Copertina
Autore Etienne Balibar
Titolo Le frontiere della democrazia
Edizionemanifestolibri, Roma, 1993, Tempo e democrazia , pag. 222, dim. 143x207x15 mm , Isbn 978-88-7285-021-3
TraduttoreAndrea Catone
Classe politica , storia contemporanea
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Indice


    Prefazione                                7

I   L'avanzata del razzismo:
        cittadinanza e nazionalità           17
    Da Charonne a Vitry                      19
    Razzismo, nazionalismo, stato            35
    Gli abiti nuovi della cittadinanza       51
    Proposizioni sulla cittadinanza          61
    «Diritti dell'uomo» e «diritti del
        cittadino». La dialettica moderna
        di uguaglianza e libertà             75
    Nazione, città, impero                  101

II  Pensare diversamente                    115
    «Es gibt keinen Staat in Europa»: razzismo
        e politica nell'Europa d'oggi       117
    Esclusione o lotta di classe?           139
    L'Europa dopo il comunismo              153
    Cos'è una politica dei diritti
        dell'uomo?                          183

    Postfazione all'edizione italiana       211


 

 

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Pagina 117

«ES GIBT KEINEN STAAT IN EUROPA»:
RAZZISMO E POLITICA NELL'EUROPA D'OGGI



Primo: l'Europa sarà sempre più non una entità chiusa (simile ad uno Stato federale o ad un impero multinazionale), ma un sistema aperto, dotato di più cerchi concentrici di istituzioni sovranazionali in equilibrio instabile, che costituiscono uno spazio d'incontro (e, all'occorrenza, di conflitto) tra sistemi economico-culturali distinti, la cui specificità storica, ciascuno per suo conto, è almeno altrettanto forte di quella dell'«unità europea» stessa: un sistema euro-americano, un sistema euro-mediterraneo (principalmente euro-arabo o euro-musulmano), e un sistema euro-(ex)sovíetico o euro-orientale, comprendente tutti o parte dei paesi che hanno subito l'impronta dei regime socialista e che sono di fronte al compito della sua «liquidazione». Questi sistemi, ben inteso, non sono giustapposti ma, in larga misura, sovrapposti.

Non vi è una, ma molte «case comuni» in Europa.

Secondo: questo sistema, esteriormente aperto, proprio per il suo carattere di intersezione tra più spazi mondiali piuttosto che di unità veramente autonoma, non è - e non sarà - meno chiuso al suo interno da un certo numero di «frontiere» che è impossibile abolire: non solo frontiere politiche di Stati, ma, soprattutto, frontiere sociali mobili, «invisibili» sulle carte, ma materializzate nei regolamenti amministrativi e nelle pratiche sociali, «frontiere interne» tra popolazioni differenti per la loro origine e il loro posto nella divisione del lavoro. Infatti, questa «Europa» è già sin d'ora - e lo sarà sempre più - il punto d'incontro tra più tipi di migrazioni politico-economiche, in particolare quelle che vengono dal Sud e quelle che vengono dall'Est e alle quali, per ragioni sia ideologiche che economiche, si tenterà di conferire degli statuti differenti, affrontando l'ostacolo delle posizioni acquisite (in particolare le situazioni post-coloniali) e l'imbarazzo delle promesse fatte (segnatamente a Helsinki).

Quello che in tal modo si profila è un melting pot, un crogiolo europeo (o un complesso gerarchico instabile di gruppi etnico-sociali) che fa pensare alla situazione americana, ma che se ne distingue appunto per il fatto che, invece di presupporre la cancellazione delle nazionalità d'origine, si fonda sulla loro perpetuazione e la loro demoltiplicazione.

Se queste prospettive generalissime sono giuste, questo significa, in qualche modo, un rovesciamento del corso secolare della storia, di cui osserveremo tra poco altri aspetti. Mentre per tre secoli l'Europa ha esportato nel mondo intero i suoi modelli politici e le conseguenze degli scontri tra le sue nazioni e i suoi «blocchi», ora, invece, si profila la situazione inversa. «The world strikes back»: l'Europa è il luogo per eccellenza dove si cristallizzano i problemi politici del mondo intero e, se non l'anello debole, è quantomeno il punto sensibile delle loro contraddizioni.

Questa situazione assume tutto il suo significato se esaminiamo la «questione tedesca». I recenti eventi impongono alla maggior parte dei commentatori l'idea che la tradizione nazionale (e nazionalistica) tedesca, che si era dimenticata o si era finto di dimenticare, risorge davanti a noi come un fattore determinante della storia europea. Il che produrrebbe, insomma, un dilemma: o la costituzione di una «Europa tedesca», o quella di una Germania senza Europa. Senza ignorare ciò che vi è di vero in questa osservazione, la si può confrontare con il suo inverso dialettico: di tutti i paesi europei la Germania è probabilmente quello che si troverà di fronte alla crisi della forma nazione nelle forme più acute. Non solo perché la riproduzione di un unico «popolo tedesco» a partire dalle popolazioni dell'ex Rdt e dell'ex Rft non ha niente di evidente, ma, soprattutto, perché, a meno di non istituire un impossibile blocco della circolazione delle persone (ma proprio in nome di essa c'è stata la rivolta dei paesi dell'Est), la Germania di domani rappresenta il concentrato virtuale di tutte le «differenze» e di tutte le tensioni etniche e sociali di cui abbiamo parlato. Berlino, «centro» politico-geografico dello spazio storico e culturale che si estende tra Londra, Stoccolma, Varsavia, Mosca, Budapest, Istanbul, Baghdad, Il Cairo, Roma, Algeri, Madrid, Parigi, non potrà essere la capitale della nuova Germania senza essere anche il «centro» delle tensioni politiche derivanti dalle diverse regioni di questo spazio.

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