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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 7 I L'avanzata del razzismo: cittadinanza e nazionalità 17 Da Charonne a Vitry 19 Razzismo, nazionalismo, stato 35 Gli abiti nuovi della cittadinanza 51 Proposizioni sulla cittadinanza 61 «Diritti dell'uomo» e «diritti del cittadino». La dialettica moderna di uguaglianza e libertà 75 Nazione, città, impero 101 II Pensare diversamente 115 «Es gibt keinen Staat in Europa»: razzismo e politica nell'Europa d'oggi 117 Esclusione o lotta di classe? 139 L'Europa dopo il comunismo 153 Cos'è una politica dei diritti dell'uomo? 183 Postfazione all'edizione italiana 211 |
| << | < | > | >> |Pagina 117Primo: l'Europa sarà sempre più non una entità chiusa (simile ad uno Stato federale o ad un impero multinazionale), ma un sistema aperto, dotato di più cerchi concentrici di istituzioni sovranazionali in equilibrio instabile, che costituiscono uno spazio d'incontro (e, all'occorrenza, di conflitto) tra sistemi economico-culturali distinti, la cui specificità storica, ciascuno per suo conto, è almeno altrettanto forte di quella dell'«unità europea» stessa: un sistema euro-americano, un sistema euro-mediterraneo (principalmente euro-arabo o euro-musulmano), e un sistema euro-(ex)sovíetico o euro-orientale, comprendente tutti o parte dei paesi che hanno subito l'impronta dei regime socialista e che sono di fronte al compito della sua «liquidazione». Questi sistemi, ben inteso, non sono giustapposti ma, in larga misura, sovrapposti. Non vi è una, ma molte «case comuni» in Europa. Secondo: questo sistema, esteriormente aperto, proprio per il suo carattere di intersezione tra più spazi mondiali piuttosto che di unità veramente autonoma, non è - e non sarà - meno chiuso al suo interno da un certo numero di «frontiere» che è impossibile abolire: non solo frontiere politiche di Stati, ma, soprattutto, frontiere sociali mobili, «invisibili» sulle carte, ma materializzate nei regolamenti amministrativi e nelle pratiche sociali, «frontiere interne» tra popolazioni differenti per la loro origine e il loro posto nella divisione del lavoro. Infatti, questa «Europa» è già sin d'ora - e lo sarà sempre più - il punto d'incontro tra più tipi di migrazioni politico-economiche, in particolare quelle che vengono dal Sud e quelle che vengono dall'Est e alle quali, per ragioni sia ideologiche che economiche, si tenterà di conferire degli statuti differenti, affrontando l'ostacolo delle posizioni acquisite (in particolare le situazioni post-coloniali) e l'imbarazzo delle promesse fatte (segnatamente a Helsinki). Quello che in tal modo si profila è un melting pot, un crogiolo europeo (o un complesso gerarchico instabile di gruppi etnico-sociali) che fa pensare alla situazione americana, ma che se ne distingue appunto per il fatto che, invece di presupporre la cancellazione delle nazionalità d'origine, si fonda sulla loro perpetuazione e la loro demoltiplicazione. Se queste prospettive generalissime sono giuste, questo significa, in qualche modo, un rovesciamento del corso secolare della storia, di cui osserveremo tra poco altri aspetti. Mentre per tre secoli l'Europa ha esportato nel mondo intero i suoi modelli politici e le conseguenze degli scontri tra le sue nazioni e i suoi «blocchi», ora, invece, si profila la situazione inversa. «The world strikes back»: l'Europa è il luogo per eccellenza dove si cristallizzano i problemi politici del mondo intero e, se non l'anello debole, è quantomeno il punto sensibile delle loro contraddizioni.
Questa situazione assume tutto il suo significato se
esaminiamo la «questione tedesca». I recenti eventi
impongono alla maggior parte dei commentatori l'idea che la
tradizione nazionale (e nazionalistica) tedesca,
che si era dimenticata o si era finto di dimenticare,
risorge davanti a noi come un fattore determinante della
storia europea. Il che produrrebbe, insomma, un dilemma: o
la costituzione di una «Europa tedesca», o quella di una
Germania senza Europa. Senza ignorare ciò che vi è di vero
in questa osservazione, la si può confrontare con il suo
inverso dialettico: di tutti i paesi europei la Germania è
probabilmente quello che si troverà di fronte alla
crisi della forma nazione
nelle forme più acute. Non solo perché la riproduzione di
un unico «popolo tedesco» a partire dalle popolazioni
dell'ex Rdt e dell'ex Rft non ha niente di evidente,
ma, soprattutto, perché, a meno di non istituire un
impossibile blocco della circolazione delle persone (ma
proprio in nome di essa c'è stata la rivolta dei paesi
dell'Est),
la Germania di domani rappresenta il concentrato
virtuale di tutte le «differenze» e di tutte le tensioni
etniche e sociali di cui abbiamo parlato.
Berlino, «centro» politico-geografico dello spazio storico e
culturale che si estende tra Londra, Stoccolma, Varsavia,
Mosca, Budapest, Istanbul, Baghdad, Il Cairo, Roma, Algeri,
Madrid, Parigi, non potrà essere la capitale della nuova
Germania senza essere anche il «centro» delle tensioni
politiche derivanti dalle diverse regioni di questo spazio.
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