Copertina
Autore J. B. Ballard
Titolo Millennium People
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2004, I Canguri , pag. 264, cop.fle., dim. 140x220x18 mm , Isbn 978-88-07-70154-2
OriginaleMillennium People [2003]
TraduttoreDelfina Vezzoli
LettoreAngela Razzini, 2004
Classe narrativa inglese , fantascienza
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Indice

  7 1.  La rivolta a Chelsea Marina
 16 2.  La bomba di Heathrow
 24 3.  "Perché proprio io?"
 30 4.  L'ultimo rivale
 36 5.  Scontri all'Olympia
 44 6.  Salvataggio
 48 7.  L'intruso
 57 8.  I sonnambuli
 64 9.  L'apocalisse da salotto
 70 10. Appuntamento con la rivoluzione
 78 11. Cuore di tenebra
 87 12. Il negozio di video
 91 13. Un neuroscienziato guarda Dio
 99 14. Da Guilford al Terminal 2
106 15. Il deposito dei sogni
115 16. Il ricovero dei bambini
123 17. Zero assoluto
128 18. Millennio nero
134 19. L'assedio della BBC
144 20. Spazio bianco
150 21. La dolcezza della luce
160 22. Una visita al bunker
168 23. L'ultimo degli estranei
174 24. La difesa di Grosvenor Place
185 25. L'omicidio di una celebrità
191 26. Una moglie preoccupata
197 27. Il falò delle Volvo
206 28. Indizi vitali
211 29. Il parcheggio a lunga sosta
215 30. I dilettanti e la rivoluzione
226 31. Il terrorista sentimentale
232 32. Un ribasso nel valore degli immobili
240 33. Offrendosi al sole
250 34. Un compito portato a termine
255 35. Un sole senza ombre
 

 

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Pagina 7

LA RIVOLTA A CHELSEA MARINA



Era in atto una piccola rivoluzione, così discreta e perbene che non se n'era accorto quasi nessuno. Come il visitatore di un set cinematografico abbandonato, me ne stavo davanti all'entrata di Chelsea Marina ad ascoltare il traffico mattutino su King's Road, una rassicurante accozzaglia di stereo di macchina e sirene d'ambulanza. Al di là della guardiola del custode c'erano le strade del complesso edilizio assolutamente deserto, una visione apocalittica privata della sua colonna sonora. Dai balconi penzolavano striscioni di protesta, e contai una dozzina di macchine ribaltate e almeno due case bruciate.

Eppure nessuno dei passanti diretti a far compere sembrava preoccuparsene. Un altro party di Chelsea era sfuggito al controllo, anche se gli ospiti erano troppo ubriachi per accorgersene. Il che, per certi versi, era vero. La maggior parte dei ribelli, e persino alcuni dei caporioni, non arrivarono mai a capire cosa stava succedendo in quella gradevole enclave. D'altro canto, questi rivoluzionari amabili e raffinati si stavano ribellando contro se stessi.

Persino io, David Markham, psicologo di professione infiltrato a Chelsea Marina come spia della polizia - un inganno che sarei stato l'ultimo a scoprire -, non riuscivo a capire cosa stava succedendo. Ma ero distratto dalla mia insolita amicizia con Richard Gould, l'infaticabile pediatra che era il capo della rivolta - il dottor Moreau della cerchia di Chelsea, come l'aveva ribattezzato la nostra comune amante, Kay Churchill. Poco dopo il nostro primo incontro, Richard perse interesse per Chelsea Marina e passò a una rivoluzione assai più radicale, che sapeva mi sarebbe stata più a cuore.

Mi avvicinai ai cordoni della scena del delitto che bloccavano l'entrata alla proprietà da King's Road e mostrai il mio pass ai due poliziotti che aspettavano il ministro dell'Interno. Il conducente di un furgone per le consegne di un fiorista stava discutendo con loro, indicando un mazzo di calle sul sedile accanto a lui. Immaginai che un residente locale, un avvocato o un commercialista felicemente sposato, fosse stato troppo impegnato con la rivoluzione per annullare l'ordinazione di un bouquet per il compleanno della moglie.

Gli agenti, imperturbabili, gli negarono l'ingresso nella proprietà. Intuivano che era successo qualcosa di estremamente sospetto in quella comunità un tempo rispettosa delle leggi, un evento tale da richiedere la presenza di un membro del Gabinetto con il suo codazzo di onorevoli. I visitatori - consiglieri del ministero dell'Interno, ecclesiastici preoccupati, assistenti sociali e psicologi di lunga data, incluso il sottoscritto - avrebbero iniziato il loro giro a mezzogiorno, di lì a un'ora. Non ci sarebbe stata una scorta armata a proteggerci, nella certezza che un gruppo di ribelli della buona borghesia fosse troppo beneducato per costituire una minaccia fisica. Ma, come sapevo fin troppo bene, la minaccia era proprio questa.

Le apparenze dimostravano tutto e niente. I poliziotti mi fecero segno di entrare, senza nemmeno controllare il mio passo Dopo essere stati provocati per settimane da madri colte in jeans trasandati, sapevano che il mio taglio di capelli alla moda, il trucco gentilmente fornito dalla BBC, il completo grigio tortora e l'abbronzatura da lettino mi escludevano dalla cerchia dei residenti di Chelsea Marina, gente che sarebbe morta piuttosto di assomigliare a un guru televisivo, un intellettuale rinnegato del mondo fasullo delle videoconferenze e dei seminari d'aeroporto.

Ma il vestito era un travestimento che indossavo per la prima volta dopo aver ficcato il mio logoro giubbotto di pelle e i jeans nel cassonetto della spazzatura. Scavalcai i cordoni della scena del delitto molto più agilmente di quanto sospettassero gli agenti. "Le azioni terroristiche", come le aveva definite il ministro dell'Interno, non avevano tardato a rafforzare un fisico pigro, afflosciato da anni di sale d'attesa d'aeroporto e lobby d'albergo. Perfino mia moglie Sally, perennemente tollerante e difficile da sorprendere, era rimasta colpita dalle mie braccia muscolose mentre contava i lividi lasciati dagli scontri con la polizia e le guardie giurate.

Ma il travestimento poteva risultare eccessivo. Osservando la mia immagine riflessa nei vetri rotti della guardiola del custode, mi allentai il nodo della cravatta. Non sapevo ancora bene che ruolo stessi giocando. Richard Gould e io eravamo stati visti insieme talmente spesso che i poliziotti avrebbero dovuto riconoscermi come il complice principale di quel terrorista ricercato. Ma quando li salutai con un cenno della mano, loro si girarono dall'altra parte, controllando King's Road in cerca della limousine del ministro dell'Interno. Provai una fitta di delusione. Per qualche secondo avevo desiderato che mi intimassero l'altolà.

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Pagina 52

"Non mi piacciono i fumetti."

"E i film noir?"

"Il nero è un colore molto sentimentale. Ci puoi nascondere dietro ogni genere di spazzatura. I film americani sono divertenti, se la tua idea di divertimento è un hamburger e un frullato. L'America ha inventato il cinema in modo che non dovesse mai crescere. Noi abbiamo angoscia, depressione e rimpianti della mezz'età, loro hanno Hollywood."

"Buon per loro." Indicai i fascicoli sul tavolino da tè. "Saggi di sceneggiature?"

"Della mia classe. Ho pensato che ai ragazzi servisse un bel viaggio nella realtà. C'è troppo gergo astratto: 'voyeurismo e sguardo maschile', 'ansie di castrazione'. Linguaggio teorico marxista che si mangia la coda.,"

"E lei ha trovato la cura?"

"Li ho invitati a portare le loro cineprese in camera da letto e a girare un film porno. Scopare è quello che fanno nel tempo libero, quindi perché non guardarlo attraverso l'obiettivo di una cinepresa? Non avrebbero imparato molto sul sesso, ma avrebbero capito un sacco di cose sul cinema."

"E per loro è stata una festa?"

"Gli è piaciuto da morire, ma il preside della facoltà non era altrettanto contento. Sono sospesa fino a quando non decideranno cosa fare di me."

"Una bella impresa."

"È quello che ho pensato anch'io. Così, con tutto questo tempo a disposizione, ho deciso di iniziare una rivoluzione."

"Una rivoluzione?" Cercai di sembrare colpito. Kay sembrava nervosa e frustrata, gli occhi fissi sul tappeto logoro come un'attrice privata del suo pubblico. La rivoluzione, quando fosse arrivata, se non altro avrebbe fornito un buon copione e qualche parte decente.

"Gran bella prestazione, la sua di stamattina" le dissi. "In effetti, mi sorprende che vi abbiano condannato. Multare un rappresentante del sacro ordine..."

"Chi, Stephen Dexter? Il parroco di Chelsea Marina? Non sono sicura che il suo si possa definire un santo ufficio."

"Allora la protesta a Shepherd's Bush era di carattere religioso?"

"Non per Stephen. Povero ragazzo, è uno di quei sacerdoti che si sentono in dovere di mettere in dubbio il loro Dio. Comunque è proprio per questo che ci serve la sua presenza, specialmente alle manifestazioni."

"Ventisette sterline di danni? Cos'è, avete rovesciato un bidone della spazzatura?"

"Abbiamo strappato dei manifesti." Ebbe un brivido di autentico raccapriccio. "Materiale che corrompe le coscienze."

"Empio?"

"In un certo senso. Estremamente seducente."

"In un centro commerciale? E dove, in una sala conferenze pro-vivisezione?"

"In un'agenzia di viaggio." Si girò a guardarmi, col mento alzato. "Si dà il caso che siamo contrari all'idea stessa di viaggio."

"E perché?"

"Il turismo è un sonnifero potente. È una truffa di dimensioni colossali, e fa credere alla gente che ci sia qualcosa di interessante nella loro vita. E il gioco delle sedie al contrario. Ogni volta che si ferma la musica di sottofondo, la gente si alza e balla intorno al mondo, e al cerchio vengono aggiunte altre sedie, altri porticcioli e Marriott Hotel, così tutti hanno l'impressione di vincere."

"Ma è solo un'ennesima bufala?"

"Totale. Il turista odierno non va da nessuna parte." Parlava con convinzione, con la sicurezza di un conferenziere mai interrotto dal suo pubblico, dissertando in quel soggiorno sciatto con la sua solita veemenza. "Tutti i miglioramenti dell'esistenza portano agli stessi aeroporti e agli stessi alberghi per turisti, alle stesse fesserie da piña colada. I turisti sorridono della loro abbronzatura e dei loro denti smaglianti, e credono di essere felici. Ma l'abbronzatura nasconde quello che sono veramente: schiavi salariati, con la testa piena di spazzatura americana. Il viaggio è l'unica fantasia del ventesimo secolo che ci è rimasta, l'illusione che andare da qualche parte ci aiuti a reinventare noi stessi."

"E invece non è possibile?"

"Non c'è nessun posto dove andare. Il pianeta è al completo. Tanto vale starsene a casa e spendere i propri soldi in cioccolata."

"Il Terzo Mondo però ci guadagna qualcosa..."

"Il Terzo Mondo!" La sua voce si trasformò in una risata sprezzante. "Bande di indigeni che miscelano il cemento e costruiscono autostrade. I pochi fortunati arrivano a preparare i cocktail e a portarsi a letto i turisti."

"È una faticaccia, ma almeno si guadagnano da vivere."

"Sono loro le vere vittime. Dio, mi piacerebbe far esplodere una bomba in tutte le agenzie di viaggio del paese."

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Pagina 80

Kay imboccò un viale di case a tre piani con ampi giardini, labrador e Land Cruiser. Si sentivano i tonfi di palle da tennis, i brontolii adirati di madri pronte a picchiare le figlie quindicenni. Quando ci fermammo accanto al marciapiede, fummo superati da un clippete-clop di cavalli, montati da adolescenti sicuri nel loro santuario borghese. Si dà il caso che questo fosse il mondo di mia nonna, identico al quartiere residenziale di Guilford dove avevo trascorso l'infanzia. Su questi cumuli di mattoni gravava tutto il disprezzo degli intellettuali metropolitani, ma lo stile di vita era stato copiato in ogni parte del mondo. Nemmeno tutta l'indignazione di cui era capace Kay avrebbe turbato un singolo delphinium.

Kay scese dalla macchina, prendendo un blok-notes dalla sua valigetta. Lasciando Vera a controllare la macchina, si appuntò sulla giacca un cartellino d'identificazione di una società di sondaggi. Poi ne appuntò un altro sul bavero della mia giacca, con la fotografia del reverendo Dexter.

"Bene. Prova a farti passare per Stephen. Gli assomigli abbastanza. Tormentato, un po' smarrito. E non troppo pio..."

"Questo dovrebbe venirmi facile."

Ci dirigemmo verso la prima casa, una comoda villa in stile Tudor, e scavalcammo una bicicletta da bambino che bloccava la porta d'ingresso. Una Mercedes station wagon con l'adesivo da medico sul parabrezza era parcheggiata davanti al garage.

Una donna cordiale, sulla quarantina, ci venne incontro, asciugandosi le mani in uno strofinaccio da cucina. Kay le fece un sorriso radioso al di sopra del suo block-notes e fece le presentazioni.

"Potremmo avere un momento del suo tempo? Stiamo facendo un'indagine sulle abitudini sociali."

"Senz'altro. Ma temo che le nostre siano deplorevoli. Non so se rientriamo nel campione."

"Sono sicura di sì. Siamo particolarmente interessati alle famiglie con redditi alti."

"Ne sono lusingata." La donna ripiegò lo strofinaccio. "Bisogna che lo dica a mio marito. Ne sarà sorpreso."

Kay fece un sorriso tollerante. "Lei ha una casa immacolata, è evidente. E tutto così pulito e lucido. Potrebbe fare una stima del numero di ore che impiega ogni giorno in lavori domestici?"

"Neanche una." La donna finse di mordersi il labbro. "Abbiamo una governante che vive con noi e un aiuto giornaliero. Io sono un medico, troppo occupata al centro sanitario per passare lo straccio della polvere. Mi spiace, non vi sono di grande aiuto."

"Sì invece..." Sicura di aver trovato una seguace, Kay si sporse verso la donna abbassando al voce. "Nella sua qualità di medico, non trova che ci sia un'enfasi eccessiva sull'igiene domestica?"

"Sì e no. La gente è ossessionata dai germi. Ma la maggior parte sono innocui." S'interruppe mentre un ragazzo adolescente le passava davanti lemme lemme, rimbrottato da una sorella da qualche parte in cucina. "Ecco, si sta preparando una scenata."

"Un'ultima domanda." Kay passò in rassegna il suo blocco, matita alla mano. "Con quale frequenza vengono puliti i bagni secondo lei?"

"Non saprei. Tutti i giorni, spero."

"Accetterebbe l'idea di farli pulire ogni tre giorni?"

"Tre? Piuttosto rischioso da queste parti."

"Una volta a settimana?"

"No." La donna guardò il cartellino d'identificazione di Kay. "Non mi sembra una buona idea."

"Ne è sicura? Una tazza del gabinetto men che immacolata la preoccuperebbe? Cosa ne pensa dei tabù del gabinetto così diffusi nel ceto medio dei professionisti?"

"Tabù del gabinetto? Lei lavora per una ditta di carta igienica?"

"Stiamo elaborando una mappa dei cambiamenti sociali." Kay parlò in tono tranquillizzante. "La pulizia personale è al centro dell'idea che la gente ha di sé. Crede che la sua famiglia prenderebbe in considerazione l'idea di lavarsi di meno?"

"Di meno?" La dottoressa posò la mano sulla maniglia della porta, scuotendo il capo. "E impensabile. Senta..."

"E lei?" la incalzò Kay. "Si farebbe il bagno con meno frequenza? Gli odori naturali del corpo sono importanti mezzi di comunicazione, soprattutto in famiglia. Avrebbe tempo di rilassarsi, di giocare con i suoi figli, di adottare uno stile di vita più libero..."

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Pagina 126

"Guardati attentamente allo specchio, David. Cosa vedi? Qualcuno che non ti piace granché. Quando avevi vent'anni ti accettavi con difetti e tutto. Poi è iniziato il disincanto. A trent'anni la tua tolleranza si stava esaurendo. Non eri del tutto affidabile, e sapevi di essere incline al compromesso. Il futuro stava già allontanandosi, i sogni luminosi scivolavano sotto l'orizzonte. E adesso sei solo una quinta teatrale, basterebbe una spinta e l'intera scena crollerebbe ai tuoi piedi. A volte hai l'impressione di vivere la vita di qualcun altro, in una strana casa che hai affittato per sbaglio. Il 'te' che sei diventato non è il tuo vero io."

"Ma perché Chelsea Marina? Una banda di professionisti da business class che si lamenta del poco spazio per le gambe? Kay Churchill che cerca di traumatizzare la borghesia facendole dimenticare l'educazione all'uso del vasino?"

"Esattamente." Gould si sporse verso di me, le braccia alzate per accogliermi nell'ovile. "L'intera protesta è ridicola, l'ho capito appena ho messo in moto le cose. Doppie righe gialle, rette scolastiche, costi di manutenzione... una voce qui, un mormorio là. Tutti hanno reagito, pur sapendo che opporsi era insensato. Era l'ultimo lancio dei dadi, un azzardo tanto più efficace quanto più insensato. Ecco cosa ti ha portato a Chelsea Marina. E una carta rischiosa, una scommessa impossibile, un gesto folle che lancia una specie di messaggio. Far saltare in aria un negozio di video, incendiare il National Film Theatre... completamente assurdo. Ma proprio questo ti ha fatto sentire libero."

"Kay e gli altri però hanno le loro ragioni. La vita borghese al loro livello può essere piuttosto risicata." Mi alzai in piedi, cercando di evitare le mani di Gould tese verso i miei polsi. "Vacanze a buon mercato, alloggi troppo costosi, un'educazione che non dà più nessuna sicurezza. Chiunque guadagni meno di 300.000 sterline l'anno non conta praticamente niente. Sei solo un proletario con un completo a tre bottoni."

"Ed è per questo che non siamo soddisfatti di noi stessi. Io non mi piaccio, e nemmeno tu ti piaci, David." Gould rimase a guardarmi mentre cercavo di aprire un rubinetto sul lavandino ingombro. "La gente non si piace al giorno d'oggi. Siamo una classe di redditieri, un retaggio del secolo scorso. Tolleriamo tutto, ma sappiamo che i valori liberali sono fatti apposta per renderci passivi. Pensiamo di credere in Dio, ma siamo terrorizzati dal mistero della vita e della morte. Siamo profondamente egocentrici, ma non riusciamo ad affrontare l'idea del nostro io finito. Crediamo nel progresso e nel potere della ragione, ma siamo assillati dai lati più oscuri della natura umana. Siamo ossessionati dal sesso, ma temiamo l'immaginazione sessuale e dobbiamo essere protetti da enormi tabù. Crediamo nell'eguaglianza, ma detestiamo le classi inferiori. Temiamo i nostri corpi e, più di qualsiasi cosa, temiamo la morte. Siamo un incidente della natura, ma pensiamo di essere al centro dell'universo. Siamo a pochi passi dall'oblio, ma in qualche modo speriamo d'essere immortali..."

"E tutto questo è colpa del... Ventesimo Secolo?"

"In parte ha contribuito a chiuderci le porte in faccia. Viviamo in un carcere a blando regime, costruito da generazioni precedenti di detenuti. In un modo o nell'altro dobbiamo evadere. L'attentato al World Trade Center del 2001 è stato un coraggioso tentativo di liberare l'America dal Ventesimo secolo. Le morti sono state tragiche, ma per il resto è stato un gesto insensato. Ma l'idea era proprio questa. Come l'attentato al National Film Theatre."

"O a Heathrow?"

"A Heathrow... sì." Gould abbassò gli occhi, badando a non incrociare i miei. Si guardò le mani, posate sul tavolo come un paio di guanti bianchi da chirurgo, e notò la macchia di caffè. Si leccò un pollice e cercò di strofinarla via, così preso dal suo compito che sembrava dimentico di me. "Heathrow? Per te è difficile pensarci. Lo capisco, David, ma la morte di tua moglie non è stata necessariamente inutile."

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