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| << | < | > | >> |Pagina 7Quando ormai era quasi giunto il momento in cui entrambi sapevamo che avrei dovuto abbandonarlo, era difficile capire quali lampi fossero davvero fulmini e quali provenissero dalle armi a energia degli Invisibili. Un'enorme esplosione di luce blu e bianca trafisse il cielo e trasformò le nubi frastagliate in un panorama capovolto, rivelando nella pioggia successiva tutta la devastazione che ci circondava: lo scheletro di un lontano edificio sventrato da un precedente cataclisma, i resti aggrovigliati dei tralicci della rotaia vicino al margine del cratere, le tubature di servizio spaccate, le gallerie che il cratere stesso aveva portato alla luce e l'imponente fusoliera danneggiata del distruttore, sommerso per metà nella pozza di acqua torbida in fondo alla buca. Quando il bagliore si spense, lasciò solo un ricordo negli occhi e il debole guizzo del fuoco che bruciava nella fusoliera del distruttore. Quilan mi strinse ancora di piú la mano. «Devi proprio andare, Worosei. E subito.» Un altro lampo, questa volta meno forte, illuminò il suo volto e la patina d'olio sul fango che gli circondava la vita, lí dove quest'ultima scompariva sotto la macchina da guerra. Gli feci chiaramente vedere che consultavo i dati del mio elmetto. Il volibrante leggero della nave era di ritorno ed era solo. Il display mi informava che non era accompagnato da navi piú grandi, mentre la mancanza di comunicazioni sul canale aperto lasciava intendere che non vi erano buone notizie da comunicare. Non ci sarebbe stata una gru a pontone, non ci sarebbe stata una missione di salvataggio. Passai alla schermata tattica a corto raggio. Ma non mi offri notizie migliori. Il grafico confuso e intermittente rappresentava un'incertezza molto grande, già un brutto segno di per sé, ma come se non bastasse pareva che fossimo proprio sulla traiettoria di avanzata degli Invisibili, che ci avrebbero presto travolto. Forse tra dieci minuti. Quindici. O anche cinque, tanta era l'incertezza. Comunque, cercai di sorridere e di tenere calma la voce. «Non posso andare al sicuro da nessuna parte, finché non arriva il volibrante» mormorai piano. «Non possiamo muoverci.» Mi spostai sul pendio fangoso, in cerca di un migliore equilibrio. Una serie di boati scossero l'aria. Mi accovacciai su Quilan, proteggendo la sua testa scoperta. Sentii i rottami colpire con un rumore sordo l'altra parte del pendio e qualcosa schizzare nell'acqua. Gettai un'occhiata al livello della pozza in fondo al cratere, mentre le onde si infrangevano contro la forma a scalpello della blindatura anteriore del distruttore, per poi ritrarsi ancora una volta. Perlomeno, pareva che l'acqua non salisse piú. «Worosei» mi implorò lui. «Non credo che riuscirò ad andarmene da qui, con questo affare qua sopra. Ti prego. Non voglio fare l'eroe e non devi farlo neanche tu. Ora vattene e basta. Va' via.» «C'è ancora tempo» gli feci. «Ti tireremo fuori. Tu sei sempre impaziente.» La luce pulsò di nuovo sopra di noi e illuminò ogni goccia di pioggia che trafiggeva le tenebre. «E tu sei sempre...» Qualsiasi cosa stesse per dire fu coperta da un altro fuoco di fila di detonazioni. Il rumore si rovesciò su di noi come se fosse stata lacerata l'aria. «Che baccano, stanotte» esclamai accovacciandomi ancora sopra di lui. Avevo le orecchie che mi ronzavano. Da un lato guizzarono altre luci e, cosí da vicino, vidi il dolore che lui aveva negli occhi. «Persino il tempo è contro di noi, Quilan. Tremendo, quel tuono.» «Non era un tuono.» «E invece si! Guarda là! Quello è un fulmine» affermai, accovacciandomi sempre piú su di lui. «Vattene. Ora, Worosei» mi sussurrò. «Ti stai comportando da stupida.» «Io...» cominciai, ma poi il fucile mi scivolò dalla spalla e il calcio lo colpi sulla fronte. «Ahia» esclamò. «Scusa.» Mi rimisi l'arma in spalla. «Colpa mia che ho perso l'elmetto.» «Comunque» e diedi un colpo a una delle sezioni della rotaia sopra di noi «hai vinto un distruttore.» Cominciò a ridere, ma poi trasali per il dolore. Si costrinse a un sorriso e appoggiò una mano contro una delle ruote guida del veicolo. «Che cosa assurda» esclamò. «Non so neanche se è uno dei nostri o uno dei loro.» | << | < | > | >> |Pagina 19«Mi ricordano le vacanze.»«Le vacanze?» «Si. Le vacanze. Una volta significavano una cosa e ora invece significano esattamente il contrario. Insomma, quasi esattamente il contrario.» «Che vuoi dire?» «Ehi, è commestibile questo?» «Cosa?» «Questo.» «Non lo so. Mordilo e vedi un po'.» «Ma si è appena mosso.» «Si è appena mosso? In che senso, da solo?» «Mi sembra.» «Be', ma guarda. Se tu discendessi dai predatori come il nostro amico Ziller, probabilmente la risposta istintiva sarebbe si, ma...» «Che c'entrano le vacanze?» «Ziller era...» «... è come dice lui. Significano il contrario. Una volta, le vacanze erano il periodo in cui andavi via.» «Davvero?» «Si, ricordo che l'ho sentito da qualche parte. Roba primitiva. Risale all'Era della Scarsità.» «All'epoca, erano gli uomini che dovevano lavorare e creare ricchezza per se stessi e per la società, per cui non potevano permettersi molto tempo libero. Quindi lavoravano, diciamo, mezza giornata per quasi tutti i giorni dell'anno e poi avevano una cifra prestabilita di giorni liberi, una volta che avevano risparmiato garanzie di cambio...» «Soldi. È il termine tecnico.» «... in quantità sufficiente. E allora si prendevano quei giorni liberi e andavano via.» «Chiedo scusa, lei è commestibile?» «Ma davvero parli con il tuo cibo?» «Non lo so. Non so se è cibo.» «Nelle società molto primitive era anche peggio. Avevano solo alcuni giorni liberi all'anno!» «Ma io pensavo che le società primitive fossero...» «Intendeva primitive del Periodo Industriale. Non farci caso. Ma la smetti di ficcare il dito lí dentro? Cosi lo ammacchi.» «Ma si può mangiare?» «Si può mangiare tutto ciò che si riesce a ficcare in bocca e a deglutire.» «Lo sai cosa intendevo.» «E chiediglielo allora, stupido.» «Gliel'ho appena chiesto.» «Ma non a quell'affare! Cos'è, le tue ghiandole hanno cominciato a secernere droga? Ma ti hanno dato il permesso di uscire? Dove sono la tua bambinaia, il tuo terminale o chiunque ti deve star dietro?» «Be', il fatto è che non volevo...» «Ah, ho capito. E andavano via tutti nello stesso momento?» «E come era possibile? Se avessero smesso di lavorare tutti nello stesso momento, non avrebbe funzionato piú niente.» «Ah, certo.» «Comunque, c'erano giorni in cui un personale ridotto faceva funzionare le infrastrutture. Altrimenti, scaglionavano i giorni liberi. L'organizzazione cambiava di luogo in luogo e di periodo in periodo, come puoi ben immaginare.» «Ah, ah.» «Mentre quelle che oggigiorno chiamiamo vacanze, o periodo di accentramento, sono quando tutti restano a casa, perché altrimenti non ci sarebbero mai momenti per conoscersi. Nessuno saprebbe chi sono i propri vicini.» «In effetti, non mi pare di saperlo.» «Questo perché siamo tanto frivoli.» «È come vivere in una grande vacanza.» «Nel vecchio significato.» «E siamo anche edonisti.» «Abbiamo il prurito ai piedi e non sappiamo restare fermi in un posto.» «Ai piedi, alle zampe, alle pinne, ai barbi...» «Mozzo, questo si può mangiare?» «... ai sacchi stomacali, alle costole, alle ali, ai cuscinetti carnosi...» «Va bene, mi sembra di aver affenato l'idea.» «Mozzo? Ehi?» «... alle pinze, alle ventose mucose, alle capsule motorie...» «Ma vuoi stare zitto?» «Mozzo? Mi rispondi? Mozzo? Merda, il mio terminale non funziona. Oppure il Mozzo non risponde.» «Forse è in vacanza.» «... alle vesciche natatorie, ai collari muscolari, ai... mmff! Cosa? Ho sputato qualcosa dalla bocca?» «Si. Bestialità.» «Proprio quello di cui stavo parlando.» «Che coincidenza.» «Mozzo? Mozzo? Wow, questo non mi era mai successo...» «Ar Ischloear?» «Hmm?» Era stato pronunciato il suo nome. Kabe si rese conto che doveva essere probabilmente finito in uno di quegli strani stati di trance che a volte provava in quei raduni, quando la conversazione, o meglio ancora, quando diverse conversazioni contemporanee saettavano avanti e indietro a velocità vertiginosa, aliene perché troppo umane, e lo pervadevano a tal punto che trovava difficile seguire chi stesse dicendo cosa e per quale motivo. Aveva scoperto che in seguito ricordava spesso le esatte parole che erano state pronunciate, pur dovendo comunque ingegnarsi a determinare quale fosse il loro significato. Ma, al momento, avvertiva solo uno strano distacco da tutto, finché l'incantesimo non veniva rotto, come in quell'istante. Fu risvegliato dal sentire il proprio nome. Si trovava nella sala da ballo superiore del galeone cerimoniale Soliton con qualche altro centinaio di persone, la maggior parte delle quali erano umane, anche se non tutte ne possedevano la forma. Il concerto del compositore Ziller, eseguito con un antico mosaicordo chelgriano, era finito da mezz'ora. Le musiche erano state sobrie, solenni, in linea con il carattere della serata, anche se l'esecuzione di Ziller era stata accolta da un applauso entusiastico. Ora tutti mangiavano e bevevano. E parlavano. Kabe si trovava in mezzo a un gruppo di uomini e donne concentrati su uno dei tavoli del buffet. L'aria era calda, pervasa da un profumo gradevole e da una musica sommessa. Al di sopra della sua testa si arcuava una volta di legno e vetro a cui erano appesi antichi sistemi di illuminazione molto lontani dal coprire la totalità dello spettro della luce, ma che conferivano a tutto e a tutti calde tonalità molto gradevoli. L'anello al suo naso gli aveva parlato. Quando era arrivato nella Cultura, non aveva gradito l'idea di farsi inserire un ricetrans nel cranio (né altrove, a dirla tutta). L'unico oggetto che avesse praticamente portato sempre con sé era l'anello di famiglia che portava al naso, per cui gliene avevano realizzato una copia perfetta che funzionava anche da terminale ricetrans. «Scusi il disturbo, Ambasciatore. Qui il Mozzo. Lei che è il piú vicino mi farebbe la cortesia di informare il signor Olsule che sta parlando con una normalissima spilla e non con il suo terminale?» «Si.» Kabe si rivolse a un giovanotto vestito di bianco che aveva in mano un gioiello e l'aria perplessa. «Ah, signor Olsule?» «Si, ho sentito» rispose l'uomo, facendo un passo indietro per levare lo sguardo verso l'Homomda. Aveva la faccia sorpresa e Kabe ebbe l'impressione di essere stato confuso con una scultura o con un monumentale articolo di mobilio. L'equivoco capitava molto spesso. Dipendeva dalle dimensioni e dal silenzio. Era uno dei rischi che correva un tripode piramidale nero lucente alto più di tre metri in una società composta da bipedi snelli con la pelle opaca alti due metri. Il giovanotto strizzò di nuovo gli occhi verso la spilla. «Avrei giurato che fosse...» «Mi scusi tanto, Ambasciatore» proferí l'anello. «Grazie per l'aiuto.» «Ma si figuri.» | << | < | > | >> |Pagina 76«Ziller», disse Kabe. «Vorrei farti una domanda.» Il Chelgriano levò lo guardo e l'Homomda proseguí. «Il pezzo lungo su cui stai lavorando. Te lo ha forse commissionato il Mozzo per celebrare la fine del periodo delle Novae Gemelle?» Si rese conto che, senza volerlo, stava guardando in direzione del puntino luminoso di Portisia.Ziller si apri in un lento sorriso. «Resta tra noi?» gli chiese. «Ma certo. Hai la mia parola.» «Allora, si» rispose Ziller. «È una sinfonia per commemorare il periodo di lutto del Mozzo ed è al tempo stesso una meditazione sugli orrori della guerra e una celebrazione della pace che regna da allora, con qualche insignificante imperfezione. Sarà eseguita dal vivo subito dopo il tramonto del giorno in cui esploderà la seconda Nova. Se dirigerò l'orchestra con la mia consueta accuratezza e sincronizzerò bene i tempi, la luce della seconda nova arriverà qui da noi all'inizio dell'ultima nota.» Ziller parlava di gusto. «Il Mozzo vorrebbe organizzare uno spettacolo di luci per il concerto. Non so se gli dirò di sí. Vedremo.» Secondo Kabe, il Chelgriano era lieto che qualcuno avesse capito tutto, perché ora poteva parlarne liberamente. «Che notizia meravigliosa, Ziller» commentò. Questa sinfonia era la prima grande composizione che Ziller avrebbe completato dopo l'inizio dell'esilio che si era auto imposto. Alcuni, Kabe compreso, temevano che Ziller non avrebbe piú prodotto le opere monumentali di cui si era rivelato un tale maestro. «Sono impaziente di ascoltarla. L'hai già ultimata?» «Quasi. Sono ancora nella fase di revisione.» Il Chelgriano guardò il puntino di luce che era la nova Portisia. «Mi è venuta molto bene» commentò con voce pensosa. «La materia prima era meravigliosa. Era davvero consistente, complessa.» Sorrise a Kabe, ma senza calore. «Chissà perché, persino le catastrofi degli altri Interessati possiedono un'eleganza e una finezza estetica superiore a quelle di Chel. Gli abomini della mia specie sono stati efficienti in termini di quantità di morti e di sofferenze prodotte, ma restano prosaici e pacchiani. Potevano almeno avere la decenza di fornirmi un'ispirazione migliore.» Kabe rimase in silenzio per qualche istante. «È molto triste detestare tanto la propria gente, Ziller.» «Sí, è vero» concordò Ziller, guardando verso il Grande Fiume che scorreva lontano. «Eppure, per fortuna, quell'odio produce un'ispirazione vitale per il mio lavoro.» «So che tu non tornerai mai laggiú, Ziller, ma dovresti almeno vedere questo emissario.» Ziller lo guardò. «Si?» «Se non lo fai, darai l'impressione di avere paura delle sue argomentazioni.» «Davvero? Quali argomentazioni?» «Immagino ti dirà che hanno bisogno di te» spiegò pazientemente Kabe. «Per essere il trofeo di Chel, invece di quello della Cultura.» «Credo che il termine 'trofeo' sia sbagliato. 'Simbolo' va già meglio. I simboli sono importanti, i simboli sono utili. E quando il simbolo è una persona, allora il simbolo... può indicare una direzione. Una persona simbolica li può guidare e determinare cosí non solo il loro destino, ma anche quello della loro società. A ogni modo, argomenteranno che la tua società, che tutta la tua civiltà, ha bisogno di far pace con il suo piú celebre dissidente per far pace con se stessa e cominciare a ricostruire.» Ziller lo guardò con lo sguardo fermo. «Ti hanno scelto bene, vero, Ambasciatore?» «Non nel senso che intendi tu. Io non sono né favorevole né indifferente a una motivazione del genere. Ma probabilmente la useranno. Forse è vero che non ci hai ancora pensato e non hai provato a prevedere le loro proposte. Ma se lo avessi fatto, lo avresti capito da solo.» Ziller fissò negli occhi l'Homomda. Kabe si rese conto che affrontare lo sguardo di quei due grandi occhi scuri non era difficile come immaginava. Comunque, non lo avrebbe neanche scelto come passatempo. «Sono davvero un dissidente?» domandò infine Ziller. «Mi ero appena abituato all'idea di essere un rifugiato culturale in cerca di asilo politico. Questa nuova classificazione mi sconvolge.» «Con le tue vecchie critiche li hai feriti, Ziller. E anche con le tue azioni. Prima sei venuto qui e poi hai deciso di restarci, persino quando sono stati rivelati gli antefatti della guerra.» «Gli antefatti della guerra, mio studioso amico Homomda, sono tremila anni di spietata oppressione, imperialismo culturale, sfruttamento economico, tortura sistematica, tirannia sessuale e culto dell'avidità radicato fin quasi al punto di un'ereditarietà genetica.» «Le tue parole sono solo frutto del rancore, mio caro Ziller. Nessun osservatore esterno farebbe mai un riepilogo tanto ostile della storia recente della tua specie.» «Tremila anni per te sono una storia recente?» «Stai cambiando argomento.» «Si. Per me è comico che tu consideri 'recenti' tremila anni. Ed è certo piú interessante che discutere di quanto sia stato colpevole il comportamento dei miei compatrioti, sin da quando abbiamo escogitato l'esaltante idea di un sistema di caste.» Kabe sospirò. «Gli individui della mia specie vivono a lungo, Ziller, e fanno parte della comunità galattica da molti millenni. Tremila anni sono tutt'altro che insignificanti secondo i nostri calcoli, ma si possono considerare storia recente nell'arco vitale di una specie spaziale intelligente.» «Queste cose ti turbano, non è vero, Kabe?» «Quali cose, Ziller?» Il Chelgriano puntò il cannello della sua pipa oltre il fianco dell'aeromobile. «Tu hai avuto compassione per la femmina umana, quando sembrava che sarebbe precipitata e avrebbe fatto schizzare dappertutto il suo bel cervello privo di copia di sicurezza, vero? E poi trovi sgradevole che io, per usare le tue parole, provi rancore e odio per la mia gente.» «È tutto vero.» «Hai forse un'esistenza talmente satolla di serenità che l'unico sistema che hai di sfogare la tua preoccupazione è dirigendola sugli altri?» Kabe si appoggiò allo schienale, continuando a pensare. «Cosí sembra.» «Ed è per questo motivo, forse, che ti identifichi con la Cultura.» «Forse.» «Dunque, provi compassione per la Cultura, in questo momento di attuale, ah, chiamiamolo imbarazzo per la Guerra delle Caste?» «Tutti i trentuno trilioni di cittadini della Cultura sono troppi anche per la mia empatia.» Ziller fece un leggero sorriso e levò lo sguardo verso l'orizzonte dell'Orbitale sospeso in cielo. Il nastro luminoso aveva inizio sotto lo strato di foschia nella direzione di rotazione e descriveva in cielo una lunga curva che si assottigliava sempre di piú: una sola striscia scandita da vasti oceani e dalle frastagliate barriere ghiacciate dei Monti Paratia che arrivavano a trapassare l'atmosfera, con la superficie segnata di puntini verdi e bruni e bianchi e blu; qui la striscia si restringeva, lí si allargava, di solito bordata dai Mari dell'Orlo e dalle loro isole, anche se in alcuni punti - e ovunque sorgessero i Monti Paratia - si estendeva fin dentro le pareti di sostegno. In alcune tra le regioni piú vicine, era visibile il filo del Grande Fiume di Masaq'. In cielo, il lato opposto dell'Orbitale era soltanto una linea luminosa e i dettagli della sua geografia si perdevano in quel lucido filamento. A volte, chi possedeva un'ottima vista e guardava il soprastante lato opposto riusciva a distinguere il minuscolo puntino nero che era il Mozzo di Masaq', sospeso nello spazio a un milione e mezzo di chilometri di distanza, nel centro altrimenti vuoto dell'immenso braccialetto di quel mondo di terre e di mari. «Si», disse Ziller. «Sono tanti, vero?» «Potevano essere anche di piú. Hanno scelto la stabilità.» Ziller stava ancora scrutando il cielo. «Lo sai che c'è gente che naviga il Grande Fiume da quando l'Orbitale è stato completato?» «Si. Alcuni sono arrivati al secondo giro. Si fanno chiamare i Viaggiatori del Tempo perché, visto che navigano contro il senso di rotazione, si muovono con una velocità minore di chiunque altro viva sull'Orbitale e cosí subiscono una minore dilatazione del tempo secondo la relatività ridotta. Anche se l'effetto è davvero trascurabile.» Ziller annui. I grandi occhi scuri erano estasiati da quella vista. «Chissà se qualcuno va contro corrente.» «Qualcuno. C'è sempre qualcuno.» Kabe fece una pausa. «Ma nessuno di loro ha ancora completato un giro intero dell'Orbitale. Per farlo, dovrebbero vivere tantissimo tempo. Il loro percorso è piú difficile.» Ziller stiracchiò le braccia e l'arto mediano e mise via la pipa. «Già.» La sua bocca assunse una forma che Kabe riconobbe come un vero sorriso. «Vogliamo tornare ad Aquime? Ho molto lavoro da fare.» | << | < | > | >> |Pagina 132«Quella non è disperazione» mormorò sommesso Ziller. «Quella è una seccatura temporanea, un'irritazione passeggera in previsione di una delusione. Non parlavo di una cosa tanto futile. Parlavo di quella cosa che ti rode l'anima, che contamina i tuoi sensi tanto che ogni tua esperienza, per quanto gradevole, si satura di bile. Della sensazione che ti spinge a pensare al suicidio.»Kabe dondolò all'indietro. «No» rispose. «No. Forse sperano di essersela lasciata alle spalle.» «Sí. Se la sono lasciata alle spalle per darla agli altri.» «Ah.» Kabe annui. «Stiamo parlando di quello che è successo alla sua gente. Be', c'è chi prova per questo un rimorso simile alla disperazione.» «La colpa è stata quasi tutta nostra.» Ziller sbriciolò nella pipa un cubetto di una sostanza resinosa, pigiandolo con un piccolo attrezzo d'argento e generando cosí altre nuvole di fumo. «Senza alcun dubbio saremmo riusciti a far scoppiare una guerra anche senza l'aiuto della Cultura.» «Non è detto.» «Io credo di si. Comunque sia... Almeno, dopo una guerra, potevamo essere costretti ad affrontare la nostra stupidità. Con il coinvolgimento della Cultura, invece, abbiamo patito le devastazioni della guerra senza poter trarre alcun vantaggio dalle sue lezioni. E cosí abbiamo dato tutta la colpa alla Cultura. «Poteva finire peggio solo se fossimo stati totalmente distrutti e, a volte, penso neanche in quel caso.» Kabe restò immobile qualche istante. Un filo di fumo azzurrognolo si levò dalla pipa di Ziller. Una volta, Ziller era stato il Prestabilito-ex-Avveduto Mahrai Ziller VIII di Wescrip. Nato in una famiglia di amministratori e diplomatici, era stato sin dall'infanzia un prodigio musicale e aveva scritto la sua prima composizione orchestrale a un'età in cui normalmente i bambini chelgriani imparavano ancora a non rosicchiarsi le scarpe. Era stato declassato a Prestabilito quando si era ritirato dall'università, scandalizzando cosí i suoi genitori. Ma anche se, durante la sua carriera, si era guadagnato una fama e una fortuna esorbitanti, riuscí a scandalizzarli ancora di piú, fino al punto di un esaurimento nervoso, quando divenne un Rinnegante di Casta di stampo radicale, entrò in politica nella cerchia degli Egualitari e usò il suo prestigio per sostenere la necessità di mettere fine al sistema delle caste. Man mano, l'opinione pubblica e quella politica iniziarono a mutare. Tutti avevano l'impressione che stesse finalmente per arrivare il Grande Cambiamento di cui si era parlato tanto a lungo. Dopo aver subito un attentato, fortunatamente fallito, Ziller rinunciò a far parte di qualsiasi casta e fu cosí considerato poco piú di un criminale: un Invisibile. Un secondo attentato riuscí quasi nel suo intento. Ziller rimase in ospedale, in punto di morte, per un quarto di anno. Nessuno sa se la sua momentanea lontananza dall'arena politica sia stata cruciale per gli avvenimenti che seguirono ma, quando Ziller si ristabilí del tutto, il corso degli eventi era di nuovo mutato. Era cominciato un periodo di violente ripercussioni e sembrava che qualsiasi speranza di ottenere un cambiamento significativo fosse svanita per almeno una generazione. Durante gli anni dell'impegno politico, la produzione musicale di Ziller aveva sofferto, se non altro in quantità. Annunciò quindi di voler abbandonare la vita pubblica per concentrarsi sulla composizione, alienandosi i suoi antichi alleati liberali e rallegrando i conservatori che prima gli erano stati nemici. Ma anche cosí, nonostante enormi pressioni, non rinunciò alla sua condizione sociale di Invisibile, anche se veniva trattato sempre piú come un Prestabilito onorario, e non diede alcun segno di sostenere lo status quo, chiudendosi in un ostinato silenzio su ogni questione politica. Il suo prestigio e la sua popolarità aumentarono sempre di piú. Venne sommerso da cascate di premi, riconoscimenti e onori. I sondaggi lo proclamarono il piú grande Chelgriano vivente. Corse voce che un giorno sarebbe stato nominato Presidente Cerimoniale. Con la sua celebrità e la sua importanza in questo crescendo di consensi, usò quello che doveva essere il suo discorso di accettazione della piú grande onorificenza civile dello Stato Chelgriano - in un'imponente e sfavillante cerimonia a Chelise, la capitale dello Stato, trasmessa in tutta la sfera dello spazio di Chel - per annunciare che non aveva mai cambiato punto di vista, era e sarebbe sempre stato un liberale e un Egualitario, era orgoglioso di aver lavorato con persone che aderivano ancora a queste vedute molto piú di quanto lo fosse la sua intera produzione musicale, detestava il conservatorismo ancora piú che in giovinezza, disprezzava ancora lo stato, la società e tutti quelli che avevano tollerato il sistema delle caste, rifiutava quell'onorificenza e avrebbe restituito tutte le altre che gli avevano conferito, e infine aveva già prenotato una traversata per abbandonare per sempre lo Stato Chelgriano perché, a differenza dei compagni liberali che lui amava, rispettava e ammirava, lui non aveva piú la forza morale per continuare a vivere in quel regime crudele, odioso e intollerabile. Il suo discorso fu accolto da uno sbalordito silenzio. Ziller abbandonò il palco di fronte ai fischi e le urla e passò la notte in un complesso dell'ambasciata della Cultura, mentre ai cancelli una folla inferocita latrava chiedendo il suo sangue. Una nave della Cultura lo portò via il giorno dopo. Negli anni successivi, viaggiò a lungo nella Cultura e infine andò a vivere sull'Orbitale Masaq'. Ziller era rimasto su Masaq' anche dopo l'elezione di un Presidente Egualitario su Chel, sette anni dopo aver abbandonato il pianeta. Le riforme furono abrogate e gli Invisibili e le altre caste furono infine affrancate. Eppure, nonostante le numerose richieste e gli inviti, Ziller non era tornato in patria, senza peraltro offrire molte spiegazioni. Tutti davano per scontato che fosse perché il sistema delle caste sarebbe esistito comunque. Per far accettare le riforme alle caste superiori, il compromesso stabiliva che i cittadini avrebbero conservato il titolo e la casta di appartenenza nella loro nomenclatura legale e che una nuova legge sulla proprietà avrebbe assegnato le terre dei clan ai parenti stretti del loro leader. In cambio, gli individui di ogni livello sociale erano ora liberi di sposarsi e procreare con chi volevano; in una coppia, entrambi i partner avrebbero assunto il titolo della casta piú elevata tra i due e la loro prole lo avrebbe ereditato; tribunali di casta regolarmente eletti avrebbero sovrinteso alla rinomina degli individui che ne facevano domanda e quindi, in teoria, ognuno era quello che voleva, anche se un tribunale lo avrebbe comunque chiamato con il suo nome di nascita o di rinomina. Rispetto al vecchio sistema, il cambiamento era enorme, sia dal punto di vista legale che comportamentale, ma le caste erano sempre in piedi e tutti pensavano che a Ziller questo non bastasse. In seguito, la coalizione dominante su Chel elesse Presidente uno Sterilizzato, come simbolo efficace e sorprendente del suo cambiamento. Il regime sopravvisse a un colpo di stato di alcuni ufficiali della Guardia e sembrò rafforzato da quell'esperienza poiché, in apparenza, il potere e l'autorità furono distribuiti nelle vecchie caste inferiori, eppure Ziller, forse piú popolare che mai, non ritornò neanche quella volta, dichiarando che sarebbe stato a guardare. Successe qualcosa di terribile, e Ziller ne fu testimone. Ma continuò a non tornare in patria, persino dopo la Guerra delle Caste scoppiata nove anni dopo la sua partenza e, si sarebbe saputo in seguito, provocata dalla Cultura. | << | < | > | >> |Pagina 183Entrambi sapevano che nello sviluppo di qualsiasi civiltà duratura giungeva il momento in cui i suoi abitanti potevano registrare il proprio calco mentale tramite la totale scansione della personalità di un individuo, che poteva essere conservata, duplicata, letta, trasmessa e infine installata dentro qualsiasi dispositivo o organismo adeguatamente complesso.In un certo senso, la piú drastica tra tutte le posizioni riduzioniste era diventata concreta: tutti riconoscevano che la mente derivava dalla materia e che era possibile definirne i fondamenti in termini materiali. Ma non tutti volevano raggiungere questa consapevolezza. Alcune società avevano raggiunto l'orizzonte di questa conoscenza ed erano state sull'orlo di controllare ogni suo effetto, per poi decidere di voltare lo sguardo altrove, perché non volevano perdere i vantaggi della loro fede, minacciata da questo sviluppo. Altre avevano invece accettato lo scambio e ne erano state danneggiate, smarrendosi per vie che all'epoca sembravano ragionevoli e persino rispettabili, ma che alla fine le avevano condotte all'estinzione. Ma quasi tutte le società avevano aderito alle tecnologie che derivavano da questa conoscenza e ne erano state lentamente trasformate. Era il caso della Cultura, per esempio: chiunque poteva effettuare una copia di sicurezza di se stesso ogni volta che stava per compiere un'azione pericolosa, poteva creare altre versioni di se stesso e utilizzarle per la consegna di messaggi o per intraprendere molteplici esperienze nei luoghi piú svariati e in un vasto assortimento di forme fisiche o virtuali, poteva trasferire completamente la propria personalità originale in un altro corpo o in una macchina e poteva fondersi con altri individui - valutando la propria individualità rispetto a una totalità consensuale - in macchine progettate per questo genere di intimità metafisica. La storia del popolo Chelgriano aveva deviato dalla norma. Il dispositivo installato in ogni individuo, il Salvanima, veniva usato solo di rado per far resuscitare il suo proprietario. Al contrario, veniva utilizzato per salvaguardare l'anima, la personalità dell'individuo defunto, e farla cosí accettare in paradiso. Come era accaduto a molte specie intelligenti, la maggior parte dei Chelgriani credeva da tempo immemore in un luogo dove i morti si riunivano dopo la vita. Su Chel, era nata ed era morta tutta una varietà di culti, fedi e religioni, ma la dottrina che infine aveva dominato il pianeta, quella che era stata esportata tra le stelle quando la specie aveva raggiunto l'era dei viaggi spaziali, parlava ancora di un aldilà mitico, dove i buoni sarebbero stati ricompensati con un'eternità di nobile gioia e i malvagi sarebbero stati condannati per sempre alla servitú, qualunque fosse stata la loro casta in tempo di vita. Secondo i documenti che le antiche civiltà piú meticolose della galassia conservavano e analizzavano con cura, i Chelgriani avevano persistito con la loro religiosità molto dopo l'avvento della metodologia scientifica ed erano stati tra i pochi nella storia post-contatto a conservare un ordine sociale talmente discriminatorio come il loro sistema di caste. Ma nessun documento aveva mai lasciato presagire quanto successe poco dopo che i Chelgriani svilupparono i metodi per trascrivere la propria personalità in un mezzo diverso dal loro cervello. La Sublimazione era uno stadio della vita galattica che tutti avevano ormai accettato, pur giudicandolo ancora misterioso. Era l'abbandono della vita materiale dell'universo e l'ascensione a uno stadio dell'esistenza piú elevato, basato sulla pura energia. In linea teorica, qualsiasi singolo individuo biologico o meccanico poteva Sublimare, ma in genere scomparivano nello stesso istante intere fette di una società e di una specie, se non addirittura civiltà intere in un colpo solo (la Cultura era l'unica a temere che questa assolutezza fosse in qualche modo coercitiva). In genere, i segnali che indicavano l'imminenza della Sublimazione di una società erano molteplici (la diffusione della noia esistenziale, il ritorno in auge di religioni e altre teorie irrazionali quiescenti, l'interesse per la mitologia e la metodologia della Sublimazione) e quasi sempre il fenomeno capitava a civiltà antiche e ben radicate. Per una civiltà, la successione delle fasi di «progresso, contatto, sviluppo, espansione, raggiungimento di uno stadio di equilibrio e infine Sublimazione» era l'equivalente della Sequenza Principale di una stella. Secondo un'altra tradizione, invece, una civiltà poteva anche andare avanti (principalmente) per la sua strada all'infinito, satura di conoscenza e con la gradevole sensazione di essere invulnerabile. Anche in questo caso, la Cultura era stata un'eccezione, visto che non si era tolta di mezzo con una decorosa Sublimazione, né aveva rivendicato il suo posto al tavolo della saggezza galattica per abbandonarsi ai ricordi in compagnia di tutte le altre civiltà sofisticate; aveva scelto di comportarsi da adolescente idealista. | << | < | > | >> |Pagina 268«Mozzo.»«Ziller. Buona sera. Si sta divertendo?» «No. Tu invece?» «Naturalmente.» «Sí? È possibile che la vera felicità sia tanto... scontata? Che cosa deprimente.» «Ziller, io sono una Mente del Mozzo. Io bado a un Orbitale intero e, se mi è concesso dirlo, assolutamente favoloso, per non parlare dei cinquanta miliardi di persone di cui devo prendermi cura.» «Non era mia intenzione parlarne.» «In questo istante sto osservando una supernova in una galassia lontana due miliardi e mezzo di anni luce. Piú vicino, a soli mille anni, un pianeta moribondo orbita nell'atmosfera di una gigante rossa e scende lento verso il suo nucleo. Attraverso l'iperspazio posso anche osservare le conseguenze della sua distruzione mille anni dopo. «All'interno del nostro sistema, sto seguendo la traiettoria di milioni di comete e di asteroidi e sto guidando le orbite di decine di migliaia di loro, con l'intenzione di usarne alcuni come materia prima per modificare e abbellire le Placche e di toglierne di mezzo altri. L'anno prossimo, farò passare una grande cometa direttamente attraverso l'Orbitale, tra l'Orlo e il Mozzo. Sarà un evento spettacolare. In questo istante, corrono verso di noi diverse centinaia di migliaia di corpi celesti piú piccoli che ho messo da parte per realizzare uno straordinario spettacolo di luci in occasione della prima della sua nuova opera orchestrale, alla fine del Periodo delle Novae Gemelle.» «Era che...» «Nello stesso momento, è ovvio, sono in comunicazione simultanea con centinaia di altre Menti. Con migliaia, nel corso di ogni giornata. Menti a bordo di navi di qualsiasi tipo: alcune che si avvicinano, altre appena partite; alcune che sono vecchie amiche, altre che condividono interessi simili ai miei, oltre a numerosi Orbitali e Sapienti Universitari. Possiedo undici Costrutti Mentali Itineranti e nel corso del tempo ognuno di essi percorrerà tutta la galassia, alloggiando con altre Menti nel substrato dei processori di VGS e di vascelli piú piccoli, di altri Orbitali, di navi Ulteriori ed Eccentriche, insieme a Menti di vari altri tipi. Posso solo immaginare e attendere con impazienza di scoprire quale sarà il loro aspetto e in cosa mi cambieranno questi miei gemelli, a me un tempo identici, quando torneranno da me e decideremo se ricongiungerci.» «Mi sembra tutto molto...» «Seppure attualmente io non ospiti nessun'altra Mente, sono impaziente che avvenga anche questo.» «... affascinante. Dunque...» «In aggiunta, i Complessi di Controllo Produttivo dei Sottosistemi di Fabbricazione mantengono con me un continuo e interessante dialogo. Nel giro di un'ora, a esempio, in un cantiere navale situato in una caverna sotto i Monti Paratia di Buzuhn, nascerà una nuova Mente, che sarà installata in un'UGC prima della fine dell'anno.» «Continua pure.» «Nel frattempo, attraverso una delle mie unità di collegamento planetario sto osservando un paio di sistemi ciclonici che si scontrano su Naratradjam Primo e sto componendo una glifosequenza sugli effetti dei fenomeni atmosferici ultraviolenti sulle ecosfere altrimenti abitabili. Qui su Masaq', sto osservando una successione di valanghe che cadono dalle Montagne di Pilthunguon su Hildri. un tornado che attraversa turbinoso la Savana di Shaban su Akroum, un'isola vortice che sta figliando nel Mare di Picha, l'incendio di una foresta a Molben, l'alta marea che si incanala su per il Fiume Gradeens, uno spettacolo pirotecnico sulla città di Junzra, l'ossatura di una casa in legno che viene issata in un villaggio di Furl, un quartetto di amanti sulla cima di un colle a...» «Ti sei perfettamente...» «...Ocutti. Poi ci sono i droni e gli altri senzienti autonomi, con cui ho un collegamento diretto ad alta velocità, oltre agli umani e agli altri esseri biologici provvisti di innesti, coi quali converso direttamente. Inoltre, ho milioni di avatar come questo e in questo istante quasi tutti stanno parlando con delle persone.» «Hai finito?» «Si. Ma se il resto le sembra un po' astruso, pensi solo a tutti gli avatar presenti a raduni, concerti, balli, cerimonie, feste e pranzi. Pensi a tutte le conversazioni, le idee, la vivacità, lo spirito!» «Pensa a tutte quelle stronzate, alle fesserie e alle contraddizioni, all'autoesaltazione e all'autoinganno, alle stupide e noiose sciocchezze, ai penosi tentativi di fare buona impressione e ingraziarsi qualcuno, alla stolidità, all'incomprensione e all'incomprensibile, alla diffusione delle droghe ghiandolari e a tutta quella soffocante ottusità.» «Quelli sono gli scarti, Ziller. Io li ignoro. Posso rispondere in modo cortese e, quando serve, appropriato al seccatore peggiore di tutti senza mai cedere, per tutta l'eternità, e questo non mi costa nulla. È come ignorare le parti noiose dello spazio che si frappongono tra le parti piú belle, come i pianeti e le stelle e le navi. E comunque, anche quelle non sono mai del tutto noiose.» «Non posso dirti quanto io sia felice che tu viva un'esistenza tanto completa, Mozzo.» «Grazie.»
«Ora potremmo parlare di me, per un attimo?»
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