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| << | < | > | >> |Indice5 UNA NECESSARIA PREMESSA L'area di indagine 10 Il vino e il formaggio nella storia e nella cultura alpina 13 Il vino nell'Antichità 15 Vino e formaggio alla base di un'economia di sussistenza 18 La pianta della vite 20 La vinificazione 22 L'analisi del vino 23 I marchi di qualità 24 L'incontro tra cibo e vino 27 I PRESIDI LE VALLI MONREGALESI Raschera e Testun: l'eccellenza tra le torre 29 La Sola e il Mascun: una rappresentanza delle valli monregalesi 30 LE VALLI CUNEESI Il Castelmagno, re dei formaggi 32 La Toma di Elva, il formaggio con un unico produttore 33 Il Tomino di Melle (Toumin dal Mel) 34 Il Tomino dal Bot (Toma dal Bot) della Val Varaita (Venasca) 35 Il Nostrale d'Alpe... un formaggio prodotto «a nostro modo» 37 Il Droné, un Nebbiolo di antichissima data... 39 LE VALLI SALUZZESI I vini delle Colline Saluzzesi 42 Il Tomino delle Valli Saluzzesi 43 LE VALLI PINEROLESI Il Tomino di Talucco 45 Seirass del fén: la ricotta stagionata delle Valli Valdesi 46 Il Plaisentif: la Toma delle Viole 48 Il Dahu... la toma con le gambe corte Il Ramìe: il vino dei Valdesi 50 Gli altri vini del gruppo Pinerolese DOC 53 VALLI DI SUSA E DI GIAVENO Il Cevrin di Coazze 55 La Toma del Lait Brusc, il formaggio gessato 56 Il Vino del Ghiaccio e i vigneti di Colombano Romean 58 Il Valsusa DOC 60 LE VALLI DI LANZO La Toma di Lanzo, uno dei formaggi più antichi del Piemonte 61 IL CANAVESE Il Civrin della Valchiusella 62 La Tuma d'Trausela 63 Un vino di confine: il Carema DOC 67 Il Canavese DOC 68 L'Erbaluce e il Passito di Caluso 70 IL BIELLESE E IL TERRITORIO OSSOLANO Il Bettelmatt 71 Il Caprino e la Toma della Val Divedro... il profumo dei pascoli fioriti 72 I vini della Valle Ossola 74 IL NOVARESE La Toma del Mottarone 75 I vini tra Novara e Vercelli: Ghemme e Gattinara 78 Il Boca e il Colline Novaresi 81 Fara e Sizzano: i vini novaresi meno conosciuti 83 LA VALSESIA La Toma della Valsesia 84 Il Maccagno 86 Il Salagnun della Valsesia La Toma Dolce 87 I vini vercellesi e valsesiani: il Coste della Sesia e il Bramaterra Bramaterra 88 UN NON-FORMAGGIO: IL BRUS 89 LE STRADE REALI DEI VINI, LE MANIFESTAZIONI E GLI EVENTI LEGATI A VINI E FORMAGGI 90 LA STRADA REALE DEI VINI TORINESI LA STRADA DEL VINO DELLE COLLINE NOVARESI 91 LA STRADA DEL VINO NELLA PROVINCIA DI BIELLA 92 L'ENOTECA REGIONALE DEI VINI DELLA PROVINCIA DI TORINO 93 I CONSORZI DI TUTELA DEI VINI DOC DELLA PROVINCIA DI TORINO IL LABORATORIO CHIMICO DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI TORINO 94 SLOW FOOD E I PRESIDI ITALIANI IL SALONE DEL GUSTO DI TORINO 95 TERRA MADRE 96 CHEESE 97 LE SETTIMANE DEL GUSTO IL MUSEO DEL GUSTO A FROSSASCO 99 BIBLIOGRAFIA 101 CREDITI FOTOGRAFICI |
| << | < | > | >> |Pagina 5Una necessaria premessaL'area di indagine
L'area interessata da questa pubblicazione comprende i territori montani ed
alpini del Cuneese, Torinese, Biellese, Vercellese, Novarese e della
Valsesia. Ci siamo attenuti a Consorzi, Aziende, Associazioni, singoli
produttori che eseguono l'intero ciclo di produzione, sia esso un formaggio
o un vino, in ambiente montano, o quantomeno collinare, sovente allo
sbocco delle vallate. Alcuni disciplinari, infatti, prevedono una produzione
annuale possibile anche in pianura durante il periodo invernale, ed alcuni
Consorzi di Tutela comprendono territori collinari e pianeggianti, quali ad
esempio la Collina Torinese e il Freisa di Chieri: tali territori, e le relative
Denominazioni di Origine Controllata o di Indicazione Geografica Tipica,
non rientrano in questo libro. Le aree considerate sono, quindi, esclusivamente
quelle montane di tutto l'arco alpino Occidentale ricadente nella
Regione Piemonte.
Nel territorio cuneese sono prodotti 5 vini DOCG (a Denominazione di Origine Controllata e Garantita): Barolo, Barbaresco, Asti e Moscato d'Asti, Roero, che comprende anche il Roero Arneis, e il Dolcetto di Dogliani Superiore. I vini DOC (a Denominazione di Origine Controllata) sono invece 12, che diventano 33 contando le diverse tipologie delle DOC collettive: Alta Langa, Barbera d'Alba, Cisterna d'Asti, Colline Saluzzesi, Dolcetto d'Alba, Dolcetto delle Langhe Monregalesi, Dolcetto di Dogliani, Dolcetto di Diano d'Alba, Langhe, Nebbiolo d'Alba, Piemonte, Pinerolese, Verduno Pelaverga. Di tutti questi soltanto il Colline Saluzzesi, il Dolcetto delle Langhe Monregalesi e il Pelaverga riguardano ferritori montani o pedemontani. La provincia di Cuneo rappresenta la realtà più importante nel panorama regionale dell'agricoltura: grandi vini, colture di pregio, allevamenti di grande qualità, eccellenti prodotti con riconoscimenti a livello comunitario, cucina caratteristica, paesaggi e località incantevoli ne fanno un territorio di grandi tradizioni agricole e culturali e di richiamo turistico non indifferente.
In provincia di Cuneo il settore lattiero-caseario ha una grande importanza
economica: si producono annualmente oltre 4,5 milioni di litri di latte,
circa il 50% della produzione piemontese, che prendono per la maggior
parte la strada della trasformazione in formaggio, secondo una lunga e
consolidata tradizione. Tradizione che dà origine a un gran numero di formaggi
prestigiosi. Sono infatti ben sette i formaggi che possono fregiarsi
della DOP (Denominazione di Origine Protetta), quattro dei quali possono
essere prodotti esclusivamente in provincia di Cuneo (Bra, Castelmagno,
Murazzano, Raschera) mentre la Toma Piemontese pressoché in tutto il
Piemonte e il Grana Padano e il Gorgonzola anche in altre regioni dell'Italia
settentrionale. È inoltre in corso l'iter per il riconoscimento della DOP
relativa al
Toumin dal Mel.
Accanto a questi merita ricordare tutti i formaggi
riportati nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione
Piemonte, prodotti in modo esclusivo o prevalente sul territorio provinciale e
legati a tradizioni locali di antica origine, quali il Boves e il Gioda, il
Nostrale d'Alpe, la Paglierina, la Robiola d'Alba, la Sola e il Testun, la Tuma
di Bossolasco, la Toma d'Elva e la Toma di Celle Macra, i Tomini delle Valli
Saluzzesi, il Tomino del Bot e il Tomino di San Giacomo di Boves, il Brus. Di
tutti considereremo soltanto quelli prodotti in zone montane-pedemontane.
Le Valli del Pinerolese rappresentano uno scrigno a sud-ovest di Torino: in questo territorio che si estende tra Barge e Cumiana, sviluppandosi nelle valli Pellice, Chisone e Germanasca, da tempi immemorabili si producono vini apprezzati per il gradevole aroma e sapore, nonché per la rarità dei vitigni da cui traggono origine. Già nel 1200 i principi di Acaja prima, poi di Savoia, coltivavano alcuni ettari di vigne, prestando particolare attenzione alle tecniche colturali, alla conservazione dei vini, trascrivendo tutte le operazioni di campagna e quelle amministrative e contabili. Nei secoli seguenti l'interesse per la produzione del vino crebbe in modo esponenziale, tanto che nel 1881 alla grande Esposizione Ampelografica di Pinerolo si contavano oltre 600 varietà di uve, tra le quali 333 vitigni autoctoni della provincia di Torino. La riduzione della superficie coltivata è giunta in seguito alle problematiche relative alle aree montane, ma il riconoscimento della DOC «Pinerolese» nel 1997 ha ridato nuova linfa al settore. Le uve tradizionali piemontesi, quali dolcetto, barbera, freisa e bonarda sono di casa, ma il fiore all'occhiello del territorio sono due vini ottenuti da vitigni pregiati ed autoctoni: il Ramìe e il Doux d'Henry. Per quanto riguarda la Valle Susa, non vi è nessun documento scritto riguardante la presenza della vite in epoca romana, ma si ritiene che la viticoltura comparve nel II secolo a.C. nella bassa Valle. Al 739 d.C. risale il Testamento di Abbone, fondatore dell'Abbazia di Novalesa: in tale documento abbondano le testimonianze riguardanti l'importanza della viticoltura nella Valle. Il suo lascito comprende, infatti, numerosi vitigni in località oggi conosciute come Gravere, Chiomonte e Giaglione. L'economia del settore vinicolo ha alternato nei secoli seguenti periodi di floridezza ad altri di crisi, contemporaneamente agli eventi europei. | << | < | > | >> |Pagina 13Il vino nell'AntichitàSe il capitolo precedente è dedicato all'importanza del vino e del formaggio nella storia, in questo paragrafo vogliamo accennare brevemente all'origine del vino come bevanda nell'Antichità: le sue origini sono talmente vetuste tanto da sprofondare nell'oblio, ma sicuramente nell'Antico Testamento si trovano già alcuni accenni al suo utilizzo. Chi non conosce, infatti, l'episodio di Noè sull'Arca che riserva alla vite un posto sicuro per salvarla dal Diluvio Universale? Il mito del Diluvio è presente in diverse culture del bacino mediterraneo, e la spiegazione scientifica più probabile è che l'evento fu causato da un immane terremoto che separò la Turchia dall'Europa, originando l'attuale canale del Bosforo. Le acque del Mediterraneo, più alto di circa 100 m rispetto al Mar Nero, si riversarono in quest'ultimo per molte settimane, creando inondazioni e nuvole di vapore acqueo. La nascita del vino fu sicuramente casuale, probabilmente dalla fermentazione spontanea dei grappoli abbandonati in qualche incavo della roccia. Passando dalla religione alla storia, sono in molti ad affermare che la vite sia originaria dell'India, e che da qui si sia diffusa in Asia e nel bacino del Mediterraneo intorno al Terzo millennio a.C. In occidente, la coltivazione della vite e la pratica della vinificazione erano conosciute in Armenia, o meglio in Mesopotamia, la culla non soltanto dei popoli ma di molti processi fermentativi che portarono alla produzione del pane dai cereali, del formaggio dal latte e delle bevande euforizzanti. La pratica era inoltre consolidata in Egitto, come attestato dal ritrovamento di anfore contenenti vino nella tomba di Tutankamon: gli Egizi furono i primi produttori di vino a scopo ludico, per feste e banchetti, dove veniva utilizzato per rituali propiziatori. In genere era riservato ad una ristretta casta sociale e ai sacerdoti poiché la bevanda di tutti i giorni, utilizzata dal popolo, era la birra. Sonnolenza ed ebbrezza non furono spiegate per lungo tempo. I Greci addirittura dedicarono al vino una divinità: Dionisio, dio della convivialità. La Grecia è considerata la culla della moderna viticoltura, con sistema di allevamento ad alberello, e pratiche colturali scritte, tramandate di padre in figlio o divulgate da scrittori. I suoi vini erano molto quotati, basti pensare a quelli dell'isola di Lesbo, al Moscato di Samos e alla Malvasia, che ebbe la sua massima espressione a Creta. I problemi del bere sicuramente erano già conosciuti, in quanto Eubulus scrisse una tabella di riferimento: «la prima tazza è per la salute, la seconda per l'amore, la terza per il sonno». Alcuni aggiungono, completando così la tabella, che la quarta tazza appartiene alla violenza, la quinta alla passione, la sesta all'intemperanza, la settima agli occhi neri, l'ottava al poliziotto, la nona alla bile, la decima alla pazzia. Questa tabella venne spesso superata anche da personaggi illustri, quali Alessandro Magno, notoriamente dedito al consumo di vino. In Italia la vite arrivò in Sicilia e si diffuse presso i Sabini e poi presso gli Etruschi, che ne allargarono la coltivazione sino alla Pianura Padana. Nella civiltà romana il vino assunse importanza solo dopo la conquista della Grecia, ed anche Bacco entrò a far parte della schiera di Dei. I Romani erano a conoscenza delle sue proprietà battericide, e lo portavano nella campagne come bevanda curativa dei legionari. Il vino era proibito alle donne e il marito aveva il diritto di uccidere la moglie ubriaca. Le donne potevano invece bere una sorta di vino non alcolico, un fermentato leggero con mirra, e l'acqua derivante dal risciacquo delle vinacce. Furono invece i Celti ad inventare le botti, che presto sostituirono le pesanti anfore romane e greche. Il trasporto su lunghe distanze del vino fu sempre un problema, e i Romani iniziarono a cercare posti atti alla coltivazione della vite all'interno delle colonie, vicino alle città maggiormente abitate. Con la diffusione dell'Islamismo nel Mediterraneo, in seguito alla morte di Maometto nel 632 d.C., il vino attraversò un periodo buio, accusato di portare ebbrezza e piaceri effimeri: la coltivazione della vite venne messa al bando in tutti i territori occupati, ma furono proprio i monaci a continuare in modo clandestino a produrre il vino utilizzato nelle cerimonie religiose. La vite non fu espiantata da Spagna e Portogallo poiché gli Arabi si opposero ad un totale stravolgimento dell'economia delle aree conquistate. I fervidi commerci del XV e XVI secolo tra Francia e Inghilterra ruotavano intorno al vino della zona di Bordeaux, della foce della Garonna e dell'intera Guascogna. Altra nazione importante per il vino fu sicuramente l'Olanda, che attivò commerci ovunque e divenne la prima potenza. L'unica merce che non era rivenduta era proprio il vino, consumato in grande quantità dai suoi abitanti. Furono gli Olandesi a scoprire il metodo per conservare i vini bianchi, aggiungendo anidride solforosa derivante dalla combustione di uno stoppino all'interno di una botte di media capacità. Prima, infatti, i vini bianchi potevano essere trasportati solo nei periodi freddi o se fortificati con l'aggiunta di alcol. Poiché l'anidride solforosa è un composto molto volatile, con l'apertura della botte scompariva l'odore acre di zolfo. Il vino torna protagonista nella letteratura del Settecento... ma di questo si è già trattato nel paragrafo precedente! Nell'Ottocento il vino diviene oggetto di ricerca scientifica, e illustri studiosi offrono il loro contributo per realizzare vini di sempre miglior qualità e bontà: Pasteur, nel 1866, afferma che «il vino è la più salutare ed igienica di tutte le bevande».
Studi medici fatti all'estero dimostrano che i consumatori di vino sono
meno soggetti ad attacchi di dissenteria rispetto ai tradizionali consumatori
di acqua, e questo grazie al potere battericida della bevanda, salutare se
consumata in quantità moderate. Risulta, infatti, che un bicchiere di vino
a pasto ha effetti positivi sul sistema cardiovascolare, riducendo i rischi di
malattie cardiache, probabilmente grazie alla presenza di sostanze derivate dai
tannini del vino rosso. Ad oggi non è stato ancora isolato un agente
patogeno per l'uomo che si origini dal vino.
Vino e formaggio alla base di un'economia di sussistenza «...I nostri vecchi facevano il pane una volta l'anno...» ricorda uno tra i tanti testimoni intervistati da Nuto Revelli nella sua opera più famosa; « ...'I pan 'd Natal, 'I pan d'ordi, pane di orzo, un pane duro che tagliavano con il tajapan. Mangiavano anche le tagliatelle d'orzo, tanta polenta, compravano magari trenta o quaranta mine di farina di meliga e poi patate, cavoli e la leità, il siero del latte fatto cuocere. Caffè d'orzo, niente carne, niente vino...». Le parole di questo valligiano di Castelmagno (Val Grana), per quanto ai tempi della ricerca condotta da Revelli fosse giovane (classe 1931), ci riconducono ad un mondo antico, fatto di piccole miserie quotidiane, di grandi rinunce e di fatiche incommensurabili determinate esclusivamente dalla necessità di sopravvivere. Probabilmente, il suo racconto descrive una situazione estrema, propria dei villaggi dislocati a quote più elevate, non raggiunti da strade carrozzabili e popolati, durante la settimana, solo da anziani e bambini. Altrove, evidentemente le cose non erano proprio così; per quanto le condizioni umane di esistenza fossero precarie, si campava certamente un po' meglio, ma non c'era da scherzare. L'accenno del testimone alla leità, il siero del latte, ci connette direttamente con uno degli argomenti fondamentali di questa trattazione: il ruolo del formaggio nell'alimentazione quotidiana dei villaggi più poveri, ove si viveva di ciò che veniva prodotto. In effetti, se si esaminano con attenzione le numerose fonti di soggettività, le cosiddette fonti calde a disposizione, riferibili a testimonianze, diari, lettere o quant'altro, il problema della precarietà di risorse alimentari, negli anni di fine Ottocento-metà Novecento, emerge in tutta la sua drammaticità: il reperimento di proteine era spesso complicato dalla necessità di utilizzare buona parte di ciò che veniva prodotto per la vendita (o più spesso per lo scambio), più che per il consumo personale. Era così, infatti, per la carne di vitello (il vitello veniva allevato per essere rivenduto), per il burro, il formaggio e di conseguenza anche per il latte, che trovava impiego quasi interamente nella produzione di quest'ultimo. Ecco dunque che il riferimento alla leità, al siero del latte, recuperato dopo l'estrazione della cagliata, non era casuale: esso veniva ridotto con una breve cottura e consumato assieme al pane ammollato (soprattutto quando si trattava di pane cotto una sola volta l'anno) e rappresentava indubbiamente una risorsa, povera ma significativa. Oltre questo prodotto, utilizzato più che altro perché nulla andasse disperso, l'alimentazione di una famiglia contadina montanara tra i secoli XIX e XX si fondava soprattutto, per ciò che concerne il reperimento delle proteine nobili, sul formaggio e sulle carni conservate. Si utilizzavano, quindi, prodotti a lunga stagionatura caratterizzati - proprio perché poveri di acqua - da una considerevole presenza di grassi, utili a fornire l'apporto calorico necessario alle fatiche insite nel lavoro in montagna (fatiche ben più dure, rispetto ai contadini della pianura, per le difficoltà di gestione del territorio, spesso scosceso e roccioso). | << | < | > | >> |Pagina 24L'incontro tra cibo e vinoLabbinamento tra formaggio e vino gode di grande fama da tempo immemore, da quando entrambi, invece di rappresentare delizie del palato, venivano consumati unicamente per togliersi la fame e dissetarsi. La scelta di un vino particolare da abbinare ad un certo piatto non è mai facile, a maggior ragione se si tratta di formaggio: esistono delle regole di base utili come indicazioni, che non rappresentano affatto la verità assoluta o dogmi da non contraddire poiché non si tratta di una scienza esatta. Ciò che conta, nonostante tutto, è il gusto personale. L'abbinamento vino-cibo può essere considerato un piacevole gioco, nel quale ognuno si può lasciar coinvolgere oppure rimanere totalmente estraneo. Le regole considerate basilari per l'abbinamento di un particolare vino con un certo piatto sono le seguenti: • i vini bianchi si servono prima dei rossi, intervallati da quelli rosati, poiché un bianco bevuto dopo un vino rosso tende a perdere di gusto in quanto meno ricco di tannini e con poca struttura; • i vini molto alcolici vanno serviti dopo quelli poco alcolici per la stessa motivazione; • i vini giovani anticipano quelli più vecchi; • i vini più freddi e freschi si servono prima di quelli più caldi; • i vini meno aromatici precedono quelli più aromatici per evitare la saturazione dell'olfatto da parte degli aromi intensi; • i vini secchi precedono quelli dolci;
• a conclusione di tutto andrebbero serviti vini passiti e vini dolci,
oppure vini fortificati (liquorosi).
Se è vero che alcuni abbinamenti sono riconosciuti poiché particolarmente piacevoli e deliziosi, lo è altrettanto che altri sono assolutamente da evitare a causa delle caratteristiche intrinseche di alcuni cibi che offuscano il vino. In generale si può dire che sono da evitare abbinamenti con piatti, salse e insalate contenenti molto limone o aceto, quali sottoaceti e piatti in carpione. Stesso effetto di papille anestetizzate è provocato dalla frutta acidula: pompelmo, ananas e arance. Così la cinarina contenuta nei carciofi rende amarognoli anche i vini bianchi più delicati. Alcune salse, quali senape, ketchup e tabasco, non gradiscono il vino per il gusto troppo speziato e piccante, che neutralizza e appiattisce anche il vino rosso più vivace. L'abbinamento risulta difficile anche per piatti a base di verdure crude e cotte contenenti spinaci e broccoletti, oppure finocchio. Al termine del pasto, entrando nel settore dei dolci, è bene tenere presente che il gelato rifiuta qualsiasi vino per il freddo che anestetizza le papille gustative. I criteri da seguire per un corretto abbinamento sono sostanzialmente cinque e riguardano la struttura del vino, la stagione in cui viene servito, l'abbinamento regionale dovuto a lunghe e consolidate tradizioni, l'abbinamento per similitudine di caratteristiche e quello per contrasto. Per quanto riguarda il formaggio, che è un alimento complesso, con aromi piuttosto intensi e spesso anche pungenti, sapori che variano dal delicato fino al forte, l'abbinamento con il vino non è sempre semplice anche a causa della notevole varietà disponibile nei vari paesi in cui si produce. Dal punto di vista alimentare, il formaggio è ricco di proteine, grassi e sali minerali, presenti in quantità piuttosto variabili a seconda del tipo. Dal punto di vista organolettico, il formaggio è un alimento piuttosto invadente e pertanto richiede l'abbinamento con un vino che abbia un'adeguata e pari invadenza. Un formaggio molto aromatico richiede quindi un vino altrettanto aromatico, un formaggio con sapori intensi e una persistenza gustativa lunga, richiede un vino dai sapori intensi e molto persistenti. In genere si ritiene che il migliore abbinamento con il formaggio sia quello ottenuto dal vino rosso, in realtà questa regola non trova nessun fondamento pratico a causa dell'enorme diversità delle qualità organolettiche dei formaggi. I formaggi freschi in cui è apprezzabile una certa acidità - come ad esempio la Mozzarella, la Crescenza e la Robiola - sono perfettamente abbinabili a molti vini bianchi e rosati. Con grande approssimazione si può accennare al fatto che al crescere della stagionatura di un formaggio dovrebbe aumentare la struttura del vino: da evitare, ad esempio, un rosso carico di tannini con un formaggio fresco, o un bianco leggero e acido con un formaggio stagionato. In generale i formaggi freschi e a pasta molle, privi di crosta e spalmabili, si abbinano bene con vini bianchi giovani e vivaci. I formaggi a pasta molle e grassa risaltano con vini bianchi secchi e strutturati, mentre i formaggi a pasta semidura vengono associati con vini rossi a medio invecchiamento. Formaggi stagionati a pasta dura, invece, prediligono vini rossi a medio o lungo invecchiamento, con un buon corpo e una legante morbidezza. I formaggi erborinati o contenenti muffe, quali i numerosi bleau di montagna, risultano particolarmente piacevoli con vini passiti, che ne esaltano il sapore piccante. L'abbinamento del formaggio con i vini dolci rappresenta probabilmente la scelta più entusiasmante grazie al perfetto equilibrio che si ottiene, tuttavia questo è un abbinamento che è opportuno proporre unicamente quando il formaggio è servito alla fine del pasto o quando il formaggio è consumato da solo e costituisce l'unica portata del pasto. Nel territorio piemontese sonò rinomati alcuni abbinamenti quali il Dolcetto d'Alba con gli agnolotti piemontesi, il Dolcetto di Ovada con i porcini alla griglia o il roast-beef, il Nebbiolo con l'arrosto di vitello o il risotto al tartufo, il Barbera con la bagna caôda, il Moscato d'Asti con le bavaresi alla frutta e il panettone, il Roero Arneis con il vitello tonnato, il Grignolino del Monferrato con i cannelloni al ragù e i vol-au-vent ai funghi, il Barolo con il brasato al vino rosso, il Brachetto d'Acqui con le pesche ripiene... ma riguardano tutti vini non trattati in questa pubblicazione in quanto non prodotti montani. Per mantenerci in territorio montano possiamo citare, solamente a titolo di esempio, l'abbinamento del Boca con carni bianche, carni rosse in umido, cacciagione e selvaggina, così come il Coste del Sesia con i primi piatti, oppure il Bramaterra con arrosti saporiti e formaggi a pasta dura e stagionati. Il Carema è ottimo con la carne alla griglia, gli agnolotti e le pappardelle al ragù, l'agnello allo spiedo, il capretto al forno, selvaggina e funghi trifolati. In generale il Colline Novaresi si sposa con salumi e carni, sia bianche sia rosse mentre un Colline Saluzzesi preferisce formaggi poco maturi. Ad esempio, l'Erbaluce di Caluso è ottimo per aperitivi e antipasti, piatti di pesce o formaggi piccanti e panettoni se Passito. Il Gattinara è ottimo, invece, con il risotto alla milanese, oltre ad essere un buon abbinamento con carni saporite quali selvaggina, piatti in salmì e formaggi a pasta dura, mentre un Ghemme predilige primi piatti e formaggi a pasta semidura o molli ma piccanti. Con brasati, stracotti, bolliti e formaggi a pasta dura si può scegliere un Lessona. I vini del Pinerolese, in particolare il Ramìe e il Doux d'Henry, sono vini da tutto pasto, ottimi con salumi e formaggi del territorio, così come il Valsusa. Gli abbinamenti specifici di ogni singolo vino con i piatti locali delle zone di produzione saranno trattati nei relativi capitoli. Ogni formaggio meriterebbe un discorso minuzioso, esaltando un particolare vino e ricevendone a sua volta una valorizzazione: riportiamo di seguito alcuni criteri adottati dall'Associazione Italiana Sommelliers: formaggi freschi non salati: vini bianchi, meglio se ricchi di glicerina o con residui zuccherini, dal profumo leggero, rotondi, mediamente freschi, leggermente caldi; formaggi freschi salati: vini rossi non molto impegnativi, dal profumo leggero, moderatamente morbidi e freschi, appena tannici, leggermente caldi; formaggi a pasta molle: vini rossi di buon corpo e buona personalità, con profumi abbastanza intensi, moderatamente morbidi e freschi, abbastanza tannici, leggermente caldi; formaggi a pasta dura non cotta: vini rossi giovani, dal profumo tenue, moderatamente morbidi, discretamente freschi, appena tannici, leggermente caldi; formaggi a pasta dura cotta e poco stagionati: vini rossi di buon corpo, dal profumo intenso, equilibrati, moderatamente sapidi, abbastanza tannici, abbastanza caldi; formaggi a pasta dura cotta, molto stagionati: vini rossi di grande struttura ed invecchiati, dal profumo abbastanza intenso, molto equilibrati, sapidi, giustamente tannici e caldi; formaggi a pasta erborinata: vini rossi di notevole gradazione e tannicità, dal profumo abbastanza intenso, abbastanza equilibrati, molto tannici, molto caldi; formaggi caprini: grandi vini rossi ricchi di profumi; formaggi caprini giovani: vini bianchi freschi e leggeri, dal profumo leggero, appena morbidi, giustamente freschi e caldi; formaggi caprini stagionati: vini rossi invecchiati di grande struttura, dal profumo intenso, mediamente equilibrati e sapidi, abbastanza tannici, molto caldi. | << | < | |