, religiosi o laici, totalitari o liberai-democratici o social-democratici — e secondo le evoluzioni demografiche e le crisi economiche.

Nel confrontarsi con queste minacce e con questi pericoli, nessuno a priori desidera perdere la propria posizione, rimanere disoccupato, fallire, soffrire, morire. Tuttavia, alcune filosofie considerano e portano le persone a pensare di non valere nulla, che non serve prendersi sul serio e che, in ogni modo, non possono esercitare alcuna influenza sul loro destino, determinato da Dio o da forze materiali più potenti di loro, come quelle del mercato, "mano invisibile" che si erige come un destino enigmatico e spietato. Così, di fronte a una catastrofe naturale, a un'epidemia, a un genocidio, a una grave crisi economica, molti rinunciano e si rassegnano, per stoicismo o per abbandono.

Altri, incorreggibili ottimisti, pensano che tutto finirà bene, che non è necessario prepararsi, che nessuna minaccia o crisi potrebbe raggiungerli, che nessun disastro potrebbe colpirli, che tutti gli squilibri finiscono per essere riassorbiti, che tutte le tempeste hanno una fine, quantomeno per loro.

Altri ancora, scaricando sulla società, spesso giustamente, la responsabilità delle loro difficoltà, considerano che la loro vita non potrà essere migliorata, che nessuna crisi, anche personale, potrà essere risolta, almeno fino a quando il sistema sociale e politico nel quale vivono non sarà globalmente riformato. Ritengono dunque che tocchi alla società, per prima, prenderli sul serio e aspettano che tutto venga risolto da una riforma globale alla quale non si sforzano a volte – ma non sempre – neppure di partecipare.

Altri ancora ritengono che la loro crescita e la sopravvivenza debbano essere di ordine puramente intellettuale o spirituale, e che la loro forma fisica non ha importanza, dimenticando che, senza salvaguardia e controllo delle proprie energie interne, senza prendersi cura di sé, anche le capacità intellettuali finiscono in generale per indebolirsi.

Altri ancora, altruisti assoluti, credono che, con questi tormenti e prospettive per il futuro, la loro felicità non conti nulla e che sia importante solo quella degli altri. Si occupano dei malati, dei disoccupati, dei poveri, dell'ecologia o di qualsiasi altra causa, dimenticando se stessi. Non vogliono prendere in considerazione il fatto che per aiutare gli altri a essere felici è meglio che lo siano loro per primi; e che se pretendono di sacrificare agli altri la loro felicità vuol dire che in realtà la realizzano in questo modo.

Altri ancora pensano che, nell'universo di penuria e di competizione che si annuncia, la sopravvivenza esiga prima di tutto l'eliminazione di rivali e concorrenti. Rifiutano di vedere che la sopravvivenza non consiste nella distruzione degli altri (salvo casi estremi di legittima difesa), ma prima di tutto nella costruzione di sé, nella comprensione degli altri e nella ricerca di alleati.

Fra quanti aspirano a sopravvivere – la gran parte degli umani, anche fra i credenti – la maggioranza, nel confrontarsi con le crisi o con le minacce collettive descritte nei primi due capitoli, o con una crisi o una minaccia personale, comincia a negarne la realtà (la crisi passerà presto; la malattia non è grave; coloro che la predicono non sono che uccelli del malaugurio; gli analisti sono soltanto dei pessimisti che vedono tutto nero e portano sfortuna). Poi, se il pericolo si materializza, si rendono conto che le decisioni più importanti capaci di garantire la loro sopravvivenza non sono state prese né preparate, e che ormai è troppo tardi: è così per quelli che rifiutano di accettare la diagnosi di un medico, o che non si premuniscono contro un rischio di sovraindebitamento, di licenziamento, o contro una crisi ecologica, o ancora, all'estremo, fu così per quelli che, minacciati dal nazismo, rifiutarono di lasciare la Germania negli anni Trenta.

Conformemente ai principi enunciati nel capitolo precedente, sopravvivere, "sopra-vivere" richiede da ognuno l'attuazione di una strategia a sette dimensioni: la presa di coscienza di sé, il desiderio di vivere, una profonda introspezione, una grande lucidità riguardo alle proprie forze e debolezze, un desiderio di eccellenza (il rispetto di sé); poi la volontà di vivere la propria vita il più intensamente possibile, in ogni attimo, senza mai sprecare neppure un istante, secondo un progetto a lungo termine che ha le motivazioni per durare (l' intensità di vita); quindi la capacità di analizzare la situazione (in particolare di apprendere e accettare le cattive notizie), di esaminare il comportamento degli altri, di comprendere ciò che può arrivare da loro, di valutare la loro lealtà, di distinguere tra alleati e nemici (l' empatia); poi, per non rischiare di soccombere a un attacco, una preparazione che preveda la costituzione di riserve, di garanzie, di vie di fuga (la resilienza); poi la facoltà di depistare le forze ostili per trasformarle in opportunità (la creatività); quindi un'attitudine a cambiare, se si rivelasse necessario, valori, progetto di vita, identità, a diventare altro senza peraltro cessare di rispettarsi (l' ubiquità); infine, in casi estremi, la capacità di ribaltare tutti i principi, di agire fuori dalle norme e dalle leggi, per legittima difesa, in maniera letteralmente rivoluzionaria.

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