Autore Stefano Bartezzaghi
Titolo Parole in gioco
SottotitoloPer una semiotica del gioco linguistico
EdizioneBompiani, Milano, 2017, Overlook , pag. 264, cop.fle.sov., dim. 15x21x2 cm , Isbn 978-88-452-8236-2
LettoreMargherita Cena, 2017
Classe giochi , semiotica , linguistica , comunicazione , teoria letteraria












 

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Indice


         Presentazione                                            5

                         Prima parte. Racconto

1.       Qualche parola, per cominciare                          17

1.1.     La parola parola                                        17
1.2.     Perché (non) parli?                                     23

2.       Nessuno, qualcuno, tutti                                29

2.1.     Parlare da soli                                         32
2.2.     La madre lingua                                         38
2.3.     Lessico famigliare                                      41
2.4.     "Siamo solo noi": amici, amori, vicini, compagni        46
2.5.     Parlare in pubblico                                     50
2.6.     "L'agio sta in poco"                                    54


                         Seconda parte. Fenomeni

3.       Il campo dei giochi                                     59

3.1.     Contro i giochi di parole                               61
3.2.     Definizioni preliminari                                 64
3.3.     Giochi di parole di primo livello:
         estemporaneità e rottura                                69
3.3.1.   Invenzioni di lingue                                    71
3.3.2.   Invenzioni moderate                                     72
3.3.3.   Deformazioni incongrue                                  73
3.3.4.   Ripetizioni di tormentoni                               74
3.3.5.   Giochi di parole in senso stretto                       75
3.3.5.1. Somiglianze di suoni, in praesentia
3.3.5.2. Somiglianze di suoni, in absentia
3.3.5.3. Witz di condensazione
3.3.5.4. Doppi sensi
3.3.5.5. Giochi volontari e involontari
3.4.     Giochi di parole di secondo livello:
         ritualità e costruzione                                 82
3.4.1.   Introduzione al secondo livello:
         sospensione, sfida, combinatoria                        82
3.4.2.   L'enigmistica italiana                                  83
3.4.3.   Giochi commerciali                                      84
3.4.4.   Giochi letterari                                        84
3.4.5.   Giochi verbo-visivi                                     85
3.5.     Play/game                                               85

4.       Sfida e combinatoria. Enigma, indovinello, enigmistica  87

4.1.     Enigma e indovinello                                    87
4.1.1.   Sfida sul sapere                                        89
4.1.2.   Forme testuali                                          92
4.1.3.   L'enigma e la conoscenza                               104
4.2.     Enigmistica (come campo unitario)                      106
4.2.1.   Il nome e il fenomeno                                  106
4.2.2.   La comunicazione enigmistica                           109
4.2.2.1. La dichiarazione della sfida
4.2.2.2. L'oggetto della sfida
4.2.2.3. Apparati peritestuali
4.2.2.4. La sanzione dell'esito della sfida
4.2.3.   La significazione enigmistica                          113
4.2.3.1. Chiavi semantiche
4.2.3.2. Trasformazioni sul piano dell'espressione
4.2.3.3. Il campo unitario
4.3.     Per una tipologia degli schemi enigmistici             119


                         Terza parte. Teoria

5.       Per una semiotica dei giochi linguistici               127

5.1.     Il gioco e la funzione poetica                         127
5.2.     Il caso Scialoja                                       134
5.3.     La prevalenza dell'artificio                           137
5.4.     Aspetti meccanici del gioco linguistico                141
5.4.1.   Gioco                                                  141
5.4.2.   Relazione                                              142
5.4.3.   Presenza/Assenza                                       142
5.4.4.   Schema/Combinazione                                    144
5.4.5.   Parametri pertinenti alla meccanica del gioco          145
5.5.     Aspetti semantici del gioco linguistico                145
5.5.1.   Effetti di senso e generi di gioco                     149
5.5.2.   L'equivoco degli effetti (dell'equivoco)               153
5.5.3.   Forme di manifestazione dell'ethos                     157
5.6.     Il gioco come atto linguistico                         160

6.       Il gioco dell'ambiguità                                163

6.L      Ambiguità dell'ambiguità                               163
6.2.     L'ambiguità nel Novecento                              168
6.2.l.   Ambiguità buone e cattive                              168
6.2.2.   Ambiguità e arte                                       170
6.3.     L'ambiguità semiotica                                  175
6.3.1.   Precursori                                             175
6.3.2.   La semiotica                                           179
6.3.3.   Il quadrato dell'ambiguità                             181
6.4.     Casi particolari di ambiguità                          184
6.4.1.   L'oracolo                                              184
6.4.2.   La metafora                                            185
6.4.3.   L'ambiguità politica e polemica                        187
6.4.4.   L'ambiguità arguta: il Witz                            190
6.4.5.   L'ambiguità mistica                                    191
6.5.     L'ambiguità enigmistica                                192
6.5.1.   Restrizioni enigmistiche                               193
6.5.2.   Forme semantiche dell'ambiguità enigmistica            193
6.5.3.   Ambiguità enigmistiche sul piano dell'espressione      195
6.5.4.   Il caso particolare del rebus                          201
6.5.5.   Integrità e manipolazione del significante
         nell'ambiguità non enigmistica                         202
6.5.6.   Sistematica dell'ambiguità                             205


Appendice. Storia del professor Saussure e di Monsieur X        209

         Malattia e battaglia                                   209
         Tre tipi di rompicapo                                  212
         Norme e nomi                                           215
         Mobilità e salienza                                    220
         L'être-lettre e la sinestesia necessaria               222
         Giochi linguistici orali e scritti                     225
         Saussure e i criptoanalisti letterari                  229
         Il romanzo di Saussure e la poesia di Pascoli          232


Riferimenti bibliografici                                       235
         A. Fonti antiche e letterarie                          235
         B. Studi                                               240



 

 

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Pagina 10

Come a volte accade, la disposizione della materia ha finito per tracciare uno schema di percorso molto più netto di quanto pensassi inizialmente.

I primi due capitoli ("Qualche parola, per cominciare" e "Nessuno, qualcuno, tutti") sono tappe d'avvicinamento, rispettivamente sul tema della parola e sul tema dei suoi possibili giocatori. Il gioco è sempre in relazione alla cerchia in cui si svolge: dall'individuo alla famiglia, agli amici, ai vicini e colleghi fino al pubblico indifferenziato, i partecipanti all'interazione cambiano forma e funzione dei giochi linguistici. Sono due capitoli raccontati, pochissimo tecnici.

Nei due capitoli che seguono ("Il campo dei giochi" e "Sfida e combinatoria") cerco di delineare un quadro dei fenomeni da prendere in considerazione, dall'invenzione linguistica sino agli schemi enigmistici, e di organizzarne l'eterogeneità attorno ad alcuni principi di base. La loro materia li rende già un po' meno discorsivi.

I capitoli teorici veri e propri sono quelli della terza parte ("Per una semiotica dei giochi linguistici" e "Il gioco dell'ambiguità"), il cui grado di tecnicismo semiotico è fatalmente più elevato. Ho cercato di spiegare ogni concetto teorico e ogni strumento d'analisi e spero di avere reso accessibile la lettura di questi capitoli anche a chi di semiotica non sappia nulla.

In Appendice ho poi raccontato la storia del più romanzesco tentativo di ricostruire un "gioco" letterario, ovvero di catturare il fantasma di un gioco che forse non è mai neppure esistito. La stessa nomenclatura e la bizzarria concettuale che prolifera lungo i sentieri tortuosi di questa ricerca andrebbero considerati come personaggi del romanzo: la loro esistenza è documentata (nel senso che se sono elementi di fantasia non sono stati inventati da me); nessuno però può decidere una volta per tutte se la brughiera nebbiosa su cui si dispiegò questa caccia alle ombre, più di un secolo fa, fosse terreno solido, ancorché accidentato, o una regione del tutto immaginaria. La realtà di una congettura può non incontrare mai la sua verifica empirica: ci resta la sua costruzione, cioè la realtà che la congettura finisce per costituire in sé. Anche in questo caso, la storia che racconto secondo me ha senso (ad altri invece "fa" senso). Quanto meno stabilisce un limite oltre il quale, nella conoscenza della lingua e dei suoi giochi, andare non si riesce, non si sa, forse non si può.

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Pagina 17

1.
QUALCHE PAROLA, PER COMINCIARE





1.1. La parola "parola"


Prima di dare inizio al nostro banchetto, vorrei dire qualche parola. E cioè: imbecille, medusa, scampolo, pizzicotto!


Con questa frase Albus Silente apre la cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico di Hogwarts, di cui è preside. Il suo solenne discorso è già finito e lascia pensare a Harry Potter (il quale ascolta Silente per la prima volta) che il preside sia un po' matto. "È un genio, piuttosto: il miglior mago del mondo," gli dice qualcuno che, a differenza di Potter, lo conosce già.

A quale gioco sta giocando Albus Silente? Quale magheggio ha combinato, il "miglior mago del mondo"? Nei "toast" o discorsi d'occasione, almeno se l'occasione non è triste (ma a volte anche in quest'ultimo caso), è una buona captatio benevolentiae offrire subito all'uditorio un gioco di parole o qualcosa che faccia almeno sorridere. Silente però non ha fatto un discorso in cui si è concesso qualche gioco di parole: ha invece messo un gioco verbale, e uno solo, al posto dell'intero discorso che ci si attendeva da lui. E questo può farci pensare.

Io penso a quella forma di freddura espressa da un dialogo come il seguente:

    "Dimmi qualcosa!"
    "Qualcosa".

Penso al gioco che si fa da bambini, di ripetere una parola per un numero di volte sufficiente a farle perdere significato "finestra, finestra, finestra, finestra, finestra...". O a quelle parole di cui i bambini ridono, un po' per quel che vogliono dire ("mutande", "bidet") un po' per il loro suono ("Poggibonsi").

Penso a quelle parole a cui ci pare di stare attaccati, come ciambelle di salvataggio, o come bandiere da sventolare: "libertà", "giustizia", "amore". Parole che sono "valori". "Le parole valgono", dice infatti un'iniziativa del sito della Treccani, che nel 2015 ha chiesto a persone e personaggi di indicare "la parola che ti ha cambiato la vita".

    L'astronauta Samantha Cristoforetti ha indicato: "fiducia".
    La comica Luciana Littizzetto ha indicato: "resilienza".
    Lo scrittore Alessandro Baricco ha indicato: "complesso".
    Il calciatore Francesco Totti ha indicato: "famiglia".
    Il paroliere Mogol, autore fra l'altro del testo della canzone
    "Pensieri e parole", ha indicato: "automatismo".

E pare proprio un automatismo quello che ci fa scambiare la parola con la cosa, perché quelle che sono state indicate più che parole sono cose, o meglio i concetti a cui si riferiscono le parole. Pensieri e parole, per l'appunto.

Penso ai nomi dei luoghi, quelli che si leggono sugli atlanti – attività che ha incantato genii della scrittura come Edgar Allan Poe o Primo Levi –, sugli orari ferroviari – e qui ci sarebbe Proust – o si evocano in musica: "New York, New York"; "London Calling"; "... Broni, Casteggio, Voghera..." Sono parole come le altre, o no?

Poi penso anche a quelle parole che, da sole, costituiscono una frase, a volte un dramma. A me hanno "cambiato la vita" soprattutto dei "no" e dei "sì" (ma non so dire se più gli uni o più gli altri) e sarà esperienza comune avere ricevuto dei "ciao" che valevano come una lettera di insulti elaborata e prolissa. Cosa dire poi di un "mah" che arrivi come unico commento o obiezione in risposta a un nostro discorso articolato? Quante cose ci hanno detto i silenzi che ci sono stati rivolti? Si potrà fare un gioco di parole con il proprio silenzio?

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Pagina 69

3.3. Giochi di parole di primo livello: estemporaneità e rottura


Il primo principio di classificazione dei giochi linguistici consiste nella distinzione di due livelli, distinzione che ora andrà meglio precisata.

Quelli che abbiamo chiamato "giochi di parole in senso ristretto" (bisticci, calembour, doppi sensi) appartengono al primo livello, ma non lo esauriscono.

I giochi di parole di primo livello sono estemporanei. Irrompono nel discorso all'improvviso e spesso lo lasciano riprendere subito dopo. Dal punto di vista aspettuale, e in linea di massima, il gioco di parole di primo livello è puntuale; esistono però parlanti che lo praticano con una sistematicità quasi compulsava, e allora diviene iterativo; può essere ritenuto durativo quando l'intera conversazione non è che un pretesto per il gioco verbale (il "parlare a vanvera" o il cosiddetto "cazzeggio").

L'altra caratteristica dei giochi di parole di primo livello è data dalla non convenzionalità della costruzione del discorso. Per "non convenzionalità" si deve intendere innanzitutto un'infrazione di ciò che Paul Grice, introducendo le sue massime della conversazione, ha chiamato "principio di cooperazione": "il tuo contributo alla conversazione sia tale quale è richiesto allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico in cui sei impegnato" (Grice, 1967). Le massime, come è noto, si dividono in generi:

    "Dà un contributo tanto informativo (né più, né meno) quanto è richiesto"
            (massima della quantità);
    "Non dire ciò che credi essere falso o per cui non hai prove adeguate"
            (massima della qualità);
    "Sii pertinente"
            (massima della relazione);
    "Sii perspicuo (non essere oscuro, ambiguo, prolisso, confuso)"
            (massima del modo).

La violazione di una di queste massime può essere una sorta di accidente nel discorso ma può anche avere una funzione specifica, che Grice chiama "implicatura". L'esempio che porta è quello di un professore che deve attestare la competenza di un allievo che concorre per un insegnamento di filosofia e scrive:

"Egregio signore, Mr. X ha un'ottima padronanza dell'inglese e la sua frequenza alle lezioni è stata regolare. Cordiali saluti". L'informazione data da questa lettera non è sufficiente e non è pertinente, quindi viola due massime: l'implicatura è che Mr. X non ha una buona opinione della preparazione filosofica del suo allievo (ma non vuole enunciare in modo chiaro il proprio giudizio, quindi parla poco, e d'altro).

Anche al gioco di parole corrisponde sempre una violazione del principio di cooperazione, violazione che perlopiù non può essere tanto facilmente ridotta a un'implicatura conversazionale: sono le parole "oziose" che Gertrude attribuisce ad Amleto, cercando di ridurre a nonsense un atto invece ostile. Questo tipo di rottura della convenzione è più radicale e casomai (su un secondo livello) arriva a costituire un'altra convenzione in sé, che risponderà appunto alla logica autonoma del gioco, con le sue regole.

Vediamo di seguito alcuni tipi di giochi linguistici che appartengono a questo primo livello.

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3.4. Giochi di parole di secondo livello: ritualità e costruzione




3.4.1. Introduzione al secondo livello: sospensione, sfida, combinatoria


La differenza fondamentale fra il primo e il secondo livello è che nei giochi di secondo livello non vi è più estemporaneità e unilateralità. Il discorso ordinario non viene più sospeso per la decisione dirompente di uno degli interlocutori, che sorprende l'altro con le eterogenee combinatorie di significanti e significati; si patteggia e condivide un'entrata in gioco, invece, come avviene nella maggior parte dei giochi non verbali. Che si tratti di giochi infantili (come "È arrivato un bastimento carico di..." o "Fiori, frutti, animali...") o di giochi da tavoliere (come lo Scarabeo – Scrabble), di giochi da salotto come quello delle "sciarade", di "collezioni" di parole speciali (panvocaliche, palindromiche, eteroletterali), di composizione o soluzione enigmistica, la caratteristica comune è che il discorso ordinario viene del tutto accantonato: ci si accorda per interrompere le funzioni comunicative del linguaggio e fare di esso campo e materiale di una costruzione artificiosa.

Mentre nel primo livello si osservano solo regolarità, nel secondo livello vigono regole vere e proprie. Nel primo livello, la rottura della cooperazione conversazionale e testuale sembra stabilire zone di totale anarchia semiotica. Si esce dalla sintassi e tutto può succedere: se non interviene una pronta riduzione del gioco, con rientro nel discorso ordinario, il gioco può condurre al delirio; si affaccia, in ogni caso, sull'abisso del non-senso. Nel secondo livello, invece, la membrana che separa il gioco dall'andamento ordinario del discorso è ben più solida. È qui che alle due forme di creatività linguistica teorizzate da Noam Chomsky se ne affianca una terza: non più soltanto una creatività governata dalle regole, né una creatività che muta le regole, ma una creatività che aggiunge nuove regole alle vigenti (Bartezzaghi, 2009).

Due modalità, perlopiù compresenti, si disputano il secondo livello dei giochi con le parole.

La prima modalità è la sfida: l'enigma a cui dare soluzione, il primato da battere (chi riesce a trovare il maggiore numero di parole con una data caratteristica), lo schema da riempire, la restrizione da rispettare.

La seconda componente è la competenza combinatoria, che porta a selezionare le parole da gioco innanzitutto per le caratteristiche del significante e non (o solo secondariamente) per la pertinenza del significato.




3.4.2. L'enigmistica italiana


Per diffusione e radicamento, in Italia il secondo livello di gioco di parole è rappresentato soprattutto dall'enigmistica (Bartezzaghi, 2001, 2004a, 2007a, 2009-2010).

Si possono distinguere tre forme di enigmistica:

1. l'enigmistica cosiddetta "popolare", diffusa nei mass media, i cui giochi principali sono cruciverba, rebus, giochi linguistici per game show televisivi;

2. l'enigmistica cosiddetta "classica", di tradizione quasi esclusivamente italiana, i cui giochi specifici sono enigmi e indovinelli in versi e crittografie;

3. un'enigmistica infine più libera, le cui forme vengono a volte raggruppate sotto l'etichetta (largamente arbitraria e in origine spregiativa) di "ludolinguistica".


La terza forma di enigmistica comprende giochi come: la collezione di parole contenenti cinque vocali tutte diverse (aiuole, sequoia, surrealismo, freudiano: "panvocalismo"); la composizione di anagrammi su nomi di personaggi famosi (Marco Antonio: antico romano, "onomanzia"); il reperimento o l'invenzione di parole dalle caratteristiche peculiari (onorarono, accavallavacca: palindromi lunghissimi; capopopolo, patatata, non-onorevoli: parole con la stessa sillaba ripetuta tre volte); la costruzione di catene di parole differenti per una sola lettera (metagramma: CAPO, caLo, cOlo, colA, CODA); la composizione di testi in cui una data lettera è assente (lipogramma: "Così di frequente un felino di genere femminile corre verso un cibo unto e succulento che pressoché di sicuro gli succede di incorrere in dolorose perdite del suo corredo ortopedico"; la lettera evitata è la A), o in cui sono presenti tutte le lettere dell'alfabeto (pangramma: "Pranzo d'acqua fa volti sghembi", Dossena, 1987), o in cui ci si preclude l'uso di tutte le vocali tranne una (Varaldo, 1993).

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4.
SFIDA E COMBINATORIA.
ENIGMA, INDOVINELLO, ENIGMISTICA





4.1. Enigma e indovinello


In quale senso, o quali sensi, enigma e indovinello possono essere considerati giochi di parole? È davvero possibile annetterli a una serie che comprende calembour, anagramma e scioglilingua? In apparenza è difficile rispondere positivamente a quest'ultima domanda.

Anagramma e calembour sono due casi di meccanismi testuali, forme di significazione diverse da quelle codificate nella lingua, e perciò facili da considerare "non serie" e ludiche; enigma e indovinello invece non sono meccanismi, bensì tipi di testo: condividono cioè con lo scioglilingua l'appartenenza alla classe dei generi testuali e sono forme individuabili da una tipologia dei discorsi. Detto questo, fra i generi testuali quello dello scioglilingua è definito da un vincolo sul piano dell'espressione: la ripetizione di sequenze fonetiche particolari, con l'effetto di risultare difficile da eseguire correttamente. Non è così per enigma e indovinello, che possono o meno implicare particolari operazioni sul piano dell'espressione, ma in generale sono definiti non da tali operazioni bensì dalla situazione pragmatica che instaurano: comunicazione che si offre come ingannevole o comunque opaca e sfida l'interlocutore a trovare il modo di riportarla a una piana normalità. Basta a farne un gioco? Sarebbe casomai possibile impiegare l'appartenenza o meno al campo dei "giochi" come un criterio di separazione fra enigma e indovinello. L'enigma è "alto", letterario, solenne quanto l'indovinello è "basso", popolare e frivolo. "Giocare agli indovinelli" è una locuzione che pare assai più pacifica che non "giocare agli enigmi".

In ogni caso, tutto dipende da quale interpretazione diamo alla locuzione "giochi di parole". Se quella ristretta (§ 3.2), almeno l'enigma andrà certamente escluso; se quella più ampia, allora la connotazione agonistica della sfida e quella mimetica del travestimento testuale suggeriranno cautela nell'adottare delimitazioni rigide e conseguenti drastiche espulsioni.

L'ipotesi preliminare è che quello dell'enigma sia un genere di frontiera, tra il gioco e il non-gioco; è persino possibile considerare l'enigma come la parte esterna e l'indovinello come quella interna della frontiera del gioco. L'enigma guarda in fuori: alle origini mitiche, se non sacrali, della sfida sul sapere (Colli, 1975, 1977); l'indovinello guarda verso l'intrattenimento giocoso e anche infantile. Con una bizzarria ulteriore: nell'etimologia si invertono i valori di solennità e frivolezza. Il frivolo indovinello è infatti direttamente connesso alla sfera della divinazione; per l'austero enigma, si può invece ipotizzare un collegamento con aínos, storia che si tramanda, aneddoto spicciolo.

Enigma e indovinello sono entrambi testi a due piani: bisogna considerare che non è mai escluso che il solenne si ribalti nel frivolo, e viceversa.

La Pizia aveva ammonito Omero a "guardarsi dall'enigma di giovani pescatori". Giunto a Io, sua isola natale, Omero chiede ad alcuni giovani pescatori cosa stiano facendo, ed essi gli rispondono con un distico bizzarro: "Quelli che abbiamo preso li lasciamo; / quelli che non abbiamo preso ce li teniamo". Nel suo Dei poeti, Aristotele racconta che Omero, "il più sapiente degli uomini", morì per lo sconforto di non aver saputo risolvere il quesito. Enigma o indovinello? Trattandosi di pescatori verrebbe da pensare a un nonsense a proposito di pesci, quindi a un indovinello; l'apparente assurdità si scioglie cambiando il punto di vista. I pescatori sono inattivi perché le condizioni del mare non consentono alle barche di uscire dal porto, quindi impiegano il tempo a togliersi i pidocchi, almeno quelli che riescono "a prendere". Abbiamo dunque un'analogia ingannevole, espressa in un testo apparentemente autocontraddittorio e perciò inconsistente. Per la provenienza, bassa per argomento e popolare come fonte, si dovrebbe parlare di indovinello, e così anche per la sua forma, un semplice chiasmo di opposizioni, espresso in lingua del tutto piana; ma per la tragica conseguenza della sua mancata soluzione, quello dei pescatori sarebbe invece un enigma. La sapienza, Sophia, di Omero viene sconfitta dall'astuzia, Metis, dei pescatori; lo scherzo ha avuto esito letale.

Anche nel caso di Edipo, in fondo, l'enigma finisce per mescolare i ruoli: a risolverlo, uccidere la Sfinge e salvare Tebe non è l'indovino Tiresia, ma un viandante fuggitivo e sconosciuto, che per la sua risposta verrà fatto re. Il più solenne degli enigmi può apparire come una sciocchezza puerile; il più umile degli indovinelli può causare la morte o un'altra svolta appena meno decisiva del destino; di fronte al paradosso di un testo indecifrabile non sappiamo se ci aiuti più Sophia o Metis. Il gioco che sempre si fanno di noi enigma e indovinello è quello di scambiarsi le parti, liberi come sono di trasformare la faccia in vista dell'uno in quella nascosta dell'altro.

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4.2. Enigmistica (come campo unitario)


4.2.1. Il nome e il fenomeno


Abbiamo visto che, nell'ambito dei giochi di parole intesi come game, la tradizione italiana degli ultimi due secoli ha strutturato un campo da gioco particolare, denominato "enigmistica" (§ 3.4.1). Nome e fenomeno sono peculiarità italiane. La passione per giochi come acrostici, sciarade, anagrammi, palindromi, rebus, crittografie, combinazioni di parole e, successivamente, cruciverba è presente in molte aree geografiche e in molte epoche storiche. Ma solo in Italia questo disordinato assieme di divertimenti (o rompicapi) linguistici ha assunto la forma e il nome di un campo unitario di giochi.

Il sostantivo "enigmistica" si è introdotto nel lessico delle ristrette cerchie di appassionati nell'ultimo decennio del XIX secolo. Non ha equivalenti in altre lingue, se si eccettua qualche suo occasionale trapianto ispanofono o il vagamente carrolliano "Puzzledom" usato in passato negli Stati Uniti (ma mai diffuso ampiamente). "Puzzledom" pare il nome di un reame immaginario; "enigmistica" invece pare il nome di un settore disciplinare, tecnico, specializzato. Forse è anche in forza di questa suggestione che alla fine dell'Ottocento è prevalso su altri termini concorrenti, che parevano privilegiare connotazioni di tipo hobbistico, o di erudizione accademica e classicheggiante ("enigmofilia", "enigmologia", "enigmografia" e le loro varianti in "enimm-"). Un altro indizio a favore dell'ipotesi che il nome derivi da una suggestione tecnica è il fatto che "enigmistica" si è imposto a partire dal 1901, quando divenne titolo del manuale Hoepli dedicato alla disciplina. Sin dall'edizione originale quest'opera ha costituito la prima presentazione organica della materia a un pubblico indifferenziato, cioè non composto esclusivamente da appassionati, e per questo il 1901 è per molti vocabolari la data dell'ingresso del lemma "enigmistica" nella lingua italiana. L'uso del termine "enigmistica" è quindi da considerarsi come proprio solo per l'Italia del XX secolo: qualsiasi estensione a tempi o luoghi più remoti corrisponde a un uso metaforico. In particolare, si può considerare l'attività editoriale (libri, opuscoli, almanacchi, periodici) nel periodo che va dai primi decenni dell'Ottocento alla fine del secolo, come "proto-enigmistica": è infatti il periodo in cui le norme della comunicazione enigmistica vengono progressivamente stabilite, in assenza di una codificazione unitaria.

Nel 1901 Tolosani definiva l'enigmistica come "l'arte che si occupa, in qualsiasi modo, dei giochi enimmatici": una definizione perfettamente tautologica, per un termine-ombrello sotto cui si raggruppavano specie di giochi mutuate da tradizioni a volte antiche e incrociate con un gusto ottocentesco per la versificazione ampollosa e per l'iconografia neoclassica e pompiére impiegata nei giochi illustrati, come i rebus. L'enigmistica sarebbe probabilmente rimasta un passatempo per circoli ristretti se non fosse poi intervenuta una novità. Con l'importazione in Italia del cruciverba (1924-25), si impose un gioco nuovo, che nella veste grafica e nella concezione rispondeva alla modernità già novecentesca del giornalismo quotidiano. La novità fu, da subito, invisa a enigmisti come Tolosani, anche perché fu adottata e diffusa da periodici ad alta tiratura, che raggiungevano un pubblico trasversale per età, livello culturale, reddito, e potenzialmente vastissimo e indifferenziato (mai realmente raggiunto dall'enigmistica fino a quel momento). Nel 1932 fu fondato un settimanale che affiancava cruciverba e altri formati analoghi a giochi dell'enigmistica più tradizionale e prese il nome di Settimana Enigmistica, estendendo con ciò la denominazione codificata da Tolosani al nuovo gioco delle parole crociate.

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I generi enigmistici si distinguono per il modo in cui vengono presentati:

1. i giochi in versi si presentano come un testo linguistico, in versi regolari o liberi, rimati o no;

2. le crittografie si presentano come un enunciato linguistico, completo e perspicuo o no (da un singolo grafema a un breve sintagma);

3. il rebus si presenta come un testo figurativo (illustrazione, fotografia, riproduzione di opera e simili), su cui il più delle volte sono apposti elementi grafematici;

4. il cruciverba si presenta come un diagramma bidimensionale e un elenco di quesiti linguistici.

I quattro generi enigmistici si sono sviluppati in epoche e modalità diverse: in Italia però si sono tutti come adattati a una codificazione unitaria: un testo enigmistico di qualsiasi genere mostrerà caratteristiche comuni.

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5.
PER UNA SEMIOTICA DEI GIOCHI LINGUISTICI





5.1. Il gioco e la funzione poetica


Dopo due capitoli di entrata in gioco (1 e 2) e due di esplorazione del campo (3 e 4) possiamo porci il problema di una possibile semiotica dei giochi linguistici. Abbiamo già visto che alcune categorie che per la semiotica sono fondamentali (proprio nel senso che ne hanno costituito le fondamenta) — langue/parole, competenza/performance, sistema/processo — sono alla base anche di una possibile semiotica del gioco e intervengono necessariamente in un'analisi formale dei giochi linguistici.

In termini semiotici va notato un fatto: ogni gioco linguistico che abbiamo preso in considerazione sospende la relazione denotativa usuale fra espressione e contenuto e le sostituisce, o affianca, o sovrappone, una relazione di diversa natura. Unità del piano dell'espressione o del piano del contenuto vedono variare la loro funzione, sulla base di relazioni di identità, somiglianza, mutazione (permutazione, commutazione, trasformazione), che pure sono relazioni linguistiche ma che intervengono, nel contesto del gioco, laddove non ce lo si aspetterebbe. Il semplice "cambio di vocale", per esempio, è un fenomeno usuale per la dimensione diacronica del mutamento linguistico, ma non ha un ruolo nelle relazioni sincroniche.

È inevitabile incontrare, in questo percorso, la nozione di funzione poetica del linguaggio, come è stata elaborata da Roman Jakobson. Jakobson ha attribuito al linguista polacco Mikolaj Kruszewski (1851-1887) la distinzione fra asse della selezione e asse della combinazione:

Due operazioni fondamentali sono alla base del nostro comportamento verbale; selezione e combinazione. Kruszewski [...] connette queste due operazioni con due modelli di relazione: la selezione è basata sulla similarità, e la combinazione sulla contiguità.

Linguistica e semiotica del Novecento si sono fondate su questa distinzione per come l'ha illustrata Ferdinand de Saussure (il quale conosceva l'opera di Kruszewski) nelle lezioni orali poi trascritte a partire dagli appunti dei suoi allievi nel postumo Cours de linguistique générale. Per Saussure la catena parlata è formata da unità (per esempio, le parole) che si trovano combinate in un rapporto di contiguità: questo è l'asse della combinazione, o sintagma. Il sintagma è composto da termini tutti presenti, la loro relazione è idealmente retta dalla congiunzione "e". Ma ognuna di queste unità è stata selezionata fra altri termini che non compaiono effettivamente nel sintagma. L'esempio di Saussure è sulla parola enseignement che risulta associata a termini che hanno la stessa radice (enseigner, enseignons...) o la stessa desinenza (changement, armement...) o significato analogo (apprentissage, education...) o infine una semplice somiglianza (clément, justement...). Questo è il paradigma relativo al termine dato: è composto dai termini che non compaiono nel sintagma ma che, per un motivo o per l'altro, avrebbero potuto sostituire il termine effettivamente selezionato. La loro relazione è retta dalla disgiunzione "o": o compare l'uno o compare l'altro. È degno di nota che Saussure, fra i diversi rapporti associativi, non ometta il caso della "semplice somiglianza" che è quello che agisce nei lapsus e nei giochi di parole. Si tratta di somiglianze casuali, non giustificate da relazioni linguistiche dirette, ma è evidente che Saussure era dell'avviso che la linguistica debba tenerne conto e non espellerle in quanto fenomeni da riportare a una radice psicologica, ludica o stilistico-poetica, non pertinente alla teoria. Una tale espulsione è invece di fatto avvenuta, nella linguistica post-saussuriana, che si è ampiamente disinteressata al tema. A fare eccezione è però stato almeno Roman Jakobson.

Pensando a istituzioni poetiche come la rima o l'equivalenza metrica, Jakobson ha affermato che in poesia i rapporti associativi di equivalenza e similarità del paradigma compaiono anche nel sintagma. Componendo un sintagma come "nota del traduttore" devo scartare la variante "traditore", eventualmente proposta da un'associazione mnemonica (prossima al lapsus) o da un cosiddetto "correttore ortografico" mal programmato. O scrivo "traduttore" o scrivo "traditore". Ma se cito l'antico motto "traduttore traditore" compongo un sintagma il cui principio di combinazione dipende proprio dalla somiglianza (o equivalenza relativa) dei due termini: la disgiunzione "o" che li rendeva alternativi nel paradigma è diventata una congiunzione "e". Troviamo, in praesentia, e uno e l'altro.

Per Jakobson è proprio questo il tratto che distingue la funzione poetica dalle altre funzioni del linguaggio: "La funzione poetica proietta il principio d'equivalenza dall'asse della selezione all'asse della combinazione" (Jakobson, 1960; corsivo nell'originale).

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Nel gioco (enigma, indovinello, motto di spirito) i percorsi alternativi di senso restano attivi e devono essere presi in considerazione dal destinatario, per ricostruire l'isotopia nascosta che corre parallela a quella esposta.

In un indovinello intitolato "Drogato sino all'ultimo", e la cui soluzione è "Gesù Cristo" compare il verso: "... Andò al Creator con gli spinelli in testa".

In questo verso se si segue l'isotopia evidente abbiamo:

    /spinelli/ = "sigarette drogate"
    /in testa/ = "in mente"

se si segue l'isotopia nascosta avremo invece:

    /spinelli/ = "piccole spine"
    /in testa/ = "sul cranio"

Le interpretazioni alternative non si annullano a vicenda, ma vanno di lettura in lettura attivate o narcotizzate a seconda che si segua una o l'altra isotopia.

Il gioco realizza così una rottura "da quel progresso regolare e uniforme che è l'ordine tipografico", ordine che per Marshall McLuhan ha connotato la modernità: "per l'Occidente l'appellativo razionale è stato a lungo sinonimo di uniforme, continuo e consequenziale" (McLuhan, 1964). Per lo stesso McLuhan questo è il motivo dell'avversione (e anzi il "disgusto") dei letterati verso il gioco di parole. Si può aggiungere che questo è anche il motivo per cui le regole tradizionali di politesse del discorso richiedono di scusarsi per rime, giochi di parole e bisticci "involontari": ci si scusa della propria indulgenza, dell'essersi concessi, in modo consapevole o no, una sospensione della razionalità lineare del discorso.

Risalendo con Jakobson alle etimologie di prosa (pror-sum) e di verso (versus), l'andamento lineare richiesto alla prosa in poesia viene interrotto dall'eco di suoni appena ascoltati. Al proposito Jakobson cita Paul Valéry , per cui la poesia è "hésitation prolongée entre le son et le sens". Nella prosa, idealmente, domina il senso: l'espressione porta sul contenuto e sulla sua univocità e coerenza (senso associativo) e avanza indisturbata (senso direzionale); nel verso il suono non si dissolve nel senso, ma continua a interferire con esso e lo determina. Non vi è però mai pura prosa, né puro verso; non vi è mai nemmeno puro gioco. Il gioco vive nell'oscillazione fra le due istanze, nello spazio che si apre fra l'univocità lineare e la multipla dimensione delle potenzialità.

Dí fatto per gioco linguistico va inteso ogni uso del linguaggio che corrisponda in modo essenziale alla funzione poetica del linguaggio, come è stata definita da Roman Jakobson. Quello che per la poesia è un principio generale, nel gioco di parole si riscontra diffusamente e sistematicamente.

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5.2. Il caso Scialoja


    1 Il sógno segréto
    2 Dei còrvi di Orviéto
    3 È méttere a mòrte
    4 I còrvi di Orte.

    (Toti Scialoja)

La quartina è una delle più famose poesie-filastrocca di Toti Scialoja (1914-1998). È stata resa pubblica nel 1976 e quindi appartiene a una delle fasi centrali della sua produzione (che si fa cominciare nel 1961).

I versi sono senari, con andamento dattilico.

Gli accenti, gravi e acuti, cadono su "e" e "o" secondo questa alternanza

    _ó_ _é_
    _ò_ _é_
    _é_ _ò_
    _ò_ _ò_

[...]

Il caso particolare di "morte / Orte" è una rima inclusiva (o a eco) analoga a quella "like / Ike" analizzata da Jakobson: "immagine paronomastica d'un sentimento che inviluppa totalmente il suo oggetto".

Le due coppie di versi 1-2 e 3-4 sono legate da rima baciata (nel primo caso -éto / -éto); i versi 2-4 mostrano invece un perfetto parallelismo sintattico ("dei corvi di Orvieto" / "i corvi di Orte").

Dal punto di vista semantico, infine, si nota come il carattere umano conferito agli animali (come è tipico nella tradizione favolistica) è rafforzato dalla polarizzazione Orvieto / Orte che allude all'altrettanto tradizionale campanilismo italiano, oltre ad approfittare di una certa generale disposizione al comico dei toponimi (argomento quest'ultimo a cui qui si accenna solo, ma che meriterebbe approfondimenti).


Nei quattro senari è in atto un vertiginoso gioco di specchi fonologici, che avvicina il componimento a filastrocche della tradizione popolare, del genere:

    Apelle, figlio di Apollo
    Fece una palla di pelle di pollo.
    Tutti i pesci vennero a galla
    Per vedere la palla di pelle di pollo
    Fatta da Apelle, figlio di Apollo.

C'è però una differenza. In Scialoja abbiamo una rete di ripetizioni anagrammatiche da cui i versi sembrano scaturire quasi necessariamente, continuando a ripetere, en bricolage, gli stessi pochi elementi. Nella filastrocca di Apelle opera una dissimilazione, prima vocalica (Apelle, Apollo, palla, pelle, pollo), poi consonantica (pesci, galla), con ripetizione invertita dei due versi iniziali: una specie di girotondo poetico, che si allontana dal punto di partenza e vi ritorna.


Lo stesso Scialoja ha giocato sulla dissimilazione in altri componimenti:

    Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino
    Tanto va la gotta al tardo che si sfascia lo scarpino
    Tanto va la ghetta al sardo che l'allaccia sul gradino
    Tanto va la ghiotta al nardo che lo struscia col linguino
    Tanto va la grappa al bardo che rintraccia il suo destino.

Possiamo quindi formulare l'ipotesi per cui, nella poesia giocosa, vada distinta una polarità anagrammatica, in cui prevale la ripetizione di suoni (anche non nello stesso ordine), e una polarità dissimilante, in cui la ripetizione lineare è variata dal cambiamento, per esempio della vocale tonica.

In Scialoja la tendenza anagrammatica può arrivare all'invenzione verbale vera e propria:

    Ieri vidi tre levrieri
    Neri neri
    Oggi vedo tre levroggi
    Mogi mogi
    Che domani sloggeranno
    Levri levri.

O anche innescare procedimenti peculiari, per esempio palindromici:

    L'ippopota disse: "mo
    Nella mota ho il mio popò".

    (po pò ta mò / mò ta po pò)

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5.4.5. Parametri pertinenti alla meccanica del gioco


Un gioco linguistico, sul piano dell'espressione, si distingue così per:

1. la presenza di una relazione di ordine "meccanico" (identità, somiglianza, mutazione) fra le sequenze linguistiche;

2. il tipo di tale relazione (di quale schema è combinazione);

3. il modo di manifestazione (in praesentia/in absentia) di tale relazione;

4. l'espressione orale/scritta del gioco;

5. l'eventuale combinazione con altri sistemi semiotici (parola/figura; parola/cifra).

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