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| << | < | > | >> |Pagina 7 [ inizio libro ]1.Benché suo padre avesse immaginato per lui un brillante avvenire nell'esercito, Hervé Joncour aveva finito per guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito, cui non era estraneo per singolare ironia, un tratto a tal punto amabile da tradire una vaga intonazione femminile. Per vivere, Hervé Joncour comprava e vendeva bachi da seta. Era il 1861. Flaubert stava scrivendo Salammbó, l'illuminazione elettrica era ancora un'ipotesi e Abramo Lincoln, dall'altra parte dell'Oceano, stava combattendo una guerra di cui non avrebbe mai visto la fine. Hervé Joncour aveva 32 anni. Comprava e vendeva. Bachi da seta. | << | < | > | >> |Pagina 104.- Com'è l'Africa? -, gli chiedevano. - Stanca. Aveva una grande casa subito fuori del paese e un piccolo laboratorio, in centro, proprio di fronte alla casa abbandonata di Jean Berbeck. Jean Berbeck aveva deciso un giorno che non avrebbe parlato mai più. Mantenne la promessa. La moglie e le due figlie lo abbandonarono. Lui morì. La sua casa non la volle nessuno, così adesso era una casa abbandonata. Comprando e vendendo bachi da seta, Hervé Joncour guadagnava ogni anno una cifra sufficiente per assicurare a sé e a sua moglie quelle comodità che in provincia si è inclini a considerare lussi. Godeva con discrezione dei suoi averi e la prospettiva, verosimile, di diventare realmente ricco lo lasciava del tutto indifferente. Era d'altronde uno di quegli uomini che amano assistere alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a viverla. Si sarà notato che essi osservano il loro destino nel modo in cui, i più, sono soliti osservare una giornata di pioggia. | << | < | > | >> |Pagina 126.Baldabiou era l'uomo che vent'anni prima era entrato in paese, aveva puntato diritto all'ufficio del sindaco, era entrato senza farsi annunciare, gli aveva appoggiato sulla scrivania una sciarpa di seta color tramonto, e gli aveva chiesto - Sapete cos'è questa? - Roba da donna. - Sbagliato. Roba da uomini: denaro. Il sindaco lo fece sbattere fuori. Lui costruì una filanda, giù al fiume, un capannone per l'allevamento di bachi, a ridosso del bosco, e una chiesetta dedicata a Sant'Agnese, all'incrocio della strada per Vivier. Assunse una trentina di lavoranti, fece arrivare dall'Italia una misteriosa macchina di legno, tutta ruote e ingranaggi, e non disse più nulla per sette mesi. Poi tornò dal sindaco, appoggiandogli sulla scrivania, ben ordinati, trentamila franchi in banconote di grosso taglio. - Sapete cosa sono questi? - Soldi. - Sbagliato. Sono la prova che voi siete un coglione. | << | < | > | >> |Pagina 100 [ fine libro ]65.Hervé Joncour visse ancora ventitré armi, la maggior parte dei quali in serenità e buona salute. Non si allontanò più da Lavilledieu, né abbandonò, mai, la sua casa. Amministrava saggiamente i suoi averi, e ciò lo tenne per sempre al riparo da qualsiasi lavoro che non fosse la cura del proprio parco. Col tempo iniziò a concedersi un piacere che prima si era sempre negato: a coloro che andavano a trovarlo, raccontava dei suoi viaggi. Ascoltandolo, la gente di Lavilledieu imparava il mondo e i bambini scoprivano cos'era la meraviglia. Lui raccontava piano, guardando nell'aria cose che gli altri non vedevano.
La domenica si spingeva in paese, per la Messa grande.
Una volta l'anno faceva il giro delle filande, per toccare
la seta appena nata. Quando la solitudine gli stringeva il
cuore, saliva al cimitero, a parlare con Hélène. Il resto
del suo tempo lo consumava in una liturgia di abitudini che
riuscivano a difenderlo dall'infelicità. Ogni tanto, nelle
giornate di vento, scendeva fino al lago e passava ore a
guardarlo, giacché, disegnato sull'acqua, gli pareva di
vedere l'inspiegabile spettacolo, lieve, che era stata la
sua vita.
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