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| << | < | > | >> |Pagina 7Di lì a poco il caldo sarebbe diventato eccessivo. Affacciato al balcone dell'albergo, pochi minuti dopo le otto, Kerans guardò il sole sollevarsi da dietro i fitti cespugli di gimnosperme giganti che crescevano in un intrico selvaggio sui tetti dei grandi magazzini abbandonati a quattrocento metri di distanza, sulla sponda orientale della laguna. Persino attraverso le ampie fronde color verde oliva del fogliame, la forza impietosa del sole era quasi tangibile. I raggi, filtrando attraverso il reticolo delle foglie, martellavano il petto e le spalle scoperte di Kerans, facendolo sudare e costringendolo a indossare un paio di spessi occhiali scuri per proteggersi gli occhi. Il disco del sole aveva smesso di essere una sfera ben definita, era diventato un'ampia ellisse che andava allargandosi sempre più sopra l'orizzonte, simile a una colossale palla di fuoco che, riflettendosi sulla superficie plumbea della laguna, la trasformava in uno scudo di rame scintillante. A mezzogiorno, meno di quattro ore più tardi, l'acqua sarebbe sembrata un mare di fuoco. Solitamente, Kerans si svegliava alle cinque e arrivava al laboratorio biologico in tempo per lavorare quattro o cinque ore prima che il calore divenisse insopportabile, ma quella mattina si era scoperto riluttante ad abbandonare il rifugio fresco e riparato della suite dell'albergo. Aveva passato un paio d'ore facendo colazione da solo, quindi aveva ultimato un'annotazione di sei pagine nel suo diario personale, rimandando deliberatamente la partenza finché il colonnello Riggs non fosse passato dall'albergo sulla sua motovedetta, sapendo che a quel punto sarebbe stato troppo tardi per andare in laboratorio. Il colonnello era sempre disposto ad affrontare un'ora di conversazione, specialmente quando l'ora in questione era supportata da qualche giro di aperitivi e, quando se ne fosse andato, sarebbero state come minimo le undici e mezzo, e a quel punto i pensieri del colonnello sarebbero stati rivolti al pranzo che lo attendeva alla base.
Per qualche motivo, però, quel giorno Riggs era in ritardo. Presumibilmente
stava compiendo una perlustrazione più lunga del solito nelle lagune adiacenti,
o forse stava aspettando che Kerans arrivasse in laboratorio.
Per un istante Kerans si chiese se non fosse il caso di tentare di raggiungerlo
via radio con il ricetrasmettitore installato assieme alle altre apparecchiature
nel salone dell'albergo, ma la console era sepolta sotto una pila di
libri, con le batterie scariche. Il caporale responsabile della stazione radio
della base aveva protestato con Riggs quando la sua consueta accozzaglia di
vecchie canzoni popolari e di notizie locali del mattino (un elicottero
attaccato da due iguane la sera prima, le ultime rilevazioni di temperatura e
umidità) era stata troncata bruscamente a metà della prima trasmissione. Ma
Riggs si rendeva conto dei tentativi inconsci di Kerans di recidere ogni legame
con la base (la calcolata noncuranza della piramide di libri che nascondeva il
radiotrasmettitore contrastava in modo fin troppo palese con l'ordine
altrimenti meticoloso di Kerans) e accettava di buon grado il suo bisogno di
isolarsi.
Appoggiato alla balaustra del balcone, con l'acqua immobile che, dieci piani più in basso, rifletteva la linea angolosa delle sue spalle e il suo profilo affilato, Kerans osservava una delle innumerevoli tempeste termiche avanzare attraverso una macchia di enormi felci che fiancheggiava la baia comunicante con la laguna. Intrappolate dagli edifici circostanti e dagli strati di inversione termica sospesi a circa trenta metri di altezza dalla superficie dell'acqua, le sacche d'aria si riscaldavano rapidamente e, altrettanto rapidamente, esplodevano verso l'alto come palloni aerostatici, lasciandosi alle spalle un vuoto improvviso che veniva colmato immediatamente con grande fragore. Per qualche secondo le nubi di vapore sovrastanti la baia si dispersero, e un violento tornado in miniatura si abbatté sulle piante alte venti metri, sradicandole come fossero fiammiferi. Poi, in modo altrettanto repentino, la tempesta si placò e gli immensi tronchi affiorarono sull'acqua uno accanto all'altro come sonnolenti alligatori. Razionalizzando, Kerans si disse che aveva fatto bene a restare all'interno dell'albergo: le tempeste scoppiavano con frequenza sempre maggiore via via che la temperatura andava aumentando. Ma Kerans sapeva benissimo che il reale motivo della sua decisione era l'accettazione ormai passiva del fatto che gli restasse ben poco altro da fare. Le rilevazioni biologiche erano diventate un gioco senza senso e privo di alcuna utilità, dato che la nuova flora seguiva pedissequamente le tendenze anticipate dagli scienziati vent'anni prima, ed era sicuro che nessuno a Camp Byrd, nella Groenlandia settentrionale, si preoccupava di archiviare i suoi rapporti, figuriamoci poi di leggerli. In effetti, il vecchio dottor Bodkin, l'assistente di Kerans al laboratorio, aveva astutamente preparato ciò che sarebbe potuta sembrare un'accurata descrizione dell'avvistamento, da parte di uno dei sergenti alle dipendenze del colonnello Riggs, di un'enorme lucertola con una gigantesca pinna dorsale che nuotava in una delle lagune e che, in ogni suo aspetto, non presentava alcuna differenza dal pelicosauro, un antico rettile preistorico della Pennsylvania. Se il rapporto (che preannunciava l'imminente ritorno dell'era dei dinosauri) fosse stato preso sul serio, un esercito di bioecologi si sarebbe immediatamente avventato su di essi spalleggiato da una divisione dotata di testate nucleari tattiche, con l'ordine di procedere verso sud alla velocità di venti nodi. Ma, a parte il consueto messaggio che accusava la ricezione del rapporto, non era stato trasmesso più nulla. Forse gli specialisti di Camp Byrd erano troppo stanchi anche per ridere. | << | < | > | >> |Pagina 24La successione di giganteschi sommovimenti geofisici, che avevano trasformato il clima della Terra aveva avuto il primo impatto sessanta o settant'anni prima. Una serie di violente e prolungate tempeste solari che si erano protratte per diversi anni, provocate da un'improvvisa instabilità del sole, aveva allargato le fasce di Van Allen e diminuito la forza di attrazione gravitazionale della Terra sugli strati più esterni della ionosfera. Via via che questi svanivano nello spazio, indebolendo la barriera protettiva della Terra contro la forza delle radiazioni solari, la temperatura aveva cominciato a crescere stabilmente, con l'atmosfera surriscaldata che si espandeva verso l'esterno nella ionosfera laddove il ciclo era giunto a compimento.
In tutto il mondo le temperature medie aumentavano
di qualche grado ogni anno. La maggioranza delle zone
tropicali era diventata ben presto inabitabile, con intere
popolazioni che migravano verso nord o verso sud per
sfuggire a temperature di cinquanta o cinquantacinque
gradi. Zone una volta temperate erano diventate tropicali, l'Europa e il Nord
America si erano trovati schiacciati
dalla morsa crescente delle ondate di caldo, con la temperatura che raramente
scendeva al di sotto dei trentacinque gradi. Sotto la direzione delle Nazioni
Unite si era dato avvio al processo di colonizzazione dell'Antartico e dei
confini settentrionali della Russia e del Canada.
Nel corso di questo periodo iniziale, durato circa una ventina d'anni, per adeguarsi al clima alterato si era verificato un graduale adattamento dei ritmi di vita. Un rallentamento dei tempi precedenti era stato inevitabile, e restava ben poca energia disponibile per combattere l'avanzare della giungla nelle regioni equatoriali. Non solo la crescita di tutte le forme vegetali aveva accelerato bruscamente ma i livelli di radioattività più elevati avevano accresciuto il ritmo con cui si verificavano le mutazioni. Avevano fatto la loro prima apparizione le strane forme botaniche che poi sarebbero divenute la norma, piante che ricordavano le gigantesche felci del periodo carbonifero, e aveva avuto luogo uno straordinario progresso di tutte le forme inferiori di vita vegetale e animale. La comparsa di questi lontani antenati si era incrociata con un secondo, importante sommovimento geofisico. L'aumento continuo del calore dell'atmosfera aveva cominciato a sciogliere le calotte polari. Le distese di ghiaccio dell'Antartico si erano dapprima spezzate e quindi disciolte; decine di migliaia di ghiacciai intorno al Circolo polare artico, dalla Groenlandia al Nord Europa, dalla Russia al Nord America, si erano riversati in mare, milioni di acri di permafrost che si liquefacevano in ondate di piena gigantesche. Eppure il mero aumento del livello degli oceani sarebbe stato soltanto di pochi metri, ma gli immensi canali di disgelo avevano portato con sé miliardi e miliardi di tonnellate di sedimenti. Enormi delta si erano formati ai loro sbocchi, estendendo le linee costiere continentali e creando dighe intorno agli oceani. L'area occupata da questi ultimi si era ridotta dai due terzi della superficie mondiale a poco più della metà.
Trascinando davanti a sé i detriti sommersi, i nuovi mari avevano alterato
radicalmente la sagoma e i contorni dei continenti. Il Mediterraneo si era
contratto in un sistema di laghi interni, le Isole Britanniche si erano
ricongiunte alla Francia settentrionale. Negli Stati Uniti, il Middle West,
colmato dal Mississippi che erodeva le Montagne Rocciose, si era trasformato in
un enorme golfo che si affacciava sulla Baia di Hudson, mentre il Mar dei
Caraibi si era trasformato in un deserto di sale. L'Europa era diventata un
insieme di gigantesche lagune intorno alle principali città di pianura, inondate
dai detriti trascinati verso sud dai fiumi in continua espansione.
Nel corso del trentennio seguente era continuata senza sosta la migrazione dei popoli verso le regioni polari. Poche città fortificate avevano cercato di sfidare il crescente livello delle acque e l'avanzata della vegetazione, costruendo sofisticati sistemi di dighe intorno al loro perimetro, ma anche questi ultimi baluardi avevano inesorabilmente ceduto uno dopo l'altro. Soltanto entro i Circoli polari la vita era rimasta tollerabile. L'inclinazione assai accentuata dei raggi solari su queste zone aveva costituito uno scudo contro le radiazioni più dannose. Le città che sorgevano in altitudine nelle aree vicine all'Equatore erano state abbandonate nonostante la loro temperatura più bassa proprio a causa del diminuito fattore di protezione atmosferica. Era stato quest'ultimo fattore a fornire automaticamente la soluzione dell'urgente problema del ricollocamento delle popolazioni migranti della nuova Terra. La continua e stabile diminuzione della fertilità dei mammiferi e l'aumento proporzionale delle forme di vita rettili e anfibie (biologicamente assai più adatte alla vita semiacquatica nelle lagune e nelle paludi) avevano invertito l'equilibrio ecologico e, all'epoca della nascita di Kerans a Camp Byrd, una città di diecimila abitanti nella Groenlandia settentrionale, si calcolava che sulle calotte polari vivessero ormai soltanto cinque milioni di uomini o poco più. La nascita di un bambino era diventata una rarità e soltanto una coppia su dieci riusciva a procreare. Come Kerans a volte rammentava, l'albero genealogico dell'umanità si stava sistematicamente potando da solo, risalendo apparentemente alle radici e sarebbe giunto un momento in cui un secondo Adamo e una seconda Eva si sarebbero ritrovati soli in un nuovo Eden. | << | < | > | >> |Pagina 59Come un'immensa ferita purulenta, la giungla si stendeva sotto il portello aperto dell'elicottero. Giganteschi boschi di gimnosperme si allungavano in densi ciuffi lungo i tetti degli edifici sommersi, soffocando le sagome bianche e rettangolari. Qua e là un vecchio serbatoio d'acqua di cemento protrudeva dal muschio, o i resti di un pontile rudimentale galleggiavano ancora accanto alla carcassa di un grattacielo semidiroccato, ricoperti da acacie piumose e tamerici in fiore. Angusti canali, trasformati dalla volta di foglie in verdi gallerie, si allontanavano dalle lagune principali, unendosi alla fine ai canali ampi fino a seicento metri che si allargavano verso l'esterno attraverso quelli che un tempo erano i sobborghi della città. I sedimenti si ammucchiavano ovunque accatastandosi in immensi banchi contro la massicciata di una ferrovia o un gruppo di palazzi, colando attraverso una galleria somnmersa come il fetido contenuto di una Cloaca Maxima. Molti dei laghi più piccoli erano stati colmati dai detriti, dischi giallastri di fango ricoperto di funghi su cui cresceva un intrico di piante in competizione tra loro per la sopravvivenza, giardini murati di un folle Eden.Avvinghiato al corrimano della carlinga dall'imbracatura di nylon che gli circondava la vita e le spalle, Kerans osservava il paesaggio sottostante, seguendo i corsi d'acqua che si allontanavano serpeggiando dalle tre lagune centrali. Duecento metri più in basso, l'ombra dell'elicottero solcava la superficie verde e chiazzata dell'acqua, e Kerans concentrò la propria attenzione sulla zona immediatamente circostante. Un'infinita profusione di vita animale riempiva le baie e i canali: serpenti acquatici si avvoltolavano tra i cespugli di bambù inondati d'acqua, colonie di pipistrelli sciamavano dalle gallerie verdi come nubi di un'esplosione, le iguane giacevano immobili sui cornicioni ombrosi come sfingi di marmo. Spesso, disturbata dal rumore dell'elicottero, una forma umana sembrava sfrecciare e nascondersi tra le finestre a pelo dell'acqua, per poi rivelarsi un coccodrillo che tentava di azzannare un'anitra selvatica o l'estremità di un tronco galleggiante di felce arborea. A trenta chilometri di distanza, l'orizzonte era ancora oscurato dalla foschia del primo mattino; immense nubi di vapore dorato erano appese al cielo come diafani sipari, ma l'aria sopra la città era chiara e tersa, i gas di scarico dell'elicottero scintillavano perdendosi nel vuoto in una lunga scia ondulata. Mentre si allontanavano dalle lagune centrali compiendo ampi cerchi verso l'esterno, Kerans si appoggiò al portello e osservò lo spettacolo scintillante, abbandonando la sua perlustrazione della giungla sottostante. Le possibilità di vedere Hardman dall'aria erano pressoché inesistenti. A meno che non si fosse rifugiato in un edificio vicino alla base, sarebbe stato costretto a viaggiare lungo i canali, che gli offrivano la massima protezione possibile da un eventuale avvistamento aereo. Nel portello della cabina di pilotaggio, Riggs e Macready continuavano a scrutare il paesaggio con i binocoli. Senza il suo berretto a visiera e con i capelli color sabbia che gli ricadevano scomposti sul viso, Riggs sembrava un passero rapace, la mascella protesa fieramente nell'aria. Si accorse che Kerans stava guardando il cielo e gli gridò: "Non l'ha ancora visto, dottore? Non si distragga ora, il segreto di una ricerca fruttuosa è una perlustrazione millimetrica eseguita con la massima concentrazione". Accettando il rimprovero, Kerans riprese a scrutare di nuovo il cerchio della giungla, con gli alti edifici della laguna centrale che ruotavano intorno al portello. La scomparsa di Hardman era stata scoperta da un infermiere alle otto di quella mattina, ma il suo letto era freddo, e il tenente se n'era andato quasi di sicuro la sera prima, probabilmente poco dopo l'ultimo appello delle nove e mezzo. Le piccole imbarcazioni ormeggiate al parapetto del pontile erano ancora tutte lì, ma Hardman avrebbe potuto facilmente legare insieme un paio dei bidoni vuoti immagazzinati uno sopra l'altro accanto al Ponte C e calarli in acqua senza fare alcun rumore. Per quanto rudimentale, una simile imbarcazione avrebbe potuto muoversi silenziosamente e portarlo a quindici chilometri di distanza prima dello spuntar del sole, da qualche parte entro il perimetro di una zona di ricerca con un'area di circa centoventi chilometri quadrati, ogni acro dei quali era costellato da edifici in rovina. | << | < | > | >> |Pagina 105"Ma mi dica, dottore", insistette Strangman, apparentemente insoddisfatto delle risposte di Kerans, "quando avete intenzione di partire, alla fine?"Kerans esitò, chiedendosi se fosse il caso o meno di inventarsi una data. Dopo aver aspettato per oltre un'ora che Strangman si cambiasse, gli aveva porto i loro saluti e aveva cercato di spiegare per quale motivo si trovassero ancora lì. Tuttavia, Strangman era parso incapace di prendere sul serio le loro motivazioni, passando bruscamente dal sarcastico divertimento per la loro ingenuità al sospetto. Kerans lo osservava attentamente, nel timore di compiere anche il più piccolo passo falso. Quale che fosse la sua vera identità, Strangman era qualcosa di più di un semplice sciacallo. Un'inquietante e minacciosa atmosfera permeava il battello, il suo equipaggio e il loro capo. Strangman, in particolare, con la sua faccia bianca e sorridente e i lineamenti crudeli che si acuminavano come frecce quando sorrideva, turbava Kerans. "Non abbiamo veramente preso in considerazione la possibilità," disse Kerans. "Credo che tutti noi nutriamo la speranza di trattenerci per un tempo indefinito. Abbiamo piccole scorte di cibo." "Ma, mio caro amico," obiettò Strangman, "la temperatura arriverà presto ai novanta gradi. L'intero pianeta sta rapidamente tornando all'era mesozoica." "Precisamente," si intromise il dottor Bodkin, scuotendosi per un istante dalle sue riflessioni. "E, dal momento che siamo parte del pianeta, parte viva e integrante, anche noi stiamo regredendo. Questa è la nostra zona di transito: qui, in realtà, stiamo riassimilando il nostro passato biologico. È per questo che abbiamo scelto di restare qui. Non ci sono altri motivi, Strangman." "Certo che no, dottore. Ho il massimo rispetto per la sua sincerità." Continui cambiamenti d'umore si susseguivano sui lineamenti di Strangman, facendolo sembrare di volta in volta irritabile, amabile, annoiato e distratto. Ascoltò per qualche istante il ronzio del ventilatore, quindi domandò: "Dottor Bodkin, ha vissuto a Londra da bambino? Deve avere molti ricordi nostalgici da ritrovare, ricordi dei grandi palazzi e dei musei". Poi aggiunse: "O forse gli unici ricordi che ha sono ricordi preuterini?". Kerans sollevò lo sguardo, sorpreso per la facilità con cui Strangman si era impadronito del gergo di Bodkin. Si accorse che Strangman non solo stava osservando attentamente il vecchio biologo, ma che era anche in attesa di una qualsiasi reazione da parte sua o di Beatrice. Bodkin, però, chiuse l'argomento con un gesto vago. "No, temo di non ricordare proprio nulla. Il passato più recente non mi interessa affatto." "Che peccato," disse Strangman con una punta di ironia. "Il problema, con voi, è che siete rimasti qui per trenta milioni di anni e la vostra prospettiva è completamente sbagliata. Vi perdete così tante cose della transitoria bellezza della vita. Io, personalmente, sono affascinato dal passato più recente: i tesori del Triassico non possono minimamente reggere il confronto con quelli degli ultimi anni del secondo millennio." Si appoggiò a un gomito e sorrise a Beatrice, che se ne stava seduta con le mani a coprirsi pudicamente le ginocchia nude, come un topo che osservi un gatto particolarmente bello. "E lei, signorina Dahl? Ha un'aria un po' malinconica. Forse una punta di nostalgia temporale? Le curvature cronoclasmiche?" Ridacchiò, divertito dalla sua stessa battuta. "Solitamente siamo piuttosto stanchi, qui, signor Strangman," rispose Beatrice a bassa voce. "E, in ogni modo, non mi piacciono i suoi alligatori." "Non le faranno alcun male." Strangman si appoggiò nuovamente allo schienale e osservò il terzetto. "È tutto molto strano." Rivolse un breve cenno al cameriere che gli stava alle spalle, quindi si adagiò nuovamente sul trono con un'espressione corrucciata. Kerans si accorse che la pelle del suo viso e delle sue mani era misteriosamente bianca, completamente priva di qualsiasi pigmentazione. L'intensa abbronzatura di Kerans, come quella di Beatrice e del dottor Bodkin, li rendeva praticamente uguali agli uomini di colore che componevano l'equipaggio. La sottile distinzione tra i mulatti e i mezzosangue era svanita. Soltanto Strangman serbava il pallore originario, e l'effetto era enfatizzato ulteriormente dal vestito candido che aveva scelto di indossare. Dopo poco apparve il negro seminudo; il sudore gli colava in rivoli sui muscoli possenti. Era alto circa un metro e novanta, ma le spalle eccezionalmente larghe lo facevano sembrare molto più massiccio di quanto già non fosse. Il suo atteggiamento era deferente e servile e Kerans si chiese come Strangman riuscisse a imporre la propria autorità ai suoi uomini e per quale motivo questi accettassero i suoi modi aspri e tirannici. Strangman presentò seccamente il negro. "Questo è l'Ammiraglio, il mio comandante in seconda. Se non mi trovate quando mi cercate, rivolgetevi a lui." Si alzò in piedi, scendendo dal piedistallo del trono. "Prima che ve ne andiate, permettetemi di farvi visitare la mia nave dei tesori." Con uno sguardo scintillante e rapace, porse il braccio a Beatrice, che lo prese quasi con timore. | << | < | > | >> |Pagina 147Nel tentativo di prendere una scorciatoia, si infilarono in un tortuoso vicolo cieco e riuscirono a indietreggiare appena in tempo mentre un piccolo caimano balzava su di loro da una pozza poco profonda. Correndo tra i gusci arrugginiti delle automobili, riguadagnarono la relativa sicurezza della strada, seguiti dall'alligatore infuriato. La bestia si fermò accanto a un lampione sull'orlo del marciapiede, agitando la coda e aprendo le fauci possenti. Kerans protesse Beatrice con il proprio corpo. Si misero a correre, ma non avevano fatto nemmeno dieci metri quando Bodkin scivolò e cadde pesantemente su un cumulo di fango."Alan! Si muova!" Kerans corse verso di lui mentre la testa del caimano ruotava minacciosamente nella loro direzione. Bloccato sul fondo della laguna, il rettile sembrava confuso e pronto ad attaccare qualsiasi cosa. All'improvviso si udì un fragore di arma da fuoco: una serie di vampate solcarono la strada. Tenendo le torce alte sopra le teste, un gruppo di uomini apparve da dietro l'angolo. In testa a loro c'era la pallida figura di Strangman, seguita dall'Ammiraglio e da Big Caesar coi fucili spianati. Gli occhi di Strangman scintillavano alla luce della torcia. L'uomo rivolse un inchino a Beatrice, quindi salutò Kerans. Con la spina dorsale spezzata, l'alligatore si contorceva impotente nel canale di scolo esponendo il ventre giallastro. Big Caesar sfoderò il machete e cominciò a colpirlo alla testa. Strangman osservava lo spettacolo con sadico piacere. "Orribile bruto," commentò, quindi si tolse dalla tasca una splendida collana di cristalli di rocca ancora incrostata di alghe e la offrì a Beatrice. "Per lei, mia cara." Con un gesto rapido le avvolse la collana intorno al collo, osservandone poi l'effetto con aria compiaciuta. Le alghe aggrovigliate tra le pietre scintillanti contro la pelle bianca del seno la facevano assomigliare a una naiade delle profondità marine. "È sua, come tutti gli altri gioielli di questo mare senza vita."
Esibitosi in un inchino pomposo, scomparve di nuovo, mentre i bagliori delle
torce si spegnevano nell'oscurità insieme alle grida degli uomini. Kerans,
Bodkin e Beatrice rimasero da soli nel silenzio, insieme ai gioielli bianchi e
all'alligatore decapitato.
Nel corso dei giorni successivi gli eventi procedettero secondo il ritmo di una follia ancora più grande. Sempre più disorientato, Kerans si aggirava da solo nelle strade buie di notte (di giorno, infatti, il labirinto di vicoli diventava insopportabilmente caldo), incapace di strapparsi dai ricordi della vecchia laguna eppure, al tempo stesso, legato indissolubilmente alle strade deserte e agli edifici sventrati. Dopo il primo moto di sorpresa nel vedere la laguna prosciugata, cominciò a sprofondare rapidamente in uno stato di abulica inerzia, da cui cercava vanamente di scuotersi. Si rendeva vagamente conto che la laguna aveva rappresentato un complesso di necessità neuroniche che era impossibile soddisfare con qualsiasi altro mezzo. Quel suo stato letargico aumentava, per nulla turbato dalla violenza che lo assediava, e Kerans si sentiva sempre più simile a un uomo naufragato nell'oceano temporale, imprigionato dalle dimensioni mutevoli di realtà dissonanti distanti tra loro milioni di anni. Il sole immenso che gli pulsava nella mente riusciva quasi a soffocare i rumori dei saccheggi e il fragore degli esplosivi e dei fucili. Come un cieco, entrava e usciva dai vecchi palazzi e dagli ingressi, il bianco abito da sera macchiato e viscido di fango, continuamente preso in giro dai marinai che gli si avventavano contro deridendolo, sbeffeggiandolo. A mezzanotte vagabondava febbrile tra gli uomini che cantavano ubriachi nella piazza e sedeva accanto a Strangman durante le feste che quest'ultimo dava senza sosta, nascondendosi sotto l'ombra del battello, osservando le danze e ascoltando il ritmo dei tamburi e delle chitarre che nella sua mente era sopraffatto dalla pulsazione incessante del sole nero. Rinunciò a ogni tentativo di ritornare all'albergo (la baia era bloccata dalle pompe idrovore, e le lagune intermedie brulicavano di alligatori) e, durante il giorno, dormiva sul divano nell'appartamento di Beatrice oppure sedeva catatonico in una nicchia tranquilla sul ponte del battello. La maggior parte dell'equipaggio era addormentata tra le casse o intenta a discutere la divisione del bottino, aspettando impazientemente l'arrivo del crepuscolo e nessuno gli dava fastidio. Per inversione di logica, era più sicuro restare vicino a Strangman che cercare di perpetuare lo stile di vita solitario che aveva tenuto in precedenza. Bodkin, invece, aveva insistito con le sue vecchie abitudini, ritirandosi in un crescente stato confusionale all'interno del laboratorio biologico, ora raggiungibile per mezzo di una ripida scala antincendio in rovina, ma, nel corso di uno dei suoi vagabondaggi notturni per le strade del quartiere universitario oltre il planetario, era stato aggredito da un gruppo di marinai che l'avevano malmenato rudemente. Unendosi all'entourage di Strangman, Kerans aveva finalmente ammesso l'assoluta autorità dell'avventuriero sulle lagune.
Una volta era riuscito a trovare la forza di andare a visitare Bodkin e
l'aveva scoperto che riposava in silenzio nella sua cuccetta, l'aria rinfrescata
da un ventilatore rudimentale e dal condizionatore in via di esaurimento.
Proprio come lui, Bodkin sembrava isolato su un minuscolo scoglio di realtà al
centro del mare del tempo.
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