Autore Paul Auster
Titolo 4 3 2 1
EdizioneEinaudi, Einaudi, 2017, Supercoralli , pag. 940, cop.rig.sov., dim. 14x22x5,3 cm , Isbn 978-88-06-23501-7
Originale4 3 2 1
TraduttoreCristiana Mennella
LettoreRenato di Stefano, 2018
Classe narrativa statunitense












 

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Pagina 3

1.0


Secondo la leggenda di famiglia, il nonno di Ferguson partí a piedi da Minsk, sua città natale, con cento rubli cuciti nella fodera della giacca, viaggiò a ovest fino ad Amburgo passando per Varsavia e Berlino, comprò il biglietto per una nave chiamata Empress of China che attraversò l'Atlantico in mezzo a violente tempeste invernali ed entrò nel porto di New York il primo giorno del ventesimo secolo. Mentre aspettava di essere interrogato da un funzionario dell'immigrazione a Ellis Island, il nonno di Ferguson attaccò discorso con un altro ebreo russo. Quello gli disse: Scordati il nome Reznikoff. Qui non te ne fai niente. Per la tua nuova vita in America ti serve un nome americano, uno che suona bene in americano. Poiché nel 1900 l'inglese era ancora una lingua straniera per lui, Isaac Reznikoff chiese suggerimento al piú esperto e maturo compatriota. Di' che ti chiami Rockefeller, fece quello. Cosí vai sul sicuro. Passò un'ora, poi un'altra ora, e quando si accomodò per rispondere alle domande del funzionario, il diciannovenne Reznikoff aveva già dimenticato il nome che gli era stato suggerito da quell'uomo. Nome?, chiese il funzionario. Battendosi la fronte indispettito, lo stanco immigrato se ne usci in yiddish, Ikh hob fargessen (Non me lo ricordo piú)! E fu cosí che Isaac Reznikoff cominciò la sua nuova vita in America come Ichabod Ferguson.

Questo gli creò parecchie difficoltà, soprattutto all'inizio, ma anche quando non fu piú l'inizio, nulla andò come aveva immaginato nel suo paese d'adozione. È vero che riuscí a trovare moglie poco dopo aver compiuto ventisei anni, ed è anche vero che sua moglie Fanny, nata Grossman, gli partorí tre maschi sani e robusti, ma la vita in America continuò a essere una lotta per il nonno di Ferguson, dal giorno in cui scese dalla nave fino alla notte del 7 marzo 1923, quando andò incontro a una morte precoce e inattesa all'età di quarantadue anni, ucciso a colpi d'arma da fuoco a Chicago, durante una rapina nel magazzino di pelletteria dove lo avevano assunto come metronotte.

Di lui non sopravvive nessuna foto, ma a detta di tutti era un omone con la schiena forte e le mani enormi, senza istruzione, senza una qualifica, la quintessenza del rozzo immigrato. Nel suo primo pomeriggio a New York s'imbatté in un ambulante che vendeva le mele piú rosse, piú tonde e perfette che avesse mai visto. Incapace di resistere, ne comprò una e l'addentò con ingordigia. Al posto della dolcezza che già pregustava, senti uno strano sapore amaro. Peggio, la mela era di una morbidezza rivoltante, e appena affondò i denti nella buccia, l'interno del frutto gli colò sul cappotto, una cascata di liquido rossastro punteggiato da una miriade di semi, simili a pallini di piombo. Fu questo il suo primo assaggio del Nuovo Mondo, il suo primo, indimenticabile incontro con un pomodoro del New Jersey.

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Incredibile, ma fu proprio Mildred che la salvò dalla noia estrema, che intervenne e trasformò quei mesi di immobilità in ciò che in seguito Rose, parlando con suo figlio, avrebbe definito un'avventura grandiosa.

Non puoi ciondolare per casa tutto il giorno ascoltando la radio e guardando quelle stupidaggini in televisione, disse Mildred. Perché per una volta non metti in moto il cervello e recuperi un po'?

Come, scusa?, disse Rose, senza capire di cosa parlava Mildred.

Magari non te ne sei accorta, disse la sorella, ma il tuo medico ti ha fatto un regalo straordinario. Ti ha trasformato in una prigioniera, e l'unica cosa che hanno i prigionieri in confronto agli altri è il tempo, un'infinità di tempo. Leggi qualche libro, Rose. Inizia a farti una cultura. È la tua possibilità, e se vorrai un aiuto, te lo darò piú che volentieri.

L'aiuto di Mildred giunse sotto forma di una lista di libri, di svariate liste di libri nei mesi che seguirono, e con i cinema momentaneamente inaccessibili, per la prima volta in assoluto Rose soddisfò la sua fame di racconto con i romanzi, grandi romanzi, non i gialli e i best seller su cui si sarebbe normalmente orientata da sola, ma i libri consigliati da Mildred, classici, neanche a dirlo, ma scelti sempre tenendo presente Rose, libri che secondo Mildred le sarebbero piaciuti, ragion per cui Moby-Dick, Ulisse e La montagna incantata non comparvero mai su nessuna lista, visto che certi libri avrebbero messo a dura prova la scarsa preparazione di Rose, ma c'era l'imbarazzo della scelta, e col passare dei mesi mentre il bambino cresceva dentro di lei, Rose trascorse le giornate nuotando fra le pagine dei libri, e a parte qualche delusione tra le decine di quelli che aveva letto ( Fiesta, per esempio, le sembrò falso e superficiale), quasi tutti gli altri la attrassero e la coinvolsero dalla prima all'ultima riga, fra gli altri Tenera è la notte, Orgoglio e pregiudizio, La casa della gioia, Moll Flanders, La fiera delle vanità, Cime tempestose, Madame Bovary, La Certosa di Parma, Primo amore, Gente di Dublino, Luce d'agosto, David Copperfield, Middlemarch, Washington Square, La lettera scarlatta, La via principale, Jane Eyre e numerosi altri, ma di tutti gli scrittori che scopri durante la sua reclusione, quello che le parlò di piú fu Tolstoj, quel mago di Tolstoj, che aveva capito tutto della vita, secondo lei, tutto quello che c'era da sapere del cuore e della mente umana, maschile o femminile che fosse, com'era possibile, si chiedeva, che un uomo sapesse quello che Tolstoj sapeva delle donne, non aveva senso che un solo uomo potesse essere ogni uomo e ogni donna, e dunque Rose divorò tutto quello che aveva scritto Tolstoj, non solo i romanzi lunghi come Guerra e pace, Anna Karenina e Resurrezione, ma anche le opere brevi, le novelle e i racconti, e nessuno le parve piú potente di Felicità familiare, la storia in cento pagine di una giovane sposa e della sua graduale disillusione, un'opera che la toccò nell'intimo tanto che alla fine pianse, e quando Stanley tornò a casa la sera si preoccupò vedendola in quello stato, perché Rose, pur avendo finito di leggere alle tre del pomeriggio, aveva gli occhi ancora bagnati di lacrime.

La nascita era prevista per il 16 marzo 1947, ma alle dieci del mattino del 2 marzo, due ore dopo che Stanley era uscito per andare al lavoro, Rose, ancora in camicia da notte e semidistesa a letto con un cuscino dietro la schiena e Le due città appoggiato al versante settentrionale del ventre enorme, senti una pressione improvvisa alla vescica. Pensando di dover fare pipí, si districò lentamente dal lenzuolo e dalle coperte, spostò la sua mole colossale verso il bordo del letto, abbassò i piedi sul pavimento e si alzò. Non riuscí a fare neanche un passo verso il bagno, e senti una colata di liquido caldo fra le cosce. Rose non si mosse. Era di fronte alla finestra, e quando guardò fuori, vide che dal cielo scendeva una neve leggera, brumosa. Sembrava tutto cosí quieto in quel momento, pensò, come se al mondo si muovesse solo la neve. Si rimise seduta sul letto e chiamò MondoCasa, ma la persona che rispose al telefono le disse che Stanley era uscito a fare una commissione e sarebbe tornato solo dopo pranzo. Allora chiamò il dottor Jacobs, ma la sua segretaria la informò che era appena uscito per una visita a domicilio. Ormai un po' nel panico, Rose disse alla segretaria di avvisare il dottore che lei stava andando all'ospedale, e poi fece il numero di Millie. Sua cognata rispose al terzo squillo, e cosí fu Millie che venne a prenderla. Durante il breve tragitto verso il reparto maternità del Beth Israel, Rose le disse che lei e Stanley avevano già scelto i nomi per il nascituro. Se era femmina, le avrebbero messo nome Esther Ann Ferguson. Se era maschio, si sarebbe chiamato Archibald Isaac Ferguson.

Millie guardò dallo specchietto retrovisore e studiò Rose, che era stravaccata sul sedile dietro. Archibald, ripeté. Siete sicuri?

Sí, siamo sicuri, rispose Rose. Per via di zio Archie. E Isaac per via del padre di Stanley.

Speriamo solo che abbia la pelle dura, disse Millie. Stava per continuare, ma non fece in tempo ad aggiungere altro perché erano arrivate all'ingresso dell'ospedale.

Millie radunò le truppe, e quando Rose diede alla luce suo figlio alle 2,07 del mattino dopo, c'erano tutti: Stanley e i genitori di Rose, Mildred e Joan, perfino la madre di Stanley. E cosí nacque Ferguson, e per diversi secondi, una volta uscito dal corpo di sua madre, fu l'essere umano piú giovane sulla faccia della terra.

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Però c'erano le visite a casa dei nonni per il Ringraziamento, Pasqua e le occasionali riunioni domenicali, cosí come le altre domeniche in cui zia Mildred e zio Don montavano sul sedile posteriore della Plymouth viola e accompagnavano i nonni a trovarli nel New Jersey. Perciò Ferguson aveva ampia occasione di osservare lo zio Don, e la sorprendente conclusione cui giunse fu che malgrado l'enorme diversità in fatto di cultura, istruzione, lavoro e modo di vivere, suo padre e suo zio erano piú uguali che diversi, piú simili fra loro di quanto suo padre fosse simile a Sam Brownstein o Max Solomon, poiché sia che fossero impegnati a sfornare soldi o a sfornare parole, ciascuno di loro era preso dal proprio lavoro a esclusione di tutto il resto, e questo li rendeva nervosi e distratti quando non stavano lavorando, ottusi ed egocentrici, praticamente ciechi. Indubbiamente zio Don sapeva essere piú loquace di suo padre, piú divertente di suo padre, piú interessante di suo padre, ma solo quando voleva, e ora che Ferguson lo conosceva cosí bene, si accorse che spesso guardava zia Mildred come se fosse trasparente quando lei gli parlava, come se cercasse qualcosa alle sue spalle, che non riusciva a sentirla perché stava pensando ad altro, un po' come spesso suo padre guardava sua madre, sempre piú spesso ormai, lo sguardo vitreo di un uomo capace solo di vedere i pensieri nella propria testa, che c'era ma non c'era, che era assente.

Ecco la vera differenza, concluse Ferguson. Non stava nei soldi, troppi o pochi, né in quello che facevi o non facevi, non stava nel comprare una casa piú grande o un'auto piú costosa, ma nell'ambizione. Cosí si spiegava perché Brownstein e Solomon galleggiassero nell'esistenza con relativa serenità: non erano tormentati dal demone dell'ambizione. Suo padre e zio Don invece erano divorati dall'ambizione, che paradossalmente rimpiccioliva il loro mondo e li rendeva piú inquieti di chi non era afflitto da quel demone, poiché ambizione significava non essere mai soddisfatti, avere sempre fame di qualcos'altro, andare avanti a testa bassa, perché nessun successo poteva essere abbastanza grande da placare la sete di altri successi ancora piú grandi, la smania di trasformare un negozio in due negozi, due negozi in tre negozi, di progettare l'apertura del quarto e poi anche del quinto, cosí come un libro era solo un passo che portava a un altro libro, un libro dopo l'altro vita natural durante, cosa che richiedeva la stessa tenacia e concentrazione di cui aveva bisogno un imprenditore per diventare ricco. Alessandro Magno conquista il mondo, e poi? Costruisce un'astronave e invade Marte.

Ferguson era nei suoi primi dieci anni di vita, ragion per cui i libri che leggeva erano ancora circoscritti nell'ambito della letteratura per ragazzi, i gialli degli Hardy Boys, romanzi su giocatori di football al liceo e viaggiatori intergalattici, raccolte di racconti d'avventura, biografie semplificate di uomini e donne illustri come Abramo Lincoln e Giovanna d'Arco, ma ora che aveva intrapreso la sua indagine nei meandri dell'animo dello zio Don, gli parve una buona idea leggere qualcosa che aveva scritto lui, o provare a leggerlo, e cosí un giorno chiese a sua madre se avevano in casa qualche libro dello zio. Sí, rispose lei, li avevano tutti e due.

F: Tutti e due? Nel senso che ne ha scritti solo due?

Madre di F: Sono libri lunghi, Archie. Ci sono voluti anni per scriverli.

F: Di che parlano?

Madre di F: Sono biografie.

F: Bello. Mi piacciono le biografie. Su chi sono?

Madre di F: Persone di tanto tempo fa. Uno scrittore tedesco del primo Ottocento che si chiamava Kleist. E un filosofo e scienziato del Seicento che si chiamava Pascal.

F: Mai sentiti nominare.

Madre di F: A dire la verità, neanch'io li avevo mai sentiti.

F: Sono bei libri?

Madre di F: Credo di sí. Pare siano molto belli.

F: Nel senso che non li hai letti?

Madre di F: Li ho letti un po' qua e un po' là, ma non dall'inizio alla fine. Temo non siano il mio genere.

F: Ma gli altri dicono che sono belli. Significa che zio Don guadagna un sacco di soldi.

Madre di F: Veramente no. Sono libri per addetti ai lavori, e non hanno un grande pubblico. Ecco perché zio Don scrive tutti quegli articoli e recensioni. Per arrotondare un po' mentre si documenta per i suoi libri.

F: Credo che dovrei leggerne uno.

Madre di F (sorridendo): Se vuoi, Archie. Ma poi non restarci male se non riesci ad andare avanti.

Cosí la madre gli diede i due libri, ognuno di oltre quattrocento pagine, due pesanti tomi a caratteri minuscoli e senza illustrazioni pubblicati dalla Oxford University Press, e siccome la copertina del libro su Pascal gli piaceva di piú della copertina di Kleist, con la semplice foto della maschera mortuaria del francese sospesa su uno sfondo nero totale, decise di affrontare prima quello. Dopo un paragrafo si rese conto che non solo era una fatica, ma era proprio impossibile. Non sono ancora pronto, si disse. Dovrò aspettare di essere piú grande.

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Zia Mildred e zio Henry non erano riusciti a sfornare il cugino Adler che Ferguson agognava tanto da piccolo. Le ragioni gli erano ignote, sterilità o infertilità o il rifiuto consapevole di accrescere la popolazione mondiale, ma nonostante la delusione di Ferguson, il vuoto di cugini sulla costa occidentale in fin dei conti giocò a suo favore. Magari zia Mildred non era legata a sua sorella, ma non avendo figli, e senza altri nipoti maschi o femmine all'orizzonte, riversò il suo eventuale istinto materno sul suo solo e unico Archie. Dopo il trasloco in California quando Ferguson aveva cinque anni, lei e zio Henry erano tornati a New York diverse volte per lunghi soggiorni estivi, e anche quando rientrava a Berkeley per il resto dell'anno, si teneva in contatto con il nipote scrivendogli o facendosi sentire per telefono. Ferguson capiva che sua zia era un po' glaciale, che sapeva essere aspra, cocciuta e anche maleducata con gli altri, ma con lui, il suo unico e solo Archie, era un'altra persona, piena di complimenti e buonumore e curiosità per quello che il nipotino faceva, pensava e leggeva. Gli comprava sempre dei regali, fin da quando era piccolissimo, regali a profusione, in genere sotto forma di libri e dischi, e adesso che Ferguson era piú grande ed erano aumentate le sue capacità intellettive, era aumentato anche il numero di libri e dischi che la zia gli spediva dalla California. Forse temeva che i suoi genitori non sapessero fornirgli la giusta guida intellettuale, forse li considerava un'insignificante coppia di borghesi ignoranti, forse si riteneva in dovere di salvare Ferguson dall'ignoranza squallida in cui viveva, pensando che lei e lei soltanto potesse offrirgli l'aiuto necessario per scalare le alte vette dell'illuminazione. Era senz'altro possibile che fosse (come Ferguson aveva sentito dire dai genitori) una snob intellettuale, ma non si discuteva sul fatto che, snob o non snob, fosse una vera intellettuale, una donna di vasta erudizione che viveva del proprio lavoro di docente universitaria, e le opere che suo nipote scopriva grazie a lei erano davvero un dono del cielo.

Nessun altro ragazzo del suo giro di conoscenze aveva letto quello che aveva letto lui, e siccome zia Mildred sceglieva con cura per lui, come aveva scelto con cura per la sorella nel periodo in cui era stata costretta a letto tredici anni prima, Ferguson leggeva i libri che lei gli mandava con un'avidità che somigliava alla fame fisica, perché sua zia capiva quali libri avrebbero soddisfatto le brame di un ragazzo in rapido sviluppo, dai sei agli otto anni, dagli otto anni ai dieci, dai dieci ai dodici... e avanti, fino alla fine delle superiori. Le favole, per cominciare, i fratelli Grimm e i volumi multicolori compilati dallo scozzese Lang, poi i meravigliosi, fantastici romanzi di Lewis Carroll, George MacDonald e E. Nesbit, seguiti dai miti greci e romani narrati da Bulfinch, una versione per bambini dell' Odissea, La tela di Carlotta, una scelta di racconti dalle Mille e una notte riedita col titolo I sette viaggi di Sinbad il marinaio e poi, pochi mesi dopo, il florilegio di seicento pagine delle Mille e una notte tutto intero, e l'anno successivo Il dottor Jekyll e il signor Hyde, i racconti dell'orrore e del mistero di Poe, Il principe e il povero, Il ragazzo rapito, Canto di Natale, Tom Sawyer e Uno studio in rosso, e Ferguson reagí con tale entusiasmo al libro di Conan Doyle che per il suo undicesimo compleanno ricevette da zia Mildred un'edizione gigantesca e riccamente illustrata di Tutto Sherlock Holmes. Questo per citare alcuni libri, ma c'erano anche i dischi, che non erano meno importanti dei libri per Ferguson, soprattutto in quel momento, gli ultimi due o tre anni, a partire da quando lui ne aveva nove o dieci, e che gli arrivavano a intervalli regolari di tre-quattro mesi. Jazz, musica classica, folk, rhythm and blues e perfino un po' di rock and roll. Anche qui, come per i libri, zia Mildred segui un approccio strettamente pedagogico e guidò Ferguson procedendo a tappe, sapendo che Louis Armstrong doveva venire prima di Charlie Parker, che doveva venire prima di Miles Davis, che Cajkovskij, Ravel e Gershwin dovevano precedere Beethoven, Mozart e Bach, che bisognava ascoltare i Weavers prima di Lead Belly, che Ella Fitzgerald che canta Cole Porter era il primo passo necessario per essere promossi a Billie Holiday che canta Strange Fruit. Con suo grande rammarico, Ferguson aveva scoperto di non possedere un briciolo di talento per la musica. A sette anni aveva provato con il pianoforte e un anno dopo aveva smesso, per la frustrazione; a nove anni aveva provato la cornetta e aveva smesso; a dieci anni aveva provato la batteria e aveva smesso. Per qualche ragione faticava a leggere la musica, non riusciva ad assimilare bene i simboli sulla pagina, i circoletti vuoti e pieni appoggiati sulle linee o annidati nel mezzo, i bemolle e i diesis, le armature di chiave, la chiave di violino e quella di basso, le notazioni non riuscivano a entrargli in testa e diventare automaticamente riconoscibili come era successo con le lettere e i numeri, perciò era costretto a pensare a ogni nota prima di suonarla, e quindi leggeva piú lentamente le battute e le misure di qualunque brano e, in sostanza, non riusciva a suonare niente. Fu una triste sconfitta. Il suo cervello rapido ed efficiente era handicappato quando si trattava di decifrare quei segni riottosi, e invece di sbattere ostinatamente la testa contro il muro, aveva abbandonato la lotta.

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Pagina 167

Ferguson considerava i giornali una delle piú grandi invenzioni dell'umanità, e li amava fin da quando aveva imparato a leggere. Al mattino di buon'ora, sette giorni su sette, una copia del «Newark Star-Ledger» compariva sui gradini di casa, atterrando con un piacevole tonfo proprio mentre lui scendeva dal letto, lanciato da una persona invisibile, senza nome, che non mancava mai il bersaglio, e a sei anni e mezzo Ferguson partecipava già al rito mattutino della lettura del giornale mentre consumava la colazione, lui che si era imposto di leggere durante l'estate della gamba rotta, che aveva lottato per uscire dal carcere della sua stupidità infantile e si era trasformato in un cittadino del mondo, abbastanza evoluto ormai da comprendere tutto, o quasi tutto salvo le astruse questioni di politica economica e l'idea che costruire piú armi nucleari assicurasse una pace piú duratura, e ogni mattina sedeva a colazione con i genitori e ognuno di loro affrontava una pagina diversa del giornale, leggendo in silenzio perché parlare di prima mattina era una fatica e poi scambiandòsi le pagine già lette dentro la cucina odorosa di caffè e uova strapazzate, di pane che abbrustoliva nel tostapane, di burro che si scioglieva sulle fette bollenti. Ferguson cominciava sempre con i fumetti e lo sport, con Arturo e l'amica Zoe per cui provava una strana attrazione, con Arcibaldo e la moglie Petronilla, Blondie e Dagoberto, Beetle Bailey, seguiti dalle ultimissime su Mantle e Ford, su Conerly e Gifford, poi passava alle notizie locali, a quelle nazionali e internazionali, agli articoli di cinema e teatro, alle cosiddette storie di vita vissuta, per esempio i diciassette universitari che si stipavano in una cabina telefonica o i trentasei hot dog consumati dal vincitore della gara di abbuffata nella contea di Essex, e una volta terminato, se avanzava ancora qualche minuto prima di andare a scuola, gli annunci economici e quelli personali. Tesoro, ti amo. Ti prego, torna.

Il fascino dei giornali era del tutto diverso dal fascino dei libri. I libri erano solidi e permanenti, i giornali fragili ed effimeri, prodotti usa e getta che venivano buttati via non appena erano stati letti, per essere sostituiti la mattina dopo, ogni mattina un giornale fresco per il nuovo giorno. I libri procedevano dall'inizio alla fine in linea retta, mentre i giornali erano sempre in vari posti contemporaneamente, un guazzabuglio di simultaneità e contraddizione, storie multiple che convivevano sulla stessa pagina, ognuna specchio di una faccia diversa del mondo, ognuna espressione di un'idea o di un fatto completamente slegato da quello accanto, una guerra a destra, una corsa coi sacchi a sinistra, un edificio in fiamme in alto, un raduno di girl scout in basso, cose grandi e cose piccole mescolate fra loro, tragedie a pagina 1 e inezie a pagina 4, allagamenti invernali e indagini della polizia, scoperte scientifiche e ricette per dolci, morti e nascite, consigli ai cuori infranti e parole crociate, passaggi da touchdown e dibattiti al Congresso, cicloni e sinfonie, scioperi del sindacato e voli transatlantici in mongolfiera, il giornale del mattino contava inevitabilmente ciascuno di questi fatti tra le sue colonne di inchiostro nero sbaffato, e ogni mattina Ferguson esultava davanti a quel calderone, perché il mondo era cosí, secondo lui, ribolliva come un calderone, con dentro milioni di cose diverse che succedevano nello stesso momento.

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Pagina 222

Oggi è previsto freddo, Archie. Ricordati di mettere la sciarpa per andare a scuola.

Gli arrovellamenti morbosi figuravano tra le cose che non andavano bene e che caratterizzarono quel periodaccio alla vigilia dei suoi nove anni, ma c'erano anche cose che andavano bene, cose di ogni giorno, come il programma televisivo che andava in onda dopo la scuola, dalle sedici alle diciassette e trenta su Channel 11, novanta minuti filati (con le interruzioni pubblicitarie) di vecchi film con Stan Laurel e Oliver Hardy, che alla fine erano i film piú belli, piú divertenti, piú appaganti mai girati. Era una trasmissione nuova che avevano lanciato in autunno, e prima di scoprirla per caso un pomeriggio di ottobre, Ferguson non sapeva proprio niente di quella vecchia coppia comica, dato che nel 1955 Laurel e Hardy erano già stati praticamente dimenticati, le loro pellicole degli anni Venti e Trenta non venivano piú proiettate nelle sale, e solo grazie alla televisione stavano cominciando a tornare in auge tra i piccini della grande metropoli. Ferguson sviluppò un'adorazione per quei due idioti, quegli adulti con la testa da bambini di sei anni, pieni d'entusiasmo e buona volontà eppure erano sempre li a litigare e darsi il tormento l'uno contro l'altro, sempre a ficcarsi nelle situazioni piú improbabili e pericolose, quasi annegati, quasi disintegrati, quasi rimbambiti dalle botte in testa, eppure riuscivano sempre a sopravvivere, mariti sventurati, traffichini imbranati, perdenti fino all'ultimo eppure, malgrado tutti i pugni, i pizzicotti e i calci che si davano, erano cosi amici, piú legati di qualunque altra coppia nel Libro della vita terrestre, metà inscindibili di un singolo organismo umano composto da due parti. Mr Laurel e Mr Hardy. A Ferguson piaceva immensamente che fossero i nomi di persone vere che interpretavano i personaggi immaginari di Laurel e Hardy nei film, perché Laurel e Hardy erano sempre Laurel e Hardy, a prescindere dalle situazioni in cui finivano: se vivevano in America o in un altro paese, se nel passato o nel presente, se erano traslocatori o pescivendoli o venditori di alberi di Natale o soldati o marinai o carcerati o falegnami o musicisti di strada o stallieri o cercatori d'oro nel Selvaggio West, e il fatto che fossero sempre gli stessi anche quando erano diversi li rendeva ancora piú veri di qualsiasi altro personaggio cinematografico, perché, ragionava Ferguson, se Laurel e Hardy erano sempre Laurel e Hardy, voleva dire per forza che erano eterni.

Furono i suoi compagni piú assidui e fidati per tutto quell'anno e anche nel successivo, Stanley e Oliver, alias Stanlio e 0llio, il secco e il ciccione, l'innocente tontolone e lo sciocco pieno di sé, che alla fine non era meno tontolone del primo, tra l'altro Laurel si chiamava come suo padre, ma anche se questo significava qualcosa per Ferguson, non significava granché, e di sicuro c'entrava assai poco con la crescente simpatia nei confronti di quei nuovi amici, che erano diventati in un lampo i suoi migliori amici, se non gli unici. Ciò che piú amava di loro erano gli elementi di fondo che restavano immutati da un film all'altro, a cominciare dalla Danza dei cucú della sigla iniziale che annunciava il ritorno dei ragazzi per un'altra avventura e Cosa si inventeranno la prossima volta?, i vezzi ben noti che non lo stancavano mai, 0llio che giocherella con la cravatta e guarda esasperato nella cinepresa, Stanlio che batte le ciglia esterrefatto e scoppia in un pianto improvviso, le gag incentrate sulle loro bombette, quella troppo grande in testa a Stanlio, quella troppo piccola in testa a 0llio, i cappelli sfondati e i cappelli che bruciano, i cappelli calcati sulle orecchie e i cappelli calpestati, la tendenza a cadere nei tombini e precipitare da pavimenti di legno sfondati, a finire in pantani fangosi e nelle pozzanghere fino al collo, la iella con le automobili, le scale, i forni a gas e le prese di corrente, le pose fanfarone di 0llio quando parla con gli estranei, Le presento il mio amico, il signor Laurel, l'assurda capacità di Stanlio di darsi fuoco ai pollici e tirare boccate da pipe inesistenti ma funzionanti, gli sfrenati attacchi di risa la propensione a improvvisare dei balletti (com'erano aggraziati tutti e due), quando facevano fronte comune contro gli avversari dimenticando bisticci e dissapori e univano le forze per distruggere la casa o l'auto di qualcuno, ma anche le variazioni della loro personalità e le volte in cui le loro identità si sovrapponevano e addirittura si mescolavano, come quando 0llio massaggiava il piede di Stanlio credendo che fosse il suo e sospirava di piacere e sollievo, o i modi ingegnosi in cui a volte duplicavano se stessi, come quando Stanlio grande e 0llio grande si occupavano dei loro frugoletti, Stanlio piccolo e 0llio piccolo, copie in miniatura dei loro padri, visto che Laurel e Hardy interpretavano entrambi i ruoli, oppure quando Stanlio era sposato con una 0llio femmina e 0llio con una Stanlio femmina, o quando ritrovavano i loro gemelli perduti, grandi amici fra loro che neanche a dirlo si chiamavano Laurel e Hardy, o il massimo in assoluto, quando una trasfusione di sangue andava storta alla fine del film e Stanlio si ritrovava coi baffi e la voce di 0llio e Hardy col viso glabro scoppiava nel pianto tipico di Laurel.

Sí, erano sempre cosí esilaranti e inventivi, e sí, certe volte Ferguson aveva il mal di pancia a furia di sbellicarsi per le loro buffonate, ma se li trovava ridicoli, se il suo amore per loro era fiorito oltre ogni limite, non era tanto per le loro pagliacciate quanto per la loro pervicacia, per il fatto che gli ricordavano se stesso. Tolte le esagerazioni comiche e la violenza farsesca, i travagli di Laurel e Hardy non erano diversi dai suoi. Anche loro inciampavano da un piano sconsiderato all'altro, anche loro subivano innumerevoli batoste e frustrazioni, e ogni volta che le disgrazie li portavano al punto di rottura, la rabbia di Hardy diventava la sua rabbia, lo sconcerto di Laurel rispecchiava il suo sconcerto, e il bello di tutti quei pasticci era che Stanlio e 0llio erano ancora piú incompetenti di lui, piú stupidi, piú somari, piú impotenti, e questo era divertente, tanto divertente che non riusciva a smettere di ridere di loro, anche quando li compativa e li abbracciava come fratelli, spiriti affini che crollavano ogni volta sotto i colpi del mondo e ogni volta si rialzavano e ci riprovavano... architettando un altro piano balordo che li avrebbe mandati inevitabilmente di nuovo al tappeto.

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E cosí Schneiderman aveva deluso Ferguson, e Ferguson aveva deluso Schneiderman, ma dal momento che non ne parlarono mai fra loro, ognuno restò all'oscuro della delusione dell'altro. Alla fine, quando in prima liceo Ferguson divenne ala titolare della sua squadra di pallacanestro, Schneiderman cominciò a mostrare qualche interesse per lo sport, arrivando se non altro ad assistere a diverse partite con la madre di Ferguson, facendo il tifo per il figliastro dalla tribuna, invece Ferguson non imparò mai a suonare uno strumento. Tuttavia, si può tranquillamente affermare che Ferguson beneficiò della passione del patrigno per la musica piú di quanto Schneiderman beneficiò del talento del figliastro nel mandare le palle a canestro e tagliare fuori gli avversari sui rimbalzi. A dodici anni e mezzo, Ferguson non sapeva niente di nessun genere musicale a parte il rock and roll, adorato da lui e tutti i suoi amici. Aveva la testa piena delle parole e delle melodie di Chuck Berry, Buddy Holly, Del Shannon, Fats Domino e decine di altri cantanti pop, ma in fatto di musica classicaera vergine, per non parlare di jazz, blues e del nascente folk revival, generi che ignorava di sana pianta, salvo qualche ballata umoristica del Kingston Trio, che stava vivendo il suo momento di gloria. Conoscere Schneiderman cambiò tutto. Per un ragazzino che aveva assistito solo a due concerti in vita sua (il Messiah di Händel alla Carnegie Hall con zia Mildred e zio Paul, e una matinée di Pierino e il lupo, insieme ai compagni delle elementari durante il primo mese alla Hilliard), uno che non possedeva neanche un disco di musica classica, con una madre che non possedeva dischi di alcun genere e ascoltava solo vecchi standard e musica delle big band alla radio, per un ragazzino cosí, senza il minimo barlume di conoscenza su quartetti per archi o sinfonie o cantate, ascoltare il patrigno suonare il piano o il violino fu già una rivelazione, come fu un'ulteriore rivelazione ascoltare la collezione di dischi del patrigno e scoprire che la musica poteva davvero riconfigurare gli atomi nel cervello di una persona, e oltre a quello che succedeva nelle case di Central Park West e Riverside Drive c'erano le escursioni con sua madre e Schneiderman alla Carnegie Hall e alla Town Hall e alla Metropolitan Opera House che cominciarono qualche settimana dopo l'inizio della loro convivenza. Schneiderman non era in missione pedagogica, non aveva programmato di impartire a madre e figlio un'educazione musicale vera e propria, voleva semplicemente esporli a opere che avrebbero smosso la loro sensibilità, ragion per cui non partí da Mahler o Schönberg o Webern ma da opere reboanti e gioiose come l' Ouverture 1812 (Ferguson restò a bocca aperta la prima volta che senti il cannone) o pezzi istrionici come la Sinfonia fantastica o la vibrante musica a programma di Quadri da un'esposizione, ma un po' per volta li conquistò, e di lí a poco cominciarono ad accompagnarlo alle opere di Mozart e ai concerti per violoncello di Bach, e per il dodicenne e tredicenne Ferguson, che continuava ad adorare il rock and roll che aveva sempre adorato, quelle sere nelle sale da concerto furono addirittura una rivelazione sui meccanismi del proprio cuore, perché capí che la musica era il cuore, l'espressione piú piena del cuore umano, e ora che aveva udito ciò che aveva udito, cominciava a udire meglio, e meglio udiva, piú profondamente sentiva - a volte cosí profondamente che il suo corpo tremava.

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[...] Ferguson sapeva che Noah lo ammirava molto, ma sapeva anche che quell'ammirazione era malriposta e infondata, che Noah lo aveva trasformato in un essere eroico, idealizzato, in realtà inesistente, mentre Ferguson, nel buio spazio interiore in cui viveva davvero, si rendeva conto che Noah possedeva un cervello di prim'ordine e che, quando si trattava delle cose che contavano sul serio, il giovane signor Marx era molto piú avanti di lui, lo precedeva sempre di un passo, spesso di due, ogni tanto anche di quattro o dieci passi. Noah era il suo apripista, l'esploratore che s'inoltrava lesto nei boschi e gli suggeriva dove era meglio andare a caccia - libri da leggere, musica da ascoltare, film da guardare, teorie su cui riflettere -, e dopo aver ingerito Candido e Bartleby, J. S. Bach e Muddy Waters, Tempi moderni e La grande illusione, i monologhi notturni di Jean Shepherd e l'Uomo di Duemila Anni di Mel Brooks, Mio padre doveva essere bellissimo di James Baldwin e il Manifesto del Partito Comunista (no, Karl Marx non era un parente e, ahimè, neppure Groucho), Ferguson non poté fare a meno di immaginare quanto sarebbe stata piú povera la sua vita senza Noah. La rabbia e la delusione potevano portarti fino a un certo punto, ma senza curiosità eri perduto.

E cosí si ritrovarono nel luglio 1961, in partenza per Camp Paradise all'inizio di quell'estate movimentata in cui le notizie dal mondo esterno sembravano solo brutte notizie: l'innalzamento del muro di Berlino, Ernest Hemingway che si sparava una pallottola nel cranio sulle montagne dell'Idaho, le folle di razzisti bianchi che assalivano i Freedom Riders mentre attraversavano il Sud sugli autobus. Minaccia, sconforto e odio, prova abbondante che l'universo non era governato da uomini razionali, e mentre Ferguson si riabituava al consueto e piacevole trambusto di Camp Paradise, palleggiando e rubando basi al mattino e al pomeriggio, ascoltando le ciance e le frecciate dei compagni d'alloggio, rallegrandosi di poter essere ancora con Noah, che significava soprattutto avere la possibilità di trascorrere due mesi ininterrotti in conversazione con lui, ballare di sera con le ragazze di New York che gli piacevano tanto, la briosa e procace Carol Thalberg, l'esile e riflessiva Ann Brodsky, e infine Denise Levinson, brufolosa ma bella come nessuna, che lo seguiva volentieri quando si trattava di squagliarsela dai «dopo cena» per degli intensi esercizi lingua in bocca sul prato dietro, tanti bei motivi di gratitudine, eppure ora che aveva quattordici anni e la testa piena di pensieri che sei mesi prima nemmeno lo sfioravano, Ferguson si considerava sempre in rapporto a persone lontane, sconosciute, chiedendosi, per esempio, se non avesse baciato Denise nel preciso momento in cui Hemingway si faceva saltare le cervella in Idaho, oppure, se mentre lui colpiva un doppio nella partita tra Camp Paradise e Camp Greylook del giovedí prima, uno del Ku Klux Klan non avesse sferrato un pugno alla mascella di un militante per i diritti civili magro con i capelli corti di Boston. Uno baciava e un altro tirava un cazzotto, oppure un uomo partecipava al funerale della madre alle undici del mattino del 10 giugno 1857, e nello stesso momento nello stesso quartiere della stessa città, una donna prendeva per la prima volta in braccio il figlio appena nato, il dolore di uno simultaneo alla gioia dell'altra, e a meno di non essere Dio, che in teoria era in ogni luogo e poteva vedere tutto quello che succedeva in ogni momento, nessuno poteva sapere che quei due fatti avvenivano nello stesso momento, tanto meno il figlio addolorato e la madre gioiosa. Per questo l'uomo aveva inventato Dio?, si chiedeva Ferguson. Per superare i limiti della percezione umana affermando l'esistenza di un'intelligenza divina universale e onnipotente?

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3.1


C'era dolore. C'era paura. C'era confusione. Due vergini che si defloravano a vicenda con nient'altro che una vaghissima idea di quello che stavano facendo, preparati solo nel senso che Ferguson era riuscito a procurarsi una confezione di preservativi ed Amy, prevedendo che le sarebbe uscito il sangue, aveva messo un asciugamano marrone scuro sul lenzuolo del suo letto — precauzione ispirata dal potere intramontabile delle vecchie leggende che in realtà si dimostrò inutile. All'inizio gioia, la sensazione estatica di essere completamente nudi insieme per la prima volta dall'ormai dimenticata prodezza sul materasso da piccoli, la possibilità di toccare ogni centimetro quadrato del corpo dell'altro, il delirio della pelle nuda contro la pelle nuda, ma arrivati al colmo dell'eccitazione, la difficoltà di compiere il passo successivo, l'ansia di entrare dentro un'altra persona per la prima volta, di farsi penetrare per la prima volta da un'altra persona, Amy si irrigidí in quei primi istanti perché faceva un gran male, Ferguson si senti un verme a farle cosí male, perciò rallentò e alla fine si sfilò del tutto, dopodiché fecero tre minuti di pausa, poi Amy afferrò Ferguson e gli ordinò di ricominciare, dicendo, Fallo, Archie, non preoccuparti per me, fallo e basta, e Ferguson ubbidí, sapendo che si sarebbe preoccupato lo stesso ma sapendo anche che il limite andava superato, che quello era il momento a loro disposizione e quando ebbero finito, malgrado il dolore interno che doveva aver provato, quasi le stessero straziando le carni Amy rise, fece la sua gran risata e disse, Sono cosí felice che potrei morire.

Fu proprio uno strano fine settimana, non misero mai il naso fuori di casa, rimasero sul divano a guardare Johnson giurare da nuovo presidente, a guardare Oswald che veniva portato di peso in carcere con la maglietta sporca di sangue urlando alle telecamere che lui era solo un capro espiatorio, espressione che Ferguson avrebbe per sempre associato al fragile ragazzo che aveva o non aveva ucciso Kennedy da solo, guardarono un'orchestra suonare la marcia funebre dall' Eroica di Beethoven durante un breve intervallo del telegiornale, e la domenica guardarono la processione per le strade di Washington mentre Amy si commuoveva alla vista del cavallo senza cavaliere, guardarono Jack Ruby intrufolarsi nel commissariato di polizia e freddare Oswald con un colpo allo stomaco. Città irreale. Quel verso di Eliot continuò a esplodere nella testa di Ferguson per tutti e tre quei giorni mentre lui ed Amy divoravano un po' alla volta il cibo in cucina, le uova, le costolette d'agnello, l'affettato di tacchino, le confezioni di formaggio, le scatolette di tonno, le scatole di cereali e biscotti per la colazione, Amy fumò come lui non l'aveva mai vista fumare e Ferguson fumò con lei per la prima volta dacché si conoscevano, seduti sul divano spegnevano le Lucky all'unisono, poi si abbracciavano e si baciavano, incapaci di non commettere il sacrilegio di baciarsi in un momento cosí solenne, di lasciare il divano ogni tre o quattro ore per un'altra tappa in camera da letto, spogliandosi un po' alla volta e montando di nuovo sul materasso, tutti e due doloranti ormai, non solo Amy ma anche Ferguson, ma non riuscivano a fermarsi, il piacere era sempre piú forte del dolore, e per quanto fosse orribile essere lí in un fine settimana cosí avvilente, fu il fine settimana piú clamoroso, piú importante delle loro giovani vite.

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Nei mesi che seguirono successero molte cose insopportabili, ma non a loro, non direttamente a loro, e malgrado i loro lavori estivi, commessa alla Eighth Street Bookshop (Amy) e tuttofare da Stanley TV & Radio (Ferguson), riuscivano a vedersi spesso, non solo il sabato e la domenica ma anche di sera nei giorni feriali, Ferguson correva in città appena staccava dal lavoro, passava a prendere Amy in libreria e poi andavano a farsi un hamburger da Joe Junior o a vedere un film al Bleecker Street Cinema o a camminare in Washington Square o a rotolarsi nudi sul letto di un'amica di Amy che non era in casa, liberi di andare dove volevano grazie all'auto di Ferguson, l'Auto della Libertà di quell'Estate della Libertà, i sabati e le domeniche in cui andavano a Jones Beach o in campagna al Nord o giú nella Jersey Shore, un'estate di grandi pensieri, di amore feroce e dolore immenso, che partí in maniera incoraggiante quando il Senato approvò la legge sui diritti civili, ma poi, subito dopo, a distanza di settantadue ore, cominciarono a succedere cose insopportabili. Il 22 giugno venne denunciata la scomparsa di tre giovani attivisti del Mississippi Summer Project. Andrew Goodman, Mickey Schwerner e James Chaney avevano lasciato il centro di formazione prima degli altri studenti per indagare sull'attentato dinamitardo in una chiesa e non si erano piú fatti sentire dal giorno della partenza. Non c'era dubbio che fossero stati assassinati, picchiati, torturati e uccisi da segregazionisti bianchi per terrorizzare l'orda di invasori yankee, sinistrorsi che complottavano per distruggere il loro stile di vita, ma nessuno sapeva dove fossero i corpi e sembrava che non importasse a nessun bianco dello stato del Mississippi. Amy pianse quando seppe la notizia. Il 16 luglio, giorno in cui Barry Goldwater conquistò a San Francisco la candidatura repubblicana alle presidenziali, un poliziotto bianco sparò e uccise un adolescente nero a Harlem, ed Amy pianse di nuovo quando la morte di James Powell fu accolta con sei notti consecutive di disordini e saccheggi a Harlem e Bedford-Stuyvesant la polizia di New York sparava pallottole vere sopra le teste delle persone che tiravano sassi e immondizia dai tetti, niente pompe antincendio né cani usati per disperdere le folle di neri al Sud ma pallottole ad altezza d'uomo, ed Amy pianse non solo perché alla fine si rese conto che il razzismo era forte al Nord come al Sud, forte nella sua città, ma anche perché si rese conto che il suo idealismo innocente era morto, che il suo sogno di un'America senza pregiudizi in cui i neri convivevano con i bianchi era solo un pio desiderio, e nemmeno Bayard Rustin, l'uomo che aveva organizzato la marcia su Washington solo undici mesi prima, aveva piú un minimo di ascendente, e quando andò di fronte alla folla di Harlem e la implorò di interrompere i disordini affinché nessuno si ferisse o restasse ucciso, la folla gli diede sulla voce e lo chiamò Zio Tom. La resistenza pacifica aveva perso significato, Martin Luther King era roba vecchia, e il Potere Nero era diventato il sommo vangelo, e quel potere era cosí grande che nel giro di pochi mesi la parola negro era stata cancellata dal vocabolario nazionale. Il 4 agosto i corpi di Goodman, Schwerner e Chaney furono rinvenuti in una diga di terra nei pressi di Philadelphia, Mississippi, e le foto dei loro cadaveri, semisepolti nel fango sul fondo della diga, erano uno spettacolo cosí orribile e sconvolgente che Ferguson girò la testa con un lamento. L'indomani fu diffusa la notizia che due cacciatorpediniere statunitensi in ricognizione nel golfo del Tonchino erano stati attaccati da motosiluranti nordvietnamite, o cosí affermava il resoconto ufficiale del governo, e il 7 agosto il Congresso approvò la risoluzione del golfo del Tonchino, conferendo a Johnson il potere di «prendere tutte le misure necessarie per respiringere qualunque attacco armato contro le forze degli Stati Uniti e prevenire ulteriori aggressioni». La guerra era iniziata ed Amy non piangeva più. Ormai aveva le idee chiare su Johnson, ed era furibonda, cosí esaltata dalla rabbia che Ferguson fu quasi tentato di fare una battuta per vedere se sareare tornata a sorridere.

Sarà una cosa grossa, Archie disse lei, più grossa della Corea, la più grossa in assoluto dai tempi della seconda guerra mondiale, e ringrazia che non dovrai partecipare.

E perché, dottor Pangloss?, chiese Ferguson.

Perché quelli con un pollice solo non li arruolano. Grazie a Dio.

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Poi compí quindici anni, e alla cena di compleanno che si tenne in suo onore al Waverly Inn di Manhattan, una festa alla quale parteciparono i genitori, i nonni, zia Mildred, zio Don e Noah, Ferguson ricevette uno o piú regali da ognuna delle famiglie della sua famiglia, un assegno di cento dollari dalla madre e il padre, un altro assegno di cento dollari dalla nonna e il nonno, e tre pacchettini separati dal contingente Marx, un'edizione in cofanetto degli ultimi quartetti per archi di Beethoven da zia Mildred, un volume rilegato dal titolo Le barzellette piú divertenti del mondo da Noah e quattro tascabili di autori russi dell'Ottocento da parte di zio Don, opere che Ferguson conosceva di fama ma non si era ancora preso la briga di leggere: Padri e figli di Turgenev, Le anime morte di Gogol', Tre racconti di Tolstoj (Il padrone e il lavorante, La Sonata a Kreutzer, Morte d'Ivan Ilič) e Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij. L'ultimo di questi titoli mise fine alle rozze fantasie di Ferguson sul suo destino da Clarence Darrow, perché la lettura di Delitto e castigo lo cambiò, Delitto e castigo fu il fulmine che si abbatté dal cielo e lo mando in frantumi, e quando riuscí a riprendersi Ferguson non ebbe piú dubbi sul futuro, se un libro poteva essere questo, se un romanzo poteva fare questo al tuo cuore, alla tua mente e ai tuoi sentimenti piú profondi sul mondo, allora scrivere romanzi era senz'altro la cosa migliore che potevi fare nella vita, perché Dostoevskij gli aveva insegnato che le storie inventate potevano andare ben oltre il semplice divertimento e lo svago, potevano rivoltarti come un calzino e scoperchiarti il cervello, potevano scottarti e gelarti e metterti completamente a nudo e scaraventarti tra i venti furiosi dell'universo e da quel giorno in poi, dopo aver annaspato per tutta l'infanzia, perso nei miasmi sempre piú fitti dello smarrimento, finalmente Ferguson capí dove stava andando, e negli anni successivi non tornò mai sulla sua decisione, nemmeno in quelli piú duri, quando gli sembrò quasi di cadere dai confini della terra. Aveva solo quindici anni, ma aveva già sposato un'idea, e il giovane Ferguson decise di onorarla, nella buona o nella cattiva sorte, in ricchezza o in povertà, in salute o in malattia, per tutta la vita.

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Niente college. Fu la sua decisione definitiva, e quando comunicò a sua madre e Gil che non si sarebbe iscritto per dare il test d'ammissione al college ai primi di gennaio, che non avrebbe fatto domanda all'Amherst né alla Cornell né a Princeton né in nessun altro college di cui avevano parlato durante l'anno, i suoi genitori lo guardarono come se avesse appena annunciato che intendeva suicidarsi.

Ma che ti stai inventando, disse Gil. Non puoi interrompere gli studi adesso.

Non li interromperò, disse Ferguson. Studierò in un'altra maniera.

Ma dove, Archie?, chiese sua madre. Non vorrai mica stare tutta la vita tappato in casa, no?

Ferguson rise. Ma che idea, disse. No, non resterò qui. È logico. Mi piacerebbe andare a Parigi — sempre se riesco a prendere il diploma, e sempre se per il diploma vi va di regalarmi il biglietto a poco prezzo di un volo charter solo andata.

Ti sei scordato la guerra, disse Gil. Finito il liceo ti chiameranno nell'esercito e ti spediranno in Vietnam.

No, non succederà, disse Ferguson. Non oseranno.

Per una volta Ferguson ebbe ragione. Sei settimane dopo essere faticosamente giunto all'ultimo giorno di scuola, avendo fatto pace con Amy, avendo dato la sua benedizione a Jim che si era fidanzato ufficialmente con Nancy Hammerstein, avendo vissuto una calda e rassicurante storia primaverile con l'amico Brian Mischevski, grazie alla quale l'ormai diciottenne Fergusson si era convinto di essere davvero fatto per amare sia gli uomini sia le donne e che la sua vita sarebbe stata più complicata rispetto a quella di tanti altri a causa di quella doppia natura, ma forse anche più ricca e più stimolante, avendo scritto un articolo ogni due settimane per il giornale di Mr Dunbar fino alla fine dell'ultimo semestre, avendo aggiunto quasi cento pagine al suo raccoglitore a fogli mobili e tre anelli, avendo preparato insieme a Gil una lista di libri da leggere durante il suo primo anno da studente di nessun college o università, essendo tornato da Gristedes in Columbus Avenue a stringere la mano agli ex colleghi, essendo tornato da MondoLibro a scusarsi con il proprietario George Tyler di aver rubato i libri, avendo capito quanto era stato fortunato che lo avessero beccato ma non punito severamente, avendo promesso di non rubare mai più niente a nessuno, Fergusson ricevette la sua lettera dal Governo degli Stati Uniti che esordiva con i saluti e proseguiva con l'ordine di presentarsi al distretto militare di Whitehall Street per il test d'idoneità fisica che neanche a dirlo Fergusson superò perché era un giovane sano senza problemi né anomalie fisiche, ma siccome aveva dei precedenti penali, e siccome confessò allo psichiatra che era attratto dalle donne e anche dagli uomini, in estate gli inviarono un'altra cartolina con la sua nuova classificazione scritta davanti: 4-F.

Fallito. Finito. Fottuto. Finalmente libero.

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Non era piú il ragazzino che aveva scritto Compagni di suola, un quattordicenne scimunito che non contava nulla, ma quel ragazzino se lo portava ancora dentro, e aveva l'impressione che avrebbero ancora fatto un bel po' di strada insieme. Combinare lo strano con il familiare: a questo ambiva Ferguson, osservare il mondo da vicino come il realista piú coscienzioso creando però un modo di vedere il mondo con un'ottica diversa, lievemente distorta, perché a leggere i libri che si soffermavano solo su ciò che era familiare imparavi cose che già conoscevi, e a leggere libri che si soffermavano solo su ciò che era strano imparavi cose che non avevi bisogno di conoscere, invece Ferguson desiderava piú di tutto scrivere storie che dessero spazio non solo al mondo visibile degli esseri senzienti e degli oggetti inanimati ma anche alle vaste e misteriose forze inosservate che si celavano dentro quel mondo. Voleva disturbare e disorientare, far ridere a crepapelle o tremare di paura, spezzare i cuori e sabotare le menti e far ballare la danza demenziale dei ragazzi lanciati nel vortice del loro duetto fra sosia. Sí, Tolstoj era cosí commovente, Flaubert scriveva le piú belle frasi del creato, ma per quanto gli piacesse seguire le svolte drammatiche e sempre piú drastiche nelle vite di Anna K. ed Emma B., in quel momento della sua vita i personaggi che gli parlavano con piú forza erano il K. di Kafka, Gulliver di Swift, Pym di Poe, Prospero di Shakespeare, Bartleby di Melville, Kovalèv di Gogol' e il mostro di Mary Shelley.

I primi sforzi da studente del secondo anno: la storia di un uomo che un mattino si sveglia e scopre di avere una faccia diversa; la storia di un uomo che perde portafoglio e passaporto in una città straniera e vende il suo sangue per mangiare; la storia di una bambina che cambia nome il primo di ogni mese; la storia di due amici che smettono di essere amici per colpa di una lite in cui hanno torto entrambi; la storia di un uomo che senza volerlo uccide la moglie e poi decide di dipingere ogni casa del suo quartiere di rosso fiammante; la storia di una donna che perde la parola e si scopre via via piú felice con il passare degli anni; la storia di un adolescente che scappa di casa e poi, quando decide di tornare, scopre che i genitori sono spariti; la storia di un giovane uomo che scrive la storia di un giovane uomo che scrive la storia di un giovane uomo che scrive la storia di un giovane uomo...

Hemingway gli insegnò a guardare le sue frasi con piú attenzione, a misurare il peso di ogni parola e sillaba che entravano nella costruzione di un capoverso, ma per quanto mirabile fosse la scrittura di Hemingway quando era al meglio, le sue opere non gli dicevano granché, tutto quello sfoggio di virilità e lo stoicismo a denti stretti gli sembravano un tantino ridicoli, cosí lasciò perdere Hemingway per il piú profondo e impegnativo Joyce, e poi, quando compi sedici anni, ricevette un altro pacco di tascabili da zio Don, tra cui i libri di Isaac Babel', sconosciuto fino ad allora, che diventò subito il suo autore di racconti numero uno, e di Heinrich von Kleist (su cui Don aveva scritto la sua prima biografia), che diventò subito il suo autore di racconti numero due, ma ancora piú utile per lui, per non dire preziosa e fondamentale, fu l'edizione Signet a quarantacinque centesimi di Walden e Disobbedienza civile che trovò posto sullo scaffale tra la narrativa e la poesia perché, pur non essendo un autore di romanzi o di racconti, Thoreau era un autore sublime per chiarezza e precisione, costruiva frasi di una tale bellezza che Ferguson quella bellezza la sentiva come uno sente un pugno al mento o la febbre nel cervello. Perfetto. Ogni parola si trovava perfettamente al suo posto, ogni frase sembrava un'opera in miniatura, un'unità autosufficiente di respiro e di pensiero, e il brivido della lettura stava nel non sapere mai quanto sarebbe stato grande il balzo con cui Thoreau passava da una frase all'altra — a volte era solo questione di centimetri, altre di metri, oppure erano salti lunghissimi —, e l'effetto destabilizzante di quelle distanze irregolari gli insegnò a calibrare i propri sforzi in maniera diversa, perché in ogni capoverso che scriveva Thoreau combinava due impulsi opposti e inconciliabili, che Ferguson definí l'impulso a controllare e l'impulso a rischiare. Era quello il segreto, per lui. Il controllo da solo avrebbe prodotto risultati asfittici, soffocanti. Il rischio da solo avrebbe prodotto caos e incomprensibilità. Ma se li mettevi insieme magari azzeccavi qualcosa, forse le parole che ti ronzavano in testa avrebbero iniziato a cantare sulla pagina, sarebbero esplose le bombe, sarebbero venuti giú i palazzi e il mondo avrebbe cominciato a sembrare diverso.

Ma Thoreau non era solo stile. Era il bisogno selvaggio di essere se stessi, solo e unicamente se stessi, perfino a costo di offendere i vicini, un animo testardo che affascinava il sempre piú testardo Ferguson, l' adolescente Ferguson, che vedeva in Thoreau un uomo capace di restare adolescente per tutta la vita, vale a dire un uomo che non aveva mai abbandonato i propri principi, che non si era mai trasformato in un adulto corrotto, un venduto — un ragazzo coraggioso a oltranza, esattamente i termini in cui Ferguson immaginava il proprio futuro. Ma al di là dell'imperativo spirituale di trasformarsi in un essere audace, sicuro di sé, c'era la confutazione da parte di Thoreau del presupposto americano secondo cui comandavano sempre i soldi, il rifiuto nei confronti del governo americano e l'essere disposto ad andare anche in prigione per protestare contro la condotta di quel governo e poi, ovviamente, c'era l'idea che aveva cambiato il mondo, l'idea che aveva contribuito a rendere l'India una nazione indipendente cinque mesi dopo la nascita di Ferguson, la stessa idea che in quel momento si stava propagando nel Sud dell'America e che forse avrebbe contribuito a cambiare tutta l'America, la disobbedienza civile, la resistenza non violenta alla violenza delle leggi ingiuste, eppure a centododici anni di distanza da Walden era cambiato ben poco, si disse Ferguson, la guerra degli Stati Uniti contro il Messico si era trasformata nella guerra del Vietnam, la schiavitú dei neri si era trasformata nell'oppressione delle leggi Jim Crow e nei singoli stati in mano al Ku Klux Klan, e come Thoreau che aveva scritto il suo libro negli anni sfociati nella guerra di secessione, anche Ferguson pensava di scrivere in un momento in cui il mondo stava per andare di nuovo in pezzi, e per tre volte nelle settimane prima e dopo il matrimonio di sua madre con il padre di Jim ed Amy, mentre guardava le immagini televisive e studiava le foto sui giornali dei monaci sudvietnamiti che si davano fuoco per protestare contro le politiche del regime di Diem appoggiato dagli americani, Ferguson capí che i giorni tranquilli della sua infanzia erano finiti, e che l'orrore di quel sacrificio dimostrava che se gli uomini erano disposti a morire per la pace, la guerra in continua espansione nel loro paese sarebbe diventata cosí grande che alla fine avrebbe oscurato tutto e accecato tutti.

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Pagina 646

Ferguson aprí il libro, lo sfogliò un attimo e poi capitò sulla frase a pagina 133: «Il mondo è pieno: può succedere tutto».

Era venerdí 15 ottobre 1965 e Ferguson studiava a Princeton da un mese, uno dei mesi piú duri ed estenuanti che ricordasse, ma sentiva che ne stava uscendo, qualcosa dentro di lui ricominciava a muoversi, e passare quelle ore con Noah, Ron e gli altri aveva contribuito ad allontanarlo dalle sue rabbie e le sue debolezze, dalle cose che lo inceppavano, e adesso aveva il libro, una copia rilegata di Silenzio di John Cage, e quando il gruppetto si sciolse e andarono tutti via, disse a Noah che era stanco e voleva tornare a casa del nonno, ma in realtà non era vero, dato che non era stanco per niente e voleva semplicemente stare solo.

Per due volte in passato un libro lo aveva stravolto cambiando la persona che era, aveva fatto saltare in aria le sue ipotesi sul mondo, proiettandolo su un terreno nuovo in cui all'improvviso ogni cosa del mondo sembrava diversa - e sarebbe rimasta diversa fino alla fine del tempo, fino a quando lui avrebbe continuato a vivere nel tempo e a occupare uno spazio nel mondo. Il libro di Dostoevskij parlava delle passioni e contraddizioni dell'animo umano, il libro di Thoreau era un manuale per imparare a vivere, e adesso Ferguson aveva scoperto un libro giustamente definito da Ron un libro per imparare a pensare, e mentre a casa di suo nonno leggeva «2 pagine, 122 parole su musica e danza», «Conferenza su niente», «Conferenza su qualcosa», «45' per un oratore» e «Indeterminazione», fu come se nel suo cervello soffiasse un vento impetuoso, purificante, che spazzava via tutta la sporcizia accumulata, fu come essere in presenza di un uomo che non aveva paura di fare domande fondamentali, di ripartire da zero e imboccare una strada che nessuno aveva mai percorso in precedenza, e quando finalmente posò il libro alle tre e mezza di notte, Ferguson si sentiva cosi eccitato e infiammato da quello che aveva letto da capire che dormire era escluso, che per quella notte non sarebbe piú riuscito a chiudere occhio.

Il mondo è pieno: può succedere tutto.

Doveva vedersi con Noah l'indomani a mezzogiorno per sfilare sulla Quinta Avenue in occasione di quella che sarebbe stata la loro prima manifestazione contro la guerra, la prima grande protesta newyorkese contro la concentrazione di truppe americane in Vietnam, un evento che avrebbe di certo attratto decine di migliaia se non addirittura cento o duecentomila persone, e niente gli avrebbe impedito di partecipare, neanche se fosse stato mezzo morto e avesse dovuto trascinarsi sulla Quinta Avenue come un sonnambulo ubriaco, ma mancava ancora parecchio a mezzogiorno e per la prima volta dacché aveva messo piede a Brown Hall il mese precedente, era pronto a tornare a scrivere, e niente glielo avrebbe impedito, neanche in questo caso.

I primi dodici viaggi di Mulligan lo avevano portato in paesi che vivevano in perenne stato di guerra, paesi di intenso rigore religioso che punivano i cittadini che nutrivano pensieri impuri, paesi dove la cultura era dedicata alla ricerca del piacere sessuale, paesi dove gli abitanti pensavano quasi esclusivamente al cibo, paesi governati da donne in cui gli uomini fungevano da lacchè sottopagati, paesi dediti alla creazione artistica e musicale, paesi regolati da leggi razziste, naziste e altri in cui la gente non distingueva tra i diversi colori della pelle, paesi in cui i mercanti e gli uomini d'affari truffavano il prossimo perché era un dovere civile, paesi organizzati intorno a perenni gare sportive, paesi assediati da terremoti, vulcani in eruzione e dal maltempo incessante, paesi tropicali in cui la gente girava senza vestiti, paesi gelidi in cui la gente era ossessionata dalle pellicce, paesi primitivi e tecnologicamente avanzati, paesi che sembravano appartenere al passato e altri che sembravano appartenere al presente o al lontano futuro. Ferguson aveva tracciato una mappa approssimativa dei ventiquattro viaggi prima di iniziare il progetto, ma aveva scoperto che il modo migliore per partire con un nuovo capitolo era scrivere alla cieca, mettere giù tutto quello che gli ribolliva in testa mentre sfrecciava da una frase all'altra, dopodiché, finita la prima selvaggia stesura, tornava indietro e lentamente cominciava a domarla, di solito passando per altre cinque o sei stesure prima di approdare alla forma giusta e definitiva, la misteriosa combinazione di leggerezza e pesantezza che cercava, il tono serio-comico che era necessario per realizzare quei racconti bizzarri, la plausibile assurdità di quello che lui chiamava nonsenso in movimento. Considerava il suo libricino un esperimento, un esercizio che gli avrebbe permesso di utilizzare altri muscoli letterari, e una volta finito l'ultimo capitolo, aveva intenzione di bruciare il manoscritto o semmai di seppellirlo in un posto dove non lo avrebbe mai trovato nessuno.

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Pagina 669

Autunno 1966. Dopo aver presenziato a oltre una decina di riunioni dell'Sds, dopo aver preso parte a tre giorni di sciopero della fame sulla scalinata della Low Library ai primi di novembre per protestare contro la strage in Vietnam, dopo aver cercato di far capire il suo punto di vista nel corso di svariate conversazioni con i compagni al West End, all'Hungarian Pastry Shop e al College Inn, Amy cominciava a non crederci piú. Non mi ascoltano, disse una sera a Ferguson, mentre si lavavano i denti prima di andare a letto. Mi alzo per parlare e abbassano gli occhi, o interrompono e non mi lasciano finire, o mi lasciano finire e poi non dicono niente, dopodiché, passato un quarto d'ora, uno dei ragazzi si alza e ripete pari pari quello che ho detto io, a volte usando le stesse parole, e tutti applaudono. Sono dei prevaricatori, Archie.

Tutti quanti?

No, non tutti. I miei amici dell'Icv sono a posto, anche se vorrei che mi sostenessero di piú, ma quelli del PL sono insopportabili. Soprattutto Mike Loeb, il capobranco. Mi taglia fuori costantemente, mi zittisce, mi insulta. Secondo lui le donne del movimento dovrebbero preparare il caffè agli uomini e distribuire volantini nelle giornate di pioggia, ma per il resto dovremmo tenere la bocca chiusa.

Mike Loeb. Me lo sono trovato a un paio di corsi. Un altro dei sobborghi del New Jersey, purtroppo. Uno di quelli che si credono dei geni e hanno sempre la risposta pronta. Mr Certezza in camicia a quadri da spaccalegna. Una palla.

La cosa strana è che ha fatto il liceo con Mark Rudd. Adesso sono di nuovo insieme nell'Sds e in pratica neanche si parlano.

Perché Mark è un idealista e Mike un fanatico.

Crede che la rivoluzione arriverà tra cinque anni.

Sí, ti saluto.

Il problema è che per ogni donna ci sono dodici uomini. Siamo in minoranza, è facile ignorarci.

Perché non vi staccate e formate un vostro gruppo?

Nel senso di lasciare l'Sds?

Non dovete lasciarla. Smettete solo di andare alle riunioni.

E poi?

E poi diventerai il primo presidente delle Donne per la pace e la giustizia del Barnard College.

Bella pensata.

Non ti piace?

Saremmo emarginate. Le grandi questioni sono le questioni universitarie, le questioni nazionali, le questioni mondiali, e venti ragazze senza reggiseno che sfilano con i cartelli contro la guerra concluderebbero ben poco.

E se invece foste cento?

Non siamo cosí tante. Non abbiamo i numeri per farci notare. È inutile, mi sa che non se ne esce.


Dicembre 1966. Non solo l'infarto che uccise il nonno di Ferguson giunse inaspettato (i suoi elettrocardiogrammi erano stabili da anni, la pressione del sangue era normale), ma le circostanze della sua morte furono una vergogna per tutta la famiglia, un disonore. Non che la moglie, le figlie e i generi fossero all'oscuro delle sue abitudini da donnaiolo, della sua antica attrazione per il brivido extraconiugale, ma nessuno di loro sospettava che il settantatreenne Benjy Adler sarebbe arrivato al punto di pagare l'affitto di un appartamento a una donna che aveva meno della metà dei suoi anni e di mantenerla come amante a tempo pieno. Didi Bryant aveva solo trentaquattro anni. Era stata assunta come segretaria da Gersh, Adler e Pomerantz nel 1962, e lavorava lí da otto mesi quando il nonno di Ferguson decise che l'amava, decise che doveva possederla a qualunque costo, e quando la dolce, formosa Didi Bryant originaria del Nebraska gli disse che era disposta a farsi possedere, nel costo vennero inclusi anche il canone mensile di un appartamento di due stanze sulla Sessantatreesima Est fra Lexington e Park Avenue, sedici paia di scarpe, ventisette abiti, sei cappotti, un braccialetto di brillanti, un braccialetto d'oro, una collana di perle, otto paia di orecchini e una stola di visone. La storia andò avanti per circa tre anni (piuttosto felicemente, secondo Didi Bryant), poi, in un gelido pomeriggio di inizio dicembre, a un'ora in cui doveva trovarsi nel suo ufficio sulla Cinquantasettesima Ovest, il nonno di Ferguson andò da Didi sulla sessantatreesima Est, si infilò a letto con lei e subí l'immenso infarto coronarico che lo uccise proprio mentre eiaculava per l'ultima volta nella sua vita movimentata, pasticciona e in gran parte piacevole. La petite mort e la grande mort a dieci secondi di distanza l'una dall'altra – venire e andare nell'arco di tre brevi respiri.

Fu una faccenda senz'altro incresciosa, una faccenda complicata. Didi, sbigottita, incastrata sotto il peso dell'amante corpulento, fissava il cocuzzolo della sua testa pelata e le poche ciocche di capelli rimaste sulle tempie, tinte di castano (Oh, la vanità dei vecchi), si districava da sotto il cadavere e chiamava un'ambulanza, che trasportava lei e il corpo coperto del nonno di Ferguson al Lenox Hill Hospital, dove alle 15,52 constatarono il decesso di Benjamin Adler, dopodiché la povera, sconvolta Didi dovette chiamare la nonna di Ferguson, che non sapeva affatto dell'esistenza di quella giovane donna, e dirle di venire subito in ospedale perché c'era stato un incidente.

Il funerale fu riservato ai parenti stretti. Non vennero invitati né i Gersh né i Pomerantz, nessun amico né socio in affari, neanche i prozii di Ferguson dalla California (il fratello maggiore della nonna, Saul, e la moglie scozzese Marjorie). Bisognava soffocare lo scandalo, e la nonna non ce l'avrebbe fatta a reggere una cerimonia con molte persone, cosí andarono solo in otto al cimitero di Woodbridge, New Jersey, per assistere alla sepoltura del nonno: Ferguson e i genitori, Amy, la prozia Pearl, zia Mildred e zio Henry (che erano arrivati in aereo da Berkeley il giorno prima), e la nonna di Ferguson. Ascoltarono il rabbino recitare il Kaddish, buttarono un pugno di terra sulla cassa di pino nella fossa e tornarono a pranzo nell'appartamento sulla Cinquantottesima Ovest, dopodiché ripararono in salotto e si sparsero in tre gruppi separati, tre conversazioni separate che andarono avanti fino a tarda sera: Amy sul divano con zia Mildred e zio Henry, il padre di Ferguson e la prozia Pearl sulle poltrone di fronte al divano, e Ferguson al tavolino nella nicchia davanti alle finestre con la madre e la nonna. Per una volta, parlò soprattutto la nonna. Dopo anni in cui era stata in silenzio mentre il marito teneva banco con le sue raffiche di barzellette e le sue storie sconclusionate, fu come se stesse finalmente rivendicando il diritto di esprimersi, e ciò che disse quel pomeriggio sorprese Ferguson, non solo perché le parole in sé furono sorprendenti ma perché fu sorprendente accorgersi che l'aveva sempre giudicata male.

La prima sorpresa fu che non provava affatto rancore verso Didi Bryant, che definí quella bella ragazza in lacrime. Che coraggiosa, disse sua nonna, a non scappare e sparire nella notte, come avrebbero fatto tante altre persone al suo posto, ma quella ragazza era diversa, aveva aspettato nell'atrio dell'ospedale che arrivasse LA MOGLIE e non si era vergognata di parlare della sua storia con Benjy, del gran bene che gli voleva e della gran tristezza di quello che era appena successo. Invece di incolpare Didi della morte di Benjy, la nonna di Ferguson la compatí e le disse che era una brava persona, e a un certo punto, quando Didi scoppiò a piangere (e qui stava la seconda sorpresa), le disse: Non piangere, cara. Sono sicura che lo hai reso felice, e il mio Benjy era un uomo che aveva bisogno di essere felice.

Ferguson pensò che quella reazione avesse qualcosa di eroico, una profondità di comprensione umana che stravolgeva tutto quello che aveva sempre pensato della nonna fino ad allora, e poi lei si spostò un poco sulla sedia e guardò dritto sua madre, e per la prima volta in tutto il giorno le vennero le lacrime agli occhi, e cominciò a parlare di cose di cui nessuno della sua generazione parlava mai, dichiarando categoricamente di aver deluso il marito, di essere stata una pessima moglie perché non le era mai interessato il lato fisico del matrimonio, i rapporti sessuali le erano sempre parsi dolorosi e sgradevoli, e dopo la nascita delle bambine aveva detto a Benjy che non l'avrebbe fatto mai piú, o solo una volta ogni tanto a mo' di favore, e cosa ti potevi aspettare, chiese alla madre di Ferguson, ovvio che Benjy cercava le altre, era un uomo di grandi appetiti, e come poteva rinfacciarglielo visto che lo aveva deluso e a letto era sempre stata un pianto? Per il resto lo aveva amato, era stato l'unico uomo della sua vita, per quarantasette anni, e credimi, Rose, non c'è mai stato un momento in cui ho pensato che non mi amasse.

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Primi mesi del 1968. Ferguson vedeva la situazione come una serie di cerchi concentrici. Il cerchio piú esterno era la guerra con tutti i suoi annessi: i soldati americani in Vietnam, i combattenti nemici del Nord e del Sud (vietcong), Ho Chi Minh, il governo di Saigon, Lyndon Johnson e il suo esecutivo, la politica estera statunitense dalla fine della seconda guerra mondiale, la conta delle vittime, il napalm, i villaggi, le menti e i cuori in fiamme, l'escalation, la pacificazione, la pace onorevole. Il secondo cerchio rappresentava l'America, i duecento milioni sul fronte interno: la stampa (quotidiani, riviste, radio e televisione), il movimento contro la guerra, il movimento a favore della guerra, il movimento del Potere Nero, il movimento della controcultura (hippy e yippie, l'erba e l'Lsd, il rock and roll, la stampa alternativa, Zap Comix, i Merry Pranksters, i Motherfuckers), gli hard hats e la gente che diceva «Questa è l'America: prendere o lasciare», il vuoto occupato dal cosiddetto gap generazionale tra i genitori borghesi e i loro figli, e l'enorme massa di anonimi cittadini che avrebbe preso il nome di Maggioranza silenziosa. Il terzo cerchio era New York, che era quasi identico al secondo ma piú immediato, piú vivido: un laboratorio pieno di esempi delle succitate correnti sociali che Ferguson poteva vedere direttamente con i propri occhi anziché mediante il filtro della parola scritta o delle immagini pubblicate, tenendo però conto delle sfumature e delle particolarità di New York, che era diversa da tutte le altre città degli Stati Uniti, soprattutto a causa dell'enorme divario tra ricchi e poveri. Il quarto cerchio era la Columbia, momentanea dimora di Ferguson, il piccolo mondo a portata di mano che circondava lui e gli altri studenti, terreno che racchiudeva un'istituzione senza piú muri a separarla dal grande mondo esterno, perché i muri erano crollati e l'esterno era indistinguibile dall'interno. Il quinto cerchio era il singolo, ogni singolo individuo all'interno di uno dei quattro altri cerchi, ma nel caso di Ferguson i singoli che contavano di piú erano quelli che conosceva personalmente, soprattutto gli amici con cui condivideva la sua vita alla Columbia, e sopra tutti quegli altri, ovviamente, il singolo dei singoli, il puntino al centro del piú piccolo dei cinque cerchi, l'individuo che era lui.

Cinque mondi, cinque realtà separate, ma tutte collegate fra loro, ragion per cui quando succedeva qualcosa nel cerchio esterno (la guerra), gli effetti venivano percepiti in tutta l'America, a New York, alla Columbia, fino all'ultimo puntino del cerchio interno delle singole vite individuali. Quando la guerra si inasprí nella primavera del 1967, per esempio, mezzo milione di persone sfilarono per le strade di New York il 15 aprile per condannare il conflitto e richiedere l'immediato ritiro delle truppe americane dal Vietnam. Cinque giorni dopo, trecento membri dell'Sds si presentarono nel campus della Columbia, «per fare qualche domanda» agli arruolatori dei marines che avevano piazzato i loro banchetti nell'atrio di John Jay Hall, subendo un assalto da una banda di cinquanta atleti e di ragazzi del Rotc, sfociato in una sanguinosa giostra di pugni e nasi rotti che richiese l'intervento della polizia. L'indomani pomeriggio, nel Van Am Quadrangle tra John Jay e Hamilton Hall, si tenne la piú grande manifestazione degli ultimi trent'anni alla Columbia, ottocento membri e sostenitori dell'Sds protestarono contro l'arruolamento dei marines nel campus mentre cinquecento atleti pro-marines tenevano una contromanifestazione nel South Field e li disturbavano tirando uova da dietro la recinzione. Ferguson ed Amy si erano ritrovati in quella baraonda, lei come manifestante e lui come giornalista-testimone, e quando le parlò della teoria dei cerchi concentrici quella sera al West End, lei sorrise e disse, Ma certo, mio caro Holmes, sei proprio un genio.

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Incendi gravi. Il ventesimo anniversario di un omicidio irrisolto. Attività contro la guerra nei college e nelle università locali. Lo smantellamento di una banda di ladri di cani. Un incidente stradale mortale a Park Avenue. La nascita di una nuova associazione d'inquilini nel quartiere nero nella zona ovest di Rochester. Per cinque mesi Ferguson sgobbò come un umile cronista pivello sotto lo sguardo sospettoso di Joe Dunlap, poi McManus lo sottrasse al ritmo cittadino e gli diede una cosa grossa. Evidentemente Ferguson aveva superato la prova. Non che avesse mai capito in cosa consistesse esattamente la prova o in base a quali criteri lo avesse giudicato McManus, fatto sta che era andata cosí, e si poteva solo concludere che il capo lo riteneva degno di una promozione.

Il mattino dopo Natale, McManus convocò Ferguson nel suo ufficio e gli parlò di un'idea che gli frullava da un po' nella testa. Gli anni Sessanta erano agli sgoccioli, disse, mancava meno di una settimana al veglione, e cosa ne pensava Ferguson di scrivere una serie di articoli sugli ultimi dieci anni e di come avevano influenzato l'America? Niente approccio cronologico, niente riassunto dei fatti piú importanti in ordine di tempo, ma qualcosa di piú corposo, una sequenza di articoli da duemilacinquecento parole su vari temi collegati, la guerra in Vietnam, il movimento per i diritti civili, la diffusione della controcultura, gli sviluppi nell'arte, la musica, la letteratura e il cinema, il programma spaziale, le tinte contrastanti delle amministrazioni Eisenhower, Kennedy, Johnson e Nixon, gli atroci assassini di importanti figure pubbliche, il conflitto razziale e i ghetti in fiamme delle città americane, lo sport, la moda, la televisione, l'ascesa e la caduta della Nuova Sinistra, la caduta e l'ascesa dei repubblicani di destra e la rabbia degli hard hats, l'evoluzione del movimento delle Pantere Nere e la rivoluzione della Pillola, tutto, dalla politica al rock and roll ai cambiamenti nel vernacolo americano, il ritratto di un decennio cosí tumultuoso da aver dato al paese Malcolm X e George Wallace, Tutti insieme appassionatamente e Jimi Hendrix, i fratelli Berrigan e Ronald Reagan. No, non sarebbe stato il solito reportage, continuò McManus, ma uno sguardo indietro, un modo per ricordare ai lettori del «Times-Union» a che punto erano dieci anni prima e a che punto erano adesso. Ecco uno dei vantaggi del lavoro in un giornale pomeridiano. Piú margini, piú tempo per scavare e indagare, piú occasioni di pubblicare uno speciale. Ma non poteva essere solo un'arida rimasticatura. Lui non voleva un compendio storico ma degli articoli dal sapore forte, e per ogni libro e rivista arretrata che Ferguson avrebbe letto per documentarsi, McManus voleva cinque interviste sul campo. Se non poteva procurarsi Muhammad Ali, allora doveva scovare il suo allenatore e secondo, Angelo Dundee, e se non poteva arrivare a Andy Warhol, doveva chiamare Roy Lichtenstein o Leo Castelli. Fonti di prima mano. Gli autori dei fatti o i testimoni di quei fatti. Era stato chiaro?

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Poi il circo lasciò la città e Ferguson cadde fra le braccia di Hallie Doyle, una studentessa ventunenne del Mount Holyoke con un lavoro estivo al giornale, la prima donna che avesse conosciuto da quando si era trasferito a nord che forse avrebbe avuto il potere di rompere finalmente l'incantesimo di Amy, una persona molto intelligente e profonda che era stata allevata nel cattolicesimo ma non ne faceva piú parte perché non credeva che le vergini potessero diventare madri né che i morti potessero uscire dalle tombe, eppure viveva con la certezza interiore che gli umili avrebbero ereditato la terra, che la virtú era di per sé una ricompensa, e che non fare agli altri quello che non volevi fosse fatto a te era un modo piú sensato di vivere la vita che sforzarsi di seguire i precetti della regola aurea, che obbligava gli esseri umani a trasformarsi in santi e conduceva solo alla colpa e all'infinita disperazione.

Una persona sana, forse addirittura saggia. Piccola ma non minuscola, un metro e sessantadue o un metro e sessantacinque, fisico snello, svelto, occhiali da nonnina posati sul naso e capelli giallo forte, cosí biondi da creare l'impressione di una Riccioli d'oro adulta, ma malgrado il fascino che quella chioma dorata aveva per Ferguson, il mistero era nel viso di Hallie, che era bruttino ma anche bello, a volte spento altre sfolgorante, un viso che cambiava aspetto alla piú lieve rotazione o inclinazione del capo, ora un insignificante topolino ora una favolosa ragazza della White Rock, ora scialba e quasi anonima, ora radiosa e straordinaria, una faccia irlandese qualunque che, in un battito di ciglia, poteva trasformarsi nel volto piú incantevole mai apparso al di qua di uno schermo cinematografico. Cosa fare di quell'enigma? Niente, decise Ferguson, proprio niente, l'unica soluzione era continuare a guardarla per provare la sempre piú piacevole sensazione di essere perennemente sorpreso.

Era cresciuta a Rochester ed era tornata in città per l'estate a vendere la casa di famiglia in East Avenue, diventata superflua da quando i genitori, giornalisti scientifici, si erano trasferiti a San Francisco ai primi dell'anno. Il lavoro al «Times-Union» lo aveva ottenuto grazie all'aiuto di un vecchio amico di famiglia ed era solo un modo di ingannare il tempo piú efficace dell'ozio — e una possibilità di guadagnare qualche soldo in piú, che non guastava.

Segretaria di redazione per l'estate, ma nella vita reale laureanda in inglese e biologia che avrebbe iniziato l'ultimo anno di college in autunno. Una poetessa in erba con un piano a lungo termine, fare medicina, specializzarsi in psichiatria e infine formarsi come psicoanalista, che era già abbastanza notevole, ma quello che impressionò Ferguson fu soprattutto il modo in cui Hallie aveva trascorso le due estati precedenti: vivendo a New York e rispondendo al telefono amico per la prevenzione dei suicidi fra la Quarta Est e Avenue A.

In altre parole, si disse Ferguson, mentre lui aveva ascoltato il disco che inanellava le strofe macabre e demoralizzanti di Signore, il tuo nome è Morte, Hallie aveva lavorato per salvare delle vite. Non tutte quante insieme, come credevano Amy e tanti altri, ma una alla volta, una alla volta. Parli con un uomo al telefono e piano piano lo convinci a non premere il grilletto della pistola che tiene puntata alla tempia. La sera dopo parli a una donna e piano piano la convinci a non ingoiare il flacone di pillole che tiene stretto in mano. Nessuna spinta a cambiare il mondo, nessun gesto di disubbidienza rivoluzionaria, ma l'impegno a fare del bene nel mondo ferito in cui viveva, l'intenzione di passare la vita ad aiutare gli altri, che non era un atto politico ma un atto religioso, una religione senza religione né dogmi, una fede nel valore di ogni singola persona, un viaggio che sarebbe cominciato con la facoltà di Medicina e continuato per tutto il tempo necessario a completare la formazione in psicoanalisi, e mentre Amy e tanti altri avrebbero obiettato che le persone stavano male perché la società era malata e aiutarle ad adattarsi a una società malata le avrebbe solo fatte stare peggio, Hallie avrebbe risposto, Migliorate pure la società se vi riesce, ma intanto le persone soffrono e io ho un lavoro da fare.

Non solo aveva incontrato la prossima, ma col passare dell'estate Ferguson si chiese se non avesse trovato quella giusta che avrebbe oscurato tutte le altre finché fosse vissuto su questo magnifico e disgraziato pianeta.

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