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| << | < | > | >> |Pagina 7 [ inizio libro ]Per un anno intero non fece altro che guidare, viaggiando avanti e indietro per l'America nell'attesa che i soldi finissero. Non aveva pensato che sarebbe continuato così a lungo, ma una cosa ne portò con sé un'altra, e al momento in cui Nashe si rese conto di ciò che gli stava accadendo, non aveva più la possibilità di desiderare che finisse. Il terzo giorno del tredicesimo mese incontrò il ragazzo che si faceva chiamare Jackpot. Fu uno di quegli incontri casuali, imprevisti, che sembrano nascere dall'aria sottile - un ramoscello spezzato dal vento che improvvisamente atterra ai tuoi piedi. Fosse capitato in qualunque altro momento, Nashe probabilmente non avrebbe aperto bocca. Ma poiché si era già arreso, poiché credeva che non ci fosse più niente da perdere, considerò l'estraneo come una sorta di sospensione della pena, come un'ultima possibilità di fare qualcosa per sé prima che fosse troppo tardi. E proprio per questo non ebbe esitazioni. Senza il minimo tremito di paura, Nashe chiuse gli occhi e saltò.| << | < | > | >> |Pagina 17Nashe non aveva nessun piano definito. Tutt'al più l'idea era di lasciarsi andare alla deriva per un po', viaggiare da un posto all'altro e vedere cosa succedeva. Pensava di stancarsi in un paio di mesi, e a quel punto si sarebbe seduto a riflettere sul da farsi. Ma i due mesi passarono e lui non era ancora pronto a smettere. A poco a poco, si era innamorato della sua nuova vita libera e irresponsabile, e una volta che questo accadde, non c'era più nessuna ragione di smettere.La velocità era la cosa essenziale, la gioia di sedersi in macchina e precipitarsi avanti attraverso lo spazio. Divenne il bene primario, una fame da saziare a ogni costo. Nulla attorno a lui per più di un momento, e poiché i momenti si susseguivano, era come se lui solo continuasse a esistere. Lui era il punto fermo in un vortice di cambiamenti, un corpo che restava in equilibrio, assolutamente immobile, mentre il mondo gli si gettava incontro e scompariva. L'automobile divenne il sacrario dell'invulnerabilità, un rifugio dentro il quale nulla poteva più colpirlo. Mentre guidava non aveva fardelli da portare, era libero dalla benché minima particella della vita precedente. Questo non signífica che nella sua mente non sorgessero i ricordi, ma sembrava che non recassero più nulla dell'antica angoscia. Forse con questo aveva qualcosa a che fare la musica, i nastri interminabili di Bach e Mozart e Verdi che ascoltava seduto al volante, come se in qualche modo i suoni emanassero da lui e impregnassero il paesaggio, trasformando il mondo visibile in un riflesso dei suoi stessi pensieri. Dopo tre o quattro mesi, aveva solo da salire in macchina per sentire che stava liberandosi del suo corpo, che appena premeva il piede sull'acceleratore e iniziava a guidare, la musica l'avrebbe trasportato in un mondo senza peso. | << | < | > | >> |Pagina 78«Ci spronavano», disse Stone. «Ci facevano credere che qualunque cosa fosse possibile.»«Il giorno in questione», continuò Flower, «sette anni fa, il quattro di ottobre, Willie ed io scegliemmo i numeri un po' più deliberatamente del solito. Non saprei dire perché, ma in realtà per qualche ragione discutemmo dei numeri che volevamo prendere. Ho avuto a che fare coi numeri per tutta la vita, certo, e dopo un po' cominci a sentire che ogni numero ha una sua personalità. Un dodici è molto diverso da un tredici, per esempio. Il dodici è retto, coscienzioso, intelligente, mentre il tredici è un solitario, un losco personaggio che non ci pensa due volte a infrangere la legge per ottenere ciò che vuole. L'undici è un duro che ama la vita all'aria aperta, gli piace vagare nei boschi, scalare montagne; il dieci è un semplicione, una figura mite che fa sempre quello che gli si dice; il nove è mistico e profondo, un Buddha contemplativo. Non voglio annoiarvi con queste cose, ma sono sicuro che capite quello che voglio dire. E' tutto molto personale, ma ogni contabile con cui ho parlato ha sempre detto la stessa cosa. I numeri hanno un'anima, e se si entra in contatto con loro non si può fare a meno di avere un rapporto personale.» «Così noi eravamo lì», disse Stone, «col biglietto della lotteria in mano, a cercare di decidere su quali numeri puntare.» «E io guardai Willie», disse Flower, «e dissi: 'Primi'. E Willie, ricambiandomi lo sguardo, disse: 'Naturalmente'. Perché quello era precisamente quello che stava per dirmi. La parola era uscita dalla mia bocca neanche un secondo prima che parlasse lui, ma gli era venuto lo stesso pensiero. Numeri primi. Era tutto così pulito ed elegante. Numeri che rifiutano di cooperare, che non si trasformano né si dividono, numeri che restano se stessi per tutta l'eternità. E così scegliemmo una sequenza di numeri primi e poi attraversammo la strada per andare a mangiare i nostri panini.»
«Tre, sette, tredici, diciannove, ventitré, trentuno»,
disse Stone.
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