Copertina
Autore John D. Barrow
Titolo Dall'io al cosmo
SottotitoloArte, scienza, filosofia
EdizioneCortina, Milano, 2000, Scienza e idee 74 , pag. 448, dim. 140x225x30 mm , Isbn 978-88-7078-650-7
OriginaleBetween Inner Space and Outer Space. Essays on Science, Art, and Philosophy
EdizioneOxford University Press, London, 1999
TraduttoreStefano Gattei
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe fisica , filosofia , cosmologia , matematica
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Indice


Prefazione                                 XIII

PARTE PRIMA
La divulgazione scientifica                   1

l. Che cosa sai della scienza?                7
2. L'immagine del mondo                      13
3. Fra due culture                           21

PARTE SECONDA
La vita nell'Universo                        25

4. Principi antropici in cosmologia          33
5. Dimensionare l'Universo                   51
6. Esistono leggi della fisica?              69
7. Chiamate a lunga distanza                 77
8. La verità è nella scelta                  83

PARTE TERZA
Teorie del tutto, gravità inclusa            87

9.  Teorie del tutto                         93
10. I limiti della scienza                  109
11. Della massima gravità                   125
12. Mettere tutto insieme                   129

PARTE QUARTA
Matematica                                  137

13. Perché l'Universo è matematico?         143
14. È tutto un pi greco platonico nel cielo 165
15. La cultura deL contare                  169
16. Perché il voto razionale è destinato
    al fallimento                           175


PARTE QUINTA
Semplicità e complessità                    179

17. Complessità                             185
18. Dove sono le cose selvagge              191
19. Strutture che emergono da un mondo
    complesso                               197
20. Caso e determínismo                     201
21. Nel complesso tempo mite e bello;
    venti variabili                         211
22. Perché il mondo è comprensibile?        215

PARTE SESTA
Estetica                                    229

23. La sopravvivenza del più "artistico"    235
24. Disposizioni musicali e rumori
    piacevoli                               241
25. Le stelle nei loro occhi antichi        249

PARTE SETTTIMA
Il tempo                                    255

26. Il tempo cosmologico                    261
27. L'Universo non ha avuto inizio alcuno
    nel tempo                               285
28. Frecce e qualche buccia di banana       291

PARTE OTTAVA
La realtà dei quanti                        297

29. Nel migliore di tutti i mondi possibili 303
30. Il grande danese                        315
31. Concetti complementari                  325
32. Molto rumore per nulla                  329

PARTE NONA
Religione e scienza                         335

33. Dubitare dei castelli in aria           343
34. Immortale, invisibile... ma c'è
    veramente?                              353
35. Accettare la scommessa di Pascal        359
36. Trarre qualcosa dal nulla               365

PARTE DECIMA
Cosmologia                                  371

37. Un'esplosione nel tempo e nello spazio  379
38. Quello che ha visto COBE                389
39. L'Universo è aperto o chiuso?           395
40. L'origine dell'Universo                 405
41. Gigantomachia                           423
42. Vennero dallo spazio interno            429

Fonti                                       437

Indice analitico                            439

 

 

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Pagina 13

2
L'IMMAGINE DEL MONDO


[...]

La spiegazione scientifica ha assunto, nel tempo, la forma della spiegazione matematica. Gli scienziati sociali e altri "consumatori" di matematica sono felici di considerarla un utile strumento inventato dagli esseri umani. Ma per il fisico di base la matematica è qualcosa che, al tempo stesso, è più stringente. Più ci si allontana dall'esperienza quotidiana e dal mondo locale, una corretta comprensione del quale costituisce un prerequisito per la nostra evoluzione e per la nostra sopravvivenza, più la matematica funziona in maniera impressionante. Nello spazio interno delle particelle elementari o nello spazio esterno dell'astronomia le predizioni dei matematici sono precise quasi più di quanto sia ragionevole aspettarsi. Se si scompone la materia in parti, e si sonda fino alla radice quello che queste parti "sono", allora in ultimo non potremo dire nulla più che esse sono matematica: sono relazioni. Non solo: non è soltanto la quantità di matematica che è impressionante, ma la sua qualità. Il tipo di matematica che si trova alla base della teoria generale della relatività o della fisica delle particelle elementari è profondo e difficile, ben lontano dall'idea che l'uomo comune ha della matematica, ovvero come una specie di metodo per contare ad alto livello.

Tutto questo ha persuaso molti fisici che l'idea che la matematica sia semplicemente una creazione culturale costituisca una spiegazione sfortunatamente inadeguata della sua esistenza e della sua efficacia nel descrivere il mondo. Se la matematica è scoperta, anziché invenzione - se davvero pi greco è scritto nei cieli - allora possiamo dire qualcosa di più sulla struttura analogica del mondo. Infatti, quando constatiamo l'incessante raffinamento della nostra immagme della Natura grazie allo sviluppo di teorie matematiche sempre più astratte dei suoi processi, allora, asintoticamente, stiamo imparando qualcosa della matematica. Se la matematica non è altro che un ulteriore idioma che coglie alcuni, ma non tutti, gli aspetti del mondo, allora non è altro che un'ulteríore analogia che in fin dei conti fallisce. Invece, se il mondo è matematico al livello più profondo, allora la matematica è l'analogia che non fallisce mai.

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Pagina 33

4
PRINCIPI ANTROPICI IN COSMOLOGIA


    L'Universo: un congegno escogitato
    per l'eterna meraviglia degli astronomi.
    Arthur C. Clarke


Dove c'è "vita"?

La vita è una manifestazione dell'acquisizione di un particolare livello di complessità organizzata in un sistema fisico. Non si tratta solo di questo, ma così dicendo si identificano alcune delle condizioni necessarie per la sua evoluzione e il suo mantenimento. La nostra conoscenza degli esseri viventi è limitata a quelli che possiamo trovare all'interno della biosfera terrestre. Nonostante l'influenza potente, e non sempre positiva, di questi organismi terrestri sul carattere e sull'evoluzione della superficie e dell'atmosfera del nostro pianeta, essi sono poco più di un'aggiunta superficiale alla costituzione della Terra. Da un punto di vista quantitativo, la situazione può essere riassunta come segue, con le masse delle diverse varietà di materiale vivente date, per comodità, in petagrammi (Pg), ricordando che 1 Pg = 10^15 grammi, che è circa la massa di una grande montagna. La massa totale del materiale organico di terraferma (animah e piante terrestri, in particolare alberi) presente sulla superficie del Globo equivale a 1841 Pg, ovvero soltanto a 10^-9 della massa della Terra. La biosfera marina contribuisce con una massa di 4 Pg. Del totale, 1791 Pg (97,3%) sono costituiti da vita vegetale, mentre 50 Pg (2,7%) da vita animale, 30 Pg dei quali sono insetti. Ci sono più di 350.000 specie vegetali e più di 1.200.000 specie animali, delle quali più di 800.000 sono insetti; ci sono inoltre più di 100.000 specie di microorganismí.

Se guardiamo oltre tutto questo, possiamo collocare la biosfera terrestre in un contesto cosmico in termini delle sue dimensíoni e della sua massa. La Figura 4.1 mostra tutte le strutture più significative rintracciatili nell'Universo, dal mondo subatomico ai grandi ammassi di galassie, e l'estensione della parte visibile dell'Universo - ovvero, la distanza percorsa dalla luce a partire dal momento in cui l'Universo ha iniziato a espandersi 15x10^9 anni fa. Viene indicata la regione del diagramma dimensione-massa all'interno della quale si trovano forme di vita. Possiamo osservare che è limitata a dimensioni e a masse relativamente piccole. Gli esempi di complessità organizzata al di fuori di questo riquadro hanno una natura dinamica: la complessità, in altre parole, risiede nei loro movimenti, non nella loro struttura. In misura notevole, questo fatto non deve stupirci: le dimensioni sono un fattore importante, determinante nell'evoluzione e nella sussistenza degli esseri viventi. Galdeo fu il primo a dar prova di una chiara compren- sione del fatto che se le strutture crescono in volume, in modo proporzionale a R^3, dove R è una dimensione caratteristica, la loro forza cresce solo come R^2, poiché esse si spezzano lungo aree di sezione trasversale.

[...]

Prima di abbandonare tali illustrazioni degli esseri viventi e del loro posto nell'universo delle possibilità, occorrerebbe ripetere che le strutture più interessanti nella Figura 4.2 non sono ciò che sono soltanto grazie ai loro costituenti. Inoltre, esse presentano una certa quantità di proprietà caratteristiche, tra cui auto-organizzazione, retroazione [feedback] non lineare e teleonomia locale. Esse mostrano questa complessità strutturale a causa del modo in cui sono organizzati i loro costituentí. Tale complessità organizzata fa sì che siano qualcosa di più della semplice somma delle loro parti. Ciò significa, inoltre, che una filosofia del riduzionismo incontra severi limiti. Non possiamo comprendere un computer o un uccello conoscendo semplicemente di che cosa è fatto; abbiamo bisogno di conoscere in che modo i suoi componenti sono collegati insieme. La conoscenza delle leggi ultime della Natura non è di grande aiuto in questo caso, dal momento che le strutture complesse sono esiti delle leggi della Natura che non possiedono le medesime simmetrie delle leggi stesse. Nei risultati, le simmetrie soggiacenti vengono rotte. Ecco perché un mondo governato da leggi semplici può essere così complicato, e perché la conoscenza delle leggi della fisica costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per comprendere la struttura dell'Universo intorno a noi.

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Pagina 69

6
ESISTONO LEGGI DELLA FISICA?
[...]

Davies introduce il lettore a una serie di casi cosmici accidentali, e alla reazione a essi nota come "principio antropico". Il fatto piacevole che così tanti aspetti cruciali dell'Universo vengano modellati da proprietà (apparentemente) immutabili - le cosiddette costanti della Natura - pone, di fatto, il problema. In molti casi si è scoperto che le combinazioni adimensionali delle varie costanti della Natura, completamente indipendenti l'una dall'altra, danno numeri puri con valori virtualmente uguali e straordinariamente elevati. Non esiste alcuna spiegazione di queste coincidenze. Un esempio classico è la più o meno perfetta uguaglianza del rapporto delle forze elettriche e di quelle gravitazionali fra due protoni, e la radice quadrata del numero di atomi dell'Universo osservabile: entrambi questi numeri sono circa pari a 10 seguito da trentanove zeri!

Nei primi anni Sessanta, Robert Dicke aveva già sottolineato come queste coincidenze svolgessero un importante ruolo "umanitario". Se esse non esistessero, non esisteremmo nemmeno noi! Esse codificano certe proprietà dell'Universo - come le sue grandi dimensioni, la sua elevata età, l'assenza di antimatería, e così via - che sono prerequisiti necessari per l'evoluzione e per la continuazione della vita così come noi la concepiamo. Se i valori delle costanti naturali fossero diversi da quelli che osserviamo, l'Universo sarebbe davvero inimmaginabilmente differente, non foss'altro per il fatto che osservatori come noi non potrebbero esistere. Di tutti i possibili universi che possiamo concepire, quasi tutti non sarebbero in grado di far evolvere e di mantenere la vita basata sugli atomi. Paradossalmente, l'unicità del nostro Universo è impressa con grande forza su di noi dal fatto che possiamo, nella nostra ignoranza, pensare a così tante alternative plausibili. Il principio antropico è un'etichetta per il fatto, di cui abbiamo preso consapevolezza, che l'Universo consente alla vita di esistere per una serie di coincidenze inspiegate (o "accidenti"), relative alla grandezza delle costanti che lo definiscono. Davies fornisce un sunto delle varie interpretazioni che gli scienziati offrono di questi "accidenti". Alcuni hanno provato a invertire il filo logico e a sostenere che l'occorrenza, insieme, di così tanti accidenti indipendenti fornisce una prova circostanziale della bizzarra conclusione secondo cui gli osservatori sarebbero, in qualche senso, necessari perché l'Universo esista.

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Pagina 87

PARTE TERZA
TEORIE DEL TUTTO, GRAVITÀ INCLUSA


            Cose molto pericolose, le teorie.
            Dorothy Sayers, Bellona Club


La svolta più sensazionale che si è prodotta nella scienza di base dopo il 1980 è costituita dall'apertura di un serio dibattito sul concetto di "Teoria del Tutto". Il suo impatto è stato ancora maggiore sia per l'improvvisa comparsa, sia per l'enorme quantità di cose che si prospettavano. Einstein aveva speso gli ultimi vent'anni di vita alla ricerca di un'elusiva "teoria del campo unificato" che sperava potesse unificare le leggi della gravità e quelle dell'elettromagnetismo. Ma tale ricerca non ebbe esito. C'erano altre interazioni che dovevano essere prese in considerazione nel quadro dell'unificazione, interazioni di cui si conosceva troppo poco ai tempi di Einstein. Imparando dal fallimento di questo programma, i fisici sono diventati più cauti nello scegliersi i propri obiettivi. Tutti i discorsi relativi a teorie unificate evocavano quadri tipo il fallito programma di Einstein, e consegnavano con ogni probabilità i loro autori al dimenticatoio. Le cose, però, cambiarono improvvisamente, e in una ben precisa direzione. Nel 1973 i fisici delle particelle identificarono in che modo funzionavano le forze della Natura alle alte energie. Le forze effettivamente percepite dalle particelle di materia non rimanevano le stesse al crescere delle energie e delle temperature. Mutavano in modo tale che le interazioni deboli si rafforzavono e quelle forti si indebolivano. Questa intuizione aprì la strada a una profonda comprensione di come potesse accadere che le forze della Natura - che nel nostro mondo freddo e a bassa energia, miliardi di anni dopo l'inferno del Big Bang, appaiono avere intensità così diverse - possano essere manifestazioni differenti di un'unica forza sottostante.

Alla fine degli anni Settanta vennero formulate le prime "Grandi Teorie Unificate" (GUT), e vennero applicate allo studio dell'Universo primordiale. Tali teorie unificavano le descrizioni delle interazioni naturali forte, debole, ed elettromagnetica, ma non riuscivano a comprendere anche la forza gravitazionale. Tutti i tentativi per unificarla alle altre portavano a una teoria che dava luogo a risposte infinite a domande relative a quantità misurabili. Poi, all'inizio degli anni Ottanta, iniziò una rivoluzione che continua ancor oggi. Michael Green e John Schwarz scoprirono un nuovo tipo di teoria della materia basata sul fatto di considerare le entità più fondamentali come stringhe anziché punti. Questi "tubi" di energia possedevano una particolare "super" simmetria che poneva in relazione la materia e la radiazione, e vennero chiamati appunto "superstringhe". La cosa notevole a proposito della teoria delle superstringhe era che essa includeva necessariamente la gravità e offriva, in questo modo, un quadro completamente unificata di tutt'e quattro le forze della Natura. Essa divenne nota come la "Teoria del Tutto", sebbene sembrasse che ci fossero molte teorie di questo tipo, diverse fra loro e logicamente coerenti. Più recentemente, è stato mostrato che non si tratta effettivamente di teorie diverse, ma di diversi casi limite di un'unica soggiacente "Teoria del Tutto" chiamata teoria-M.

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Pagina 93

9
TEORIE DEL TUTTO
[...]

Ordine dal caos

Vi presentano due sequenze di cifre. La prima ha la forma

...001001001001001001...

mentre l'a seconda ha la forma

...O10010110101111010010...

Poi vi chiedono se queste sequenze siano casuali oppure ordinate. Evidentemente, la prima pare ordinata. E la ragione per rispondere così è che è possibile "vedere" in essa uno schema ben deíìnito; cioè, possiamo sostituire alla sequenza una regola che ci consenta di ricordarla o di trasmetterla ad altri senza essere costretti a elencare le cifre che la compongono. Diremo dunque che una sequenza è non-casuale se può essere abbreviata da una formula o da una regola più breve della sequenza stessa. Se le cose stanno così, diremo che essa è comprimibile. D'altro canto, se, come sembra essere il caso della seconda sequenza (generata lanciando ripetutamente una moneta), non esiste alcuna abbreviazione, o formula, che riesca a cogliere il suo contenuto informativo, allora diremo che tale sequenza è incomprimibile. Se dobbiamo comunicarla ai nostri amici non possiamo far altro che elencare l'intera sequenza stessa. Il suo contenuto informativo non può essere incapsulato in qualcosa di più breve di sé stesso.

Questa semplice idea ci consente di trarre qualche lezione a proposito della ricerca scientifica di una "Teoria del Tutto". Potremmo definire la scienza come la ricerca di compressioni. Osserviamo il mondo in tutti i modi possibili e raccogliamo fatti su di esso; ma questa non è ancora scienza. Diversamente dagli storici maniacali, non siamo affatto soddisfatti dalla pura e semplice registrazione di qualsiasi cosa sia mai accaduto. Al contrario, in tali fatti cerchiamo degli schemi ben definiti, cioè delle compressioni dell'informazione che ci viene offerta, e sono questi schemi che alla fine abbiamo battezzato leggi della Natura. La ricerca di una "Teoria del Tutto" coincide con l'obiettívo di una compressione definitiva del mondo. È degno di nota che la dimostrazione data da Chaitin del teorema dí incompletezza di Gödel, dimostrazione che usa i concetti di complessità e di compressione, rivela come tale teorema risulti equivalente al fatto che non è possibile dimostrare che una sequenza di cifre sia incomprimibile. Non possiamo mai dimostrare che una compressione sia quella definitiva; ci potrebbe essere una unificazione ancor più profonda e più semplice che attende di essere scoperta.

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Pagina 101

Esiti e simmetrie infrante

Se vi dovesse capitare di imbarcarvi in una conversazione con un fisico delle particelle circa la natura del mondo, egli potrebbe subito deliziarvi con la storia di quanto il Mondo sia in effetti semplice e simmetrico se solo si guardano le cose nella giusta prospettiva. Ma quando vi rimettete a guardare il mondo reale, vi accorgete che esso è tutt'altro che semplice. Per lo psicologo, l'economista, il botanico o lo zoologo il mondo ha un aspetto del tutto diverso. Esso è un ammasso di eventi complessi la cui natura è dovuta più alla loro persistenza o stabilità nel tempo che a una qualche misteriosa attrazione verso la simmetria o la semplicità. Chi ha ragione, allora? Il mondo è davvero semplice, come ha detto il fisico, oppure è complesso, come sembra pensare chiunque altro?

La risposta a questa domanda rivela una delle più profonde sottigliezze della struttura dell'Universo. Quando ci guardiamo attorno non osserviamo le leggi della Natura; osserviamo, piuttosto, gli esiti di tali leggi. La differenza è enorme. Gli esiti sono molto più complicati delle leggi sottostanti poiché non debbono rispettare le simmetrie dispiegate dalle leggi. Con questo intendo dire che è possibile avere un mondo che esibisce complicate strutture asimmetriche (come noi) e ancora è governato da semplicissime leggi simmetriche. Facciamo un esempio piuttosto facile. Supponete che io tenga in equilibrio una pallina sul vertice di un cono. Se lasciassi andare la pallina, la legge di gravitazione ne determinerebbe il moto successivo. Ma la gravità non ha alcuna preferenza per qualsiasi particolare direzione nell'Universo; sotto questo profilo, è del tutto democratica. Eppure, quando non trattengo più la pallina, essa non potrà che cadere in una qualche direzione particolare, o perché le era stata data una lieve spinta in una direzione, o come risultato di fluttuazioní quantistiche che non consentono la persistenza di uno stato di equilibrio instabile. Dunque, nell'esito della pallina che cade, viene infranta la simmetria della legge di gravità rispetto alla direzione. Prendete un altro esempio. Voi e io ci troviamo in questo momento in luoghi particolari dell'Universo, nonostante il fatto che le leggi della Natura non mostrino alcuna preferenza per un particolare luogo dell'Universo rispetto a un altro. Costituiamo entrambi degli esiti (molto complicati) delle leggi della Natura - esiti che infrangono le simmetrie sottostanti rispetto alla posizione nello spazio. Questo ci insegna perché la scienza è spesso cosí difficile. Quando osserviamo il mondo vediamo soltanto le simmetrie ínfrante che si manifestano attraverso gli esiti delle leggi della Natura, e da essi dobbiamo procedere a ritroso per svelare le simmetrie nascoste che caratterizzano tali leggi.

Possiamo ora comprendere le diverse risposte che abbiamo ottenuto dai vari tipi di scienziato. Il fisico delle particelle lavora a stretto contatto con le leggi della Natura, e viene quindi colpito dalla loro semplicità e simmetria. Ma il biologo, o il meteorologo, ha a che fare con lo studio dei risultati complessi di tali leggi, più che con le leggi in sé, ed è quindi colpito dalle complessità della Natura piuttosto che dalle sue leggi. La dicotomia è illustrata in Figura 9.2.

La colonna di sinistra rappresenta lo sviluppo della prospettiva platonica sul mondo, con l'accento che essa pone sugli elementi immutabili che stanno dietro alle cose - leggi, quantità che si conservano, simmetrie -, mentre la colonna di destra, con la sua enfasi su tempo e cambiamento, e sulla concatenazíone di accadimenti complessi, costituisce la realizzazione dell'approccio aristotelico alla comprensione del mondo. Fino a poco tempo fa, i fisici si sono concentrati quasi esclusivamente sullo studio delle leggi piuttosto che su quello degli esiti complessi. Ciò non sorprende, poiché l'investigazione degli esiti costituisce un problema molto più difficile, che necessita, per la sua piena implementazione, dell'esistenza di potenti computer interattivi con buone capacità grafiche. Non è una coincidenza che lo studio della complessità e del caos in questo nostro mondo di esiti sia andato di pari passo con l'aumento di potenza e di disponibilità di personal computer a basso costo.

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Pagina 106

Quali sono le regole ultime del gioco?

I fisici sono portati a credere che una "Teoria del Tutto" consisterà di un qualche insieme di equazioni che governano entità, come punti o stringhe, che sono equivalenti alla conservazione di una qualche simmetria che sottende le cose. Questa è una estrapolazione della direzione in cui la fisica delle particelle si è mossa per un certo tempo. Un'assunzione chiave di tale quadro è che esso considera le leggi della fisica come la conquista finale: tali leggi governerebbero un mondo di particelle puntiformi o di stringhe (o altri oggetti esotici) che formano un continuo. Un'altra possibilità è che l'Universo non sia, nelle sue radici, una grande simmetria, ma un computo. Le leggi ultime della Natura possono assomigliare a un software che gira su un hardware costituito dalle particelle elementari e dall'energia. Le leggi della fisica potrebbero allora essere derivate da qualche principio ancor più di base che governa il calcolo e la logica. Questa visione potrebbe avere conseguenze radicali per la nostra comprensione della sottigliezza della Natura, poiché essa sembra richiedere che il mondo sia discontinuo, come un computo, anziché continuo. Tutto ciò rende l'Universo un luogo molto più complicato. Se contiamo il numero dei cambiamenti discontinui che possono occorrere scopriamo che ce ne sono infinitamente di più di quelli continui. Considerando la struttura fondamentale dell'Universo come un continuo potremmo non fare semplicemente un'approssimazione, ma una semplificazione infinita.

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Pagina 109

10
I LIMITI DELLA SCIENZA
[...]

Limiti concettuali

Se esiste davvero una profonda "Teoria del Tutto", allora quanto dobbiamo essere fiduciosí nella nostra capacità di comprenderla? Dipende da quanto profonda è la struttura. Potremmo addirittura immaginare una sequenza di strutture infinitamente profonda, che potremmo soltanto parzialmente afferrare. In alternativa, la "Teoria del Tutto" potrebbe giacere solo poco al di sotto della superficie delle apparenze, ed essere dunque del tutto alla nostra portata. Da ciò non segue che le leggi fisiche più fondamentali debbano essere gli aspetti più profondi e logicamente complicati della struttura dell'Universo.

In pratica, abbiamo imparato che gli esiti delle leggi della Natura sono invariabilmente molto più complessi delle leggi stesse, dal momento che non devono necessariamente possedere le stesse simmetrie delle leggi (vedi il capitolo precedente). Comunque, dobbiamo renderci conto del fatto che il cervello umano si è evoluto, e con esso si è evoluto anche il suo repertorio di capacità concettuali e analitiche in risposta alle particolari sfide poste dagli ambienti della savana tropicale in cui i nostri antichissimi antenati si sono evoluti, più di mezzo milione di anni fa. Sembrerebbe non esserci alcuna esigenza evolutiva di una capacità di comprendere la fisica delle particelle elementari, i buchi neri e le leggi ultime della Natura. Anzi, non è nemmeno chiaro che nel processo evolutivo sia stato selezionato qualcosa di così semplice come la razionalità. Potremmo però evitare questa aspettativa pessimistica se fosse vero che è possibile comprendere le leggi della Natura in tutti i loro dettagli grazie a una combinazione di concetti molto elementari - come quelli del contare, di causa-effetto, di simmetria, e così via - nozioni queste che sembrano in effetti avere un valore per la sopravvivenza attraverso l'adattamento. In questo caso, la nostra capacità scientifica dovrebbe essere vista come un prodotto collaterale degli adattamenti a sfide ambientali che possono non sussistere più, o che vengono affrontate in altri modi in seguito all'emergere della coscienza. Inoltre, gran parte della nostra intuizione più elementare relativa al numero e alla quantità può essere un prodotto collaterale dei nostri istinti linguistici. Potrebbe anche essere che la struttura dei sistemi di conto in molte culture antiche e primitive, insieme a nozioni quali la notazione posizionale, derivino dalla nostra complessa programmazione genetica per l'apprendimento del linguaggio. Le nostre capacità linguistiche sono molto più impressionanti delle nostre capacità matematiche, tanto nella loro complessità quanto nella loro universalità fra gli esseri umani di tutte le "razze".

Potremmo chiederci se una "Teoria del Tutto' sarà matematica. Tutti i nostri studi scientifici dell'Universo assumono che esso sia ben descritto da strutture matematiche. Anzi, alcuni vorrebbero spingersi oltre, affermando che l'Universo è una struttura matematica. Si tratta davvero di presunzione? Possiamo pensare alla matematica come a qualcosa che descrive (o che raccoglie) tutti i possibili schemi [pattern]. Alcuni di essi si manifestano fisicamente, mentre altri sono più astratti. Definita in questo modo, possiamo vedere come l'esistenza della matematica sia inevitabile in universi che possiedono una struttura e uno schema di un qualche tipo. In particolare, se la vita esiste devono esistere degli schemi, e deve quindi esistere la matematica. Al momento non c'è alcuna ragione per credere che esista un qualunque tipo di struttura che non possa venire descritta dalla matematica. Ma questo non signífica che l'applicazione della matematica a tutte le strutture si dimostrerà feconda. La cosa, in effetti, è tautologica: dato un altro tipo di descrizione, esso verrebbe semplicemente aggiunto al corpo di ciò che chiamiamo matematica.

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Pagina 129

12
METTERE TUTTO INSIEME


    L'intero Universo è un'unica espressione
    armonica e matematica, costituita
    da rappresentazioni finite dell'infinito.
    E. Kunz


L'unità è qualcosa che ha molti fulgidi aspetti. Sia che si stia pubblicizzando una chiesa dell'unificazione, o una grandiosa teoria unificata della fisica, o un fronte unito, o che si stia semplicemente arringando un litigioso partito politico al fine di concordare una campagna comune, l'unicità è molto vicina al timor di Dio. È desiderabile. La diversità ha il suo spazio, ma le cose strettamente unite insieme sembrano più forti e più affidabili. Non c'è scienziato che non consideri l'unità dell'Universo come una supposizione tacita dovuta in larga misura alle grandi fedi monoteistiche che sono alla base della fede della scienza occidentale nella razionalità della Natura. Un unico legislatore comporta un'unica legislazione: i suoi decreti sono ciò che chiamiamo leggi della Natura. In discipline come l'astronomia e la fisica tutto questo si è dimostrato essere un'ipotesi di lavoro splendidamente coronata da successo. Un piccolo insieme di semplici regole ci ha consentito di estendere la comprensione della Natura dallo spazio interno delle più elementari particelle della materia allo spazio esterno dell'Universo in espansione delle galassie e dei quasar. Riusciamo a comprendere il passato e a prevedere il futuro con una precisione che le scienze sociali ancora si sognano! La facilità, inaspettata, con la quale possiamo comprimere così tante delle complessità superficiali dell'Universo in schemi semplici costituisce allo stesso tempo un dono inatteso e il motivo per cui scopriamo che la matematica ha così grande successo nel dirci come funziona il mondo.

Per contro, se guardiamo alle complessità del mondo del vivente intorno a noi - le scienze della vita, le scienze del cervello, le scienze sociali, l'economia, la psicologia - le cose appaiono molto diverse. In questi campi ci ritroviamo impegnati nell'impresa di prevedere i comportamenti di entità ben diverse da atomi e molecole. Prevedere il risultato di una reazione chimica non modifica in alcun modo la reazione stessa, mentre prevedere il risultato di una tornata elettorale o il corso dell'economia può certamente farlo.

L'Universo pare essere governato da un piccolo numero di forze fondamentali (quattro, per quanto sembra finora), la cui forma è dettata da schemi di simmetria. Queste poche configurazioni [pattern] determinano le forme delle leggi della Natura. I fisici ritengono di essersi ben avviati sul cammino della loro unificazione in un'unica "superforza". Eppure, gli esiti (vedi p. 102) di queste poche leggi - la sconcertante diversità di strutture che osserviamo in Natura - non posseggono necessariamente le stesse semplici configurazioni manifestate delle leggi stesse. È questo il segreto dell'Universo: come è possibile che un piccolo numero di leggi semplici produca siffatta abbondanza senza fine di complessità asimmetrica. Troviamo alcune di queste complessità quando iniziamo a esplorare i mondi delle scienze umane e sociali. Spesso, però, i risultati dei nostri studi di questi mondi sono piuttosto deludenti. Gli economisti, gli psicologi e gli studiosi di scienze sociali fanno poche previsioni affidabili. Anche i più tumultuosi eventi umani, come il crollo dei regimi comunisti nell'Europa dell'est o il tracollo dei grandi mercati finanziari, hanno costituito delle complete sorprese. La difficoltà di prevedere l'imprevedibile è enorme.

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13
PERCHÈ L'UNIVERSO È MATEMATICO?
[...]

Siamo di fronte a un mistero. Perché il linguaggio simbolico della matematica avrebbe a che fare con la caduta delle mele, con la fissione degli atomi, con l'esplosione delle stelle, o con le fLuttuazionI del mercato? Perché la realtà segue la matematica? Il genere di risposte che possiamo offrire a tali rompicapo dipende in modo essenziale da quello che noi pensiamo sia davvero la matematica. Ci sono almeno quattro distinte opzioni: formalismo, invenzionismo, costruttivismo e realismo.

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Esistono due grandi correnti di pensiero nella scienza contemporanea che, dopo aver proceduto in parallelo per così tanto tempo, hanno cominciato a scoprire strade interessanti che possono portare a una loro futura convergenza. Le circostanze in cui si avrà tale unione determineranno quale delle due verrà per sempre vista come mero affluente dell'altra. Da una parte c'è la credenza, tipica dei fisici, nelle "leggi della Natura", associate alla simmetria, come fondamento più indiscutibile della logica nell'Universo. Queste simmetrie sono legate all'immagine dello spazio e del tempo come continui inseparabili. Opposta a questa prima visione è quella che considera un qualche calcolo astratto, anziché la simmetria, come la più fondamentale di tutte le nozioni. Questa immagine della realtà ritrae la logica alla sua base come qualcosa che governi una struttura discreta piuttosto che continua. Il grande rompicapo irrisolto per il futuro è decidere quale dei due sia più importante - la simmetria o il computo. L'Universo è un enorme caleidoscopio o un computer cosmico? Una struttura o un programma? O nessuno dei due? Per scegliere occorre sapere se le leggi della fisica vincolano o meno la capacità ultima del calcolo astratto. Ne limitano la velocità e la portata? Oppure le regole che governano qualsiasi processo di computo controllano quali leggi della Natura siano possibili?

Prima di discutere quel poco che possiamo dire in merito a questa scelta è meglio stare in guardia a proposito della scelta stessa. Nel corso della storia del pensiero umano si sono avuti vari paradigmi dominanti per l'Universo. Queste immagini mentali spesso ci dicono poco dell'Universo ma molto della società che le ha sviluppate. Per quelli, tra gli antichi Greci, che avevano sviluppato una concezione teleologica del mondo come risultato dei primi studi sistematici degli esseri viventi, il mondo era un grande organismo. Per gli altri, che ritenevano che la geometria dovesse essere considerata come superiore a tutte le altre categorie del pensiero, l'Universo era costituito da un'armonia geometrica di forme perfette. Più tardi, all'epoca in cui erano stati già prodotti il primo meccanismo a orologeria e il pendolo, andò per la maggiore l'immagine dell'Universo post-newtoniano come meccanismo, scatenando migliaia di scritti apologetici alla ricerca dell'orologiaio cosmico. Per i vittoriani della rivoluzione industriale il paradigma dominante fu invece quello della macchina termica, e le domande fisiche e filosofiche da esso sollevate in merito alle leggi della termodinamica e del destino ultimo dell'Universo portavani il segno di quell'epoca delle macchine. È quindi probabile che l'immagine odierna dell'Universo come un computer non sia altro che l'ultima prevedibde estensione di questo modo di pensare. Domani potrebbe esserci un nuovo paradigma. Quale sarà? Esiste un qualche concetto semplice e profondo che sta dietro alla logica nello stesso modo in cui la logica sta dietro alla matematica e al calcolo?

Inizialmente, le nozioni di simmetria e di calcolo sembrano essere molto lontane fra loro, e sceglierne una appare molto difflcde. Ma le simmetrie prescrivono i cambiamenti che possono manifestarsi, e le "leggi" che ne derivano possono essere viste come una forma di software che giri su un particolare hardware: lo "hardware" materiale del nostro Universo fisico. Questa idea si adatta implicitamente a una delle particolari concezioni della relazione tra le leggi della Natura e l'Universo fisico che abbiamo trattato nella Parte Seconda. Le considera due concezioni distinte, indipendente. Si potrebbe quindi immaginare che il software giri su un hardware differente. Questa idea sembra portarci allora in conflitto potenziale con la credenza in qualche unica "Teoria del Tutto" che unisca le condizioni dell'esistenza particelle elementari alle leggi che le governano.

Il successo della concezione basata sul continuo nella spiegazione scientifica del mondo fisico sembra a prima vista deporre contro la prospettiva computazionale discreta. Negli ultimi cinquant'anni, però, i logici hanno intrapreso una guerra di logoramento contro la nozione del continuo numerico. Logici come Quine sostengono che "proprio come l'introduzione dei numeri irrazionali [...] rappresenta un comodo mito [che] semplifica le leggi dell'aritmetica [...], così gli oggetti fisici sono entità postulate che rendono più agevole la nostra descrizione del flusso dell'esistenza [...]. Lo schema concettuale degli oggetti fisici è un mito conveniente, più semplice della pura verità, ma che contiene tale pura verità in modo frammentario".

Ancora non abbiamo individuato la domanda giusta da porre relativamente all'Universo la cui risposta ci dica se il calcolo preceda la simmetria - o, per dirla con John Wheeler, se si possa ricavare

IT da BIT

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Posti di fronte a una sequenza di numeri o di simboli, allora siamo in grado probabilmente di sostituirla con un'espressione abbreviata che abbia lo stesso contenuto informativo. Così, la sequenza infinita di numeri 2, 4, 6, 8, 10, ... può essere sostituita dalla formula che serve a generare i numeri pari. In questo caso diciamo che la nostra sequenza è algoritmicamente comprimibile (vedi pp. 95-97). Una sequenza casuale è invece caratterizzata dal fatto che non esiste una formula più breve che la incapsuli. (Il fatto che non sia possibile dimostrare che una sequenza di numeri è casuale in questo senso costituisce una conseguenza interessante del teorema di indecidibilità di Gödel). Le sequenze genuinamente casuali non possono essere compresse in formule più semplici. Sono algoritmicamente incomprimibili: l'unico modo di definirle è elencarle. La scienza esiste perché il mondo naturale sembra algoritmicamente comprimibile. Le formule matematiche che chiamiamo leggi della Natura non sono altro che compressioni economiche di enormi sequenze di dati relativi a come cambiano gli stati del mondo. Ecco che cosa intendiamo quando diciamo che il mondo è intelligibile. Possiamo concepire un mondo in cui tutti i fenomeni siano caoticamente casuali (esattamente come alcuni di essi già ci appaiono): le sue proprietà potrebbero essere descritte soltanto facendo una lista di innumerevoli sequenze di fenomeni osservati nel tempo. Fare scienza diventerebbe allora simile a una sorta di trainspotting. I fenomeni osservati possiederebbero quell'unicità che riscontriamo nel mondo dell'arte e della creatività. Se l'Universo è un'entità unica e necessaria, allora non possiamo sorprenderci di scoprire che esso nel suo insieme non è altro che un'entità algoritmicamente incomprimibile: in ultima analisi è impossibile ridurlo a una forma abbreviata, ma può essere definito soltanto dal completo dispiegarsi dei suoi eventi. La ricerca di una "Teoria del Tutto" non è che l'espressione ultima della nostra fede nella comprimibilità algoritmica della Natura.

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La matematica è utile nella descrizione del mondo fisico perché il mondo è algoritmicamente comprimibile. È il linguaggio dell'abbreviazione delle sequenze. La mente umana ci consente di entrare in contatto con quel mondo perché il cervello possiede la capacità di comprimere le sequenze complesse di dati sensoriali in una forma più breve. Queste abbreviazioni fanno sì che esistano il pensiero e la memoria. I limiti che la Natura impone ai nostri organi di senso ci impediscono di sovraccaricarci di informazioni sul mondo. Questi limiti funzionano come valvola di sicurezza per la mente. Però, dobbiamo ancora tutto alla straordinaria capacità del cervello di sfruttare la comprimibilità algoritmica del mondo. E, cosa più straordinaria di tutte, il cervello è uno stato complesso ed evoluto di quello stesso mondo la cui complessità esso cerca di comprimere, anche se non conosce ancora bene la propria complessità.

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26
IL TEMPO COSMOLOGICO
[...]

Mentre nella visione trascendentale del tempo possiamo parlare di corpi che si muovono nel tempo, la seconda visione pone l'accento sul fatto che il tempo sia definito dal moto degli oggetti. Uno dei vantaggi della prima concezione è che si sa dove ci si trova e come apparirà il tempo in futuro: è lo stesso ieri, oggi e sempre. Per contro, la seconda concezione promette di generare nuovi concetti di tempo - e potrebbe perfino eliminare dei tutto tale concetto - poiché il contenuto materiale dell'Universo cambia la propria natura al variare delle condizioni. In particolare, dovremmo tenere ben presente tale eventualità a mano a mano che risaliamo ai primissimi istanti immediatamente successivi al Big Bang. Infatti, qualunque istante che sembri essere l'inizio del tempo inevitabilmente è collocato là dove la stessa nozione di tempo è, con ogni probabilità, assai precaria. In un universo in espansione e continuamente variabile, è probabile che la concezione operazionalistica del tempo produca un'idea elusiva e mutevole della natura e del significato di tale grandezza.

L'immagine di un tempo trascendente e assoluto che accompagna come un'ombra il corso degli eventi sul tavolo da bigliardo cosmico di uno spazio immutabile e senza fine costituiva il fondamento della monumentale descrizione che Newton dava del mondo, dicendo: "Non definisco [...] tempo, spazio, luogo e moto, in quanto notissimi a tutti. Va notato, tuttavia, come comunemente non si concepiscano queste quantità che in relazione a cose sensibili. Di qui nascono i vari pregiudizi [...]". Una volta date le equazioni che governano il cambiamento del mondo nello spazio e nel tempo, l'intero corso futuro degli eventi è determinato dalle condizioni iniziali. Il tempo appare superfluo: tutto ciò che accadrà è stato programmato all'interno dello stato iniziale.

[...]

Clifford si rese conto che il tradizionale spazio euclideo era solo uno dei molti possibili; né si poteva più dare per scontato che la geometria del mondo reale fosse del semplice tipo euclideo. Il fatto che esso appaia localmente piatto non è conclusivo, dal momento che, in gran parte, le superficie curve sembrano piatte quando se ne prenda in considerazione un'area abbastanza piccola. Dopo aver approfondito le idee di Riemann, Clifford propose questo scenario radicalmente innovativo in una sua memoria del 1876. Nel 1900 l'astronomo tedesco Karl Schwarzschild applicò per la prima volta queste idee all'Universo. Avanzò l'idea che lo spazio potesse essere curvo e utilizzò i conteggi che erano stati fatti delle stelle per porre dei limiti alla possibile curvatura e dimensione dello spazio.

Questa prescienza è piuttosto notevole. Sebbene sembri che Einstein non sia mai stato a conoscenza di queste osservazioni, l'idea intuitíva di Clifford era destinata a diventare l'idea centrale della teoria generale della relatività. La geometria dello spazio e il ritmo con cui scorre il tempo non sono più assolutamente fissi e indipendenti dal contenuto materiale dello spazio e del tempo. La materia presente e il suo moto determinano la geometria e il flusso del tempo e, reciprocamente, questa geometria prescrive come la materia si debba muovere. L'elegante teoria einsteiniana della gravitazione formula un insieme di equazioni che definiscono la connessione tra il contenuto di materia dell'Universo e la sua geometria spaziale e temporale. Sono le cosiddette equazioni di campo, che generalizzano l'equazione di campo newtoniana detta anche di Poisson, la quale incorpora la legge di gravitazione dell'inverso del quadrato formulata da Newton. Oltre a questa struttura ci sono le equazioni del moto, che forniscono gli analoghi delle linee rette nella geometria curva. Queste equazioni generalizzano le leggi del moto di Newton.

Nella teoria di Einstein c'è un'ulteriore erosione del carattere assoluto del tempo newtoniano. La teoria di Einstein era stata costruita sulla premessa che non ci fossero osservatori privilegiati nell'Universo: non esiste alcun insieme di osservatori ai quali tutte le leggi della Natura appaiono più semplici. Le leggi della fisica devono avere la stessa forma per tutti gli osservatori, qualunque sia il loro stato di moto. In altre parole, comunque si muova il tuo laboratorio - che acceleri, o ruoti, rispetto a quello del tuo vicino - dovresti comunque essere in grado di constatare che valgono sempre le medesime leggi della fisica. È possibile che, misurando delle grandezze osservabili, si possano ottenere, nei due laboratori, valori differenti; ma esse risulteranno nondimeno legate dalle stesse relazioni di invarianza.

[...]

La nuova concezione dello spazio-tempo, anziché dello spazio e del tempo, modifica notevolmente il nostro atteggiamento nei confronti delle condizioni iniziali e del possibile inizio dell'Universo. A causa dell'accoppiamento che sussiste tra la "fabbrica' dello spazio-tempo e la materia, qualsiasi singolarità nel contenuto materiale dello spazio-tempo (per esempio, la densità infinita della materia che compare nella versione tradizionale del Big Bang) indica che anche lo spazio-tempo debba giungere a una fine. Abbiamo ora delle singolarità dello spazio e del tempo, e non semplicemente delle singolarità nello spazio e nel tempo. Inoltre, ogni spazio-tempo descritto dalla teoria della relatività generale di Einstein costituisce un intero Universo. A differenza della teoria di Newton, la teoria di Einstein non può mai descrivere semplicemente un oggetto collocato su uno scenario esterno di spazio fisso. Le singolarità della relatività generale sono dunque caratteristiche dell'intero Universo, non sono soltanto un punto all'interno di esso o un momento della sua storia. Tali singolarità segnano il contorno dello spazio e del tempo.

[...]

Nonostante tutte queste sottigliezze circa la natura del tempo, la relatività generale non è riuscita a eliminare la tradizionale separazione fra leggi e condizioni iniziali. Nella nostra pila spazio-temporale c'è sempre uno strato iniziale che determina che aspetto avranno gli altri nel futuro.

Nella teoria quantistica lo status del tempo è avvolto in un mistero ancor più fitto di quanto non apparisse a Newton o allo stesso Einstein. Se il tempo esiste in modo trascendente, allora esso non è una delle grandezze soggette al famoso principio di indeterminazione di Heisenberg; se invece è definito operazionalmente da altri aspetti intrinseci di un sistema fisico, risente allora in modo indiretto delle restrizioni imposte dall'indeterminazione quantistica. Di conseguenza, quando si cerca una descrizione quantistica dell'intero Universo, si debbono prevedere alcune delle bizzarre conseguenze che tutto ciò avrebbe per il tempo. La più inusuale è la richiesta che si possa interpretare una cosmologia quantistica come descrizione di un Universo creato dal nulla.

I modelli cosmologici non quantistici della relatività generale possono contemplare un inizio in un determinato istante nel passato, definito ricorrendo a particolari tipi di orologi. Le condizioni iniziali che dettano l'intera evoluzione futura dell'Universo in questione devono essere assegnate in quella singolarità. Nella cosmologia quantistica, invece, il concetto di tempo non compare in modo esplicito: il tempo è una funzione dei campi di materia e delle loro configurazioni. Dato che disponiamo di equazioni che ci dicono qualcosa del modo in cui quelle configurazioni cambiano al passare da una sezione di spazio all'altra, sembrerebbe superfluo avere anche un "tempo". Tutto questo non è molto diverso dal modo in cui un orologio a pendolo segna il tempo. Le lancette dell'orologio tengono semplicemente conto di quante oscillazioni compie il pendolo. Non c'è alcun bisogno di riferirsi a qualcosa che si chiami "tempo". Analogamente, in ambito cosmologico stiamo semplicemente etichettando le sezioni della nostra pila dello "spazio-tempo" con la configurazione della materia che crea la geometria intrinseca di ciascuna sezione. Nella teoria dei quanti, questa informazione circa la geometria e la distribuzione della materia è disponibile solo in modo probabilistico, ed è codificata in quella che è nota come funzione d'onda dell'Universo, che d'ora in poi denoteremo W.

La generalizzazione delle equazioni di Einstein che includa anche la teoria quantistica è uno dei grandi problemi della fisica contemporanea. Una delle vie proposte sfrutta un'equazione introdotta dai fisici americani John Archibald Wheeler e Bryce De Witt. L'equazione detta di Wheeler-De Witt descrive l'evoluzione di W. Si tratta di una modificazione della celebre equazione di Schrödinger, che governa la funzione d'onda della meccanica quantistica ordinaria; nella variante sono però inglobate anche le caratteristiche dello spazio curvo della relatività generale. Se conoscessimo la forma attuale di W, ne potremmo ricavare la probabilità che l'Universo osservabile si riveli dotato di certe caratteristiche su larga scala. Noi speriamo che tali probabilità risultino fortemente concentrate attorno a particolari valori, proprio come accade per gli oggetti macroscopici dell'esperienza quotidiana, che hanno proprietà definite nonostante le indeterminazioni microscopiche della meccanica quantistica. Se i valori più probabili fossero prossimi a quelli osservati, si avrebbe allora una spiegazione di quelle caratteristiche, in quanto esse risulterebbero conseguenze del fatto che il nostro costituiva, fra tutti gli universi possibili, uno dei più "probabili". Ma, per giungere a questo, occorrono pur sempre delle condizioni iniziali per l'equazione di Wheeler-De Witt, ossia una forma iniziale della funzione d'onda dell'Universo.

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Pagina 282

La concezione dualistica, secondo la quale le condizioni iniziali sono indipendenti dalle leggi della Natura, deve essere riqualificata nel caso delle condizioni iniziali per l'Universo come un tutto. Se l'Universo è unico - l'unica possibilità logicamente coerente -, allora anche le condizioni iniziali sono uniche, e diventano esse stesse, di conseguenza, una legge della Natura. Questa è la motivazione che spinge coloro che sono alla ricerca di principi base che possano servire a delineare le condizioni iniziali dell'Universo. Se le cose stanno davvero così, allora si avrebbe un ulteriore elemento di novità nel nostro modo di concepire l'Universo, dal momento che esso mette in luce una fondamentale asimmetria tra il passato e il futuro nella costituzione delle leggi della Natura. D'altro canto, se crediamo che ci siano molti universi possibili (e in effetti possono davvero esserci molti possibili universi "da qualche parte"), allora le condizioni iniziali non hanno necessariamente uno status privilegiato. Potrebbero semplicemente essere come in molti problemi fisici ordinari: le condizioni che specificano un caso particolare realizzato all'interno di una classe generale di possibilità.

La concezione tradizionale che le condizioni iniziali riguardino il teologo e le equazioni siano invece affare del fisico, sembra sconfitta, almeno temporaneamente. I cosmologi sono oggi impegnati nello studio delle condizioni iniziali per scoprire se esista davvero una "legge" delle condizioni iniziali, di cui la proposta della "assenza di contorno" non sarebbe altro che un esempio. Questo è certamente un punto di vista radicale, ma forse non lo è abbastanza. Lascia perplessi che tanti dei concetti e delle idee di cui ci si serve nell'odierna descrizione matematica del cosmo - "creazione dal nulla", "tempo che viene all'essere con l'Universo" - non siano altro che versioni raffinate di intuizioni e categorie di pensiero alquanto tradizionali. Sono certamente state queste nozioni tradizionali a motivare molti dei concetti di cui si cerca, a volte con successo, una reinterpretazione nell'ambito delle odierne teorie espresse in forma matematica. La proposta della "conversione del tempo in spazio" costituisce l'unico elemento davvero radicale che non possiamo normalizzare come eredità della riflessione filosofica e teologica delle generazioni passate. Sospettiamo allora che moltissimi altri concetti abituali debbano essere profondamente trasformati prima che cominci a emergere il vero quadro della realtà.

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Pagina 307

I primi capitoli del volume di Davies [Universi possibili] si incentrano su tre famosi paradossi dovuti all'esistenza della funzione d'onda. Essi dispiegano le inquietanti sottigliezze necessarie per interpretare la teoria quantistica. Benché familiari ai fisici professionisti, i dilemmi del "gatto di Schrödinger", dell' "amico di Wigner" e il "paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen" non sembrano aver eccitato la fantasia del pubblico quanto l'hanno fatto invece gli enigmi della relatività come il "paradosso dei gemelli". Eppure, presi al loro valore nominale, sono altrettanto bizzarri. Inevitabilmente, chi siede al banco degli accusati in queste sfide è la "funzione d'onda". È sempre possibile costruire uno stato quanto-meccanico che sia la combinazione di due altri stati qualsiasi. Tuttavia, si è completamente liberi di scegliere questi due stati componenti in modo che corrispondano a situazioni che, da un punto di vista macroscopico, siano mutuamente esclusive. Nel caso del "paradosso del gatto", si decide che i due stati rappresentano rispettivamente il "gatto morto" e il "gatto vivo". Come possiamo allora interpretare quello che sembra essere lo stato quantistico "medio" fra un gatto vivo e un gatto morto?

Paul Davies sfrutta abilmente questi paradossi per dipingere un quadro molto chiaro della bizzarra nozione di realtà che i fisici sono stati costretti ad accettare. Tuttavia, nonostante la sua lucida presentazione, c'è un problema che egli non affronta mai, e che potrebbe insinuarsi nella mente del lettore: nonostante i suoi enormi successi operativi, la teoria quantistica non potrebbe essere solo un modello, un modo di rappresentarci la realtà? È vero che essa appare fortemente confermata dalle osservazioni, ma era così anche per la teoria di Newton della gravitazione. È una mossa pericolosa quella di costruire una filosofia o un'interpretazione della realtà basandosi sulle particolari rappresentazioni che le nostre menti hanno scelto come veicolo della descrizione fisica. E poi, si chiede ancora il lettore, se la nostra razionalità è puramente una manifestazione di tale indeterminazione microfisica, che motivi potremmo mai avere per fidarci delle sue deduzioni?

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Pagina 313

Il "principio antropico", come lo descrive Davies in Universi possibili, può essere visto come una versione sofisticata dei più tradizionali argomenti del progetto. Invece di fare appello agli espedienti e alle capacità di adattamento di caratteristiche locali e transitorie del nostro Universo, esso mira a quegli aspetti invarianti e unici della sua struttura globale che si sono ben adattati per ospitare l'evoluzione degli organismi viventi. L'aggiunta dell'interpretazione "a molti mondi" di Everett genera gli altri "universi", necessari a valutare qualsiasi enunciato di riferimento comparativo. Ancora, il lettore potrebbe obiettare che si tratta solo di un modo conveniente di vedere le cose. Dopotutto, potremmo citare un altro tentativo di dare alla nozione del "migliore dei mondi possibili" un fondamento rigoroso. Maupertuis interpretò il suo principio di "minima azione" in quest'ottica, affermando che si trattava di un superbo argomento per l'esistenza di Dio. I moti possibili di un sistema dinamico possono essere parametrizzati da una quantità chiamata "azione". La traiettoria seguita effettivamente dal sistema è sempre quella che minimizza l'azione; e ciò fornisce un modo elegante per derivare le sue equazioni del moto. Visti esclusivamente in questa luce, i principi di azione della fisica sembrano interamente teleologici, e Maupertuis considerò appunto la loro esistenza come una prova del fatto che l'effettivo corso della Natura era stato preferito in mezzo a un mare di alternative matematicamente precise ma sfavorevoli. La traiettoria che seguiva la minima azione era il migliore dei mondi possibili. Tuttavia, i principi d'azione possono essere facilmente riformulati in termini di equazioni differenziali deterministiche che evolvono, nello spazio e nel tempo, da particolari condizioni iniziali: l'aspetto teleologico scompare. Abbiamo rappresentazioni alternative di un problema fisico che, sebbene matematicamente equivalenti, divergono sul piano metafisico.

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Pagina 335

PARTE NONA
RELIGIONE E SCIENZA


               Senza parabole la fisica moderna
               non parla alle moltitudini.
               C. S. Lewis


Il rapporto fra scienza e religione è tutt'altro che ovvio. Per alcuni la scienza è uno strumento per "dimostrare" la religione, mentre per altri è un mezzo per dimostrare l'esatto contrario. Ma il termine "scienza" è un grande ripostiglio, quasi come "religione". A dire il vero, le diverse scienze offrono altrettanta eterogeneità delle diverse religioni. Le scienze del molto grande, l'astronomia, la cosmologia e la fisica di base, sembrano più bendisposte nei confronti delle tradizioni religiose; le scienze della vita, come la biologia, la psicologia e l'antropologia, appaiono invece loro antagoniste. C'è qualcosa di più alla base di questa divisione che non la semplice distanza dell'oggetto della ricerca scientifica dal funzionamento della mente umana e dai fattori che plasmano le sue credenze. Ci riporta alla mente la divisione che abbiamo evidenziato nei capitoli precedenti fra le leggi della Natura e i loro esiti. Le scienze che hanno molti punti di contatto con le leggi fondamentali della Natura pongono maggiormente l'accento sulla simmetria e sulla semplicità della Natura di quanto invece non facciano quelle che concentrano la propria attenzione sui risultati di queste leggi, nei quali tali simmetrie sono infrante o mascherate. Ne consegue che coloro che lavorano con le leggi della Natura è più probabile che siano impressionati dall'idea di una "mente" dietro le apparenze, di un Dio magistrale matematico, rispetto a quanti studiano invece l'infrangersi di queste simmetrie. Per questi ultimi, il mondo costituisce il complesso esito di un processo di setacciatura e di selezione, spesso influenzato da una caotica imprevedibilità. Questi due modi guardare alla Natura possono ritrovarsi anche alla radice dei tentativi di sostenere che le splendide armonie della Natura costituiscono la prova dell'esistenza di un grandioso progettista. C'è una serie molto vecchia di argomentazioni che evidenziano il modo in cui gli esseri viventi sono apparentemente tagliati su misura per il loro ambiente, e in cui le parti del loro corpo sono così perfettamente costruite per svolgere le loro funzioni: uno degli esempi preferiti al tempo dei vittoriani era la perfetta ingegneria ottica alla base dell'occhio umano. Si tratta di un argomento relativo ai rapporti fortuiti fra gli esiti delle leggi della Natura. Fu spazzato via dalla scoperta di Darwin secondo cui un processo di selezione naturale che promuove quegli stessi esiti che favoriscono la sopravvivenza assicurerà, a lungo termine, che quegli esiti diventino più diffusi in una popolazione. Per contro, c'era una forma meno antica di argomentazione, diffusa per la prima volta da Newton e dai suoi seguaci circa tre secoli fa, che sottolineava la notevole semplicità formale delle leggi della Natura. Se fossero state leggermente diverse la vita non sarebbe stata possibile. Le versioni odierne del principio antropico mostrano che questa argomentazione consente di trarre varie e più complesse conclusioni. Da un punto di vista logico, tuttavia, si tratta di un'argomentazione perfettamente coerente con quella del progetto; non soffre di alcuno dei difetti di cui soffre l'argomento che muove dai fortuiti accomodamenti reciproci tra gli esiti delle leggi naturali, e non viene affatto intaccata dalle scoperte di Darwin.

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40
L'ORIGINE DELL'UNIVERSO
[...]

A questo punto dovremmo concludere con una nota di pessimismo. Esistono di fatto due "universi". Da un lato, c'è l'Universo intero, che potrebbe essere infinito; dall'altro, c'è una regione finita di forma approssimativamente sferica e del diaetro di circa quindici miliardi di anni luce, che noi chiamiamo il nostro universo visibile. Questo universo ha dimensioni finite, e i suoi confini sono contrassegnati da quella regione da cui i segnali luminosi hanno avuto il tempo di viaggiare nella storia passata dell'Universo. Potrebbero esserci migliaia di universi oltre i confini del nostro universo visibile: lo scenario dell'inflazione ci porta a supporre che al di là di quell'orizzonte le cose siano molto differenti, ma noi non lo sapremo mai. La Figura 40.7 mostra un diagramma dello spazio e del tempo in cui il nostro universo visibile costituisce il cono di raggi luminosi che viaggia verso di noi dal passato. Tutto ciò che l'astronomia osservativa può fare è costruire un quadro della struttura del contorno e dell'interno di quel "cono di luce".

Le nostre osservazioni dell'Universo sono seriamente e radicalmente limitate dalla finitezza della velocità della luce. Possiamo solo raccogliere testimonianze della storia passata della nostra parte visibile dell'Universo. Anche con strumenti perfetti il nostro quadro è destinato a restare incompleto. Possiamo cercare di capire se la nostra parte visibile di Universo abbia avuto una "origine"; ma sull'Universo intero rimarremo per sempre ignoranti. Non potremo sapere se esso abbia avuto un inizio, se sia finito o infinito. L'informazione di cui avremmo bisogno per fare asserzioni circa queste proprietà di base del nostro Universo non ci è accessibile. La finitezza della velocità della luce è una delle cose che rendono la vita possibile nell'Universo, e potrebbe essere una di quelle che rendono possibile l'Universo stesso. Ironicamente, è anche uno degli elementi che impediscono agli esseri viventi di conoscesse i segreti più profondi.

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