|
|
| << | < | > | >> |Pagina 1«Piove», disse Carlo come a se stesso, scostando le tendine della finestra.Anna non gli badò e si chinò ad annusare la torta di mele. «Ehi, credo proprio che stavolta mi sia venuta meglio. Ci sto prendendo la mano, con quel forno. Sono stata attenta che l'acqua, nella vaschetta della stufa, non fosse troppo calda...» Si girò, prese un coltello dal cassetto della credenza e tagliò due fette abbondanti. «A me non interessa se fa brutto tempo», disse, come se solo allora avesse sentito suo marito. «Anzi, mi piacciono questi pomeriggi di sabato in casa, tranquilli. Mi piace quando non si può andare da nessuna parte.» Carlo si girò a guardarla, si versò un bicchierino di Strega, andò a sedersi sul divano e aprì il giornale. «Ehi, pascià, la vuoi una fetta di torta?» «Non adesso, grazie.» Cominciò a sfogliare le pagine. «Sai che un paio di miei colleghi domani andranno a Padova a veder giocare la nazionale di calcio?» «A Padova? Ma sono matti? Per una partita?» Carlo appoggiò la testa allo schienale del divano. «Una volta o l'altra piacerebbe anche a me, andare ad assistere a un bell'incontro. Se vivessimo a Bologna invece che a Roma, credo che lo farei spesso.» «E perché proprio a Bologna?» «Perché il Bologna è una bella squadra. E poi ci gioca Schiavio, il migliore. Il migliore di tutti.» Lei gli venne vicina con le mani sui fianchi e lo fissò in modo severo: «E mi abbandoneresti in casa di domenica per quel tizio che rincorre una palla?» Riprese a leggere. «Dai, scherzavo. Senti, ti piacerebbe andare al cinema, domani?» «Cosa fanno?» Carlo sfogliò ancora. «Dunque, si può scegliere tra Oliviero Twist, con Jakie Coogan, e... e l'ultimo capolavoro del tuo idolo: Giovane Rajah con Rodolfo Valentino.» «Non è il mio idolo. Comunque, direi che andremo a vedere quello.» «Ti piace più di me, quel bamboccio?» «Fai il geloso? E io çhe dovrei dire, dopo che hai minacciato di lasciarmi da sola per andare a vedere quello Schiavio che corre in mutande?» Risero insieme; lei gli sedette accanto sul divano e lo baciò. «Sai di liquore. Me lo fai assaggiare?» | << | < | > | >> |Pagina 18Carlo si passò una mano fra i capelli e annuì. «Sì, capisco. Ma questa situazione si potrebbe definire quasi rosea, se confrontata con quanto accade nel Meridione.»«Certo. Però, in questo momento, leggiamo su quei fogli», e Bassi indicò le carte sulla scrivania, «che in nove mesi, in un territorio estremamente circoscritto, sarebbero morti più di quaranta bambini per 'febbri'. E la situazione non riguarda solo i bambini: le garantisco, perché ho verificato di persona, che anche la mortalità degli adulti non scherza. Cosa sta succedendo? Come si spiega che, in una zona dove dovrebbe prevalere la terzana primaverile, abbiamo un picco di decessi in settembre? Le stanno applicando, laggiù, le disposizioni della legge del '23? Distribuiscono il chinino? È su queste basi che possiamo procedere alla bonifica integrale? E inoltre, Cristo santo, se è malaria, perché non hanno denunciato i casi all'autorità sanitaria, perché quella gente non è morta in ospedale, e... e perché dalla Prefettura non riusciamo a sapere niente?» «Come sarebbe?» «Sarebbe che qualcosa non funziona, da quelle parti. Il Prefetto si fa scudo della morte del medico provinciale, quindi lo stiamo tempestando di telefonate, ma non caviamo un ragno dal buco. Non riusciamo a venire a capo della cosa, perlomeno non nei tempi che vorremmo noi. Io stesso ho cercato di battere altre strade: dal federale di Ravenna ho saputo che a Spinaro comanda un certo Oreste Bellenghi; lui è il ras, nonché il capo della milizia locale. Ho telegrafato un messaggio a questo Bellenghi e lui non mi ha neppure risposto. Sa chi ci ha telefonato dal Ministero, invece?» Carlo scosse il capo. «Farinacci, il segretario nazionale del Partito.» «E che voleva?» Bassi guardò Magni, che fece un cenno d'assenso. «Voleva dirci di lasciare in pace Bellenghi, che a quanto pare è amico suo.» Carlo alzò una mano, come per dirgli di fermarsi: «Senta, mi faccia capire: ma di che cosa stiamo parlando veramente?» «Te lo riassumo io», intervenne Magni. «C'è un posto dove la gente, e specialmente i bambini, muore come le mosche, e non sappiamo bene il perché. Il sospetto è che si sia scatenata un'epidemia malarica grave, completamente sottovalutata o comunque non affrontata dalle autorità locali. Quel Bellenghi è uno squadrista, e come lo tiriamo in ballo, anche solo per chiedergli informazioni, si precipita a lamentarsi con Farinacci. Allora, punto primo: tutto questo non va, perché sulla bonifica e sulla lotta antimalarica il governo si gioca una fetta di reputazione. Punto secondo: come tu saprai, il Gran Consiglio del Partito ha chiesto, poche settimane fa, lo scioglimento delle squadre. Il ministro dell'Interno Federzoni ha diramato in questi giorni circolari ai prefetti per assicurarsi che tale scioglimento avvenga; però la cosa, probabilmente, a Farinacci non va giù... ma lasciamo stare questo aspetto. Punto terzo: se procediamo con verifiche per vie ufficiali, si rischia di perdere tempo e di fare troppa pubblicità a una cosa su cui è preferibile la riservatezza, per evitare allarmismi e speculazioni politiche. Punto quarto: c'è una persona a cui tutta questa situazione non piace per niente; non gli piace che nella sua terra di Romagna si presenti una riacutizzazione della malaria, né che qualche squadrista locale giochi a fare il furbo o il ribelle negando informazioni e collaborazione, né che si possano fare in giro chiacchiere controproducenti. E tu lo sai chi è questa persona, vero?» Carlo lo fissò a bocca aperta. «Lui?» Il dottor Bassi annuì. «Sì, lui, Mussolini. Il Duce ci chiede di verificare e di risolvere subito questa situazione perché ai suoi occhi, come le dicevo prima, è em-ble-ma-ti-ca. E se lo dice lui, caro Rambelli, va fatto. Quindi, qualcuno deve partire di gran carriera per Ravenna, o meglio, per Spinaro, e vedere con i propri occhi come stanno le cose. Perché per il Duce è molto importante.» | << | < | > | >> |Pagina 43Il vecchio ridacchiò. «Voi dottori ve ne inventate sempre delle nuove, e le dite con parole difficili. Ma la febbre viene a noi, ci fa compagnia per tutta la vita, quindi la conosciamo meglio di voialtri. O no? La febbre riempie l'aria come fumo, s'attacca alle verdure come il mal della ruggine e agli animali come le pulci. E la Borda se la spinge davanti come un branco di pecore, e la manda fin dentro i paesi e le case.»«La Borda?» «Sì, la Borda. Se qualcuno capita tra le sue mani in valle, dove gira quando c'è la nebbia o quando arriva il buio della sera, lei, se non l'uccide subito, gli soffia la malaria dentro il respiro. E queste cose non si fermano con le zanzariere.» Carlo ascoltava a bocca aperta. «Ma chi o cosa sarebbe, questa Borda?» Elsa intervenne. «Niente, dottore. È una roba inventata, una favola di questi posti. Serve a far paura ai bambini perché non girino nelle paludi da soli e non gli capiti di perdersi o di annegare.» Il vecchio guardò sua nipote senza replicare. Carlo fece per dire qualcosa, poi ci rinunciò. Santo cielo, pensò, altro che bonifica integrale: qua c'è gente che è rimasta indietro di secoli, e che... La ragazza interruppe i suoi pensieri: «Dottore, vuol bere qualcosa? Un bicchiere di vino fresco?» Sorrise. «Sì, lo prendo volentieri. Anche se sono a digiuno.» «Non le farà male, è bianco e leggero.» Elsa si alzò. Indossava una specie di tunichetta chiara, corta, e Carlo non poté non notare le sue gambe snelle ma forti, abbronzate. «Glielo prendo», disse lei, si avviò verso la casa ed entrò. Sua madre si girò a guardare. Carlo si avvicinò alla porta e l'aspettò fuori. Elsa uscì con un fiasco e un bicchiere, gli versò il vino e lo guardò bere. «Buono. Grazie.» Lei continuava a fissarlo. A bassa voce gli chiese: «Dottore, cos'è venuto a cercare qui a Spinaro?» Le restituì il bicchiere vuoto. «A cercare? Niente. Dovrei verificare dei dati statistici.» Tirò un respiro profondo, e decise senza sapere il perché che di lei poteva e doveva fidarsi. «Dati sulla mortalità infantile. Qui si muore ancora di malaria, vero?» «Qui di malaria è sempre morto qualcuno, da quando mi ricordo io. E qualcuno è sempre annegato in valle, qualcun altro è sempre morto di pellagra, o di tubercolosi, o di febbri del tifo. Qui si muore come in tutti gli altri posti del mondo, e in più si muore di palude; e anche quella c'è sempre stata, e forse ci sarà sempre. Ho visto terre bonificate che dopo un po' si ricoprivano ancora di acqua e di canne.» Carlo cercò le parole giuste. «Il fatto, EIsa, è che qui, a quanto pare, si muore molto di più e molto prima che in altri luoghi. Quello che vorrei sapere...» «Non c'è niente da sapere. Una cosa sola le vorrei dire: torni a Roma. Vada via da questo posto.» | << | < | > | >> |Pagina 57Sudato e impolverato, con la giacca sulla spalla e i calzoni arrotolati fin quasi alle ginocchia, si fermò a guardare.Non c'era dubbio: quelli dovevano essere i «casoni» di cui gli aveva parlato il vecchio dell'osteria. Grandi costruzioni a due piani, su una lingua di terra che si allungava in un mare senza profondità e senza onde, imprigionato da una verde ragnatela di stretti argini e bordi. Se a Spinaro le case erano troppo vicine alle risaie, qui erano dentro le risaie. Quella sorta di penisola, poi, aveva dietro, a perdita d'occhio, al di là della carraia che Carlo aveva percorso per giungervi, le paludi selvagge, una distesa infinita di canneti marroni, macchie verdi di erbe e di giunchi, rade e appena accennate isole di alberelli e arbusti bassi e fitti, un baluginare intravisto d'acqua, voli lenti di aironi e di gabbiani, un veloce sfrecciare d'anatre, e nuvole, ribollenti nuvole di zanzare. Per tutto il percorso, prima sull'argine di un canale, poi sulla strada sterrata tra le valli e le risaie, le aveva sentite sibilare, acute e assordanti fin dentro le orecchie, e pungere, pungere. Ne aveva uccise molte, schiacciandosele sulla faccia, sul collo, sulle mani, a volte già gonfie del suo sangue. Promettimi che non ti farai pungere, gli aveva detto Anna. Cristo, nessuno ci sarebbe riuscito a sfuggire a quell'assalto. E dire che aveva pensato che in ottobre gli anofeli non attaccassero più. Adesso, davanti a quei casoni che sembravano navi arenate nella bassa marea, continuando a cacciare con le mani gli insetti testardi, Carlo pensò seriamente di tornare di corsa alla locanda, fare la valigia e mandare al diavolo Magni e la sua ispezione. Se la direzione di Sanità vuole informazioni perché il Duce s'è fissato che sia importante quel che succede in questo posto, mandino qualcun altro. Oppure che ci venga lui, qua, se gli sta tanto a cuore questa situazione em-ble-ma-ti-ca. Poi, più che altro per non offrirsi alle zanzare come preda troppo ferma e remissiva, si diresse di buon passo verso le grandi costruzioni. Lagonero era il paese (paese?) più incredibile che avesse mai visto. A parte una decina di quei grandi casolari, c'erano altre costruzioni più piccole e basse, raccolte a ferro di cavallo attorno a uno spiazzo ingombro di carri agricoli. Alcune erano in muratura, altre fatte di canne e di paglia. I casoni, a quanto si poteva capire dalla loro struttura, dovevano avere il pianterreno adibito ad abitazione e il primo piano, un po' meno insidiato dall'umidità, destinato a magazzino per il riso o per le erbe palustri. Se Spinaro gli era sembrata povera, spettrale, morta, qui la sensazione era di pura irrealtà. Su quel fazzoletto di terra, in quell'arcipelago di case, dovevano vivere molte persone. Tutte quelle che servivano a coltivare le risaie intorno, e a raccogliere e manipolare i vegetali strappati alla palude. Ma «vivere» sembrava un termine improprio. Lì dovevano semplicemente «abitare» delle persone, concentrate in quel posto per lavorare, dormire e ammalarsi. Nient'altro. | << | < | > | >> |Pagina 108«Ma c'è dell'altro», continuò Ridolfi. «Per la profilassi antimalarica vengono stanziati fondi, che passano attraverso gli enti locali. Fondi per il chinino, per le cure ai cronici eccetera. Beh, io ho il sospetto che qui questi soldi non vengano spesi. Che si perdano in qualche corridoio della provincia, o magari delle Case del Fascio.»Carlo tacque per qualche istante. «Bellenghi?» «Ah, vedo che lo conosce. Bellenghi, sì. Ma non certo da solo: lui dopotutto non ha poteri e compiti diretti, in materia. Però, facciamo l'ipotesi che medico provinciale, ufficiale sanitario e medico condotto, e magari qualche altro funzionario, si mettano d'accordo per intascare i fondi destinati alla profilassi antimalarica e per far risparmiare ai proprietari delle risaie le spese degli adempimenti di legge; beh, neanche loro potrebbero farlo da soli, perché ci deve essere qualcuno che, con le buone, con le cattive o con i ricatti (tipo: se vuoi lavorare è così, oppure fuori dalle scatole), convince i braccianti ad accettare la situazione, cioè a fare a meno delle zanzariere, a non perdere tempo a petrolizzare o a riparare gli argini, a rinunciare a una seria profilassi con il chinino, a vivere come bestie in capanne di canne e di paglia, e a stare zitti e buoni, se non vogliono perdere il lavoro e prendersi magari anche una bella bastonatura.» Carlo si alzò e si mosse nervosamente nella stanza. Negli ultimi dieci minuti aveva saputo e capito più che in tutti gli altri giorni passati a Spinaro e dintorni, e adesso i suoi vaghi sospetti sull'improvvisa morte del medico provinciale, sul suicidio del medico condotto e sull'irreperibilità dell'ufficiale sanitario assumevano contorni nuovi e precisi. «Santo cielo, dottor Ridolfi, se è davvero così, qua c'è da far scoppiare uno scandalo enorme, una bomba vera e propria!» «Piano. Io le ho raccontato i miei sospetti, e adesso capisce perché le ho detto che, facendolo, avrei corso dei rischi. Ma anche lei li corre: quel Bellenghi e la sua squadra non scherzano. Hanno dalla loro parte non solo i proprietari terrieri, ma anche amici molto in alto, importanti. Che molto probabilmente non sanno nulla di queste cose, di questi misfatti, ma non importa: Bellenghi può vantare ugualmente la fiducia del seniore della milizia Ettore Muti, a Ravenna, del segretario nazionale del Partito Farinacci, e chissà di chi altro ancora. Non lo sottovaluti, e non si esponga. Adesso che sa queste cose, torni a Roma e riferisca a chi di dovere. Vada via al più presto di qui.» «Cristo santo, ma qui mica tutti sono braccianti; perché gli altri non reagiscono, non fanno qualcosa?»
Ridolfi sospirò. «Non tutti, ma quasi tutti
lavorano in risaia e in valle, e se ti metti contro Bellenghi, non mangi più, e
magari rischi anche la vita. Lei non sa cos'hanno combinato e cosa sono ancora
capaci di combinare, le squadre, in questa zona. E poi, come le accennavo prima,
c'è anche un'altra causa di questa situazione: la mentalità della gente. C'è per
esempio chi crede che il chinino non serva a niente, anzi, dia fastidio; e
questo anche perché nessuno, adesso, insegna loro come prenderlo. Quando se ne
servono lo fanno in modo sbagliato, saltuario, casuale...»
|