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| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione 37 Nota biografica 49 Nota bibliografica 75 Nota storica 99 Elenco delle abbreviazioni usate nelle note 101 IL PARTO MASCHIO DEL TEMPO 103 Il parto maschio del tempo ovvero la grande instaurazione del dominio dell'uomo sull'universo 105 Il parto maschio del tempo ovvero tre libri sull'interpretazione della natura Capitolo primo: Modo legittimo di trasmissione, 105 Capitolo secondo, 107 123 SULL'INTERPRETAZIONE DELLA NATURA: Prefazione 129 LA DIGNITΐ E IL PROGRESSO DEL SAPERE DIVINO ED UMANO Libro primo: Al Sovrano, 131 Libro secondo: Al Sovrano, 194 363 PENSIERI E CONCLUSIONI SULLA INTERPRETAZIONE DELLA NATURA O SULLA SCIENZA OPERATIVA 401 LA CONFUTAZIONE DELLE FILOSOFIE 439 DALLA SAPIENZA DEGLI ANTICHI 441 All'illustrissimo Conte di Salisbury, gran tesoriere d'Inghilterra e cancelliere dell'Università di Cambridge 443 All'Università di Cambridge, nobile e inclita madre Prefazione, 445 1. Cassandra o la franchezza del parlare, 449 2. Tifone o il ribelle, 450 3. I ciclopi o i ministri del terrore, 452 4. Narciso o l'amore di sé, 453 5. Stige o i trattati, 454 6. Pan o la natura, 455 7. Perseo o la guerra, 462 8. Endimione o il favorito, 465 9. La sorella dei giganti o la Fama, 466 10. Attenne e Penteo o la curiosità, 467 11. Orfeo o la filosofia, 468 12. Il Cielo o le origini, 470 13. Proteo o la materia, 472 14. Memnone o il prematuro, 474 15. Titone o la sazietà, 475 16. Il pretendente di Giunone o la disonestà, 476 17. Cupido o l'atomo, 476 18. Diomede o lo zelo, 480 19. Dedalo o la meccanica, 482 20. Erittonio o l'impostura, 484 21. Deucalione o la restaurazione, 484 22. Nemesi o la vicenda delle cose, 485 23. Acheloo o la battaglia, 487 24. Dionisio o il desiderio, 488 25. Atalanta o il guadagno, 491 26. Prometeo o lo stato dell'umanità, 492 27. Il volo di Icaro ed anche Scilla e Cariddi o la via di mezzo, 501 28. Sfinge o la scienza, 502 29. Proserpina o lo spirito, 505 30. Metide o il consiglio, 508 31. Le sirene o il piacere, 509 513 LA GRANDE INSTAURAZIONE 515 Francesco di Verulamio così pensò e nella sua riflessione costruì un metodo tale che ritenne di renderlo noto, nel loro stesso interesse, ai contemporanei ed ai posteri 519 Al Serenissimo e Potentissimo Principe e Sovrano nostro Giacomo, per grazia di Dio, Re di Gran Bretagna, Francia e Irlanda; difensore della fede, ecc. Prefazione, 521 Divisione dell'opera, 531 545 Parte seconda dell'opera detta nuovo organo ossia veri indizi intorno all'interpretazione della natura Prefazione, 545 551 Aforismi sull'interpretazione della natura e sul regno dell'uomo Libro primo, 551 639 Aforismi sull'interpretazione della natura o sul regno dell'uomo Libro secondo, 639 797 PREPARAZIONE ALLA STORIA NATURALE E SPERIMENTALE 799 Descrizione di una storia naturale e sperimentale, tale da poter servire di base e di fondamento alla vera filosofia 802 Aforismi sulla composizione della storia prima 815 Catalogo delle storie particolari per titoli 821 LA NUOVA ATLANTIDE 867 LE GRANDI OPERE DELLA NATURA 869 Le grandi opere della natura soprattutto in rapporto agli usi umani 873 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 7Il n'y a que les chefs de sette dont les ouvrages puissent avoir un certain éclat. Bacon n'a pas été du nombre: la forme de sa philosophie s'y opposoit. D'Alembert Alla comprensione del significato storico e della portata teorica della filosofia di Bacone, gli elogi appassionati di Diderot, di Deleyre, di Voltaire hanno certo nuociuto quanto le invettive di De Maistre e di Liebig, nate nel clima della reazione antirivoluzionaria e dello spiritualismo romantico. Sul terreno dello scontro fra quegli «elogi» e quelle «invettive» o «confutazioni» ha tratto origine e si è poi alimentato uno pseudo-problema per il quale è sembrato a molti che il compito degli storici e degli interpreti fosse quello di determinare se Bacone sia stato oppure non sia stato il fondatore della filosofia e della scienza moderne. Da questo falso problema, del tutto privo di senso e più adatto alle ricerche di araldica che a quelle di storia delle idee, la storiografia dei manuali non sembra, a distanza di due secoli, essersi ancora liberata. Si tratta invece di una operazione preliminare da compiere, seguendo le tecniche consigliate da Bacone per ripulire la mente dagli idola theatri: con la stessa energia con la quale è necessario liberarsi preliminarmente da tutta quella vasta e tuttora fiorente letteratura, cara alle anziane signorine inglesi, che è andata attribuendo a Bacone le opere di Shakespeare, i versi di Spenser o la Versione autorizzata della Bibbia. In un saggio esemplare per chiarezza e lucidità Marie Hesse ha notato che criticare Bacone perché non era Galilei o Newton è stato uno dei passatempi favoriti del secolo decimonono. A questo passatempo non pochi sembrano ancora dilettarsi ed è caratteristico che in non poche storie del pensiero filosofico e scientifico si senta ancora il bisogno di polemizzare direttamente con l'immagine settecentesca di un Bacone «nato dal seno della notte più oscura», assertore e propugnatore del vero metodo della scienza. In stanca polemica con giudizi espressi nell'età della Rivoluzione francese si continua così a riformulare, sulle tracce del Lasson e del Liebig, il noto elenco delle insufficienze della filosofia di Bacone: l'incomprensione per Copernico e per Galileo, il mancato riconoscimento del valore della matematica, l'utilitarismo, la indiscriminata esaltazione della tecnica e dell'efficienza, la natura «ancora aristotelica» del suo concetto di forma. Che il processo attraverso il quale si è realizzata la cosiddetta «rivoluzione scientifica» sia assai meno unilineare e cumulativo di quanto non ritenessero i teorici del positivismo e i loro continuatori idealisti e neopositivisti è risultato chiaro a tutti i maggiori storici della scienza del nostro secolo i quali, da punti di vista diversi, hanno concordemente e fortemente insistito sull'assurdità di far riferimento, nell'analisi dei problemi e delle discussioni del passato, solo a quella parte dei problemi o delle discussioni che può, in modo facile e ovvio, essere considerata un «contributo» all'affermazione delle verità contenute nei manuali di fisica o di biologia oggi in uso nelle università. Assumendo su di sé il compito di cercar di determinare il modo in cui si sono fatti strada nel mondo idee, categorie, concetti, modi di considerare ed esperire il mondo, una larga parte della storiografia più recente, che ha preso in considerazione l'opera di Bacone, ha tentato di illuminare la particolare situazione nella quale egli si trovò ad operare, le ragioni che sono alla base delle sue polemiche e dei suoi rifiuti, delle sue scelte culturali, delle sue tesi di carattere più specificamente teorico. La situazione degli studi relativi a Bacone ha subito in questi ultimi decenni cambiamenti abbastanza radicali. Per rendersene conto, basta confrontare i problemi attualmente più dibattuti e le questioni tuttora aperte con i termini in cui, intorno al 1920, venivano impostati e risolti i problemi nella trattazione precisa e analitica di Gaston Sortais o nell'ampia e informata monografia di Adolfo Levi. Alle trattazioni tendenti a mettere in luce le linee del sistema filosofico, si è andata sostituendo una considerazione assai più aperta e articolata. Non è certo un caso che l'unica ampia trattazione unitaria della filosofia di Bacone uscita nel dopoguerra ad opera di Fulton Anderson, abbia completamente rinunciato alla classificazione sistematica proposta dallo Spedding nella sua edizione delle Works e fondata sul piano di lavoro tracciato da Bacone nella Distributio operis del 1620. Pur volendo procedere a un'esposizione critica di tutta la filosofia del Lord Cancelliere, Anderson si è reso conto che Bacone tracciò solo al termine della sua vita le linee, d'altronde estremamente provvisorie, del suo «sistema», e lavorò invece per tutto il corso della sua esistenza a quattro grandi progetti: la polemica antiplatonica e antiaristotelica e la difesa del materialismo; la formulazione di una nuova tecnica di approccio al mondo naturale; la fondazione di una storia della natura e delle arti; la confutazione delle filosofie tradizionali da Socrate a Telesio. Questi progetti vennero portati avanti contemporaneamente e si intrecciarono variamente l'uno con l'altro articolandosi in forme diverse secondo una tecnica compositiva estremamente attenta alle reazioni dell'ambiente e alle risonanze «politiche» di determinate dottrine e prese di posizione. Quest'ultimo punto, che è di primaria importanza, è stato in realtà scarsamente approfondito dall'Anderson. Il suo libro, che mantiene un carattere lucidamente espositivo, si muove quasi sempre al livello di un discorso interno alla filosofia di Bacone. Alle fonti e all'ambiente di cultura si sono invece rivolti quanti si sono resi conto che l'ideale baconiano della scienza che contribuì in modo decisivo al formarsi della idea moderna di scienza era nato su un terreno ambiguo e difficile: di accettazione e di rifiuto delle filosofie naturalistiche e della tradizione e delle tecniche proprie della magia e dell'alchimia. Coloro che come Benjamin Farrington (nel suo primo libro del I949) hanno completamente trascurato quella tradizione, hanno diffuso l'immagine di un Bacone «filosofo della tecnica» o della industrial science. Portando al limite estremo questa posizione, J. G. Crowther, in un libro intitolato Francis Bacon, the first statesman of science, ha pesantemente calcato la mano sulla modernità dì Bacone «precursore» della politica socialista della pianificazione. Per intendere la posizione di Bacone verso la magia e l'alchimia, i motivi della sua adesione e del suo rifiuto, gioverà in primo luogo tener saldamente presenti i risultati ai quali è pervenuta la storia delle idee nel Rinascimento per opera di Walter Pagel, di Eugenio Garin, di Frances A. Yates, di D. P. Walker e rinunciare a ogni atteggiamento di volontaria incomprensione di fronte a manifestazioni di cultura che, nella prima metà del Seicento, non apparivano certo come relitti di tenebrose superstizioni antiche e medievali, ma si presentavano come un antico patrimonio di idee al quale attinsero non solo Campanella e Robert Fludd, ma pensatori e scienziati come Keplero e Gilbert, Mersenne e Gassendi. Da testi di magia e di alchimia Bacone ricava una serie di tesi che appaiono particolarmente evidenti (perché applicate a una serie di casi particolari) nelle pagine confuse e caotiche della Sylva Sylvarurn, ma che circolano largamente in tutti i suoi scritti dì filosofia naturale: tutti i corpi sono dotati di percezione e il contatto fra essi genera una sorta di «elezione»; esiste fra tutti gli esseri un legame di carattere universale che si manifesta sotto forma di attrazione o repulsione; uno spiritus sine corpus pneumaticum è presente nei corpi e da esso traggono origine i processi di corruzione e di dissoluzione. Anche il linguaggio inpiegato da Bacone risente fortemente di questa tradizione, come rivelano alcuni termini che egli impiega nelle varie Storie naturali, nel Novum Organum, nella Sylva Sylvarum: assimilazione, nutrimento, generazione, irritazione ecc. Anche l'affermazione, così lapidariamente espressa da Bacone nel primo aforisma del secondo libro del Novum Organum, secondo la quale l'opera e il fine della potenza umana consistono nel superinducere sopra un corpo dato una natura nuova, appare legata a una dottrina largamente circolante nella letteratura alchimistica. Secondo tale dottrina le trasformazioni di una sostanza in un'altra non sono che una forma più penetrante di tintura e le qualità dei corpi si configurano come nature artificìalmente separabili dalla sostanza alla quale naturalmente ineriscono e che si possono pertanto, con l'aiuto dell'arte, aggiungere, togliere e trasferire. | << | < | > | >> |Pagina 26Sulla formulazione e sull'impianto del metodo baconiano esercitarono senza dubbio un'influenza profonda (come altrove ho tentato di mettere in luce) modelli e concetti derivati dalla tradizione del ramismo e della retorica. Le tre regole alle quali si richiama Bacone nel Valerius Terminus sono assai vicine alle tre regole della verità, della giustizia, della prudenza teorizzate da Pietro Ramo e dai ramisti; la sua dottrina della ministratio ad memoriam risulta da un'applicazione, sul terreno della scienza e delle «opere», delle stesse regole che guidavano l'invenzione degli argomenti e che costituivano, per i teorici rinascimentali delle arti della memoria, le tecniche del ricordare e disporre gli argomenti; la compilazione delle tabulae presentate anche nel Novum Organum come parte integrante degli aiuti alla memoria con il compito di introdurre ordine nella caotica molteplicità dei fatti è connessa alle tecniche di «invenzione dei luoghi naturali» (topica) che attirano per molti anni l'interesse di Bacone. Il rapporto che è possibile individuare fra i «luoghi naturali» di cui parla Bacone e i topoi o «luoghi» della retorica è particolarmente significativo: entrambi servono a delimitare un campo di ricerca (o di discorso) specifico e limitato, entrambi prendono le mosse da una promptuaria o raccolta estremamente ampia.Entro la logica del sapere scientifico Bacone introduceva in tal modo concetti e modelli derivanti dalla tradizione retorica; la sua interpretatio naturae faceva uso, pur piegandola a nuove esigenze, di quelle tecniche per il rafforzamento della memoria che retori e filosofi e lullisti del Cinquecento avevano diffuso entro tutta la cultura europea. Ma anche qui, come nel caso della utilizzazione della tradizione del lullismo da parte di Leibniz, il peso esercitato dalla tradizione non toglie che Bacone, nella sua teorizzazione del metodo di indagine sulla natura, abbia toccato problemi essenziali. Come ha scritto Kotarbinski che ha sottolineato il rapporto stabilito nel secolo XIX dall'astronomo John Herschel fra la teoria baconiana dell'induzione e quella di Mill Bacone ha descritto aspetti essenziali dei procedimenti induttivi: comparazione dei fatti; eliminazione delle ipotesi non fondate sui fatti; eliminazione delle ipotesi che, per quanto fondate sui fatti, si scontrano con fatti contraddittori, ecc. Conviene tornare ora a qualche breve considerazione sul concetto di forma. Come ha visto assai bene Marie Boas Hall, la scoperta baconiana delle forme tendeva allo studio delle proprietà fisiche della materia, alla riduzione delle proprietà dei corpi a risultato di movimenti delle particelle costitutive dei corpi stessi. Una ricerca «razionale e sperimentale» sulle proprietà dei corpi si presentava per Bacone essenziale allo sviluppo della filosofia naturale. «In questo scrive la Boas Bacone fu un precursore: perché la filosofia meccanica, la derivazione delle proprietà fisiche dalla mera struttura e dal moto della materia dalla grandezza, forma e movimento delle particelle invisibili che compongono i corpi visibili doveva diventare uno dei grandi principi organizzativi della scienza del Seicento. E Bacone fu uno dei primi ad adottare e a proclamare la tesi che uno dei fondamentali problemi della filosofia naturale era di trovare un metodo per spiegare le "proprietà occulte" in termini razionali». Θ difficile non concordare con questo giudizio e con le conclusioni cui perviene Marie B. Hesse nel suo saggio sulla filosofia della scienza di Bacone: era certo un'esigenza presente nei primi stadi di sviluppo della fisica che le spiegazioni teoriche fossero date in termini di modelli inizialmente modelli meccanici e questo implica la identificazione delle proprietà dei fenomeni (per esempio il calore, la luce, il suono) con una serie limitata di proprietà meccaniche più generali. Le tavole di Bacone provvedevano una sistematica esposizione delle analogie che suggerivano la identificazione del calore con un moto meccanico, mentre i Consents and dissents of visibles and audibles suggerivano il confronto dei moti di trasmissione della luce e del suono. Il contributo di Bacone non è da vedere nella pretesa infallibilità del metodo, ma nelle ipotesi suggerite dalle analogie esibite dalle tavole: la spiegazione di fenomeni «secondari» in termini di modelli meccanici. Anche le pagine sul metodo baconiano contenute nel Franklin and Newton di Bernard Cohen danno la misura di quanto sia andata mutando, presso la più aggiornata e seria storia della scienza, la tradizionale immagine di un Bacone che esercita scarso o nessun peso sulla rivoluzione scientifica. Ricercando un metodo di spiegazione per le proprietà osservabili dei corpi scrive Cohen Bacone identifica la cosiddetta «scoperta delle forme» (che è insieme la premessa e il risultato del metodo induttivo) con una spiegazione in termini di movimento. Il calore è un tipo di movimento e la forma è ricondotta alla sua spiegazione meccanica. Né va dimenticato che Bacone afferma esplicitamente che è possibile dar conto, in termini di materia e di movimento anche di altre forme e che menziona, a questo proposito, la bianchezza, la putrefazione, il magnetismo, la densità, la liquidità e l'animazione. Da questo punto di vista e tenendo conto di questi risultati va anche attentamente riconsiderata, come solo in parte è stato fatto, la posizione assunta da Bacone di fronte a Copernico, a Galilei, a Gilbert. Ed è bene, in primo luogo, sgombrare il terreno dalle posizioni di quanti, aggiornando le tesi di Liebig, hanno «rimproverato» a Bacone di non aver compreso i più basilari progressi della scienza del suo tempo. Perché, nel momento in cui si formula questa accusa, non solo si mostra di possedere poche e confuse idee sullo sviluppo del sapere scientifico nel Seicento, ma si dimentica che adottando il semplicistico criterio del «rifiuto» o della «accettazione» di Copernico, di Gilbert o di Harvey per stabilire la modernità o la arretratezza di un pensatore, bisognerebbe pronunciare elogi e giudizi positivi sulla straordinaria modernità di Robert Recorde, John Dee e Thomas Digges che difendono Copernico facendo appello ai misteri della Cabbala, al sigillo di Ermete e alla magia astrale, o entusiasmarsi per le capacità critiche di Robert Fludd che accetta la scoperta di Harvey come prova della piena corrispondenza del moto circolare nel macrocosmo e nel microcosmo. Parlare di «arretratezza scientifica» di Bacone facendo riferimento ai suoi dubbi e alle sue incertezze sul copernicanesimo, alla sua «posizione agnostica» nella controversia sui tre sistemi del mondo è un non senso. Perché quell'agnosticismo che Bacone manifestò fra il 1610 e il 1623, caratterizzò gli atteggiamenti di Mersenne, di Gassendi, di Roberval, di Pascal fra il 1625 e il 1650. La cronologia può ancora offrire quale elemento di utilità agli autori delle storie globali: il Lord Cancelliere, che si è entusiasmato nel 1612 per le scoperte astronomiche di Galileo, muore nel 1626; la conversione di Mersenne al copernicanesimo è del 1630-34; le Observationes di Roberval («può darsi che tutti e tre i sistemi siano falsi e quello vero ci sia sconosciuto») sono del 1634; la Institutio astronomica di Gassendi (ove si teorizza la equivalenza dei tre sistemi del mondo) è del 1647, dell'anno stesso in cui Pascal, riprendendo la tesi di Mersenne e di Gassendi, scrive a Noel che tutti e tre i sistemi si equivalgono e che mancano osservazioni costanti capaci di provare il moto della terra. Dorothy Stimson e Thomas Kuhn, che hanno studiato i modi e i tempi dell'accettazione della dottrina copernicana nella cultura europea, hanno messo bene in chiaro come, limitatamente agli ambienti astronomici, la dottrina copernicana fosse largamente accettata solo dopo la metà del secolo. Negli ambienti filosofici e letterari la situazione è molto diversa. Per non parlare delle università, anche di quelle maggiori e dei paesi protestanti, dove i tre sistemi vengono insegnati, l'uno accanto all'altro, fino alle ultime decadi del Seicento. Come ha visto bene la Yates, le incertezze e il rifiuto del copernicanesimo si legavano in Bacone alla polemica contro le filosofie animistiche del Rinascimento che andavano associando la teoria eliocentrica alla tradizione magico-ermetica. Non va certo dimenticato che nel 1585 quando Bacone aveva ventiquattro anni Giordano Bruno, in Inghilterra, si era fatto difensore accanito della dottrina copernicana: presentando il copernicanesimo sullo sfondo della magia astrale e dei culti solari, associando la nuova astronomia già così carica di toni e di temi ermetizzanti con la tematica presente nel De vita di Marsilio Ficino. Nel momento in cui invitava gli uomini a sfogliare con venerazione e con umiltà il libro delle creature, a rinunciare a costruire le navi della filosofia da uno scalmo o da una conchiglia, a dar vita a una grande storia della natura e delle arti, Bacone, ormai sessantenne, ricordava (per la prima e l'ultima volta) Giordano Bruno e lo giudicava, accanto a Patrizi, Telesio, Pietro Severino, Gilbert e Campanella, come uno di quei filosofi che si fabbricano ad arbitrio i soggetti dei loro mondi, come se fossero altrettante favole e salgono l'uno dopo l'altro sulla scena. Anche la «incomprensione» di Bacone per Gilbert nasce sul terreno di una presa di posizione contro le tesi «magiche» e ermetizzanti presenti nel De magnete. Gilbert difende sì il moto della terra, ma non è affatto disposto a seguire Copernico nella tesi di una rotazione della terra intorno al sole e scrive pagine volte a sostenere in nome di Ermete, Zoroastro e Orfeo la dottrina dell'animazione universale. «Illustra le ricerche sulle proprietà del magnete in forma perfettamente moderna» ha scritto di Gilbert Charles Singer. Ma quando al Gilbert dei manuali si sostituisca il Gilbert un po' più complicato dei testi e si tenga sott'occhio la De mundo nostro sublunari philosophia nova il cui unico manoscritto fu ritrovato fra le carte di Bacone, allora anche il giudizio del Lord Cancelliere («in base ad accurate esperienze ha costruito un'intera filosofia della natura arbitraria e fantastica») potrà apparire nella sua giusta luce e nella sua precisa funzione. Allo stesso modo ogni discorso sulla sottovalutazione della matematica, che è indubbiamente presente in Bacone, sarà opportuno tenga conto della presenza e dell'importanza nella cultura inglese di figure come quella di John Dee, celebre matemamatico, introduttore di Euclide, e insieme «negromante e avventuriero», autore della Monas hieroglyphica impregnata di numerologia cabalistica. | << | < | > | >> |Pagina 551
Né la nuda mano, né l'intelletto abbandonato a se stesso
hanno potenza. I risultati si raggiungono con strumenti e con
aiuti e di questi ha bisogno non meno l'intelletto che la mano.
Come gli strumenti amplificano e reggono il moto della mano,
così gli strumenti della mente guidano o trattengono l'intelletto.
La scienza e la potenza umana coincidono perché l'ignoranza
della causa fa mancare l'effetto. La natura infatti non si vince
se non obbedendo ad essa, e ciò che nella teoria ha valore di
causa, nell'operazione ha valore di regola.
Riguardo alle opere l'uomo non ha altro potere che quello di avvicinare o
allontanare i corpi naturali: il resto è opera della natura, che opera
dall'interno.
Sono soliti occuparsi della natura, per quanto concerne le
opere, il meccanico, il matematico, il medico, l'alchimista e il
mago; ma tutti, allo stato attuale delle cose, con lieve impegno
e scarso successo.
Sarebbe pazzesco e in sé contraddittorio credere che ciò
che finora non è mai stato fatto, possa essere fatto senza far
ricorso a metodi non ancora mai tentati.
Nei libri e nelle officine appaiono oltremodo numerosi i
prodotti della mente e della mano. Ma tutta questa varietà è
fondata su una straordinaria sottigliezza e su una serie di conseguenze ricavate
da poche conoscenze già note non è fondata sul numero degli assiomi.
Anche le invenzioni già realizzate si devono al caso e all'empiria più che
alle scienze. Infatti le scienze che oggi abbiamo,
non sono altro che combinazioni di cose già trovate, non metodi
per l'invenzione o indicazioni di opere nuove.
La causa e la radice di quasi tutti i mali nelle scienze è
questa sola : mentre erroneamente ammiriamo ed esaltiamo le
forze della mente umana, non cerchiamo per essa veri aiuti.
La sottigliezza della natura supera di molto la sottigliezza
del senso e dell'intelletto, tanto che tutte quelle belle meditazioni,
speculazioni e controversie umane sono cose senza senso;
solo che non v'è alcuno che se ne renda conto.
Come le scienze, che ora abbiamo, sono del tutto inutili all'invenzione di opere, così anche la logica, com'è attualmente, è inutile all'invenzione delle scienze. | << | < | > | >> |Pagina 559
Quattro sono i generi di idoli che assediano la mente umana. Per farci
intendere abbiamo imposto loro dei nomi: chiameremo il primo genere
idoli della tribù;
il secondo
idoli della spelonca;
il terzo
idoli del foro;
il quarto
idoli del teatro.
Ricavare i concetti e gli assiomi per mezzo dell'
induzione
vera: questo è senza dubbio il rimedio adatto per scacciare e
rimuovere gli idoli. Anche l'indicazione degli idoli è tuttavia di
grande utilità. Infatti la dottrina degli idoli sta alla
interpretazione della natura
come la dottrina degli elenchi sofistici sta alla comune dialettica.
Gli
idoli della tribù
sono fondati sulla stessa natura umana e
sulla stessa tribù o razza umana. Pertanto si asserisce falsamente
che il senso è la misura delle cose. Al contrario, tutte le percezioni, sia del
senso sia della mente, derivano dall'analogia con
l'uomo, non dall'analogia con l'universo. L'intelletto umano è
simile a uno specchio che riflette irregolarmente i raggi delle
cose, che mescola la sua propria natura a quella delle cose e
le deforma e le travisa.
Gli
idoli della spelonca
sono idoli dell'uomo in quanto individuo. Ciascuno infatti (oltre alle
aberrazioni proprie della natura umana in generale) ha una specie di propria
caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura: o a causa
della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell'educazione e della
conversazione con gli altri, o della lettura di libri
e dell'autorità di coloro che vengono onorati e ammirati, o a
causa della diversità delle impressioni a seconda che siano accolte
da un animo già condizionato e prevenuto oppure sgombro ed
equilibrato. Cosicché lo spirito umano (come si presenta nei
singoli individui) è cosa varia e grandemente mutevole e quasi
soggetta al caso. Perciò giustamente affermò Eraclito che gli
uomini cercano le scienze nei loro piccoli mondi privati e non
nel più grande mondo a tutti comune.
Vi sono poi gli idoli che derivano quasi da un contratto e
dalle reciproche relazioni del genere umano : li chiamiamo
idoli del foro
a causa del commercio e del consorzio degli
uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei discorsi,
ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo
e tale errata e inopportuna imposizione ingombra straordinariamente
l'intelletto. D'altra parte le definizioni o le spiegazioni,
delle quali gli uomini dotti si sono provveduti e con le quali
si sono protetti in certi casi, non sono in alcun modo servite di
rimedio. Anzi, le parole fanno violenza all'intelletto e confondono ogni cosa e
trascinano gli uomini a innumerevoli e vane controversie e finzioni.
Vi sono infine gli idoli che sono penetrati nell'animo degli uomini dai vari
sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo
idoli del teatro
perché consideriamo tutte le filosofie che sono state accolte e create come
altrettante favole presentate sulla scena e recitate, che hanno prodotto mondi
fittizi da palcoscenico. Non parliamo soltanto dei sistemi filosofici attuali o
delle antiche filosofie e delle antiche sètte, perché
è sempre possibile comporre e combinare molte altre favole
dello stesso tipo: le cause di errori diversissimi possono essere
infatti quasi comuni. Né abbiamo queste opinioni solo intorno ai
sistemi filosofici, ma anche intorno a molti principi e assiomi
delle scienze che sono invalsi per tradizione, credulità e trascuratezza. Ma di
ognuna di queste specie di idoli bisognerà parlare più diffusamente e
partitamente per mettere in guardia l'intelletto umano.
L'intelletto umano, per sua peculiare natura, suppone facilmente nelle cose un ordine e una regolarità maggiori di quelli che vi riscontra e, benché molti siano in natura i fatti singolari e dissimili l'uno dall'altro, costruisce non dimeno parallelismi, corrispondenze e relazioni che non esistono. Di qui deriva quella falsa opinione secondo la quale tutti i corpi celesti si muovono secondo circoli perfetti, dopo che sono state interamente rifiutate (ma soltanto a parole) le linee a spirali e serpentine. Di qui anche la introduzione dell'elemento fuoco, con la sua sfera, per formare una quaterna con gli altri tre elementi che cadono sotto i sensi. A questi elementi (come li chiamano) viene inoltre arbitrariamente attribuita una proporzione di uno a dieci nel loro processo di condensazione e altre frottole di questo tipo. Queste fantasticherie sono dunque presenti non soltanto nei sistemi, ma anche nelle nozioni elementari. | << | < | > | >> |Pagina 8152. Storia della configurazione del cielo e delle sue parti rispetto alla terra e alle parti di essa, o storia cosmografica. 3. Storia delle comete. 4. Storia delle meteore infuocate. 5. Storia delle folgori, dei fulmini, dei tuoni e dei lampi. 6. Storia dei venti, dei soffi repentini e delle ondulazioni dell'aria. 7. Storia degli arcobaleni. 8. Storia delle nubi, come si vedono in alto. 9. Storia degli spazi celesti, del crepuscolo, dell'apparire di più soli, di più lune, degli aloni, dei vari colori del sole e della luna, e di ogni varietà nell'aspetto dei corpi celesti provocata dal mezzo. 10. Storia delle piogge normali, tempestose, prodigiose, delle cosiddette cateratte e simili. 11. Storia della grandine, della neve, del gelo, della brina, della nebbia, della rugiada e simili. 12. Storia di tutte le altre cose che cadono o discendono dall'alto e che in alto si producono. 13. Storia dei suoni delle regioni più alte, se pure ne esistono, fatta eccezione per i tuoni. 14. Storia dell'atmosfera, come un intero o secondo la configurazione del mondo. 15. Storia delle stagioni o temperature dell'anno, tanto secondo le variazioni dei territori, quanto secondo gli accidenti del tempo e i periodi dell'anno; dei diluvi, dei calori, delle siccità e simili. 16. Storia della terra e del mare, della loro figura e disposizione, della loro configurazione reciproca, del loro estendersi e restringersi, delle isole di terra nel mare, dei golfi, dei laghi salati nella terra, degli istmi, dei promontori. 17. Storia dei moti (se ve ne sono) del globo terraqueo, e degli esperimenti mediante i quali tali moti possono essere determinati. 18. Storia dei movimenti maggiori e delle perturbazioni della terra e del mare; cioè dei terremoti, dei sommovimenti, dei crepacci, delle isole di nuova formazione, delle isole fluttuanti, del rompersi della terra per l'ingresso del mare, delle invasioni e inondazioni e, al contrario, del ritirarsi del mare, delle eruzioni di fuoco dalla terra, delle improvvise eruzioni d'acqua dalla terra, e simili. 19. Storia naturale geografica, dei monti, delle valli, delle selve, delle pianure, delle spiagge, delle paludi, dei laghi, dei fiumi, dei torrenti, delle fonti, e di ogni differenza della loro sorgente, e simili; trascurando gli abitanti, le province, le città e le altre cose di tal genere inerenti alla vita civile. 20. Storia dei flussi e riflussi dei mari, delle correnti, del moto ondoso e degli altri moti del mare.
21. Storia degli altri accidenti del mare, della sua salsedine, dei suoi
diversi colori, della sua profondità, e delle rupi, dei monti e delle
valli sottomarini e simili.
22. Storia della fiamma e dei corpi infuocati. 23. Storia dell'aria, in quanto sostanza, non secondo la configurazione del mondo. 24. Storia dell'acqua in quanto sostanza, non secondo la configurazione del mondo.
25. Storia della terra e delle sue diversità, in quanto sostanza, non
secondo la configurazione del mondo.
26. Storia dei metalli perfetti, dell'oro, dell'argento; e delle miniere, delle vene e delle loro marcassiti; e anche storia del lavoro nelle miniere. 27. Storia del mercurio. 28. Storia dei fossili; come il vetriolo, lo zolfo, ecc. 29. Storia delle gemme; come il diamante, il rubino, ecc. 30. Storia delle pietre, come il marmo, la pietra di Lidia, la selce, ecc. 31. Storia del magnete. 32. Storia dei corpi miscellanei che non sono interamente fossili né interamente vegetali, come i sali, l'ambra, l'ambra grigia, ecc. 33. Storia chimica dei metalli e dei minerali. 34. Storia delle piante, degli alberi, degli arbusti, delle erbe; e delle loro parti, delle radici, dei gambi, del legno, delle foglie, dei fiori, dei frutti, dei semi, delle lacrime, ecc. 35. Storia chimica dei vegetali. 36. Storia dei pesci, e delle loro parti e della loro generazione. 37. Storia degli uccelli, e delle loro parti e della loro generazione. 38. Storia dei quadrupedi, e delle loro parti e della loro generazione. 39. Storia dei serpenti, dei vermi, delle mosche e degli altri insetti; e delle loro parti e della loro generazione.
40. Storia chimica di ciò che viene usato dagli animali.
41. Storia della figura e delle membra esterne dell'uomo, della sua statura, della struttura, del volto, dei lineamenti; e delle loro varietà, secondo le razze e i climi o altre minori differenze. 42. Storia fisiognomica degli stessi argomenti. 43. Storia anatomica o delle membra interne dell'uomo; e delle loro varietà così come si riscontra nella stessa struttura e disposizione naturale, e non solo in quanto si riferisce alle malattie e agli accidenti non naturali. 44. Storia delle parti similari dell'uomo; come la carne, le ossa, le membrane, ecc. 45. Storia degli umori nell'uomo; del sangue, della bile, dello sperma, ecc. 46. Storia degli escrementi, dello sputo, delle urine, dei sudori, dei sedimenti, dei capelli, dei peli, dei paterecci, delle unghie, e simili. 47. Storia delle facoltà; dell'attrazione, della digestione, della ritenzione, della espulsione, della produzione del sangue, dell'assimilazione degli alimenti nelle membra, della conversione del sangue e del fiore del sangue in spirito, ecc. [...] | << | < | > | >> |Pagina 821Eravamo salpati dal Perù, dove s'era rimasti per un anno intero, ed eravamo diretti verso la Cina e il Giappone attraverso il Mare del Sud. Avevamo a bordo approvvigionamenti sufficienti per dodici mesi e, per cinque mesi e più, fummo spinti da venti favorevoli che alitavano, leggeri e bassi, da Levante. Ma il vento improvvisamente cambiò spirando per molti giorni ostinatamente da occidente, tanto che, costretti ad avanzare lentamente, già pensavamo di tornare indietro, quando di nuovo si levarono fortissimi venti australi leggermente inclinati verso oriente; e noi, pur cercando di resistere nei limiti delle nostre possibilità, fummo tuttavia spinti verso settentrione. Nel frattempo le nostre provviste per quanto distribuite con la massima parsimonia, erano quasi terminate e noi pensandoci sperduti e senza cibo in mezzo all'oceano sconfinato credevamo di essere ormai perduti e attendevamo la morte. Levammo allora i nostri cuori e le nostre voci al Signore nei cieli che mostra i suoi miracoli ai miseri giacenti nell'abisso, pregandolo, per la sua misericordia, di mostrarci una nuova terra che ci salvasse dalla morte, così come fece in principio radunando le acque e separandole dalla terra. Accadde allora che il giorno seguente, all'ora del vespro, scorgemmo a settentrione e a non grande distanza come una massa di nuvole spesse che fecero sorgere in noi la speranza di una terra. Sapevamo infatti che quel tratto di mare australe era quasi sconosciuto e che era possibile incontrarvi isole e continenti ancora inesplorati. Pertanto dirigemmo la nostra rotta, per tutta la notte, là ove presumevamo che si sarebbe mostrata la terra; e il giorno seguente, alle prime luci dell'alba, fu manifesto che ciò che avevamo visto era veramente una terra; terra bassa e selvosa che appariva per questo anche più oscura. Dopo un'ora e mezzo di navigazione raggiungemmo un approdo sicuro: era il porto di una bella città non grande, ma ben costruita e che, vista dal mare, offriva una piacevole veduta. Non vedevamo l'ora di scendere a terra e ci affrettavamo verso la spiaggia preparandoci allo sbarco quando improvvisamente vedemmo molti abitanti che, con dei bastoncelli in mano, ci ammonivano di non mettere piede a terra; il diniego tuttavia non era fatto con clamore o con ira, ma solo avvertendoci con dei gesti. Non poco sconfortati, ci eravamo riuniti per consultarci sul da farsi, quando vedemmo dirigersi verso di noi un piccolo battello con circa otto uomini a bordo. Uno d'essi aveva in mano uno scettro di canna gialla le cui estremità erano dipinte di azzurro e fu appunto costui che salì sulla nostra nave dimostrando grande disinvoltura. Quando vide uno dei nostri che gli si faceva incontro gli porse un piccolo rotolo di pergamena che si tolse dal petto (pergamena più candida della nostra, lucida come i fogli di un codice, sebbene alquanto più morbida e flessibile). In essa erano scritte queste parole in antico ebraico, in greco classico, in buon latino scolastico e in spagnolo: «A ciascuno di voi è fatta proibizione di scendere a terra. Dovrete provvedere a partire da queste spiagge entro sedici giorni a meno che non vi sia concesso di trattenervi più a lungo. Nel frattempo, se avete bisogno di acqua dolce o di vettovaglie, o di medicine o di aiuto per i vostri ammalati o se la vostra nave ha necessità di riparazioni, mettete per scritto i vostri desideri e avrete ciò che può darvi la nostra misericordia». La pergamena era firmata con un sigillo a forma di ali di angelo cherubino, ali non distese nel volo, ma pendenti all'ingiù e accanto ad esse era un segno di croce. Dopo aver consegnata la pergamena il dignitario se ne partì lasciando presso di noi una persona del suo seguito che potesse riferirgli la nostra risposta. Consultandoci fra noi sull'accaduto eravamo pieni d'ansia e di perplessità. La proibizione di sbarcare e l'invito ad affrettare la partenza ci contrariavano alquanto. D'altra parte ci dava non poco conforto il fatto che quel popolo conoscesse le lingue straniere e fosse così ricco di umanità e gentilezza. E in primo luogo quel segno di croce nel sigillo della pergamena ci rallegrava profondamente come certo indizio di buon augurio. Rispondemmo in spagnolo che il nostro legno non aveva subito avarie perché avevamo incontrato piuttosto bonacce e venti contrari che tempeste, che i nostri malati erano molti e abbastanza gravi e che c'era da temere per la loro vita se non ci fosse stato accordato di scendere a terra. Indicammo, enumerandoli uno ad uno, gli oggetti di cui avevamo bisogno aggiungendo che avevamo con noi qualche mercanzia, in modo che avremmo potuto ricompensarli di quanto avrebbero fatto, senza esser loro di peso. Offrimmo anche alla famiglia del dignitario qualche ducato e una pezza di seta cremisi perché egli la consegnasse a nome nostro al suo superiore. Ma egli rifiutò il denaro e la stoffa, degnandoli appena di uno sguardo. Infine, disceso in una piccola barca, che era stata mandata per lui, abbandonò la nostra nave. Circa tre ore dopo che avevamo spedito la risposta, vedemmo venire verso di noi un uomo che, dall'aspetto, sembrava rivestisse un'alta carica. Era vestito di una toga dalle ampie maniche, tessuta di pelo di cammello e di un magnifico colore azzurro molto più brillante di quello che usiamo noi. L'abito che portava sotto era verde, e verde era anche il suo copricapo, a foggia di turbante molto elegante, ma non così enorme come quello che usano i Turchi: dall'orlo del turbante uscivano i riccioli dei suoi capelli. L'uomo aveva un aspetto assai venerando. Il battello che lo portava, in parte dorato, aveva a bordo solo altri quattro uomini, ma era seguito da un'altra barca con una ventina d'uomini di equipaggio. Prima che fosse giunto a distanza di un tiro di freccia fummo avvertiti con segnali di mandargli incontro qualcuno dei nostri; e noi in fretta obbedimmo mandandogli incontro un battello che portava il nostro secondo, e altri quattro che lo accompagnavano. Giunti a circa sei metri dal battello ci fu ordinato di fermarci e di non avvicinarci di più. Obbedimmo. Allora l'uomo che ho descritto sopra, si alzò in piedi e ci interrogò a gran voce parlando in spagnolo: «Siete cristiani?». Gli rispondemmo che eravamo cristiani e facemmo ciò senza timore ripensando alla croce che avevamo visto sul sigillo. Alla nostra risposta quell'uomo levò la mano destra verso il cielo accostandosela poi lentamente alla bocca (questo è il gesto che essi usano per render grazie al Signore) e disse: «Se ciascuno di voi giurerà per i meriti del Divino Salvatore di non essere un pirata e di non aver sparso sangue umano né per difesa né per violenza negli ultimi quaranta giorni vi sarà concesso il permesso di scendere a terra». Rispondemmo che eravamo tutti pronti a giurare e uno del seguito, che sembrava essere un notaio, mise per scritto il nostro giuramento. Dopo di ciò, un altro dei seguaci del dignitario, che era nella stessa barca di quest'ultimo, disse ad alta voce, dopo che il suo padrone gli ebbe sussurrato qualcosa: «Il mio superiore vuole che sappiate che non già per orgoglio o per disprezzo egli si astiene dal salire sulla vostra nave, ma soltanto perché, risultando dalla vostra risposta che avete a bordo molti ammalati, egli è stato ammonito dal magistrato addetto all'igiene della città di parlarvi a distanza». Inchinandoci verso di lui rispondemmo che eravamo gli umilissimi servi di Sua Signoria e che ascrivevamo a nostro grande onore e alla sua singolare gentilezza verso di noi ciò che fin qui era stato fatto e che speravamo che la malattia dei nostri compagni non fosse contagiosa. L'uomo dal turbante verde si rimise a sedere e, pochi istanti dopo, il notaio salì a bordo tenendo in mano un frutto del suo paese, simile a un arancio ma di colore assai più rossiccio e che emanava un soavissimo odore. Evidentemente egli lo portava con sé come un antidoto contro il contagio. Ci porse il nostro giuramento: «Nel nome di Gesù e dei suoi meriti...» e ci avvertì che il giorno seguente, alle sei del mattino, sarebbe venuto qualcuno per condurci alla Casa dei Forestieri (così egli la chiamò) dove saremmo stati riforniti di tutto ciò che occorreva per i sani e per gli ammalati. Egli ci lasciò così, e quando gli offrimmo alcune monete d'oro, ci disse sorridendo che non avrebbe accettato due stipendi per un solo lavoro. Credo che egli volesse significare che era già pagato dallo stato per le sue mansioni. Infatti, come poi venni a sapere, essi chiamavano «uomo dai due stipendi» un funzionario che accetti ricompense. | << | < | > | >> |Pagina 842«Dovete sapere, amici miei, che fra gli eccellenti atti di governo di questo re, ve n'è uno che ha la preminenza su tutti gli altri: la fondazione e l'istituzione di un Ordine o Società che noi chiamiamo Casa di Salomone. Fondazione che noi riteniamo la più nobile che sia mai esistita sulla terra, guida e luce di questo regno.«La Casa di Salomone è dedicata allo studio delle opere e delle creature di Dio. Alcuni pensano che essa abbia derivato il suo nome da quello del fondatore, un poco corrotto poiché dovrebbe chiamarsi Casa di Solamone; ma nei nostri documenti il nome è scritto così come ora lo pronunciamo. Io penso che il nome sia derivato da quello del re ebreo che a voi è ben noto e che non è ignoto neppure a noi. Possediamo infatti alcune parti delle sue opere che presso di voi sono perdute: e precisamente quella storia naturale che egli scrisse intorno a tutte le piante, dal cedro del Libano al muschio che cresce sulle pareti e intorno a tutte le cose che hanno vita e movimento. «Questo mi fa pensare che il nostro re, accorgendosi di essere in molte cose congeniale con quel re degli Ebrei che era vissuto molti anni prima di lui, volesse onorarlo con il nome della nostra fondazione. E tanto più sono indotto a confermarmi in questa opinione in quanto trovo in antichi documenti che quest'Ordine o Società è chiamata qualche volta Casa di Salomone e qualche volta Collegio delle Opere dei Sei Giorni. Per questo mi sono persuaso che il nostro eccellente re aveva appreso dagli Ebrei che Dio ha creato il mondo e tutte le cose che sono in esso nello spazio di sei giorni e, quando egli istituì quella Casa per la ricerca e la scoperta della vera natura di tutte le cose, le dette anche quel secondo nome a maggior gloria di Dio creatore di tutte le cose e perché gli uomini traessero maggior frutto nell'uso delle cose stesse. «Ma ora torniamo al nostro argomento : quando il re Solamone ebbe proibito a tutti i suoi sudditi la navigazione in tutte quelle regioni che non erano sottoposte al nostro dominio, emanò un'ordinanza secondo la quale ogni dodici anni, dovevano partire dal nostro regno due navi equipaggiate per viaggi diversi. In entrambe le navi sarebbero stati presenti tre Soci o Fratelli della Casa di Salomone che avevano soltanto l'incarico di informarci sulle condizioni e sullo stato dei paesi a cui erano stati designati, e specialmente di darci notizie relative alle scienze, alle arti, alle industrie, e alle invenzioni di tutto il mondo. Essi dovevano inoltre procurarci libri, strumenti e campioni di ogni specie. Le navi, dopo aver sbarcato i Fratelli, dovevano ritornare mentre i Fratelli sarebbero rimasti all'estero fino a una nuova missione. «Le navi, secondo le disposizioni del re, dovevano essere cariche solo di molti rifornimenti di cibo e di una grande quantità di denaro. Quest'ultimo era messo a disposizione dei Fratelli per gli acquisti necessari e per ricompensare le persone di cui avessero avuto bisogno. «Non posso rivelarvi in qual modo si evitasse che i semplici marinai venissero riconosciuti nelle terre nelle quali arrivavano, e nemmeno posso dirvi come, una volta sbarcati, essi riuscissero a nascondersi facendosi passare per cittadini di una nazione diversa dalla loro. Né molto aggiungerebbe al vostro desiderio di sapere il conoscere le mete di questi nostri viaggi, i posti di appuntamento stabiliti per le missioni successive e gli altri accorgimenti di carattere pratico. Come vedete, noi abbiamo istituito questo commercio non per procacciarci oro, argento, pietre preziose, sete, spezie, o ricchezze di qualunque altra natura, ma solo in vista della prima fra le creature di Dio, che fu la Luce: per avere luce (intendo dire) sulla crescita di tutte le parti della terra». | << | < | > | >> |Pagina 855«Dio ti benedica, figlio mio. Io ti darò la gemma più preziosa che possiedo: ti svelerò infatti, per amore di Dio e degli uomini, la vera organizzazione della Casa di Salomone. E per fartela conoscere, figlio mio, seguirò quest'ordine: in primo luogo ti rivelerò il fine della nostra istituzione; in secondo luogo i mezzi e gli strumenti che possediamo per i nostri lavori; in terzo luogo i diversi impieghi e funzioni assegnati a ciascuno dei nostri fratelli; in quarto luogo infine le norme e i riti che osserviamo.«Fine della nostra istituzione è la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo. «I mezzi e gli strumenti sono i seguenti: abbiamo ampie caverne più o meno profonde, le più profonde delle quali si addentrano nella terra fino a seicento cubiti. Alcune di esse sono state scavate sotto alte colline o montagne, cosicché, se si somma l'altezza della collina e la profondità della caverna, si arriva (in alcuni casi) a circa tre miglia di profondità. Abbiamo scoperto infatti che la profondità di una collina e la profondità di una caverna dalla superficie si equivalgono giacché entrambe sono egualmente remote dal sole, dai raggi celesti e dall'aria aperta. Chiamiamo queste caverne "regioni inferiori" e ce ne serviamo per esperienze di coagulazione, indurimento, refrigerazione e conservazione dei corpi. Ne usiamo anche, a imitazione delle miniere naturali, per la produzione di nuovi metalli artificiali mediante la combinazione di vari materiali ivi giacenti da moltissimi anni. Ma ti stupirà molto sapere che usiamo talvolta queste caverne anche per la cura di certe malattie e per esperienze sul prolungamento della vita che facciamo su alcuni eremiti che hanno scelto di vivere laggiù. Essi, ben provvisti di tutto il necessario, vivono infatti molto a lungo e da loro noi apprendiamo anche molte cose. «Abbiamo anche fosse scavate in terre di diversa natura dove poniamo diverse specie di cementi come fanno i cinesi con le loro porcellane. E come i cinesi anche noi abbiamo porcellane, ma in maggior varietà e alcune molto più pregiate. Siamo provvisti anche di ogni sorta di concimi e di limo per rendere ferace la terra. «Possediamo inoltre alte torri, la più alta delle quali misura un mezzo miglio. Alcune di esse sorgono su alte montagne cosicché, sommando l'altezza della torre con quella della montagna, si raggiunge, nella torre più alta, l'altezza di tre miglia. Chiamiamo questi posti "regioni superiori", considerando l'aria compresa fra le regioni alte e le basse come "regione intermedia". Ci serviamo di queste torri, in relazione alle loro diverse altezze e posizioni, per esperimenti di insolazione, di refrigerazione e di conservazione e per l'osservazione dei fenomeni atmosferici come i venti, le piogge, la neve, la grandine e i meteoriti ignei. Anche su qualcuna di queste torri vivono degli eremiti che visitiamo ogni tanto istruendoli sulle osservazioni che debbono compiere. «Disponiamo anche di grandi laghi d'acqua dolce e di acqua salata per l'allevamento di pesci e di uccelli acquatici. Ce ne serviamo anche per la macerazione di alcuni corpi naturali: e troviamo una grande differenza nei processi delle sostanze seppellite sotto terra o esposte all'aria o immerse nell'acqua. Abbiamo anche stagni in alcuni dei quali purifichiamo l'acqua dal sale, e altri nei quali artificialmente trasformiamo l'acqua dolce in salata. Abbiamo scogli in mezzo al mare e argini costruiti sulle spiagge per alcuni esperimenti nei quali si richiedono l'aria e il vapore del mare. Possediamo inoltre impetuose cascate e cateratte di cui ci serviamo per produrre vari moti e similmente macchine per moltiplicare e accrescere la forza dei venti. «Siamo provvisti anche di un buon numero di pozzi e sorgenti artificiali fatte a imitazione delle sorgenti naturali e di vasche contenenti vetriolo, zolfo, acciaio, rame, piombo, salnitro e altri minerali. Abbiamo inoltre piccoli pozzi, per l'infusione di molte sostanze, nei quali l'acqua sprigiona la sua virtù più rapidamente e meglio che nei vasi e nelle bacinelle. Fra le altre abbiamo un'acqua che chiamiamo "acqua del paradiso" perché, in relazione alle nostre operazioni su di essa, è davvero sorprendente per la salute e il prolungamento della vita. «Abbiamo anche case grandi e spaziose, dove imitiamo e riproduciamo i fenomeni metereologici, come la neve, la grandine, la pioggia, le piogge artificiali di corpi non acquosi, i tuoni e i fulmini. In queste case sperimentiamo anche la generazione aerea di animali come le rane, le mosche e molti altri. «Disponiamo anche di alcune stanze che chiamiamo camere di salute dove condizioniamo l'aria per renderla salubre e adatta alla cura di varie malattie e alla conservazione della salute. | << | < | > | >> |Pagina 860«Disponiamo inoltre di forni di ogni tipo capaci di produrre la più grande diversità di calore: violento e rapido, forte e costante, tiepido e dolce, impetuoso, tranquillo, umido, secco e così via. Ma soprattutto abbiamo calori che, a imitazione del calore del sole e di quello dei corpi celesti, variano di intensità, come attraverso orbite e cicli ricorrenti, con i quali siamo in grado di produrre effetti ammirevoli. Usiamo anche del calore del letame, di quello dell'interno dei corpi viventi, di quello del loro sangue e del loro corpo, o di quello del fieno o dell'erba in fermentazione o della calce viva e così via. Possediamo anche strumenti che generano calore soltanto con il movimento, luoghi adatti per forti insolazioni e sotterranei che producono calore naturalmente o artificialmente. Di questi diversi calori usiamo a seconda della natura degli esperimenti da noi avviati.«Abbiamo costruito anche gabinetti ottici nei quali facciamo esperimenti relativi alla luce, alle radiazioni e ai colori: da corpi incolori e trasparenti riusciamo a derivare i più svariati colori, non fusi come nell'arcobaleno (come avviene nel caso delle gemme e dei prismi), ma ognuno di essi singolarmente. Siamo in grado di moltiplicare la potenza della luce, di portarla a grande distanza, di renderla così viva da poter discernere punti e linee piccolissimi. Riusciamo a colorare la luce e a compiere ogni sorta di inganni e illusioni ottiche nelle figure, grandezze, movimenti e colori e a proiettare ogni genere di ombre. Abbiamo sistemi, a voi ancora sconosciuti, per produrre da corpi diversi una originaria sorgente di luce. Ci siamo procurati mezzi per vedere gli oggetti lontani nel cielo e nei luoghi più remoti e per fare apparire lontane cose vicine e viceversa, come costruendo distanze fittizie. Possediamo anche aiuti per la vista assai migliori delle vostre lenti e dei vostri occhiali. Abbiamo lenti e strumenti per vedere perfettamente e distintamente i corpi più minuti, come le forme e i colori di piccoli insetti o vermi, la grana o le venature nelle gemme, la composizione dell'urina e del sangue, altrimenti invisibili. Sappiamo produrre arcobaleni artificiali, aloni, circoli luminosi e ogni specie di riflessi, rifrazioni e moltiplicazioni degli oggetti. «Possediamo anche pietre preziose di ogni specie, molte di grande bellezza e a voi sconosciute, e cristalli, e vetri di ogni genere dei quali alcuni sono fatti di metalli vetrificati o con altri materiali diversi da quelli che voi usate per la fabbricazione del vetro. Abbiamo anche un gran numero di fossili e di minerali imperfetti che voi non avete e inoltre calamite dalle virtù prodigiose e altre rare pietre sia naturali sia artificiali. «Abbiamo costruito anche "Case dei suoni" dove facciamo esperimenti su tutti i suoni e sulla loro generazione. Conosciamo armonie a voi sconosciute di quarti di toni e di passaggi ancora minori. Abbiamo diversi strumenti musicali a voi ignoti alcuni dei quali suonano più dolcemente dei vostri e anche campane e carillons dal suono dolce e delicato. Sappiamo rendere forti e profondi suoni lievi e attenuare quelli forti, e riusciamo a produrre tremolii e vibrazioni in un suono originariamente continuo. Imitiamo e riproduciamo tutti i suoni articolati, le lettere, le voci e le note degli animali e degli uccelli. Abbiamo strumenti che, applicati all'orecchio, rafforzano l'udito, e anche diversi echi strani e artificiali che ripetono le voci varie volte come ripercuotendosi. Alcuni di questi echi respingono le voci più forti e acute; altri più profonde; mentre altri ancora le rimandano diverse nel tono e nel timbro. Possiamo infine trasmettere i suoni a distanza mediante tubi e condotti che corrono rettilinei o tortuosamente. «Abbiamo poi le "Case dei profumi" nelle quali compiamo esperimenti sul gusto e ove riusciamo (cosa molto strana a credersi) a moltiplicare gli odori. Riusciamo a imitare i profumi traendoli da misture diverse da quelle che li producono abitualmente. Possiamo imitare i sapori così perfettamente da poter ingannare il gusto di qualunque uomo. In questa casa vi è anche un reparto dolciario dove fabbrichiamo cibi, dolci, bevande, liquidi, vini pregiati, latte, brodi e insalate in una varietà molto maggiore della vostra. «Abbiamo inoltre officine meccaniche dove fabbrichiamo macchine e strumenti per ogni genere di movimenti: qui facciamo esperimenti per realizzare moti più veloci di quelli che voi avete realizzato sia con le vostre bocche da fuoco sia con qualunque altra vostra macchina e per realizzare il movimento e moltiplicarlo, servendoci di deboli forze, mediante ingranaggi e altri sistemi e infine per rendere questi moti più forti e potenti dei vostri: superiori anche a quelli dei vostri più grandi cannoni e colubrine. Fabbrichiamo armi da fuoco, strumenti di guerra e macchine di ogni genere: nuove misture di polvere da sparo, fuochi greci che bruciano nell'acqua e sono inestinguibili e fuochi artificiali di ogni tipo destinati sia al divertimento sia all'utilità. Imitiamo il volo degli uccelli e riusciamo entro certi limiti a librarci nell'aria. Abbiamo navi e imbarcazioni per navigare sott'acqua e per resistere alle tempeste marine, e cinture di sicurezza e congegni per reggersi a galla. Possediamo diversi strani orologi, strumenti che si muovono in modo ricorrente, e altri capaci di moto perpetuo. Imitiamo i movimenti di tutte le creature viventi, degli uomini, degli animali, dei pesci e dei serpenti. Abbiamo un gran numero di apparecchi capaci dei più vari movimenti, mirabili per la loro regolarità, perfezione e sensibilità. «Possediamo una "Casa della matematica" dove si conservano tutti gli strumenti perfettamente costruiti, necessari alla geometria e all'astronomia. «Abbiamo infine le "Case per gli inganni dei sensi" ove compiamo ogni specie di giochi di prestigio, di false apparizioni, di illusioni, di imposture con i relativi inganni. Potrai certo capire facilmente come noi, che possediamo tante cose che, pur essendo perfettamente naturali, generano stupore, potremmo in molti casi particolari ingannare i sensi, se volessimo mascherare queste cose e farle apparire miracolose. Ma noi odiamo ogni impostura e menzogna, tanto che è severamente proibito sotto pena di ignominia e di ammenda, a tutti noi confratelli, di alterare ed ampliare le opere da noi ottenute per via naturale, ma ci è fatto invece obbligo di farle conoscere nella loro realtà e senza nessuna affettazione di mistero. «Queste sono, figlio mio, le ricchezze della Casa di Salomone. «Quanto ai diversi compiti ed uffici di noi confratelli, dodici sono incaricati di visitare i paesi stranieri, fingendo di appartenere ad altre nazioni (infatti teniamo nascosta la nostra origine). Essi ci portano libri, sommari ed esemplari delle scoperte di tutti gli altri paesi: questi sono chiamati "Mercanti di luce". «Altri tre membri sono incaricati di raccogliere gli esperimenti esposti nei libri e sono detti "Predoni". «Altri tre raccolgono gli esperimenti delle arti meccaniche, delle arti liberali e anche quelle pratiche che non sono ancora pervenute al piano delle arti. Questi sono chiamati gli "Uomini del mistero". «Altri tre tentano i nuovi esperimenti che credono opportuni e son detti "Pionieri" o "Minatori". «Altri tre membri raccolgono gli esperimenti delle quattro categorie precedenti in classi e tabelle per meglio illuminarli e per ricavarne osservazioni ed assiomi. Questi son detti "Classificatori". «Altri tre si applicano a studiare gli esperimenti dei loro confratelli per ricavarne risultati di uso pratico per la vita umana o cognizioni sia per altri lavori sia per la spiegazione delle cause e dei mezzi di divinazione naturale e per un facile e chiaro intendimento delle virtù e parti dei corpi. Questi sono chiamati "Uomini di dote" o "Benefattori". | << | < | > | >> |Pagina 869Prolungamento della vita. Parziale restituzione della giovinezza. Ritardo della vecchiaia. Cura di malattie ritenute incurabili. Mitigazione della sofferenza. Purganti più dolci e meno ripugnanti. Accrescimento della forza e dell'attività. Accrescimento della capacità di sopportare tormenti e dolori. Modificazione dell'aspetto fisico, della grassezza e della magrezza. Modificazione della statura. Modificazione dei caratteri somatici. Accrescimento ed esaltazione delle facoltà intellettuali. Mutazione di corpi in corpi differenti. Fabbricazione di nuove specie. Trapianto di una specie in un'altra. Strumenti di distruzione, come strumenti bellici o veleni. Modi di rasserenare gli spiriti e di disporli alla gioia. Forza dell'immaginazione sull'altrui e sul proprio corpo. Accelerazione del tempo nei processi di maturazione. Accelerazione del tempo nei processi di chiarificazione. Accelerazione della putrefazione. Accelerazione della cottura. Accelerazione della germinazione. Fabbricazione di ricchi concimi per la terra. Modificazioni nell'atmosfera e provocazione di tempeste. Grande alterazione, come nell'indurimento o nell'ammorbidimento, ecc. Trasformazione di sostanze crude ed acquose in sostanze oleose e untuose. Trarre nuovi cibi da sostanze non ancora impiegate a questo scopo. Fabbricazione di nuove fibre per l'abbigliamento e di nuovi materiali, la carta, il vetro, ecc. Divinazioni naturali. Illusioni dei sensi. Maggiori piaceri dei sensi.
Minerali e cementi artificiali.
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