|
|
| << | < | > | >> |IndicePrefazione ix Ringraziamenti 3 Introduzione 5 Il kit scova-frottole di Cari Sagan (estratti) 9 Parte prima Alcuni indispensabili strumenti del pensiero critico 11 Capitolo 1 – Il linguaggio 13 Introduzione 16 1.1 Insidie letterali 20 1.1.1 Denotare/connotare 20 1.1.2 Delle virtù dell'imprecisione 24 1.1.3 Sessismo e "politicamente corretto" 26 1.1.4 L'arte dell'ambiguità: equivoco e anfibologia 29 1.1.5 Enfasi e accentuazione 31 1.1.6 Ancora sull'ambiguità: i weasel words 34 1.1.7 Gergo e pseudo-competenza 35 1.1.8 Definire 40 1.2 L'arte dell'impostura mentale e della manipolazione: alcuni paralogismi di uso corrente 44 1.2.1 Paralogismi formali 48 1.2.2 Paralogismi informali 51 Capitolo 2 – Matematica: contare per non farsi incantare dai numeri 73 Introduzione 75 2.1 Alcune manifestazioni correnti dell'analfabetismo numerico e come affrontarle 77 2.2 Probabilità e statistica 95 2.2.1 Le probabilità 96 2.2.2 Nozioni di statistica 108 2.2.3 Illustrazioni e grafici: scaltri strumenti di mistificazione? 128 Parte seconda Giustificazione di credenze e convinzioni 145 Introduzione 147 Capitolo 3 — L'esperienza personale 151 Introduzione 153 3.1 Percepire 154 3.1.1 Pareidolia: il viso su Marte 158 3.1.2 I raggi N del dottor Blondlot 159 3.2 Ricordare 168 3.3 Giudicare 174 3.3.1 Sulla dissonanza cognitiva 177 3.3.2 L'effetto Forer 179 3.3.3 L'operazione di selezione di Wason 181 3.3.4 L'effetto Pigmalione 183 3.3.5 L'esperimento di Milgram ovvero i possibili danni della cieca sottomissione all'autorità 185 3.3.6 L'esperimento di Asch ovvero i possibili danni del conformismo 187 3.3.7 Un prezioso strumento: la massima di Hume 192 Capitolo 4 — La scienza empirica e sperimentale 197 Introduzione 199 4.1 Scienza e sperimentazione 203 4.1 1 La sperimentazione con controllo delle variabili 207 4.1.2 La sperimentazione con gruppo di controllo 208 4.1.3 La sperimentazione in doppio cieco 212 4.2 Scienza ed epistemologia 214 4.2.1 Scienza e scienze 215 4.2.2 Tre principi basilari della scienza empirica e sperimentale 217 4.2.3 La scienza come pratica 220 4.2.4 Scienza, proto-scienza e pseudo-scienza 223 4.3 Alcuni percorsi per una lettura critica dei risultati della ricerca 229 4.4 Il modello "RICERCA" 230 Capitolo 5 — I media 235 Introduzione 238 5.1 Un'altra idea di democrazia 243 5.2 Il modello di propaganda dei media 246 5.3 Trentuno strategie per sviluppare un atteggiamento critico nei confronti dei media 260 Conclusione 289 Bibliografia 291 Volumi e articoli 293 Concetti generali 293 Linguaggio 296 Scienze matematiche 297 Esperienza personale 299 Scienza empirica e sperimentale, paranormale e pseudo-scienze 300 Media 302 Riviste 304 |
| << | < | > | >> |Pagina ixPREFAZIONESe conosci i meccanismi e le logiche che regolano il comportamento di un gruppo puoi controllare e irregimentare le masse a tuo piacimento e a loro insaputa. E. Bernays, 1947 Viviamo in tempi disgraziati. All'apice dell'evoluzione tecnologica dove tutti comunicano con tutti e del consolidarsi del migliore dei mondi possibili, la democrazia del nuovo ordine mondiale, ci troviamo di fronte a fenomeni di regressione sociale spaventevoli che neppure la psicologia delle folle di Gustave Le Bon potrebbe spiegare. Emulazioni aggressive, atteggiamenti gregari e irriflessivi, banalità informative e imbrogli patenti di politici e potenti, ipnotizzano e domano il gregge, il popolo bue, incanalando pulsioni irrazionali in guerre commerciali, conflitti religiosi e terrorismo suicida. Siamo consapevoli del disastro umano e ambientale prodotto dal consumismo, eppure continuiamo a consumare; siamo certi di essere sudditi anzichè cittadini, eppure continuiamo a votare; siamo convinti che la libertà non si baratta, eppure continuiamo a svenderla; ci lamentiamo dell'assenza o del degrado dei rapporti sociali e non riusciamo a cambiare i nostri. La corruzione e la mancanza di trasparenza dominano la vita associata, ma lo stigma morale funziona fintanto che non sono nostri clientes a beneficiarne; le regole debbono valere per tutti, ma quando tocca a noi, ogni trasgressione è tollerabile, invocando lo stato di necessità; la menzogna permanente è inaccettabile ma ci aiuta a vivere; il rispetto per l'altro da sé è fondamentale, "ma quando ci vuole ci vuole". All'affermarsi di un luccicante mondo della comunicazione, globale, istantanea, multilingue, corrisponde la chiusura del sé e l'incapacità di esercitare empatia e compassione. Così se a ogni processo di globalizzazione corrisponde un processo di localizzazione che arriva a pescare nelle passioni più torbide e sconfina nell'esaltazione del suolo e del sangue come appartenenza, in una deriva identitaria che produce odio politico, etnico o religioso, attraverso l'esaltazione della differenza, biologica o culturale, l'ansia da insicurezza ci dispone a cercare tutela nel facile e nel conosciuto. Ogni struttura, sottoposta a una veloce accelerazione tende a cedere. Questo vale anche per le nostre strutture cognitive, quelle con cui percepiamo e interpretiamo il mondo. La fatica di riconfigurare modelli mentali e schemi cognitivi è troppa, perciò conviene restare in superficie e ragionare per stereotipi, dimenticare o essere rassicurati, da mamma TV o dallo psicanalista. L'importante è costruire le impalcature per reggere la struttura sbilenca del principio di realtà che lotta con i desideri frustrati e la paura del domani. La gestione della dissonanza cognitiva – la differenza tra ciò che sappiamo e ciò che siamo pronti a nascondere – lo spostamento di attenzione ed energie verso l'appagamento immediato o la proiezione della ricompensa in paradiso, insieme alla rimozione consapevole, sono da sempre le fondamenta delle società che si basano sull'indottrinamento politico, ideologico, religioso. In una società mercificata inondata da flussi immateriali in cui si compete per appropriarsi di beni estetici, ludici, ideativi, e in cui l'informazione è diventata una commodity, un bene di consumo, la prevalenza del simulacro sul reale rende inutile ogni forma di critica. La società dello spettacolo come la definiva Guy Debord ci appaga proprio per quello che non ci dà, la voglia di conoscere, gli strumenti per capire, la chance di vivere in prima persona invece di avere esperienze vicarie del reale. In un mondo di realtà virtuali, mediatizzate, indirette, alberga quella pericolosa tendenza che ci induce a credere a tutto ciò che viene scritto, a tutto ciò che viene detto, senza verifica, senza domande. Eppure viviamo in un'epoca in cui tutto si può raccontare, tutto puo essere pubblico, tutto puo essere discusso, compreso e criticato grazie a Internet e alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Nonostante l'autogestione della propria informazione però, un ruolo di primo piano viene giocato dai media mainstream e dai loro officianti, i giornalisti, i promoters, gli spin doctors, le agenzie globali di comunicazione. Siamo così convinti che il giornalismo professionista stia a guardia della frontiera fra ciò che è di interesse pubblico e ciò che non lo è – il watchdog della democrazia – che dimentichiamo che esso è una "tecnica del racconto", un modo professionale per selezionare e plasmare aspetti particolari della realtà, al fine di renderli masticabili a chi non ne ha avuto esperienza, e dimentichiamo che esso oggi soccombe a logiche commerciali, alla competizione sfrenata per catturare il tempo d'attenzione delle teste da vendere alla pubblicità con tecniche narrative che trasformano in verità anche la patente menzogna. Sfruttando le auree regole del giornalismo, è possibile confezionare eventi mediali e pseudoeventi, rispettando i valori notizia raccontatici da Mauro Wolf, decano della Sociologia della Comunicazione. Ma anche sfruttando l'uso sapiente di certi marcatori linguistici, garantendo la credibilità delle fonti, modellando contenuti verosimili. Procedimenti "disinformativi" noti, oggi hanno un alleato in più: il linguaggio digitale, con le sue inedite possibilità di continua ricostruzione del reale, tramite la confezione di prove oggettive, soprattutto visive, ad alto impatto emotivo che, unite al carattere virale di sms ed e-mail, irrobustite dai rimandi ipertestuali fra siti che si certificano a vicenda, rappresentate nel top ranking dei motori di ricerca, trasformano ciò che è appena plausibile in qualcosa di concreto e reale. Ugualmente, siamo così convinti che la comunicazione istituzionale debba rispondere a criteri oggettivi e che i suoi contenuti non siano né manipolati né orientati perché al servizio del cittadino, che non ci accorgiamo di come essa sia mirabilmente confusa e sostituita dalla comunicazione politica, quella che invece è frutto dell'interpretazione che i governanti danno della loro missione, che viene piegata ai suoi interessi dagli spin doctors, gli stregoni della notizia, i quali hanno il compito di "to sex up", di rendere seduttiva e attraente, un'informazione spiacevole o sgradita al potente di turno. Analogo è il destino per la comunicazione scientifica o statistica, orfana di fonti condivise e ostaggio di criteri mobili ma "autorevoli". Immersi in un mondo di segni e simboli con sempre meno tempo per decoditicare il senso profondo dei messaggi cui siamo sottoposti, non c'è scampo. Credere o morire; o lasciarsi persuadere. Così anche la famiglia, la scuola, le chiese, le sette e tutte le strutture di socializzazione e di apprendimento che ti dicono ogni giorno cosa fare, cosa pensare, dove andare, bombardano la gracile struttura cognitiva delle masse atomizzate usando i cannoni della persuasione.
E la persuasione può essere qualificata come l'intento di ottenere,
modificare o smettere un comportamento attraverso il ragionamento capzioso o gli
appelli emotivi e induce "gli altri" a fare ciò che non farebbero di loro
spontanea iniziativa, modificando lo stato mentale del ricevente grazie
all'utilizzo sapiente di tecniche che elicitano risposte automatiche innervate
nella struttura profonda della coscienza, meccanismi comportamentali di azione e
reazione adatti a polli allevati in batteria.
Persuasione e potere Riconoscere la comunicazione persuasiva come elemento centrale del controllo del comportamento vuol dire riconoscere che dove c'è comunicazione, produzione di sapere e discorso, lì c'è potere. Lì dove c'è il potere c'è qualcuno che lo usa. Addirittura si potrebbe dire che la forma stessa della comunicazione prevalente è diventata una prassi di dominio perché in essa si cristallizzano le strutture di potere. Un potere nomadico, che non risiede in strutture stabili e definite, che non è un semplice fatto, una struttura che si conserva o viene annientata, ma un sistema di relazioni, necessario, inevitabile e onnipresente, controlla l'ordine del discorso e stabilisce di volta in volta chi ha diritto di parola e chi no, chi determina l'agenda setting – ciò di cui si parla e richiede il formarsi di un'opinione - e che mette sul trono chi "massaggia il messaggio", il consigliere del principe. Ma riconoscere l'esistenza di un potere che non ha confini precisi e che agisce sul terreno fluttuante del sapere, degli atteggiamenti, della sessualità, delle tecniche, dell'informazione, della comunicazione, del ragionamento umano è l'unico modo per difendersi dal potere stesso. Non si tratta infatti solo di un potere che manipola le informazioni, censura, esclude e sbarra il libero scambio di saperi, o meglio, non fa solo quello; per capire fino in fondo il potere, bisogna capire innanzitutto gli effetti positivi che esso riesce ad avere sugli individui a livello del desiderio e del sapere. "Il potere, lungi dall'impedire il sapere, lo produce" sostiene Foucault nella Microfisica del potere (1970). Per la produzione controllata del sapere, il potere si è servito nel corso della storia di tutte le tecnologie di comunicazione che l'uomo ha di volta in volta inventato, sottraendole a un loro libero uso da parte delle masse e riducendole a meri strumenti di affermazione dell'ordine costituito. Stampa, radio e TV, Internet, di volta in volta salutati come strumento di dialogo e partecipazione, nati per emancipare le masse dal desiderio frustrato di sapere e conoscenza, per consentire ciò che prima era impossibile o impensabile, rendere il mondo un villaggio globale, aprendo una nuova era di benessere e democrazia si sono risolti nel loro contrario: una "polizia discorsiva" che sorveglia una società disillusa e disciplinata, dove il controllo del comportamento attraverso il linguaggio è il prerequisito della perpetuazione delle strutture di potere. Uno dei pilastri della società disciplinare è, secondo Michel Foucalt, l'ordine del discorso, ordine che stabilisce, tra le altre cose, chi ha diritto di parola e chi no in un dato contesto, e che riflette i modi dell'inclusione o dell'esclusione sociale stabilendo i criteri di appartenenza attraverso cui i gruppi sociali definiscono se stessi. Sempre seguendo Foucault, l'ordine del discorso è un processo che si autoperpetua attraverso l'interiorizzazione di norme relazionali e regole sociali apprese nei luoghi della socializzazione primaria - casa, scuola, famiglia, oratorio - e che, perfezionati sul luogo di lavoro, nei circuiti del consumo e nelle istituzioni totali, sfociano nel conformismo, nell'autodisciplina e nel controllo reciproco. Sovvertire l'ordine del discorso è alla base dell'idea del rovesciamento della "grammatica culturale" praticata dai gruppi di autodifesa intellettuale del passato e del presente. Invalidare le strategie di produzione del consenso attuate dal potere, prefigurando una strategia delle tattiche che possa diventare patrimonio collettivo di resistenza culturale, è il primo obiettivo della "comunicazione-guerriglia". La "comunicazione-guerriglia" usa le tecniche del detournment semiotico – l'affermazione sovversiva, lo sniping, il nome multiplo, il fake, il camouflage, il plagio e il collage – ma opera sulla base di due principi psicologici, lo straniamento e la sovraidentificazione. Lo stramamento procede attraverso l'appropriazione di forme, idee e concetti preesistenti modificandoli quel tanto che basta per svelarne la seconda natura e innescare un processo di riflessione critica sulla percezione delle cose. È il caso del Billboard Liberation Front che ha creato capolavori urbani intervenendo sulle pubblicità murali, dove "Obsession for Men" di Calvin Klein diventa "Recession For Man" o di quelli di Adbusters che hanno ridisegnato JO Camel, il vanaglorioso cammello testimonial delle omonime sigarette, in "Jo Chemio" un cammello fumatore nello scenario di un centro oncologico. E la stessa filosofia di quei buontemponi che hanno dipinto un naso da pagliaccio sui manifesti di Berlusconi. La sovraidentificazione sposa invece la logica dominante di una relazione comunicativa per rimarcare valori e finalità implicite e nascoste del discorso. È il caso dell'assemblea operaia in cui contestatori impeccabili nella loro mise da finti e ricchi manager applaudono insistentemente il sindacalista che cerca di convincere le perplesse tute blu della necessità dell'intesa con la direzione. Lo straniamento è assicurato, se gli operai vedono i padroni d'accordo col sindacalista. Un metodo per scomporre i meccanismi di costruzione mediatica della realtà è quello di inventare notizie false al fine di creare eventi veri. Allen Ginsberg durante un'azione di contestazione della guerra del Vietnam in un sobborgo di New York entra in un supermercato e urla che la guerra è finita. I poliziotti impegnati a disperdere la manifestazione solidarizzano con i manifestanti; ma l'invenzione ha anche altre modi. All'interno di una realtà sociale incentrata sulla comunicazione, è solo la dissezione dell'ordine della comunicazione, che può rompere l'unità di spazio-tempo-azione della grammatica culturale, ricordarci che ogni informazione è al contempo deformazione e che i suoi effetti sono una variabile dipendente del soggetto che la interpreta in un contesto sociale. E quando si rompono le regole della comunicazione cambia la percezione dei suoi contenuti. Questo libro, analizzando la deriva dei media, le frottole scientifiche, le trappole della matematica, le illusioni della percezione attraverso l'analisi dei linguaggi e dei modelli di pensiero, opera una salutare decostruzione dell'ordine del discorso e ci aiuta a mettere in dubbio una comunicazione che è soprattutto persuasione offrendoci di riacquistare gli indispensabili strumenti del pensiero critico. Ecco un buon motivo per leggerlo. Arturo Di Corinto | << | < | > | >> |Pagina 5INTRODUZIONEDubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni altrettanto comode che, l'una come l'altra, ci dispensano dal riflettere. Poincaré Il sonno della ragione genera mostri. Francisco de Goya (Estratto dalla legenda di un'incisione della serie dei "Capricci") La prima cosa che dovete fare, è prendervi cura del vostro cervello. La seconda è tirarvi fuori dall'intero sistema [di indottrinamento]. Giungerà allora un momento in cui diventerà un riflesso naturale leggere la prima pagina del L.A. Times e riuscire a cogliere a colpo d'occhio le bugie e le distorsioni, un riflesso far rientrare tutto ciò entro una sorta di quadro razionale. Per arrivarci, dovete ancora riconoscere che lo Stato, le aziende, i media e così via vi considerano come nemici: il vostro compito è quindi imparare a difendervi. Se disponessimo di un autentico sistema educativo, esso includerebbe corsi di autodifesa intellettuale. Noam Chomsky Questo piccolo volume nasce dal convergere, in me, di una duplice serie di preoccupazioni. Si tratta di timori che, beninteso, non ho elaborato personalmente ma non per questo risultano meno sentiti e impellenti. In mancanza della possibilità di giustificare ciascuna di tali preoccupazioni, fatto che richiederebbe in sé un intero volume e che, nello specifico, non è comunque necessario, consentitemi almeno di procedere con una semplice enunciazione. La prima di queste apprensioni potrebbe essere riconducibile all'ambito dell'epistemologia e tocca due serie diverse di motivi di cruccio. Mi inquieta, in primo luogo, il prevalere di tutte quelle credenze e convinzioni che, sotto diversi nomi, circolano nelle nostre società: il paranormale, l'esoterismo o la new age, che includono opinioni e pratiche diversissimi tra loro, quali per esempio la telecinesi, la trasmissione del pensiero, l'esistenza di vite precedenti, i rapimenti per opera di extraterrestri, i poteri dei cristalli, le cure miracolose, i programmi e gli attrezzi per esercizi fisici dagli effetti immediati ottenuti senza sforzo alcuno, la comunicazione con i defunti, l'applicazione di diverse forme di misticismo orientale, la chiropratica, l'omeopatia, l'astrologia, tutti i tipi di medicine definite "alternative", il Feng Shui, le tavole "Ouija", la possibilità di piegare un cucchiaio con la sola forza del pensiero, il ricorso da parte delle forze di polizia ai servizi di veggenti, la cartomanzia... solo per citare alcuni esempi. Inoltre, avverto una certa inquietudine, dovrei forse dire costernazione, nei confronti di ciò che mi sembra essere uno stato in tutto e per tutto deplorevole della riflessione, del sapere e della razionalità in vasti ambiti della vita accademica e intellettuale. Cercherò di esprimermi nel modo più sobrio possibile: alcune delle cose che si fanno e si dicono in taluni settori universitari attuali, dove fioriscono letteralmente la mancanza di cultura e la ciarlataneria, mi lasciano sbalordito. E non sono il solo a pensarlo. La mia seconda preoccupazione è di tipo politico e riguarda l'accesso da parte dei cittadini dei paesi democratici a una comprensione del mondo in cui viviamo, a un'informazione articolata, seria e pluralistica che consenta loro di capire questo mondo e di agire su di esso. Lo ribadisco molto schiettamente: alla stregua di molte altre persone, mi preoccupo dello stato dei nostri mezzi di comunicazione, della loro concentrazione, della loro convergenza e della loro deriva commerciale, del ruolo propagandistico che sono portati a rivestire all'interno della dinamica sociale nel momento in cui ciascuno di noi viene letteralmente bombardato da informazioni e discorsi che cercano di ottenere consenso o di farci agire in un determinato modo. È noto che, in una democrazia partecipativa, il settore educativo e dell'istruzione è l'altra grande istituzione alla quale, oltre ai mass media, spetta il privilegio di contribuire alla realizzazione di una vita civica degna di tale nome. Ma anche l'istruzione è decisamente maltrattata: nei suoi recenti sviluppi è possibile cogliere gravi motivi di preoccupazione, tra cui quello di dare l'impressione di voler rinunciare con effettiva leggerezza a perseguire l'ideale di una formazione di stampo liberale fruibile da ogni individuo. Proprio questo fatto, in particolare, suscita la mia indignazione, tanto più che tale formazione è, al giorno d'oggi, più che mai necessaria per il futuro cittadino. Lo scivolare sempre più accentuato verso forme di clientelismo e il riduzionismo economico che attualmente vengono allo scoperto in molte persone e, in particolare, tra coloro che detengono il potere decisionale nel mondo dell'educazione e dell'istruzione, rappresentano ai miei occhi altrettante gravi ragioni per non essere affatto rassicurati sul futuro della democrazia partecipativa. Ma se è pur vero, come ritengo, che a ciascuno dei passi avanti compiuti dall'irrazionalità, dalla stupidità, dalla propaganda e dalla manipolazione è sempre possibile contrapporre il pensiero critico e una prospettiva di riflessione, allora è possibile, senza illudersi, trovare un certo conforto proprio nella diffusione del pensiero critico. In quest'ottica, l'esercizio della propria autodifesa intellettuale diventa un atto civico. È precisamente tale considerazione che mi ha motivato a scrivere questo piccolo volume, il cui obiettivo è proporre un'introduzione al pensiero critico. Ciò che viene presentato nelle pagine che seguono non ha la pretesa di essere innovativo o originale. I concetti esposti sono ben noti, perlomeno a coloro che frequentano da vicino la letteratura scientifica o le pubblicazioni dedicate al pensiero critico e scettico. Mi sono tuttavia sforzato di offrirne una sintesi accessibile, presentando nel modo più semplice e chiaro possibile i concetti e le competenze la cui padronanza costituisce ai miei occhi un talento imprescindibile per qualsiasi cittadino. Ecco quindi in sintesi ciò che è possibile trovare in questo libro. Nella prima parte, intitolata "Alcuni indispensabili strumenti del pensiero critico", prenderò in esame il linguaggio (Capitolo 1, p.13) e procederò con lo studio di alcune proprietà delle parole prima di sottolineare una serie di utili nozioni di logica e di esaminare i principali paralogismi di uso corrente. Il secondo capitolo (p. 73) propone una panoramica di quella "cultura matematica" che dovrebbe essere accessibile a tutti, e illustra le forme attuali di analfabetismo numerico, passando per la teoria delle probabilità, la statistica e alcune forme di rappresentazione dei dati. La seconda parte del volume, "Giustificazione di credenze e convinzioni", affronta questa tematica in tre ambiti specifici: l'esperienza personale (Capitolo 3, p. 151), la scienza (Capitolo 4, p. 197) e infine i media (Capitolo 5, p. 235). In altre parole, cercherò di precisare in quali casi, a quali condizioni e in quale misura siamo autorizzati a considerare come vere le proposizioni e gli enunciati giustificati dalla nostra esperienza personale, dal ricorso alla sperimentazione e dai mezzi di comunicazione. Se lo studio del pensiero critico è un territorio vergine per voi, sono consapevole che la suddetta descrizione forse non vi avrà detto granché e che è probabile che non sappiate sempre con precisione cosa si intende con le espressioni "pensiero critico" o "autodifesa intellettuale". In effetti, il resto del presente volume si pone precisamente l'obiettivo di aiutarvi a capirlo. Ma nell'attesa, e per concludere questa breve introduzione, vorrei proporre ai lettori un piccolo gioco per soddisfare un poco la loro curiosità e forse persino per allettarla. Nel testo del riquadro presentato di seguito troverete un passag- gio estratto dall'ultima opera del compianto Carl Sagan (1934-1996), pubblicata quando ancora era in vita. Astronomo di fama internazionale e divulgatore scientifico esemplare, Sagan ha operato attivamente per diffondere il pensiero critico e incoraggiarne la pratica. Il testo citato è stato adattato da un passaggio del suo ultimo opus, dove propone appunto un insieme di precetti del pensiero critico, definiti dallo stesso Sagan baloney detection kit (o "armamentario per l'identificazione degli inganni") che qui propongo di tradurre con "kit scova-frottole". Leggete attentamente tutto ciò che vi è riportato. Sospetto che alcune delle voci citate vi sembreranno un poco oscure, ma sono altrettanto convinto che, quando avrete concluso la lettura del presente volume, comprenderete alla perfezione non solo ciò che Sagan ha inteso dire, ma anche e soprattutto perché è importante mettere in pratica tali precetti.
Se cose Sara, ne io ne veti avremo sprecato il nostro tempo.
Il kit scova-frottole di Carl Sagan (estratti) - Ogni volta che è possibile si deve cercare una conferma indipendente dei "fatti". - Si deve incoraggiare una discussione delle prove da parte di proponenti autorevoli di tutti i punti di vista. - Le argomentazioni fondate sull'autorità hanno scarso peso: in passato le "autorità" hanno commesso errori, e altri ne commetteranno in futuro. Forse un modo migliore per esprimere questo concetto è che nella scienza non ci sono autorità; al massimo esperti. - È bene formulare più di un'ipotesi. Se c'è qualche cosa da spiegare, pensate a tutti i modi diversi in cui la si potrebbe spiegare. [...] - Cercate di non affezionarvi troppo a un'ipotesi solo perché è la vostra. [...] Chiedete a voi stessi perché quell'idea vi piace tanto. Confrontatela senza barare con le altre possibilità. - Provate a cercare ragioni per rifiutarla. Se non lo fate voi, lo faranno altri. - Quantificate. Se a ciò che cercate di spiegare, qualunque cosa sia, è associata una qualche misura, una qualche quantità numerica, sarete più facilmente in grado di discriminare fra ipotesi contrastanti. Ciò che è vago e qualitativo è aperto a molte spiegazioni. Ovviamente, ci sono verità da cercare anche nei molti problemi qualitativi che siamo costretti a porci, ma è molto più difficile trovare queste verità. - Se c'è una catena di ragionamento, devono funzionare tutti gli anelli della catena (compresa la premessa) e non solo la maggior parte. - Rasoio di Occam. Questa utile regola empirica ci impone, quando ci troviamo di fronte a due ipotesi che spiegano i dati ugualmente bene, di scegliere quella più semplice. - Ci si deve sempre chiedere se, almeno in linea di principio, l'ipotesi possa essere falsificata. Le ipotesi che non possono essere sottoposte al test dell'esperienza, che non possono essere falsificate, non valgono molto. Consideriamo l'idea grandiosa che il nostro universo e tutto ciò che esso contiene sia solo una particella elementare, diciamo un elettrone, in un cosmo molto piu grande. Ma se noi non potremo mai acquisire informazioni dall'esterno del nostro universo, quest'idea non è sottratta a ogni possibilità di falsificazione? Si deve essere in grado di controllare qualsiasi asserzione. Dobbiamo dare agli scettici inveterati la possibilità di seguire il nostro ragionamento, di duplicare i nostri esperimenti e di vedere se ottengono lo stesso nostro risultato. - È essenziale poter contare su esperimenti progettati e controllati con cura. - La semplice contemplazione non ci insegnerà molto. - Se, per esempio, si dice che una nuova medicina è efficace nel 20 per cento dei casi, dobbiamo assicurarci che una popolazione di controllo, che prenda una semplice pillola di zucchero credendo che sia il nuovo farmaco, non presenti anch'essa una remissione spontanea della malattia del 20 per cento dei casi. - Le variabili devono essere tenute separate. Supponiamo che tu soffra il mal di mare e che ti vengano dati sia un braccialetto shiatsu, per la terapia mediante agopressione, sia cinquanta milligrammi di meclizina. Tu senti svanire la nausea. Di chi è il merito: del braccialetto o della compressa? Potrai dirlo solo se, la prossima volta che avrai mal di mare, prenderai l'una cosa senza l'altra. - Spesso l'esperimento deve essere fatto con la tecnica "doppio cieco". - Oltre a insegnarci che cosa dobbiamo fare quando valutiamo il contenuto di verità di un'affermazione, ogni buon armamentario per l'identificazione degli inganni dovrebbe anche insegnarci che cosa non dobbiamo fare. Esso ci aiuta a riconoscere gli errori più comuni e pericolosi della logica e della retorica. | << | < | > | >> |Pagina 57L'appello all'autoritàNapoleone — Giuseppe, che cosa faremo di questo soldato? Tutto quel che racconta è ridicolo. Giuseppe — Eccellenza, fatene un generale: tutto ciò che dirà sarà assolutamente sensato. Il fatto è indubbio e inevitabile, tenuto conto del poco tempo che abbiamo a disposizione, delle nostre inclinazioni e delle nostre attitudini individuali: non possiamo essere esperti in tutti i campi dello scibile e quindi, molto spesso, ci vediamo obbligati a consultare persone autorevoli in svariati settori, rimettendoci alle loro conoscenze e alla loro competenza in materia. Lo facciamo in modo ragionevole se: - l'autorità consultata ha effettivamente la competenza necessaria per pronunciarsi; - non vi è alcun motivo per ritenere che non ci dirà la verità; - non abbiamo il tempo, la voglia o la capacità necessaria per reperire e per comprendere in modo autonomo l'informazione o l'opinione a proposito della quale consultiamo l'esperto. Anche se è ragionevole affidarsi al giudizio degli esperti, è buona cosa conservare almeno un briciolo di scetticismo: può sempre capitare che gli esperti cadano in contraddizione o che ragionino in modo errato. È tuttavia possibile distinguere almeno tre casi di figura in cui l'appello all'autorità si rivela fallace e invita al massimo sospetto. Il primo è quello in cui la presunta competenza si rivela dubbia o debole, per esempio quando il campo del sapere a cui fa capo l'esperto non esiste o non autorizza comunque la sicurezza con la quale vengono avanzate le affermazioni in questione. Il secondo caso è quello in cui l'esperto nutre degli interessi diretti verso ciò di cui parla. Si può quindi ragionevolmente pensare che siano questi interessi personali a orientare o, più radicalmente, a determinare il suo giudizio. Il terzo caso, infine, si verifica quando l'esperto si pronuncia su un argomento diverso da quello nei confronti del quale dispone di competenze appurate e legittime. In tutti i casi, l'appello all'autorità costituisce un paralogismo ed è necessario diffidare, ricordando comunque che l'opinione dell'esperto potrebbe anche essere vera. Molto spesso chi consulta un esperto giunge raramente a esercitare questa legittima diffidenza, tanto il potente fascino della competenza conferisce un'aura di rispettabilità, ivi compresi i casi in cui essa non è affatto meritata, agli argomenti degli esperti: è proprio questo elemento che rende il paralogismo dell'appello all'autorità così insidioso. Consideriamo il primo dei tre casi appena evidenziati, quello in cui l'esperto non dispone in realtà di una conoscenza che lo autorizzi a pronunciarsi come invece fa. Vengono subito in mente, ed è Socrate che lo ha fatto notare per primo, tutti quegli ambiti per i quali è ragionevole pensare che non possa esistere una vera e propria competenza. Allora è bene diffidare, e a ragione, dei cosiddetti professori di bontà, degli esperti in gentilezza, delle scuole di generosità e così via. Pensiamo poi a tutti i casi in cui non esiste semplicemente consenso tra esperti e in cui, proprio per tale motivo, il fatto di appellarsi a uno di essi per troncare un dibattito sarebbe ingannevole. E ciò che accade quando, discutendo di un problema morale, si finisce per sostenere che l'utilitarismo ha fornito definitivamente la sua soluzione. I casi più delicati sono tuttavia quelli in cui esiste effettivamente un campo del sapere ma tale ambito non consente comunque di inferire la conclusione che si finge di trarre. Molti commentatori dell'attualità economica che imperversano nei media forniscono esempi perfetti. L'incertezza della scienza economica, da un lato, e il fatto che le decisioni economiche siano decisioni politiche e sociali che si basano necessariamente su una scala di valori, dall'altro, impediscono a queste persone di parlare come talvolta fanno, commettendo in tal caso il paralogismo dell'appello all'autorirà. Passiamo al secondo caso citato: qui, come vi ricorderete, l'esperto nutre un interesse diretto nei confronti dell'argomento su cui si pronuncia e tale interesse, spesso di natura economica, distorce o determina letteralmente la conclusione difesa. Esistono, ahimè, numerosissimi esempi. È in questo modo che le multinazionali del tabacco hanno proposto ad alcuni ricercatori, dietro compenso, di dichiarare pubblicamente, pseudo-ricerche alla mano, che il tabacco non è cancerogeno e che non è neppure dannoso per la salute: queste aziende hanno trovato ricercatori che hanno accettato di vendere le proprie competenze per un piatto di lenticchie. Le agenzie di pubbliche relazioni, le aziende e altri gruppi di interesse creano talvolta su due piedi sedicenti gruppi di ricerca destinati a promuovere le loro idee e i loro interessi, conferendo a tali indagini l'aura di rispettabilità e obiettività procurata di solito dalla scienza. La presente categoria può essere considerata come ricettacolo di tutte queste forme di appello a ciò che conferisce autorità e prestigio, e quindi in essa finiscono per rientrare ben altre cose che vanno al di là del sapere e della conoscenza. La pubblicità ha capito perfettamente il messaggio, facendo appello a personaggi celebri, ricchi o potenti per promuovere un determinato prodotto.
Il terzo e ultimo caso è quello in cui l'esperto, forse in buona fede, si
pronuncia su un argomento diverso da quello per il quale possiede una legittima
competenza. Nonostante l'onestà di fondo del
professionista, il pubblico tenderà ad attribuire a ciò che dice
un'autorità che in realtà non possiede. È ciò che accade quando un
premio Nobel della medicina si pronuncia per esempio su questioni
di etica. In modo analogo, Einstein era certamente un grande fisico,
ma le sue opinioni politiche non sono necessariamente migliori di
quelle di un altro. Ancora una volta, anche in questa categoria possono
rientrare tutti i casi in cui personaggi pubblici, star del mondo
dello spettacolo, uomini celebri e facoltosi sono invitati a pronunciarsi su
svariate questioni sociali, politiche o economiche delle
quali, troppo spesso, non conoscono nulla.
Proverbi e saggezza popolare La saggezza popolare si esprime in particolare attraverso i proverbi, ovvero formule sintetiche e incisive a cui si ricorre correntemente per giustificare una certa decisione o un certo comportamento. Occorre comunque diffidare del ragionamento basato su proverbi e detti popolari, che in linea generale ha scarso valore. Invece, è divertente notare fino a che punto i nostri proverbi comuni spesso si contraddicano, così che se uno di essi assicura qualcosa, ne troverete facilmente un altro che dice l'esatto contrario. Prendete per esempio il famoso: "Meglio soli che male accompagnati". Ebbene, la stessa saggezza popolare garantisce anche il contrario: "Meglio in compagnia che soli". "Tale padre, tale figlio" è assai noto, ma anche questo proverbio è altrettanto celebre: "A padre avaro, figlio prodigo". "Chi si assomiglia si piglia", è vero, ma "Gli opposti si attraggono". In poche parole, in base alle circostanze, la stessa perla di saggezza popolare potrà facilmente essere citata per sostenere due situazioni contrarie. | << | < | > | >> |Pagina 60La petizione di principio (o petitio principii)Questo paralogismo viene definito anche "ragionamento circolare", perché le sue premesse contengono già l'ipotesi che si vuole dimostrare nella conclusione. Nel mondo anglofono viene indicato anche con l'espressione begging the question. Lo scambio di battute seguente ne darà un esempio semplice ma assai diffuso: - Dio esiste, perché lo dice la Bibbia. - E perché si dovrebbe credere alla Bibbia? - Ma perché è la parola di Dio! Per riprendere un'immagine utilizzata da Bertrand Russell in un altro contesto, tale procedimento offre tutti i vantaggi del furto rispetto a un lavoro onesto!
È possibile premunirsi contro questo paralogismo individuandone le premesse
e distinguendole dalle conclusioni.
Post hoc ergo propter hoc Questa espressione latina significa "dopo di ciò, quindi a causa di ciò" e anche in questo caso si tratta di un paralogismo assai diffuso. È per esempio quello che commettono le persone superstiziose. "Ho vinto al casinò quando indossavo un certo abito", dice il giocatore; "quindi porto lo stesso abito tutte le volte che torno a giocare." Il fatto che aver vinto al gioco sia stato conseguente al fatto di indossare un determinato abbigliamento viene falsamente designato come causa della vincita. Accade però che questo paralogismo sia più sottile e meno facile da individuare. La scienza ha ovviamente fatto ricorso a relazioni causali ma, in ambito scientifico, un evento non si verifica a causa di un altro solo perché questo lo precede. È importante sottolineare che il solo fatto che un avvenimento ne preceda un altro (o sia a esso correlato) non lo rende causa di quest'ultimo. Non bisogna confondere correlazione e causalità; del resto, è una delle prime nozioni che si imparano in campo statistico, come vedremo nel capitolo successivo. In un ospedale, la presenza di individui chiamati "medici" è in stretta correlazione con la presenza di individui chiamati "pazienti": ciò tuttavia non significa che i medici siano la causa della malattia dei pazienti!
La creazione di relazioni causali legittime è uno dei principali
scopi della scienza empirica e sperimentale, che mette in atto tutta
una serie di mezzi per difendersi da questo paralogismo.
Post hoc ergo propter hoc:
torneremo nuovamente su questa questione, tanto complessa quanto importante.
Ad populum Tutti lo fanno, fatelo anche voi! (Slogan dell'emittente radiofonica Ckac, 1972 circa) E se tutti si buttassero nel canale, lo faresti anche tu? (I genitori del Québec ai loro figli) Il nome latino di questo paralogismo significa semplicemente "fare appello alla folla", perché consiste per l'appunto nell'appellarsi all'autorità di un grande numero di persone. Beninteso, il fatto che tutti pensino, facciamo o credano a qualcosa non costituisce in sé un'argomentazione sufficiente per concludere che si tratti di qualcosa di giusto, di buono o di vero. Ma l' ad populum resta comunque uno dei paralogismi preferiti dai pubblicitari: si afferma che una cosa è giusta, buona, bella, desiderabile ecc. perché tutti lo pensano. Bevete X, la birra più venduta in Canada! L'automobile Y: tot milioni di conducenti non possono sbagliarsi. Generazione Pepsi. Una ben nota variante si appella alla tradizione per concludere (falsamente) che, dato che si è sempre fatto così, questo è il modo migliore di fare. Nessuna società ha mai legalizzato l'unione in matrimonio di due persone dello stesso sesso, quindi neppure la nostra deve farlo. Da sempre si pratica l'astrologia: tutte le società e persone di ogni classe sociale vi hanno fatto ricorso. È chiaro che tutti (e anche la tradizione e la pratica comune) possono sbagliarsi. Occorre dunque valutare il merito della tradizione e dei suoi insegnamenti, chiedersi se continuano a essere validi e veri anche oggi, tenuto conto delle conoscenze che si sono sviluppate, dei nostri valori e così via. L'appello alla folla e alla pratica comune rappresenta una strategia molto efficace e per questo motivo assai apprezzata dai manipolatori. In particolare, offre il vantaggio di lodare le convinzioni più conformiste e quindi più diffuse, e può quindi essere praticata senza grossi rischi nella maggior parte degli ambienti.
Nella sua forma più esacerbata – e anche più pericolosa – questo
tipo di paralogismo diventa un appello alla passione popolare e può
spingersi fino a suscitare sentimenti di odio e fanatismo.
Paralogismo di composizione e paralogismo di divisione — Perché le pecore bianche mangiano più delle pecore nere? — Perché sono più numerose! (Indovinello infantile) I paralogismi di composizione e di divisione vengono solitamente studiati insieme perché rappresentano entrambi modi erronei di ragionare sulle parti e sul tutto. Il paralogismo di composizione consiste nell'affermare a proposito di un tutto ciò che è vero di una delle sue parti, senza fornire altra giustificazione che l'appartenenza della parte al tutto. Il problema, ogni volta, è che la motivazione non è sufficiente, perché il tutto possiede proprietà di cui le parti non dispongono necessariamente. Anche qui ci troviamo alle prese con un paralogismo fallace, perché assomiglia a un ragionamento accettabile in cui si conclude, per quelle che appaiono come valide ragioni, che il tutto deve assomigliare alle parti e viceversa. È quindi necessario prestare molta attenzione tutte le volte che si ragiona sulla parte in rapporto al tutto e sul tutto in rapporto con la parte. Occorre esaminare le argomentazioni addotte e ricordarsi che il solo fatto che la parte appartenga a un insieme non garantisce che ciò che è vero per la parte lo sia anche per l'insieme. Ecco alcuni esempi: 1 e 3 sono dispari: il risultato della loro somma sarà quindi un numero dispari. Consumare sodio e consumare cloruro è pericoloso per gli esseri umani. Quindi consumare cloruro di sodio è pericoloso. Un cavallo beve quotidianamente molta più acqua di un essere umano. Quindi i cavalli consumano molta più acqua degli esseri umani. Ognuno di questi diversi fiori è meraviglioso; mettendoli insieme si otterrà quindi un mazzo meraviglioso. Questa rosa è rossa. Gli atomi che la compongono sono quindi rossi. Gli atomi sono incolore: questa rosa è quindi incolore. Ecco i venti migliori giocatori dell'NBA: insieme, formeranno la squadra migliore. Il primo violino della migliore orchestra sinfonica del mondo è il primo miglior violino del mondo. "Come è possibile amare il proprio paese senza amare anche i suoi abitanti?" (Ronald Reagan)
"Come accade nel quadro più generale della globalizzazione, è la nazione più
povera del trio riunito sotto l'egida dell'ALENA, il Messico, quella più
desiderosa di consolidare i legami nord-americani: in realtà, nel Sud del
continente vivono 100 milioni di esseri umani il cui livello di vita è cinque
volte inferiore a quello dei canadesi, e sei volte inferiore a quello degli
americani, e che si aggrappano con le unghie e con i denti al sogno di poter
accedere alla prosperità dei loro vicini del Nord."
(La Presse, 1 agosto 2001, p. A13.)
|