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| << | < | > | >> |IndiceVII Introduzione di Vittorio Marchis XV Nota del curatore 3 Dedica 5 Prefazione 7 Capitolo 1 I miei antenati 12 Capitolo 2 La fanciullezza 20 Capitolo 3 L'adolescenza 27 Capitolo 4 Cambridge 40 Capitolo 5 La Macchina alle Differenze n. 1 64 Capitolo 6 Rapporto relativo alla Macchina alle Differenze, redatto dal compianto sir H. Nicolas sulla base dei miei scritti 88 Capitolo 7 La Macchina alle Differenze n. 2 99 Capitolo 8 Intorno alla Macchina Analitica 124 Capitolo 9 Sulle notazioni meccaniche 128 Capitolo 10 L'Esposizione del 1862 145 Capitolo 11 Il compianto principe consorte 149 Capitolo 12 Ricordi del duca di Wellington 159 Capitolo 13 Ricordi di Wollaston, Davy e Rogers 167 Capitolo 14 Ricordi di Laplace, Biot e Humboldt 175 Capitolo 15 Esperienze con l'acqua 181 Capitolo 16 Esperienze con il fuoco 193 Capitolo 17 Esperienze tra gli operai 197 Capitolo 18 Scassinando le serrature e decifrando 205 Capitolo 19 Esperienze a San Giles 212 Capitolo 20 Esperienze teatrali 218 Capitolo 21 Esperienze elettorali 232 Capitolo 22 Scene da una nuova farsa 246 Capitolo 23 Esperienze a corte 250 Capitolo 24 Esperienze a corte 261 Capitolo 25 Ferrovie 281 Capitolo 26 Rumori di strada 302 Capitolo 27 L'arguzia 309 Capitolo 28 Suggerimenti per i viaggiatori 322 Capitolo 29 Miracoli 329 Capitolo 30 Religione 337 Capitolo 31 Una visione 350 Capitolo 32 Vari ricordi 358 Capitolo 33 Contributi dell'autore alla conoscenza umana 368 Capitolo 34 Ulteriori contributi dell'autore alla conoscenza umana 394 Capitolo 35 Risultati della scienza 401 Capitolo 36 Piacevoli ricapitolazioni 405 Appendice 411 Indice dei nomi 413 Indice dei luoghi |
| << | < | > | >> |Pagina VIIIntroduzioneUn philosopher industriale in Inghilterra, un viaggiatore «inquiring» in Italia.
Vittorio Marchis
Circa un quarto di secolo fa la corte di Torino aveva fama di essere la più formale e cerimoniosa d'Europa. Era noiosa per i funzionari diplomatici, che erano destinati come pianeti a gravitarvi attorno, sebbene non senza interesse per il viaggiatore curioso, la cui orbita, come quella di una cometa, passava attraverso la sua atmosfera soltanto a intervalli distanti. Con queste parole il matematico — ma bisognerebbe meglio precisare il significato di questo termine nel contesto della cultura del primo Ottocento — Charles Babbage apriva il ventiquattresimo capitolo del suo libro autobiografico Passages from the Life of a Philosopher. Charles Babbage è ben noto per essere stato l'inventore del Difference Engine (la Macchina alle Differenze) e di aver concepito l' Analytical Engine (la Macchina Analitica), il prototipo meccanico dell'elaboratore digitale, il progenitore dei moderni «calcolatori» elettronici, già dotato dei due costitutivi elementi essenziali: l'unità di calcolo (mill) e la memoria di deposito (store). Per chi volesse affrontare l'avventurosa storia della invenzione della Macchina Analitica l'ultimo saggio di Doron Swade, The Cogwheel Brain (Abacus, Londra 2000) è forse il viatico migliore e anche il più piacevole. Lo Swade infatti è il conservatore dello Science Museum di Londra che dal 1985 si è occupato della realizzazione del primo esemplare completo e in scala reale della famosa Macchina, e il suo racconto senza dilungarsi in noiose spiegazioni sul funzionamento della macchina ci fa capire in maniera eccellente i contesti sociali e scientifici in cui operò questo scienziato. Riassumere la biografia scientifica del Babbage è cosa assai complessa e sarà assai utile la lettura dei Passages. Dopo aver studiato a Cambridge dal 1810 al 1814, nel 1822 riceve dall'Astronomical Society una medaglia d'oro per un saggio sull'uso delle macchine per la preparazione delle tavole di calcolo (Examples of the solutions of functional equations, Cambridge, 1820). Sono gli anni in cui concepisce l'idea di un «engine» che venga in aiuto ai «computers», che non sono, a quel tempo, delle macchine bensì degli impiegati che lavorano manualmente per la redazione delle complesse tavole di calcolo astronomiche ampiamente usate in marina. Questi addetti lavorano in parallelo e solo se al termine di una procedura di calcolo ottengono risultati eguali si prende per buono il risultato e si procede oltre. Altrimenti, e questo è l'unico elemento di controllo sulla assenza di errori, si ricomincia tutto daccapo. È un lavoro estenuante e nell'era del macchinismo, quando tutto si meccanizza l'idea del nostro scienziato appare subito molto promettente, perché «le macchine non sbagliano». Nel 1828 Charles Babbage è nominato Lucasian Professor, chiamato a succedere alla cattedra di Newton a Cambridge, ma non risiederà mai nella città universitaria e rinuncerà definitivamente al titolo nel 1839. I suoi interessi spaziano dalla matematica applicata alle scienze economiche e sociali. È del 1826 A comparative view of the various institutions for the assurance of lives; l'anno successivo stampa una Table of logarithms of the natural numbers, from 1 to 108000, e tre anni dopo scrive le sue Reflections on the decline of science in England, and some of its causes. Nel 1832 pubblica il trattato On the Economy of Machinery and Manufactures che avrà in breve tre edizioni e che nel 1834 sarà parzialmente tradotto in francese da M. Isoard. Quando nel 1833 il «Nautical Almanach» pubblica una lista di diciannove errori contenuti nelle proprie Tavole di calcolo Charles Babbage prende piena coscienza che deve spendere ogni sua energia nella progettazione e nella costruzione dell' Engine, ma soprattutto di una macchina che riesca ad essere programmata: l'impiego delle operations card e delle variable card, suggerito dalle cartelle forate usate ormai da alcuni decenni per programmare i telai Jacquard, apre la futura strada delle macchine da calcolo a schede perforate. Nel 1840 quando Charles Babbage ha quarantotto anni è invitato a Torino dallo scienziato Giovanni Plana per partecipare alla Seconda Riunione degli Scienziati Italiani: è accompagnato, come interprete, da Fortunato Prandi che aveva partecipato ai moti del 1821 e si era definitivamente trasferito a Londra nel 1824. Charles Babbage presenta all'Accademia delle Scienze di Torino i suoi lavori, illustra l'uso delle sue schede perforate e soprattutto fa la conoscenza con Luigi Federico Menabrea, ufficiale dell'esercito sardo, futuro ministro della Guerra, ma soprattutto «matematico» e scienziato, professore nelle Scuole militari della capitale sabauda, che farà importanti studi nella Scienza delle costruzioni. Ritornato a Londra non trova un ambiente a lui favorevole e i successi ottenuti all'estero non hanno invece riscontro presso il Governo britannico che nel 1842 gli rifiuta un finanziamento per proseguire nella realizzazione della sua macchina. Ma intanto Federico Menabrea scrive in francese un saggio sui lavori di Babbage: Notions sur la Machine Analytique de M. Charles Babbage («Bibliothèque universelle de Genève», 41 (1842), pp. 353-376). Questo scritto sarà tradotto dalla contessa di Lovelace, Ada Augusta Byron, figlia del poeta inglese: Sketch of the Analytical Engine («Scientific Memoirs», 3 (1843) pp. 666-731). La fama di Babbage si estende nel continente, ma continua a non ottenere riscontri in patria, dove anche la sua «Seconda Macchina alle Differenze» progettata nei primi anni '50 non riceve attenzione alcuna da parte del Governo. La Great Exhibition del 1851, che celebra nel Crystal Palace, costruito dall'architetto Paxton, le glorie di una Gran Bretagna al centro del mondo industriale e che il Babbage commenta in tempo reale con le sue Views of the industry, the science, and the government of England, non gli concede lo spazio desiderato. Solo nel 1989 si procederà a rendere operativo il progetto di Charles Babbage e nel 1991, al Science Museum di Londra, la Macchina alle Differenze vedrà la luce nella sua versione operativa e definitiva. Per la sua realizzazione si sono spese 300.000 sterline. | << | < | > | >> |Pagina 40Capitolo 5
La Macchina alle Differenze n. 1
Le macchine calcolatrici comprendono vari pezzi di meccanismi per assistere la mente umana nell'eseguire operazioni di aritmetica. Alcune di queste, poche, eseguono l'intera operazione senza bisogno di alcuna attenzione mentale nel momento in cui i numeri dati sono stati inseriti nella macchina. Altre richiedono una moderata attenzione. Queste seconde sono generalmente di più semplice costruzione rispetto alle prime e, si può aggiungere, sono meno utili. La via più semplice per capire a quale di queste due classi una macchina calcolatrice appartenga è chiedere al suo costruttore se, una volta che i numeri con cui bisogna operare sono immessi nello strumento, questo è capace di arrivare al risultato tramite un semplice movimento di una «molla», un peso discendente, o di un'altra forza costante. Se la risposta è affermativa, la macchina è veramente automatica; nell'altro caso, non è autosufficiente. Delle varie macchine che ho avuto occasione di esaminare, ho trovato che molte di quelle per l'addizione o per la sottrazione sono automatiche. Delle macchine per le moltiplicazioni o le divisioni, che ho esaminato con cura, non posso ricordare oggi se rispondessero completamente a questa condizione. La prima idea che posso rintracciare nella mia mente circa il calcolo di tavole aritmetiche tramite macchine, crebbe in questo modo: una sera ero seduto nella sede della Analytical Society, a Cambridge, con la testa appoggiata in avanti sul tavolo in una specie di stato di sogno, con una tavola di logaritmi aperta davanti a me. Un altro membro, entrando nella stanza e vedendomi mezzo addormentato, mi chiamò: «Babbage, che stai sognando?» ed io risposi: «Sto pensando che tutte quelle tavole (indicando i logaritmi) potrebbero essere calcolate da macchine». Sono debitore al mio amico, il reverendo dottor Robinson, Master of the Temple, per questo ricordo. L'episodio dovette accadere nel 1812 o 1813. Intorno al 1819 ero occupato nel progettare sistemi per graduare in maniera accurata strumenti astronomici, ed ero arrivato ad un progetto che pensavo sarebbe riuscito perfettamente. A quel tempo stavo pensando a come realizzare una macchina per calcolare le tavole aritmetiche. Una mattina andai a visitare il compianto dottor Wollaston, per consultarlo sul mio progetto di graduare strumenti. Parlando della materia, venne fuori che il mio sistema era esattamente uguale a ciò che era stato descritto dal duca di Chaulnes, nelle Memorie dell'Accademia Francese di Scienze, circa cinquanta o sessanta anni prima. Allora menzionai la mia altra idea di calcolare tavole per mezzo di macchine, che il dottor Wollaston pensava fosse un soggetto molto promettente. Pensavo che una macchina per eseguire le sole operazioni di aritmetica, separate, potesse essere relativamente di poco valore, a meno che fosse davvero facile sistemarla per fare questo lavoro, e a meno che lo eseguisse non solo in maniera accurata, ma con grande rapidità, qualunque cosa gli fosse richiesto di fare. D'altra parte, il metodo delle differenze suppliva al generale principio in base al quale tutte le tavole possono essere calcolate attraverso intervalli limitati, con un processo uniforme. E ancora, il metodo delle differenze richiedeva l'uso di macchine per la sola addizione. Comunque, allo scopo di assicurare accuratezza alle tavole stampate, era necessario che la macchina che calcolava le tavole potesse anche comporle, o altrimenti fornire uno stampo in cui lamine «cliché» di quelle tavole potessero essere colate. Allora cominciai ad abbozzare piani per portare a termine alcuni parziali processi che erano richiesti. La parte aritmetica può consistere di due distinti processi: la capacità di sommare una cifra ad un'altra, e anche di riportare le decine alla cifra successiva, nel caso fosse necessario. La prima idea era, naturalmente, di sommare ogni cifra consecutivamente, il che, comunque, avrebbe richiesto troppo tempo se i numeri sommati consistevano di molte cifre. Il passo successivo fu di sommare tutte le cifre dei due numeri una per una nello stesso istante, ma conservando una certa memoria meccanica, ogni volta che un riporto si rendeva necessario. Queste cifre riportate sarebbero state poi calcolate successivamente. Avendo fatto vari progetti, in seguito cominciai a preparare modelli di alcune parti della macchina, per vedere come questi potessero operare. Ciascun numero sarebbe stato espresso su ruote dentate montate su un asse, così che ci fosse una ruota per ciascuna cifra del numero trattato. Arrivato ad un certo punto dei miei progressi, divenne necessario che quelle ruote avessero denti di una forma particolare; poiché il mio tornio non era adatto per quel lavoro, portai le ruote da un meccanico di Lambeth, al quale trasmisi con cura le mie istruzioni, lasciandogli un disegno come riferimento. Quelle ruote mi arrivarono una sera a tarda ora e il mattino seguente cominciai a metterle in funzione insieme agli altri miei meccanismi, quando, con mio grande stupore, trovai che erano praticamente inadatte al loro compito. Esaminai la forma dei loro denti, comparandoli con quelli disegnati nei progetti, e trovai che corrispondevano in maniera perfetta; eppure non erano in grado di portare a termine il lavoro progettato. Ero così certo della correttezza dei miei precedenti ragionamenti, che mi rattristai alquanto. Riflettevo sul fatto che, se il ragionamento di cui ero stato così certo si fosse dimostrato realmente errato, non avrei potuto credere più a lungo nella forza del mio ragionare. Quindi tornai indietro con le mie ruote dall'artigiano che aveva realizzato i denti, con l'intenzione di arrivare a una qualche spiegazione di tale straordinaria contraddizione. Venne fuori che, quando aveva compreso in pieno la particolare forma dei denti delle ruote, scoprì che la sua macchina per tagliare le ruote non aveva rispettato per gli spazi tra i denti i valori precisi che avevo richiesto. Egli dunque mi aveva chiesto se altre misure, che la sua macchina aveva, non potessero ugualmente corrispondere al mio oggetto e distrattamente avevo risposto in modo affermativo. Egli allora fece delle correzioni in base al preciso numero di denti che avevo richiesto e le nuove ruote realizzarono il compito in maniera perfetta. Il passo successivo fu quello di progettare strumenti per stampare le tavole che avrebbero dovuto essere calcolate da quella macchina. Il mio primo progetto era di farlo ponendo insieme caratteri mobili. Proposi di realizzare scatole metalliche, ciascuna contenente 3000 caratteri per ognuna delle 10 cifre. Questi caratteri erano fatti in modo da poter sporgere uno per uno dal fondo della loro scatola, quando richiesto dalla sezione calcolatrice della macchina.
Ma qui sorse una nuova difficoltà.
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