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| << | < | > | >> |IndicePrefazione all'edizione italiana 5 1. Problemi di natura storiografica 5 2. Storia del libro e storia dei mezzi di comunicazione 6 3. Le rivoluzioni nei mezzi di comunicazione 8 4. Politiche della ricezione 9 Introduzione 11 1. Etimologia 11 2. Definizioni 13 3. Storie di libri 14 4. Prospettive 16 PARTE PRIMA L'EPOCA DEL MANOSCRITTO Capitolo primo L'invenzione della scrittura: il libro nell'antichità 21 1. Com'è nata e si è evoluta la scrittura? 21 1.1 Le prime scritture 21 1.2 La scrittura alfabetica greca e latina 26 1.3 Altri alfabeti 27 1.4 Conseguenze dell'invenzione dell'alfabeto 30 2. L'antichità epocale dei rotoli 32 2.1 Il volumen 32 2.2 Copiare 34 2.3 Leggere 35 3. La produzione e la diffusione libraria nell'impero romano 37 3.1 Pubblicare 38 3.2 Vendere 40 4. Le biblioteche 43 4.1 Il sogno di Alessandria 43 4.2 Le biblioteche romane 47 Capitolo secondo Dall'alto Medioevo all'epoca carolingia 51 1. La rivoluzione del codex 51 1.1 La minuscola corsiva 51 1.2 Il codex 53 1.3 La generalizzazione del codex 54 1.4 Le conseguenze dell'invenzione del codex 55 2. La Chiesa primitiva e i libri 57 2.1 L'eredità antica 57 2.2 La Chiesa primitiva 59 2.3 Le prime biblioteche cristiane 61 3. Il monachesimo 63 3.1 Il monachesimo orientale 63 3.2 In Occidente 64 4. La rinascita carolingia 67 4.1 La renovatio imperii 67 4.2 La riforma dei libri 69 5. Forme del libro e pratiche di lettura 71 5.1 La fabbricazione del libro 71 5.2 La struttura del libro 74 5.3 Illustrazione e decorazione 75 5.4 Le pratiche di lettura 77 6 Il Mediterraneo orientale 80 6.1 Il mondo bizantino 80 6.2 I musulmani e i libri 83 Capitolo terzo L'apertura al libro (dal X all'inizio del XV secolo) 87 1. La congiuntura generale: dalla disgregazione alla crescita 87 1.1 La disgregazione del mondo carolingio 87 1.2 La congiuntura cambia di segno 88 1.3 Conseguenze 93 1.4 Il libro e il secolo 94 1.5 La Scolastica e il gotico 97 2. Le forme del libro 100 2.1 I formati 100 2.2 Il testo 102 2.3 L'immagine 103 2.4 La decorazione 107 2.5 La legatura 108 3. Il XIII e il XIV secolo 109 3.1 La specializzazione 109 3.2 Gli ordini regolari 110 3.3 Le reti del manoscritto 111 PARTE SECONDA LA RIVOLUZIONE DI GUTENBERG Capitolo quarto Gutenberg prima di Gutenberg 117 1. I nuovi rapporti con la scrittura e il libro 117 1.1 Tipologia del libro 117 1.2 Le «storie» 118 2. Pratiche libresche e sensibilità religiose 121 2.1 Nuovi libri 121 2.2 Gli scontri religiosi in Boemia 124 2.3 La devotio moderna 127 3. Il «rinascimento scrittorio» 129 3.1 Le innovazioni pratiche 130 3.2 La carta 131 3.3 L'incisione sul legno 133 3.4 La geografia dell'innovazione 137 Capitolo quinto Gutenberg e l'invenzione della stampa 141 1. Johann Genfleisch, detto Gutenberg 141 1.1 I segni premonitori dell'invenzione 141 1.2 Il laboratorio di Magonza 143 2. Le tecniche 146 2.1 I caratteri tipografici e la macchina fonditrice 146 2.2 Il torchio tipografico 147 2.3 Il commercio e la circolazione del materiale tipografico 149 2.4 La stampa in Estremo Oriente 150 3. Le pratiche 152 3.1 La composizione 152 3.2 La stampa 154 3.3 L'organizzazione del lavoro 155 3.4 Maestri e compagni d'arte 157 4. La tipografia conquista il mondo 160 4.1 L'Italia 163 4.2 La Francia 163 4.3 L'Inghilterra 165 4.4 Verso l'Europa orientale 166 Capitolo sesto Forme, contenuti, pratiche: la transizione del 1500 171 1. Come si presenta un incunabolo o un post-incunabolo? 171 1.1 Continuità formali 171 1.2. Il frontespizio 172 1.3 L'immagine e la lettera 174 1.4 Copisti, stampatori e librai 175 2. I contenuti 176 2.1 La religione 176 2.2 La lingua volgare 177 2.3 Il primo best seller 179 3. L'epoca dei nuovi libri: il Rinascimento e lo stampato181 3.1 L'Italia e il libro rinascimentale 181 3.2 Aldo Manuzio e Polifilo 183 3.3 Il libro moderno in Francia 184 4. Le letture 186 Capitolo settimo Cultura e politica: lo stampato e l'Umanesimo 191 1. A lezione di greco 191 1.1 L'epoca di Firenze 191 1.2 L'Italia settentrionale e Venezia 194 1.3 Roma 196 2. L'umanesimo parigino 197 2.1 Ellenisti e umanisti 197 2.2 Librai e stampatori umanisti 198 3. Il sovrano 202 3.1 I Valois e l'ellenismo 202 3.2 La biblioteca 204 4. L'uomo tipografico 208 4.1 Il riferimento scritto e la bibliografia 209 4.2 L'edizione scientifica 210 4.3 Un nuovo mondo 212 Conclusione: lo Stato moderno e la censura dello stampato 216 1. Categorie e tipologie dei controlli 216 2. Un labirinto di tensioni 218 3. La censura religiosa del libri a stampa 221 PARTE TERZA LA PRODUZIONE LIBRARIA D'ANCIEN RÉGIME (1520-1760) Capitolo ottavo La fede, il sovrano e lo stampato 227 1. Nel Medioevo 227 2. La Bibbia a stampa in lingua volgare prima di Lutero 228 3. La Riforma luterana 230 3.1 Lutero 230 3.2 La Riforma e i libri 232 4. In Francia: il fallimento dell'umanesimo cristiano 234 4.1 Il «gruppo di Meaux» 234 4.2 Radicalizzazione 235 4.3 Le esitazioni del potere 236 4.4 I «manifesti» del 1534 238 4.5 Il periodo di Ginevra 239 4.6 La regolamentazione della produzione libraria 240 4.7 La Riforma e la censura del libro 243 5. Roma e la Controriforma 244 5.1 La politica del papato 244 5.2 L'Indice dei libri proibiti 244 5.3 I gesuiti e la Reconquista cattolica 246 5.4 La Biblioteca Vaticana 249 6. Libro a stampa, riforma e modernità 250 6.1 La prima modernità 251 6.2 La comunicazione mediatica di massa 251 6.3 Religione e politica 253 Capitolo nono Il paradigma assolutistico: l'Europa moderna e il libro stampato 273 1. Che cos'è il XVII secolo? 273 2. Congiunture e geografie del libro stampato 275 2.1 La Francia 275 2.2 L'Europa del Sud 276 2.3 Le «potenze del Nord»: Germania e Paesi Bassi 278 2.4 L'ascesa dell'Inghilterra 283 3. Lingue e contenuti 287 3.1 Lingue di pubblicazione 287 3.2 Contenuti 289 3.3 Il «miracolo del 1620» 290 4. La produzione e il commercio librario 294 4.1 Condizioni e organizzazioni del commercio librario295 4.2 Le fiere 296 4.3 Le reti non specializzate 297 5. L'opinione pubblica 298 5.1 La produzione a stampa di carattere popolare 299 5.2 Gli «avvisi» 301 5.3 «Gazette» e accademismo 304 5.4 Il sistema della produzione libraria francese 307 Capitolo decimo L'ascesa del pubblico: lo stampato e l'Illuminismo (1680-1770) 311 1. Le spinte 311 1.1 Chiusura o apertura? 311 1.2 Le condizioni generali 312 1.3 La politica come ragione 314 1.4 L'insegnamento 316 2. Le resistenze 318 2.1 Controlli 318 2.2 Privilegi e gerarchie 320 3. Le reti del libro 323 3.1 Nelle città 324 3.2 Nel mondo rurale 326 4. La stampa periodica 329 4.1 La produzione 329 5. Le reti sociali dello stampato 332 5.1 Collezioni e biblioteche 332 5.2 Le società 335 5.3 Il campo letterario 336 Capitolo undicesimo L'Ancien Régime: le forme dello stampato 343 1. I caratteri 343 1.1 La tipografia 343 1.2 La musica 348 2. La struttura del libro in età moderna 349 2.1 I formati 349 2.2 I frontespizi 350 2.3 Frontespizi incisi e tavole illustrate 351 2.4 Capitoli e capoversi 354 3. Le tecniche dell'immagine 356 3.1 Il legno 356 3.2 Il rame 358 3.3 Il problema del colore 359 4. Gli stili 361 4.1 Il concetto di stile 361 4.2 Il gotico e il Rinascimento 362 4.3 Il barocco 363 4.4 Assolutismo e classicismo 365 4.5 L'Illuminismo 367 PARTE QUARTA LA SECONDA RIVOLUZIONE DEL LIBRO E L'INVENZIONE DELLA COMUNICAZIONE DI MASSA (1760-1914) 373 Capitolo dodicesimo Ancien Régime e modernità 373 1. L'economia del libro 373 1.1 Un'economia sottopotenziata 373 1.2 Lo scritto è ovunque 377 2. Letture d'Ancien Régime 383 2.1 Questioni preliminari 383 2.2 Tipologie 384 2.3 La «rivoluzione della lettura» 386 3. Tollerare o riformare? 388 3.1 Un'impossibile tolleranza? 388 3.2 La congiuntura del 1760 390 3.3 Sviluppo della funzione editoriale 395 4. Produzioni 397 4.1 La Francia 397 4.2 Qualche congiuntura europea 402 5. Preludio a una rivoluzione 405 5.1 Le logiche del cambiamento 405 5.2 La via inglese 406 5.3 La Germania e la produzione libraria nazionale 410 Capitolo tredicesimo I mezzi di comunicazione e la Rivoluzione politica 413 1. La politica e il mercato 413 1.1 In America 414 1.2 La Rivoluzione francese e la regolamentazione della stampa 417 1.3 La politicizzazione dei mezzi di comunicazione 419 1.4 La politica del XIX secolo 425 1.5 I libri nazionali 428 2. Il paradigma nazionalistico 430 2.1 Che cos'è la nazione? 430 2.2 La Germania nazione-modello 432 2.3 La rinascita greca 435 2.4 Lo Stato sovranazionale 439 3. Forme dello stampato 444 3.1 La geografia dell'antichità 444 3.2 Baskerville e Bodoni 445 3.3 I Didot 447 Capitolo quattordicesimo Il XIX secolo industriale 449 1. L'innovazione di processo 449 1.1 Il lavoro 449 1.2 Avvio dell'innovazione di prodotto: la produzione cartaria 451 1.3 La stampa 454 1.4 La composizione 459 1.5 L'immagine 460 2. Produrre 465 2.1 Strutture e pratiche di produzione 465 2.2 L'editore industriale 469 2.3 La produzione 471 2.4 La stampa periodica industriale 474 Capitolo quindicesimo Il prodotto 481 1. L'innovazione di prodotto 481 1.1 Il commercio librario 481 1.2 I periodici 488 1.3 Le reazioni 491 2. Forme del libro e strategie di diffusione 492 2.1 I caratteri tipografici 493 2.2 L'estetica romantica 495 2.3 L'«art nouveau» 498 3. I mercati 499 3.1 I mercati integrati 499 3.2 La diffusione 500 Conclusione della quarta parte 506 Epilogo Il XX secolo: concorrenza e globalizzazione 509 1. Innovazioni e concorrenza 509 1.1 Nuovi mezzi di comunicazione 509 1.2 Le innovazioni del XX secolo 510 2. La postmodernità 514 2.1 Logiche non alfabetiche 515 2.2 Il problema dello sviluppo 516 2.3 L'economia: integrazione e concentrazione 516 3. La tipografia e la produzione libraria industriale 522 3.1 Le tecniche 522 3.2 Il libro: sovrapproduzione? 525 3.3 Una crisi strutturale 528 3.4 Il libro elettronico 535 4. Lo storico e le rivoluzioni mediatiche 537 Nota 541 Lista delle abbreviazioni 542 Postfazione 543 Per una storia della comunicazione scritta di Mario Infelise 543 Bibliografia 561 |
| << | < | > | >> |Pagina 5Proporre in poche centinaia di pagine una storia del libro il cui progetto coincide in parte con quello, ben più vasto, di una Storia dello scritto, potrebbe certo sembrare una sfida temeraria. Prima di affrontarla, ci sia consentito avanzare qui qualche chiave di lettura per facilitare tanto l'orientamento quanto la prospettiva storica, se non addirittura per esaminare alcune delle problematiche odierne. Il libro è un oggetto ibrido, un oggetto a lungo considerato dagli storici solo come una fonte d'informazione fra le tante, suscettibile, a questo titolo, di un'analisi attinente alla critica delle fonti. Per esempio, la Dîme royale di Vauban, vale a dire il primo abbozzo di contabilità nazionale francese, sino a non molto tempo fa è stata considerata più o meno solo come una testimonianza della «crisi della coscienza europea» e delle gravi difficoltà che tormentavano la Francia alla fine del regno di Luigi XIV. Un approccio del tutto diverso è quello avviato soprattutto nella tradizione storiografica tedesca, a partire dalla sociologia della letteratura. Lo studio del testo e della sua diffusione sfociano dunque nell'elaborazione di tipologie socio-culturali e nella storia della ricezione e della lettura. E altre strade ancora sono state tentate, guardando al mondo del libro da un punto di vista prettamente economico o riferendolo a categorie di ordine politico. La storia del libro è così «una storia fra le storie». Ma il libro è inoltre un oggetto estremamente simbolico da un punto di vista politico, se non addirittura etico, e la sua storia è stata perciò a lungo trattata secondo schemi e interpretazioni di tipo impegnato. Sul piano politico, le collettività si identificano con un patrimonio intellettuale e artistico conservato in gran parte sotto forma di libri. Pensiamo alla questione del «canone» e dei «classici», o anche alla dimensione simbolica che è quella delle Biblioteche nazionali. Sul piano etico, i libri sono in qualche modo un deposito del patrimonio dell'umanità: basti pensare ai giudizi di valore che oppongono sempre, malgrado le recenti evoluzioni, la cultura del libro a quella della televisione. Quando lo storico affronta il mondo del libro, il minimo che si possa dunque dire è che egli procede su un terreno minato. Numerose evidenze si offrono alla ricerca per poi trasformarsi poco a poco in configurazioni assai più complesse, in effetti prospettici o in un gioco di specchi nel quale, come in un labirinto rinascimentale, abbiamo sempre l'impressione di perderci. D'altro canto anche lo storico, come altri specialisti (e in particolare gli artisti), è un mediatore della memoria collettiva: la società non vive in una dimensione di pura istantaneità. Perciò è necessario provare a formulare delle letture del passato che le consentano di elaborare se stessa nel presente, e insieme di delineare un avvenire possibile. [...] Vediamo come, a tutti i livelli (e non solamente quando affronta lo studio della stampa, della censura e del controllo), lo storico del libro finisce per confrontarsi con problemi di ordine politico, vale a dire inerenti alle scelte e ai modelli che regolano la società. E ciò non accade senza una ragione: storici della letteratura e semiologi da molto tempo sottolineano il fatto che il messaggio non è dato a priori, ma che esso si definisce anche attraverso le categorie della propria ricezione e, dunque, diventa necessario assumere il controllo di quest'ultima, in maniera diretta o, più spesso, indiretta. Senza soffermarci esclusivamente sulle politiche di alfabetizzazione e scolarizzazione, ricordiamo per esempio i commenti negativi suscitati, nel XVIII secolo, dal progresso della lettura fra le donne, soprattutto allorché si trattava di romanzi. È dunque impropriamente che si designano come mezzi di comunicazione i soli mezzi di comunicazione di massa. La dimensione politica della mediatizzazione è fondamentale, e se i mezzi di comunicazione sono divenuti i mezzi di comunicazione di massa, è perché questi corrispondevano ai bisogni di una società il cui modello era a sua volta divenuto quello della partecipazione allargata: partecipazione religiosa (con la Riforma protestante), partecipazione economica (con il consumo di massa), partecipazione politica (con la democrazia). Ciò non significa che, anteriormente alla logica di massa, i mezzi di comunicazione non esistevano: semplicemente, articolandosi con un dato livello tecnologico, essi rispondevano ai bisogni di una società nella quale la partecipazione «attiva» coinvolgeva solo una minoranza più o meno ristretta, mentre la maggioranza restava a lungo esclusa dalle procedure della comunicazione sociale avanzata, se non addirittura dagli schemi della coscienza collettiva. Ma l'alienazione sembra indossare sempre più spesso il volto del denaro. Ancora attuale è il commento di Lamennais pronunciato durante la Restaurazione del 1848, «Silenzio ai poveri!». E sempre attuali sono quei fenomeni di alienazione denunciati da Brecht, Horkheimer e Adorno. Se oggi la censura non si riconosce volentieri come tale, il fenomeno è tutt'altro che scomparso, e i rischi di stravolgimento sono molti e reali: la ricerca di un adeguamento alle presunte attese del pubblico orienta la produzione intellettuale e artistica, la concentrazione nel campo dell'editoria si accompagna ad una forma di conformismo più o meno implicito, mentre il controllo dei grandi media a opera di interessi particolari avrebbe bisogno di contrappesi, per non parlare, infine, dei problemi nati dalla globalizzazione. Questa prospettiva offre un nuovo punto di vista: coloro che sono esclusi dalla città, coloro che non «partecipano» o non «contano», sono anche coloro che non parlano o che sono esclusi come protagonisti tanto dal sistema mediatico quanto dalla memoria collettiva. Lo storico sa molto bene che in generale le fonti disponibili «dimenticano» quasi sempre coloro che chiamiamo talvolta la «gente comune». Queste masse sono state a lungo la grandissima maggioranza, ma non è affatto certo che l'utopia dell'Illuminismo e quella della democrazia non siano destinate a rimanere ancora per molto tempo delle pure e semplici utopie, su scala «globalizzata» e nell'epoca del cosiddetto «villaggio globale». Da ultimo, lo storico, che è anche lui un uomo del libro, si scusa per aver lasciato trapelare qua e là una certa compiacenza verso il proprio oggetto di ricerca, un oggetto che è anche, in buona misura, la sua vita quotidiana: il libro. Chatou, febbraio 2004 | << | < | > | >> |Pagina 11È evidente pertanto che gli angeli non hanno affatto bisogno di quel segno che è il linguaggio, perché possiedono per manifestare i loro gloriosi pensieri una prontissima e ineffabile capacità intellettuale: grazie ad essa si rivelano totalmente l'un all'altro di per se stessi, o forse si conoscono in quello Specchio fulgentissimo in cui sono tutti riprodotti nella loro somma bellezza e in cui tutti ardentissimamente si specchiano. [...] Quanto agli animali inferiori, non era opportuno provvedere di un linguaggio neppure loro, perché sono guidati dal solo istinto naturale. Tutti gli animali della stessa specie hanno infatti gli stessi atti e le stesse passioni...Che cos'è un libro? Per il senso comune, la domanda è una falsa domanda. Ma, se il libro è effettivamente un oggetto comune e onnipresente, proprio la sua evidenza lo circonda di quel primordiale manto di tenebre descritto da Dante. Il termine libro indica un oggetto formato da un insieme di fogli contenenti o meno un testo e riuniti da una legatura o una brossura. Secondo il Dictionnaire di Moreri, «è un gruppo di fogli uniti assieme sui quali compare uno scritto». Questa definizione è riferita in primo luogo a un oggetto fisico, come attesta l'etimologia: nelle lingue latine, la parola deriva dal latino liber (fr. livre, it. libro, sp. libro, port. livro), termine che indica la pellicola di un albero compresa fra la corteccia esterna e il legno propriamente detto, ovvero un primo supporto scrittorio. Alcuni umanisti italiani, partiti alla ricerca di testi dell'antichità classica nella biblioteca del monastero di San Gallo, vi scoprono nel 1416 un libro fatto di corteccia d'albero: alcuni tipi di corteccia erano chiamati in latino libri e secondo Gerolamo i libri derivavano il loro nome da ciò. Sebbene tale libro contenesse argomenti che non erano vera letteratura, gli riservai la massima devozione, a causa della sua pura e santa antichità... La stessa osservazione è valida per le lingue germaniche, dove la parola deriva dall'antico alto tedesco bokis (ingl. book, ted. Buch), termine che designa il faggio. E in greco la parola libro è resa con biblion (...) derivato di biblos (...) il nome del papiro egiziano: da qui innumerevoli altri derivati come biblioteca (..., etimologicamente l'armadio dei libri), come pure il nome del libro per eccellenza (la Bibbia) e il nome del libraio in latino medievale, bibliopola (...). La filiazione è meno chiara nelle lingue slave, dove la parola deriva dallo slavo antico *knigy (di solito al plurale), con il senso di «libri», ma altresì di «scrittura», «diplomi», «documenti» o «lettere» (dell'alfabeto). La ricerca attuale esita fra un'origine cinese (king) o assira (kunukku, sigillo) con mediazione armena e turca, ma sono state anche avanzate ipotesi che si riferiscono all'antico islandese (kenning, nota) o talora al germanico (*kunning). Non è ammessa in genere l'ipotesi di un'origine specificatamente slava, il che fa propendere per un prestito dall'esterno della tecnica e del vocabolario del libro. È possibile chiedersi se anche l'ungherese köniv non sia, a sua volta, un prestito dallo slavo. Le altre parole ungheresi sono costruite sulla stessa radice, come per esempio könivtar (biblioteca). | << | < | > | >> |Pagina 23Le origini della scrittura risalgono al IV millennio a.C. (epoca neolitica) in Mesopotamia, e si basano innanzitutto sull'utilizzo dei calculi, oggetti o disegni simbolici che servivano a tenere la contabilità dei beni. Il passaggio alla scrittura vera e propria resta tuttavia enigmatico: si tratta di un fenomeno legato alla facoltà di esprimere un pensiero concettuale, e forse dunque alla biologia del cervello umano.È possibile distinguere grosso modo i seguenti tre tipi principali di scrittura, in funzione dell'analisi dei caratteri che li compongono: 1) i pittogrammi compaiono verso il 3300 a.C. in Mesopotamia, presso Bassora, e rappresentano oggetti concreti per mezzo di un disegno. Il supporto onnipresente è costituito dalla tavoletta d'argilla, ma sono state anche utilizzate tavolette di cera e pelle di montone. Lo strumento abituale di scrittura è il calamo (una sottile canna tagliata obliquamente), che permette di moltiplicare gli effetti d'incisione, facendo per così dire «esplodere» il disegno figurativo di base: è la scrittura cuneiforme (< lat. cuneus, cuneo). Il cuneiforme è, sino al 70 d.C. (data della distruzione del Tempio di Gerusalemme), la scrittura più diffusa nel Medio Oriente, nei territori dell'Iraq e dell'Iran attuali, in Anatolia, lungo la costa mediterranea, per un periodo addirittura in Egitto. La maggior parte dei testi conservati riguarda la gestione quotidiana degli affari (inventari, ecc.), ma anche la pratica magico-religiosa (sortilegi, testi propiziatori, ecc.). Anche i testi letterari conservati nella biblioteca di Assurbanipal sembrano avere una funzione pratica; 2) gli ideogrammi nascono dalla moltiplicazione infinita dei pittogrammi (per trascrivere un numero d'enunciati a sua volta infinito), dalla difficoltà di esprimere un concetto astratto per mezzo di pittogrammi, e soprattutto dalla necessità di notare una determinata lingua in una scrittura che si rivela inadatta. L'ideogramma rappresenta il suono (è un fonogramma), e la combinazione degli ideogrammi permette di scrivere parole nuove con lo stesso principio di un rebus: così, il segno indicante un cane rappresenterà anche il suono cane all'interno di una parola come canestro. Tali modificazioni sono state inoltre favorite innanzitutto dalla presenza di numerose parole monosillabiche in sumero, e poi dal fatto che la scrittura sumerica era impiegata per la notazione della lingua accadica, una lingua semitica. Questa tappa è assolutamente fondamentale, in quanto essa introduce il principio della «semìa sostitutiva»: il segno non rinvia più direttamente all'oggetto, ma invece a un altro segno, in questo caso acustico, ossia la parola; 3) le scritture ideografiche tendono progressivamente a trasformarsi in scritture sillabiche, nelle quali gli ideogrammi rappresentano i suoni successivi di ogni parola. Le scritture sillabiche sono, insieme agli ideogrammi cuneiformi e alla scrittura geroglifica egizia, le più importanti dell'antichità pre-classica. I geroglifici nascono verso il 3150 a.C., e la tradizione vuole che a inventarli sia stato Thoth (Theuth), il dio della Luna con testa di ibis (o di babbuino), che è il misuratore del tempo, il dio dei sapienti, il patrono tutelare degli scribi, e che svolge egli stesso la mansione di segretario degli dèi: conserviamo alcune rappresentazioni di ibis votivi, in legno dorato e argento. Più tardi Thoth, il dio taumaturgo, diventerà colui al quale ci si appella per gettare un sortilegio o per guarire con la fascinazione dei geroglifici. La dimensione magica della scrittura ha in effetti una diffusione molto ampia (pensiamo al caso delle rune) e perdura talvolta sino ai giorni nostri. Si distingue di solito una scrittura egizia monumentale, una scrittura ieratica (utilizzata dagli scribi), più corsiva, e una scrittura demotica, ancor più corsiva. Infine, gli egizi del periodo tardo impiegavano anche l'alfabeto greco. Questi tre tipi di base corrispondono a una costruzione ideale: la scrittura non costituisce mai, in realtà, un sistema che sviluppa una logica univoca. A seconda delle necessità, la scrittura mesopotamica, e soprattutto quella egizia, mettono insieme logiche diverse (ideogrammi, fonogrammi e determinativi), dando luogo a un sistema molto complesso, che favorirà la specializzazione. Una categoria sociale specifica, nell'antico Egitto, era responsabile di tale ambito, la categoria degli scribi, il protettore dei quali era l'architetto divinizzato Imhotep. | << | < | > | >> |Pagina 383.1 Pubblicare A Roma, la scrittura e la diffusione libraria sono legate alla «cosa pubblica» (res publica) o alla «pubblicità». Il testo, una volta redatto, passa nel circuito pubblico, ma secondo protocolli molto diversi. La diffusione può avvenire innanzitutto attraverso la lettura orale, eseguita solitamente dall'autore o dal depositario del testo in una sala di lettura (auditorium) al cospetto di una cerchia di amici e conoscenti, se non addirittura in un odeon, un piccolo teatro coperto destinato agli spettacoli musicali, alle declamazioni e alle letture. Plinio il Giovane racconta i motivi che lo spingono alla pratica della lettura pubblica:Venuto nella deliberazione di dare pubblica lettura di un mio lavoretto oratorio che avrei l'intenzione di pubblicare, ho convocato delle persone in numero sufficiente, perché m'impedissero di prendere la cosa alla leggera, ma anche ristretto, per sentirmi dire la verità. Lo scopo infatti che mi prefiggo in queste letture è duplice: il primo di essere costretto dall'apprensione del pubblico a tendere tutte le mie energie, il secondo di essere avvisato di quelle manchevolezze che, trattandosi di un'opera mia, io non riuscissi a vedere. Ho ottenuto ciò che chiedevo, ho trovato individui disposti a mettermi generosamente a parte delle loro vedute; inoltre io mi sono personalmente preso degli appunti per alcune correzioni. Le ho apportate al mio testo e te lo trasmetto. Ne conoscerai l'argomento dal titolo [...]. Vorrei che tu mi rispondessi indicandomi la tua opinione sia sul complesso che sulle singole parti. Mi atterrò infatti ad una maggiore prudenza, trattenendo [in continendo] l'opera, o ad una più sicura risolutezza, pubblicandola [in edendo], a seconda che la tua autorevolezza appoggerà l'una o l'altra delle due alternative... . In via di principio, non appena il libro è stato donato o affidato a qualcuno – amico, collega, libraio, personaggio influente, ecc. – esso sfugge completamente all'autore: il proprietario può farlo copiare, inserirlo in una raccolta, farne comunicazione, persino diffonderlo. Il vocabolario distingue fra due azioni: edere significa far circolare un prodotto letterario senza cercare di diffonderlo ampiamente, al contrario di publicare, che descrive il processo attraverso il quale il testo viene espressamente reso pubblico. A lungo si è visto in una parte degli scritti di Cicerone una descrizione velata dei rapporti correnti fra un famoso autore e un ricco personaggio considerato il suo libraio ed editore, oltre che il primo libraio ed editore romano il cui nome ci sia pervenuto: Attico. Smisuratamente ricco, Attico ha un tenore di vita raffinatissimo, soggiorna a lunghi intervalli in Grecia, possiede collezioni d'arte ed è a sua volta un bibliofilo. Tra i suoi servitori troviamo fanciulli eruditi (pueri litteratissimi), lettori (anagnostae) e copisti (librarii), in genere schiavi di origine greca. Eppure, nessuno dei testi oggi disponibili fa capire direttamente che Attico traesse un qualche profitto da eventuali attività di fabbricazione e vendita dei manoscritti. La questione si pone infatti a un altro livello: Attico apre la propria biblioteca agli eruditi, ai letterati che potevano essere interessati, mettendo a disposizione dell'amico Cicerone i propri schiavi, liberti, segretari e copisti. Ci troviamo dunque in un mondo che, per la straordinaria ricchezza e i modi di vita, era di per sé lontanissimo dalle attività legate al commercio librario. | << | < | > | >> |Pagina 49Riassumendo, tre sono i tratti essenziali che distinguono il posto del libro, delle pratiche e dei mestieri attinenti nella Roma antica. Per prima cosa, l'importanza dei fenomeni di trasmissione culturale dalle sponde del Mediterraneo orientale, soprattutto dalla Grecia e dal mondo ellenistico. Poi il ruolo, che potremmo dire molto moderno, delle biblioteche private, intese come luoghi di lavoro e di socialità nonché come fattori di rappresentazione e distinzione sociale. Con l'avvento dell'Impero, i successori di Cesare finanziano i fora imperiali, nuovi complessi di edifici pubblici che comprendono spesso una biblioteca. A questo punto l'appropriazione dei modelli greci è compiuta e lo «stile di vita» muta in profondità: è l'epoca nella quale si impongono i grandi classici latini (Virgilio). Il libro resta un oggetto prezioso, relativamente raro e dotato di un sicuro valore commerciale, cosicché è già possibile constatare la presenza di pratiche bibliofile a Roma.Ma quasi nulla ci è pervenuto delle collezioni librarie dell'antica Roma, per effetto dei numerosi incendi che devastarono la città, delle distruzioni legate ai disordini e alle invasioni, della negligenza che caratterizza i massicci processi di trascrizione del IV e V secolo, del passaggio al cristianesimo o, più semplicemente, a causa della mancanza d'interesse e dello scorrere del tempo. | << | < | > | >> |Pagina 775.4 Le pratiche di letturaIn via di principio, il passaggio dal volumen al codex piegato e rilegato apre profonde possibilità di cambiamento nel campo della lettura. Sebbene in via generale siamo costretti a limitarci alle ipotesi, un attento esame delle forme materiali dei manoscritti ci permette di ricostruire l'evoluzione delle pratiche con un sufficiente grado di verosimiglianza. I manoscritti dell'antichità e dell'alto Medioevo si presentano sotto forma di scriptio continua, ossia una scrittura che non stacca le parole fra di loro e non ricorre mai alla punteggiatura né alla suddivisione in paragrafi. La scriptio continua impone di fatto la lettura orale: e ciò sia a livello individuale, sia per un gruppo di uditori sia, infine, attraverso la lettura di uno schiavo segretario. Possiamo legittimamente pensare che la disposizione del testo sia andata migliorando, dopo l'VIII secolo, grazie agli apporti dei popoli barbari. Nel caso dei Carolingi si tratta di far propria una cultura latina divenuta ormai irrimediabilmente estranea, tracciando un legame diretto con quella tradizione imperiale che essi erano intenzionati a far rivivere: una testimonianza eloquente sono gli sforzi fatti da Eginardo nella stesura della Vita Karoli Magni (Vita di Carlo Magno) per imitare Svetonio. La lingua degli scambi orali è, sino al VII secolo, il basso latino ma, a partire dall'VIII secolo, la tendenza verso le lingue romanze o germaniche diviene tanto più sensibile quanto più ci si sposta verso Nord. Nasce così gradatamente una lingua che non è più il latino, bensì la lingua volgare (progenitrice del francese o del tedesco). Dunque si è in pratica costretti a esaminare quest'ultima per tradurla in latino: da qui la riforma della scrittura (che sfocia alla fine nella minuscola carolina) nonché una disposizione del testo molto chiara e semplificata. I copisti adottano allora tutta una serie di nuove tecniche, tecniche che permettono la messa a fuoco del testo attraverso dispositivi formali che ne facilitano la lettura e la comprensione: le parole vengono separate le une dalle altre, l'uso delle maiuscole è relativamente normalizzato, e, soprattutto, l'analisi logica rivelatasi ormai necessaria è facilitata dallo sviluppo di specifici segni di punteggiatura. L'unica divisione interna al testo stesso resta quella, eventuale, dei «libri» (non ci sono più i capitoli). La pratica corrente di lettura è la lettura orale. Carlo Magno mentre cenava stava ad ascoltare qualche artista [acroama] o lettore. Gli venivan lette le storie e le gesta degli antichi. Gli piacevano anche i libri di S. Agostino, soprattutto quelli che sono intitolati La città di Dio. Se l'imperatore sa leggere, tuttavia non è mai riuscito a padroneggiare davvero la pratica della scrittura: Si provava anche a scrivere ed era solito, a questo scopo, tenere a letto sotto i guanciali tavole e fogli di pergamena per abituare la mano, quando aveva tempo libero, a tracciare le lettere; ma intrapresa questa fatica non a tempo e troppo tardi, ne ricavò poco. Comunque sia, la sempre maggiore precisione della disposizione del testo facilita in via di principio una pratica di lettura silenziosa che si è potuta sviluppare negli ambienti più aperti al libro: è poi possibile che la diffusione delle regole monastiche che obbligano al silenzio ne abbia facilitato il successo. | << | < | > | >> |Pagina 1022.2 Il testoLo «sforzo di chiarificazione» agisce anche nell'organizzazione del testo. Nell'XI e soprattutto nel XII secolo, tende a svilupparsi e a diffondersi ovunque il sistema di punteggiatura, con il punto (che segna la scansione principale), il punto e virgola e il punto sormontato da un accento circonflesso (per le scansioni secondarie), come pure il trattino (per la divisione di parole alla fine di linea). La punteggiatura debole è indicata da un tratto obliquo assai sottile (/), che si trasformerà poi nella virgola. L'iniziale evidenziata col colore segna l'inizio della frase, l'utilizzo del piede di mosca (¶) sostituisce la divisione in paragrafi. Le citazioni (soprattutto di brani della Scrittura) sono oggetto di un trattamento specifico. Le innovazioni più importanti nascono poi nei circoli umanistici italiani, dove vengono gradatamente utilizzati il punto esclamativo e la parentesi (inizio del XV secolo). Questo insieme sarà in buona parte conservato immutato nei primi libri a stampa. La rigatura che precede la copia può delineare un'impaginazione anche molto complessa: di solito il testo è scritto con modulo più grande e la glossa è posta a fronte dei brani corrispondenti, all'interno dei margini e con un modulo più piccolo (glossa marginale). Ma in altri casi la glossa è intercalata nel testo stesso (glossa interlineare). Entrambi i sistemi possono coesistere nella medesima pagina, a seconda del tipo di commentario: i commentari più brevi (finalizzati soprattutto a spiegare una parola) figurano come una glossa interlineare, mentre quelli più lunghi circondano il testo principale. All'occorrenza vengono usati dei sistemi di riferimento per articolare con precisione ogni glossa al passaggio cui essa si riferisce, come accade nel Virgilio appartenuto a Petrarca, risalente agli anni intorno al 1300. La numerazione dei fogli (foliazione) o delle pagine (paginazione) si diffonde solo a partire dal XII secolo, ma la presenza dei titoli correnti è di molto anteriore. L'organizzazione intellettuale del testo è comunque più evidente nei manoscritti biblici, tramite i quali nascono e vengono messi a punto gli indici della materia, gli indici metodici o analitici e i sistemi di riferimento bibliografico. Osserviamo nella stessa epoca una maggiore diffusione degli indici dei capitoli, questi ultimi talora anche numerati, ma di solito senza l'indicazione della paginazione. All'occorrenza, il contenuto dei brani è riportato a margine. E per concludere, sempre nel XII secolo, assistiamo alla creazione dei primi sistemi di indicizzazione, alcuni dei quali molto precisi ed efficaci. | << | < | > | >> |Pagina 1813. L'epoca dei nuovi libri: il Rinascimento e lo stampato3.1 L'Italia e il libro rinascimentale Per quanto riguarda la forma materiale, l'elemento innovativo più appariscente consiste nella presentazione cosiddetta «rinascimentale», che compare in Italia e si diffonde poi per tutta Europa: lo stivale è infatti un «grande laboratorio», secondo la felice espressione di André Chastel. Gli umanisti italiani, partiti alla ricerca dei monumenti e dei testi dell'antichità classica, copiano le iscrizioni lapidarie e riscoprono i manoscritti carolingi. Ed è a questi due modelli che gli umanisti si ispirano per disegnare le maiuscole e le minuscole della nuova scrittura (l' Antiqua), che sarà il punto di partenza per le realizzazioni dei primi incisori e fonditori di caratteri tipografici nella penisola. Il romano di Sweinheim e Pannartz, inciso forse proprio nel monastero di Subiaco (1465), è adottato da Nicolas Jenson a Venezia dal 1470. Sempre a Venezia, l'incisore bolognese Francesco Griffo († 1516) crea per Aldo Manuzio il modello più compiuto di caratteri romani (1496): il Bembo, dal nome dell'autore della prima opera dove tale carattere è utilizzato. Le minuscole hanno aste lunghe, delle grazie triangolari molto sottili e aste ascendenti leggermente più alte rispetto alle maiuscole. L'origine del carattere corsivo è nella corsiva leggermente inclinata, utilizzata dagli umanisti a Firenze e a Roma. Aldo Manuzio lo adopera per la propria collezione di classici portatili (libelli portatiles): il carattere, inciso anch'esso da Griffo nel 1499 e usato a partire dal 1501, richiede all'incirca 150 punzoni, fra i quali almeno 60 legature. Il successo del carattere italico fa sì che esso si diffonda rapidamente prima a Firenze, poi a Lione e a Parigi, grazie a incisori e fonditori come Lodovico degli Arrighi (detto il Vicentino), Balthasar de Gabiano (Baldassarre Gabiano) o Barthélémy Trodt (gli ultimi due attivi a Lione). Facilmente riconoscibile grazie alle maiuscole diritte, il corsivo aldino è particolarmente apprezzato dagli stampatori del XVI secolo per la sua eleganza, ma anche perché esso si pone come il prototipo stesso della scrittura del Rinascimento italiano – e dunque della modernità. Ma, in realtà, la scelta di un carattere tipografico non è un fatto indipendente né facilmente prevedibile: dal XIV secolo, la bastarda è riservata ai manoscritti in lingua volgare rivolti a una clientela più distinta, mentre, nel XV secolo, il carattere romano rinvia al modello della modernità umanistica. A partire dal 1500, tali scelte assumono una dimensione politica sempre più accentuata, secondo una logica che sarà particolarmente chiara nella monarchia francese.
L'innovazione riguarda tuttavia anche gli elementi illustrativi e decorativi
e, più in generale, la stessa architettura del libro a stampa. Quando Sweinheim
e Pannartz pubblicano a Roma nel 1469 un'edizione dei
Commentarii
di Cesare, essi definiscono con ciò, come nel caso delle
Epistole
di Cicerone, il modello del libro umanista e al tempo stesso moderno: un formato
più piccolo, caratteri ispirati alla scrittura umanistica con abbreviazioni
relativamente poco numerose, una stampa su linee lunghe (invece delle
tradizionali due colonne), forse con la presenza di un indice stampato a parte e
rilegato all'inizio o alla fine del volume, per facilitare la consultazione.
3.2 Aldo Manuzio e Polifilo Un personaggio emblematico che ha un ruolo particolarmente importante in tale processo di creazione, è Aldo Manuzio. Ex precettore dei figli del principe di Carpi, Alberto Pio, egli giunge a Venezia nel 1490, dove fonda un laboratorio tipografico nel 1494, con l'obiettivo di pubblicare i classici greci. Il grande stampatore veneziano avrebbe pubblicato nella sua carriera quasi 150 edizioni, contrassegnate dalla marca tipografica dell'«àncora aldina». Non possiamo presentare Aldo Manuzio senza ricordare, sia pur brevemente, il libro più famoso del Rinascimento, uscito dai suoi torchi nel 1499: l' Hypnerotomachia Poliphili (Battaglia d'amore in sogno di Polifilo), attribuito al frate veneziano Francesco Colonna (1433-1527) e considerato il testo più rappresentativo del mondo umanistico veneziano intorno al 1500. È il racconto del viaggio onirico di Polifilo, partito all'avventurosa ricerca della beneamata Polia. Il carattere è l' antiqua di Bembo, il volume è illustrato da 172 incisioni su rame, con oltre 38 iniziali. Attraverso la loro struttura architettonica le scene alludono al mondo dell'antichità classica, con personaggi allegorici che simboleggiano delle virtù o delle idee. L'illustratore non è stato identificato, ma potrebbe trattarsi di un artista della cerchia del Mantegna o del Bellini. Grandissima è l'influenza del Polifilo: sappiamo, in particolare, che anche Dürer ne possedeva una copia. | << | < | > | >> |Pagina 188L'invenzione di Gutenberg rafforza un'evoluzione di lunga data, ma non la fonda. E a maggior ragione essa non sconvolge le abitudini di lavoro intellettuale o le pratiche di lettura, giacché i primi libri a stampa adattano con precisione la propria forma materiale alla forma dei manoscritti. I cambiamenti provocati sono dunque più sottili. Il libro a stampa, diversamente dal manoscritto, è un oggetto definitivo, prodotto in serie, che racchiude il testo nella stessa forma nella quale lo diffonde. Le varianti non sono più ammesse, lo statuto stesso dell'opera è gradualmente sovvertito, il campo letterario (rapporto autore/testo/lettore) riorganizzato. E questa chiusura tende altresì a cristallizzare le posizioni, rendendo più difficili gli eventuali tentativi di conciliazione, soprattutto nelle dispute religiose. Ma i cambiamenti consistono anche nella possibilità di procurarsi i libri più facilmente e a un costo più basso. Diventa perciò possibile costituire delle biblioteche di una certa mole; a medio termine, la trasformazione del libro (specie la tendenza alla diminuzione dei formati) e la sua banalizzazione modificheranno in profondità le condizioni di lettura, rendendo possibile leggere ovunque, all'aperto, viaggiando o in una qualsiasi stanza, un libro che sta in tasca. D'altra parte, il lettore abituale può consultare numerosi testi allo stesso tempo, può recarsi a lavorare all'interno di una biblioteca dove dispone di tutte le risorse, prendere appunti e stendere promemoria, oppure, come suggerirà Montaigne, può rifugiarsi tra i suoi libri, per dedicarsi a una forma di lettura rapsodica sul filo dei desideri, del caso e delle dimenticanze:nei libri cerco solo di trovare piacere con un onesto divertimento [...]. Se un libro mi annoia, ne prendo un altro [...]. In questo genere di studio [...], bisogna sfogliare senza distinzione ogni sorta di autori [...]. Mi dedico un po' più spesso alla mia libreria [...]. Qui, sfoglio quando un libro quando un altro, senza ordine e senza scopo preciso, a caso [...]. Infine, lo scritto e lo stampato sono ormai largamente presenti nelle vie delle città, anche se le testimonianze di un tale utilizzo ci sono pervenute solo in via del tutto eccezionale: la prima affissione a stampa conservata oggi in Francia reca un testo del 1482 che invita a fare donazioni per restaurare la cattedrale di Reims, incendiata l'anno precedente. Se la definizione di un periodo degli incunaboli (il XV secolo tipografico) è comunemente ammessa, essa non corrisponde però a un'unità conchiusa. A monte, il «Rinascimento dei copisti» è difatti assai anteriore, mentre, a valle, la frattura definitiva con le modalità proprie del manoscritto risale, appunto, piuttosto agli anni Venti del 1500 – nonostante libri di forma moderna compaiano già prima, allo stesso modo in cui dopo (sino al XIX secolo e addirittura sino a oggi), ne compariranno altri con residue caratteristiche arcaiche, come gli almanacchi e i libretti in brossura della «Bibliothèque bleue». Il libro a stampa ha permesso all'Umanesimo di «europeizzarsi», anziché continuare a svilupparsi solo nel quadro di microcosmi più o meno isolati, e Armando Petrucci ha ragione a contrapporre l'onnipresenza dello scritto (dell'inscritto) nella città romana alla sua quasi assenza nella città medievale, seguita da un nuovo decollo nell'XI e nel XII secolo, e poi dal trionfo del Rinascimento. La storia dello scritto e del libro si iscrive, e può essere compresa, soltanto nel lungo periodo. | << | < | > | >> |Pagina 506Il XIX secolo e gli anni fino allo scoppio della Prima guerra mondiale (1914) sono certamente, come scrive Martin Lyons, l'epoca del «trionfo del libro»: la produzione di stampati cresce con percentuali ragguardevoli e trova un nuovo, profondo orientamento, mentre le categorie della diffusione e della lettura si trovano radicalmente traformate e il lavoro dei librai e degli editori consente la nascita di mercati nazionali che si definiscono, in via di principio, come altrettanti mercati di massa. Ovviamente, si fanno anche sentire i primi contraccolpi: lo stampato è divenuto un oggetto banale, anche se in fondo continua a restare un oggetto ambiguo. Da un lato, la sua diffusione non è più limitata in modo esclusivo alla minoranza alfabetizzata, più o meno benestante, ma raggiunge, anzi può e deve raggiungere ognuno; dall'altro, se lo stampato è banale, nondimeno funziona come un raffinato indicatore sociale. La pratica abituale di lettura, la qualità di quest'ultima, il possesso di libri (quali?), la passione per un certo stile o per una certa eleganza connessa al libro sono altrettanti fattori costitutivi di una distinzione tanto più reale proprio in quanto dovrebbe risultare meno evidente. Si tratta dunque di un insieme di fenomeni fondamentali che non possiamo presentare qui in tutte le loro dimensioni: il passaggio alla produzione libraria di massa comporta soprattutto una nuova organizzazione del campo letterario, dominato ormai da quei due attori sociali fondamentali che sono l'editore — un individuo — e il pubblico — una collettività anonima — ma la cui voce diventa sempre più udibile. Lo statuto dell'autore è profondamente mutato rispetto alla logica d' Ancien Régime, come già spiegava, alla vigilia della rivoluzione francese, Sébastien Mercier. Il «grande autore» è l'eccezione e gli autori più noti non di rado esercitano altre professioni, mentre compaiono sulla scena nuove figure la cui importanza aumenta in modo graduale: segretari, redattori editoriali, pubblicisti di ogni tipo, traduttori, adattatori, ma, soprattutto, giornalisti. La nuova figura eroica negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento è ormai quella del reporter. È ben noto d'altronde il ruolo avuto da giornalisti e giornali nelle vicende politiche, per esempio, di un paese come la Francia durante la Terza Repubblica. Parallelamente, nasce la consapevolezza dell'importanza delle nuove questioni legate alla comunicazione mediatica. Dalla Rivoluzione del 1789, è chiaro a molti che gli interessi politici possono congiungersi con il campo dello stampato, mentre è sempre più evidente che anche gli interessi finanziari possono trovarvi un potente strumento d'azione. Nasce l'èra delle manipolazioni, che un personaggio come Bismarck saprà sfruttare in modo già molto moderno nel 1870 a proposito del caso del dispaccio di Ems, il cui testo, «ritoccato» dal cancelliere, conduce a un'accelerazione della crisi che sfocerà nella guerra franco-prussiana. Del resto, in un'epoca dove in pratica ciascuno può leggere ciò che vuole, tanto più grande è la tensione fra una libertà di principio e dei tentativi di orientamento e inquadramento dai quali non andrà immune nemmeno la Chiesa: e tale processo di mobilitazione toccherà un livello parossistico a partire dal 1914 con la propaganda bellica interventistica, una propaganda che viene certo letta, ma nella quale si ha via via sempre meno fede, appunto perché se ne conosce lo scopo. La diffusione sensibilmente allargata del messaggio stampato si accompagna con una relativizzazione crescente del suo contenuto. Per lo storico del libro, l'essenziale consiste sicuramente nel fatto che il trionfo di Gutenberg nel XIX secolo è, in primo luogo, il trionfo della stampa periodica. Difatti, è sotto forma di giornale, di rivista e di periodico che lo stampato è comunemente presente nella società occidentale, il che non è privo di effetti sulla percezione stessa di un oggetto che non sembra più necessariamente iscritto in una prospettiva di eternità e che non ha più alcun valore materiale. È già l'epoca in cui sono nati nuovi mezzi di comunicazione di massa, prima il telegrafo e il telefono, poi il cinema. Il rapporto fra testo e immagine si è dunque già modificato, mentre, con l'elettricità, è in corso la seconda rivoluzione industriale: cosicché possiamo affermare che proprio l'epoca del «trionfo del libro» è anche l'epoca delle grandi rivalità fra i vari mezzi di comunicazione e della relatività ormai riconosciuta di un mezzo che non può più pretendere una qualche forma di egemonia.
All'apice della logica gutenberghiana, il XIX secolo segna così il momento
decisivo che vede anche nascere il proprio superamento.
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