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| << | < | > | >> |IndiceDaniello Bartoli scrittore del Seicento: il giudizio di un gesuita scrittore oggi. Prefazione di Guido Sommavilla S.J. 7 Introduzione di Nino Majellaro 23 Istoria della Compagnia di Gesù Giappone. Antologia I Ricordo della precedente istoria e general contezza della presente. 47 LIBRO PRIMO L'Imperio di Nobunanga Stato presente del governo politico del Giappone. 65 Della Cristianità d'Amangucci; e d'un Tobia cieco vincitore degl'incantesimi de' Giamambusci 67 Un popolo infestato da' demonj, liberato col rendersi cristiano. 70 Un figliuolo del Re di Bungo, e seco altri Nobili battezzati. 72 Solenne accoglimento di tredici della Compagnia venuti dall'India al Giappone. 74 Altri otto della Compagnia, dopo una orribil tempesta, approdati al Giappone. Terribili tempeste che mettono in mare i Tifoni. 75 Atto di singolar carità del P. Antonio Prenestino. Contrarj affetti de' nostri, e de' mercatanti, in mezzo alla tempesta. 77 Sante morti d'alcuni Cristiani di Meaco, e di colà intorno. Un che parve risuscitato, e volle tornare a morire. Virtù, e santa morte di Scimizu Lione. Una vergine di gran virtù impetra di morire prima che maritarsi. 80 Nuovo Collegio fondato in Anzuciama dal P. Organtino. Fortezza, e palagi maravigliosi fabricati da Nobunanga in Anzuciama. Casa trasportata da Meaco ad Anzuciama, per farne Seminario di giovani. 84 [...] LIBRO SECONDO L'Imperio di Taicosama Chi fosse Taicosama, e come salisse all'Imperío del Giappone. Solenni esequie fatte a Nobunanga. 113 Disposizione a gran conversioni nel Gochinai. Fasciba ama la Fede, e i Fedeli, e gli onora; e perchè. Chiesa, e casa, conceduteci in Ozaca, e in Sacai. Il Seminario trasferito da Anzuciama a Tacatzuchi. 118 [...] LIBRO TERZO L'Imperio di Daifusama Il Giappone, mutato Imperadore, tutto si muta. Difficoltà del piantare stabilmente la Fede in tanta instabilità a che il Giappone è suggetto. Lettera del P. Organtino del medesimo argomento. 151 Favori e disfavori di Daifusama verso la Cristianità e i Padri. Olandesi in Giappone nocevolissimi alla Fede. Persecuzione in Amangucci. Fortezza di que' Fedeli. 155 [...] LIBRO QUARTO L'Imperio di Xongunsama Qualità del nuovo Imperadore. Suoi bandi contro alla Fede e i Religiosi. 195 Numero, disposizione, e vita de' nostri in Giappone dopo i nuovi bandi del Xongun. 198 [...] LIBRO QUINTO L'Imperio di Toxongun Qualità del nuovo Imperadore, e suo governo. 229 Paolo, sua moglie, e quattro figliuoli, due arsi vivi e due scannati in Ozaca. Altri quattro arsi vivi, e molti perseguitati. 230 I Padri Benedetto Fernandez e Saitò Paolo condannati alla fossa. I Padri Giovanni da Costa e Tocuun Sisto, e il F. Fucaie Damiano, morti nella fossa. 237 Dieci della Compagnia entrati in Giappone: e lor fine. 243 Appendice. Dal terzo libro de "L'Asia" parte prima: del Giappone 247 Note storiche sul Giappone 257 Nota su Daniello Bartoli 271 Fonti - Bibliografia essenziale 273 Dizionario - Indice ragionato 275 Indice delle illustrazioni 287 |
| << | < | > | >> |Pagina 25Perché una riproposta di Daniello Bartoli, uomo di lettere, storiografo della Compagnia di Gesù, strenuo difensore degli atti conciliari tridentini, uomo di parte se non di partito del Seicento? Il Bartoli è fuori del Seicento e nello stesso tempo è uomo del suo secolo. Dalla sua Istoria della Compagnia di Gesù, da cui ho tratto una scelta antologica di scritti sul Giappone, viene fuori la figura di uno scrittore, figlio obbediente della scelta controriformistica e contemporaneamente letterato e "storico" sereno, affascinato dalle parole e dalla storia.Conviene ricordare che nel Cinquecento una buona metà degli scrittori italiani non erano laici, erano ecclesiastici o vivevano dei proventi di benefici ecclesiastici. Risalendo lontano nel tempo ci si imbatte nelle figure di Petrarca e Boccaccio, il primo cappellano e canonico, il secondo chierico come risulta da documenti risalenti al 1360. Vi fu anche un gruppo di umanisti tra il Trecento e il Quattrocento nella Firenze medicea di tendenze spiccatamente laiche che godevano di benefici ecclesiastici, il che fa capire come in quel periodo la mentalità laica fosse accettata anche nelle gerarchie della Chiesa. Anche là dove intellettuali e scrittori fossero pubblicamente dipendenti dall'aiuto ecclesiastico, ciò non li obbligava a un atteggiamento e ad un modo di vita conforme all'abito che vestivano. Tale stato di cose non mutò alla fine del Quattrocento e nella prima metà del Cinquecento, se è vero come è vero che Giovan Battista Alberti era un chierico e lo stesso Poliziano, morto a quarant'anni, era stato, l'anno prima di morire, raccomandato al Papa da Piero de' Medici per la nomina a cardinale. Prima del Concilio di Trento vi era uno stretto rapporto tra Chiesa e cultura umanistica, non soltanto per la disciplina degli studi ma anche per la presenza dei migliori uomini di lettere nella gerarchia più o meno alta dell'organizzazione clericale. Molti uomini di cultura ebbero la possibilità di vestire l'abito secolare e di chiedere benefici alla Chiesa assicurando in cambio la loro presenza nella gerarchia del clero regolare. Ciò comportava degli obblighi, non sempre osservati alla lettera come illustrano gli esempi del Bandello e del Folengo, ma assicuravano ad essi, in tempi così calamitosi, una certa sicurezza economica e una certa tranquillità dal punto di vista della sopravvivenza fisica. Pietro Bembo nel 1539, già cardinale, entrò con il suo coetaneo Jacopo Sadoleto nella segreteria di Leone X: caso estremo di un umanista chiamato a far parte del collegio cardinalizio che inaugurò il Concilio di Trento, anche se a differenza del Sadoleto egli non dette alla Chiesa un forte contributo di dottrina, teso com'era alla scrittura e all'invenzione nel campo della letteratura volgare. Dopo il Concilio di Trento e negli anni dell'attività controriformistica della Chiesa la presenza di intellettuali e scrittori nella gerarchia ecclesiastica diminuì fortemente di numero, anche se ancora nel Settecento poeti come Metastasio e il Parini vestivano da abati pur frequentando salotti e luoghi mondani. È evidente che il dogmatismo duro e spietato della Controriforma fece da freno alle vocazioni più o meno sincere degli uomini di cultura laica. Questa breve escursione tra cultura e costume serve a spiegare, se pure fosse necessario, come tra la ricca fioritura letteraria cinquecentesca — è in questo campo che si trovano argomenti per illustrare la figura di Daniello Bartoli — e la scrittura secentesca, il taglio operato dalla reazione controriformistica assopì per decenni le coscienze e alzò il livello di guardia dei letterati nei riguardi della censura inquisitoriale. Accanto alla figura di Giordano Bruno, dalla poetica antiaristotelica e antipetrarchesca; accanto all'armonia poetica e umana di Tommaso Campanella; accanto alla razionalità serena e vigorosa di Galileo Galilei, figurano lirici, epici e prosatori come lo stesso Marino, il Redi, il Tassoni, Salvator Rosa, il Guarini, Buonarroti il Giovane, Giovambattista Basile e il nostro Daniello Bartoli. Se in Giordano Bruno la coscienza copernicana diventa analisi creativa del pensiero che avrà un'influenza determinante sulla ricerca galileiana, in Bartoli, gesuita e inflessibile nemico dell'eresia, la chiusura dogmatica, che appartiene più al campo della rettorica che a convinzioni acquisite, sfocerà per contrasto nell'esercizio descrittivo della parola e in un lessico continuamente rinnovato e aperto agli imprevedibili mutamenti e alle correzioni della scrittura. Egli nomina le parole e nello stesso tempo le vede, le sente, le gode con l'immaginazione e con il desiderio. Ogni parola suggerisce una fioritura di altre parole, ogni personaggio storico dal nome esotico viene visto attraverso il piacere della nominazione, ogni nome di luogo evoca un paesaggio, un clima, una stagione del mondo. Eppure egli non è stato un viaggiatore. Storiografo della Compagnia di Gesù, lo vedo nelle biblioteche vaticane consultare gli archivi, attingere notizie dai resoconti che ormai da decenni giungevano da quelle parti del mondo dove operavano le missioni gesuitiche, ma anche quelle francescane, agostiniane e domenicane: da quegli avvisi, divisi per anni e per regioni del mondo anch'io, per quanto mi è stato possibile, ho attinto. E non soltanto dagli avvisi ma anche dalle carte geografiche su cui egli seguiva con l'immaginazione i viaggi, le avventure dei padri missionari e gli avvenimenti che avevano luogo nei paesi da loro percorsi. Le carte del tempo erano approssimative e in parte immaginarie, non offrendo distanze certe e precisi confini fisici e politici. Erano l'atlante del 1630 del Mercatore, che già nel 1569 aveva risolto il problema della proiezione di una superficie sferica su un piano, e le carte più antiche di Sebastiano Caboto, di Piero Apiano e di altri navigatori; gli schizzi e le descrizioni degli stessi navigatori e dei missionari che seguivano rotte di navigli, porti con retroterra inesplorati, paesaggi esotici che erano nello stesso tempo luoghi della terra e immagini di leggenda. E al di sopra di tutto una cronaca il cui ritmo e fascino narrativi appaiono a noi come un modello dell'arte di scrivere romanzi. I personaggi e i fatti narrati, e talvolta inventati, dal Bartoli hanno intrecci e vicende così realisticamente raccontati da far dimenticare che i fatti che racconta appartengono alla storia. Si ritrovano in Bartoli le ragioni perdute della tradizione narrativa che l'ha preceduto e le ragioni attuali del raccontare. Naturalmente non tutto in Bartoli è all'altezza delle migliori pagine. Né può esserlo, data la gran mole delle opere scritte. Soltanto l' Istoria della Compagnia di Gesù comprende complessivamente ventisette libri per un totale, calcolato per approssimazione, di dodicimila pagine stampate; soltanto i cinque libri sul Giappone di pagine ne portano più di duemila. L' Istoria della Compagnia di Gesù è certamente la parte migliore della sua opera, ed in essa il Bartoli oltre a dare il meglio di sé si rivela come il miglior prosatore italiano del suo tempo. Il Bartoli però ha scritto molto e, come tutti gli scrittori troppo prolissi, non ci ha dato un testo "unico" che potesse farlo comparire nella storia letteraria come scrittore di "quel" testo. | << | < | > | >> |Pagina 32Da quel che scrive parlando di Nobunaga s'intende subito l'atteggiamento manicheo del Bartoli: sono uomini buoni tutti quelli che favoriscono i cristiani, malvagi tutti quelli che li combattono. Non è questo certamente l'atteggiamento dello storico che generalmente non sceglie fra bene e male, in quanto i due estremi diventano astrazioni, ma tra il possibile e il reale. Tale atteggiamento acritico nei confronti degli "idolatri" è riscontrabile nelle lunghe descrizioni del martirio dei credenti e nelle vite esemplari dei Padri, descrizioni che si incontrano per tutto il percorso dei cinque libri sul Giappone. Su tutto però svettano i momenti descrittivi che il Bartoli produce in pagine essenziali e con una scrittura incantata e affabile. Il capitolo già citato su Anzuciama inizia con la descrizione del lago Biwa che può aver stimolato, se non suggerito, al Manzoni quella d'inizio dei Promessi Sposi, anche se descrizioni e suggestioni paesaggistiche si ritrovano spesso nelle pagine del Bartoli, ma anche in quelle di altre parti della Istoria della Compagnia di Gesù. Si leggano a proposito quelle dell'Italia: il Mongibello (Etna), il Vesuvio, Capri, Scilla e Cariddi e quelle del Gange comprese ne La Missione al Gran Mogor di Padre Rodolfo Acquaviva.La pennellata del Bartoli è inconfondibile: si scopre nella scrittura una letizia dei sentimenti, una felicità naturale dei colori, una armoniosa fantasia lessicale tali da farci dimenticare la sua figura di chierico moralista chiuso tra gli scaffali polverosi della Biblioteca Vaticana. Quanto ai giudizi del Bartoli sui personaggi della storia giapponese, lo scrittore si trovò a tramandare uno dei periodi più drammatici e più importanti di quella storia senza saperlo, puntando tutto sulla scommessa gesuitica e non riuscendo a guardare quegli avvenimenti con l'occhio dello storico. La Compagnia di Gesù per affermare il suo predominio di ordine militante e militare nei confronti degli altri ordini religiosi, specialmente di quello dei francescani o frati minori, dei domenicani e degli agostiniani che le contendevano tale ruolo, doveva confermare la potenza della propria organizzazione e la preparazione religiosa e culturale dei propri adepti. I gesuiti avevano una coscienza politica e una conoscenza dell'astronomia e della geografia che mancava ai francescani, loro fieri antagonisti nel campo delle missioni. Frati minori erano infatti quei viaggiatori che avevano percorso più volte la strada della seta, e attraversando la Tartaria erano arrivati nei territori dei Mogul, e di là dipartendosi per altre strade erano giunti al Kitai, avendo udito parlare dei Solangi, degli Huiuri, di Caracorum e di Sira-Horda, la grande corte dell'Imperatore dei Tartari. E avevano avuto notizie di Gengis-Khan, di Prete Gianni, dell'India, di Serendyb e di tutte quelle isole che si stendevano da Samatra alle Molucche. Francesco Saverio, dopo viaggi durati per mesi, fu nell'India, nella Cina, nelle Filippine. I Gesuiti ebbero l'accortezza di legarsi ai portoghesi, grandi navigatori e mercanti che per primi occuparono porti e terre in India (Goa, Koilon) e in Cina (Macao), mentre i francescani giunsero secondi dietro i loro protettori spagnoli. La lotta fra spagnoli e portoghesi fu lotta tra i francescani e i gesuiti. Per quanto riguarda il Giappone questi si trovarono a contendere con nemici come i protestanti olandesi, che dopo le sconfitte in Europa di Filippo II e Filippo III di Spagna, potevano disporre dei propri porti e di un'agguerrita e agile flotta mercantile. La lotta fra gli "eretici olandesi" e gli ordini missionari cattolici fu decisiva e portò al fallimento dell'evangelizzazione cattolica. Gli olandesi, liberi da lacci religiosi, portavano le loro mercanzie per commerciare, mentre portoghesi e spagnoli erano sempre in conflitto per il dominio delle terre d'oltremare. Facevano testo ancora i quattro editti papali che, già dal 1493, concedevano alla Corona di Castiglia, come donazioni della Chiesa, tutte le terre al di là del meridiano che passa cento miglia ad occidente delle Isole Azzorre e delle Isole di Capo Verde, con l'impegno di proseguire l'opera missionaria. Situazione che era stata confermata dal trattato ispano-portoghese di Tordesillas del 1494, e anche dopo la riunificazione delle due nazioni sotto la corona di Spagna le tensioni tra portoghesi e spagnoli non erano diminuite sia in America che in Asia. Queste tensioni favorirono il pragmatismo olandese e indebolirono l'azione missionaria degli ordini cattolici. Di ciò il Bartoli non fa alcuna menzione, ma non si può chiedere a lui, letterato e non storico, riflessioni che nessuno allora era in grado di fare. Neanche nel secolo illuminato, il Settecento, ci fu qualcuno in grado di avanzare riserve sulla politica della Chiesa cattolica nei paesi d'oltremare. Il Giappone visto dal Bartoli non sfugge alla regola: idolatria ed esotismo, oltre all'esaltazione delle missioni, sono gli interessi che spingono lo scrittore a parlare di quella civiltà, allora così remota. È merito del Bartoli l'aver scoperto quel lontano paese con la mentalità di un occidentale. Daniello Bartoli, non viaggiatore, non navigatore, non mercante, non avventuriero, spingeva la sua curiosità di intellettuale oltre la Tartaria e l'India per approdare a una grande isola, perché come tale allora era descritto il Giappone sulle carte geografiche, conosciuta da pochi mercanti e da pochi avventurieri. Fu uno scopritore che navigava con le vele della fantasia e dell'immaginazione, ma che spingeva il proprio sguardo oltre le rotte dei navigatori, al di là delle terre favoleggiate da Marco Polo, in continenti che appartenevano ancora al mito e alla leggenda. | << | < | > | >> |Pagina 63L'Isole del Giappone, sempre ondeggianti, e in moto più che le Simplegadi de' Poeti, non aveano stabilità di governo, per signoria d'alcun Principe che durasse. De' sessantasei Re, fra' quali eran divise, rari a contare eran quegli, che morissero con in capo la corona, la quale avendo i più di loro tolta di mano a' men forti con la violenza dell'armi, anch'essi, vinti da' più possenti, al medesimo giuoco dell'armi la perdevano. Quindi era il lasciare a' figliuoli, morendo, per patrimonio le pretensioni, e le guerre in eredità: e se non bastavano a tanto, i tradimenti e le congiure; le quali per ciò erano sì frequenti, che a pena s'alzava un nuovo capo in signoria d'alcun Regno, che per tagliarlo, e abbatterlo, sudditi e stranieri, quanti ne speravano alcun vantaggio, non avesser continuo l'occhio al tempo, e le mani alla scimitarra. Perciochè in Giappone tanto presume ogni uomo d'avere natural diritto a qualunque sia dignità, eziandio se reale, quanto egli sa farsi valere il suo ingegno in capo, e la sua spada in mano. E come i Nobili singolarmente sono d'altissimi spiriti, non men che se quivi tutti nascessero per dovere esser Re, e oltre ad un'acutissimo intendimento che hanno dalla natura, cominciano fin da fanciulli a studiar l'arte del fingere e del mentire, coprendo, sotto un'impenetrabile simulazione, i sensi e gli affetti dell'animo (sì fattamente, che son da guardarsene più, quando più sembrano da fidarsene), perciò avveniva, nel mezzo d'una tranquillissima pace levarsi improviso guerre dimestiche, e ribellioni, e orribili tradimenti; e le città sovverse andar tutte a fuoco (che questa è la più ordinaria, sì come la più spedita arme che a far guerra s'adoperi, colà, dove si fabrica in legno), e i Re, se aveano scampo alla vita fuggendo, eran costretti d'andare, come chi rompe in mare, ignudi e perduti, dove la fortuna li trabalzava. Così in quest'anno del 1571, onde ripiglio a scrivere del Giappone, proseguendo quel che lasciai nell'ultimo della prima parte dell'Asia, dopo varj scambiamenti a vicenda or di perdite, or di conquisti, eran rimasti, come signori del campo, tre Principi, per istato e per armi i più poderosi e i più temuti: Civàn Re di Bungo, gran promotor della Fede cristiana, avvegnachè tuttavia Idolatro, con cinque Regni, o sei: Moridon d'Amangucci, con tredici: Nobunanga di Voari, con trentacinque. Ma non andrà oltre a molti anni, che questi medesimi li vedrem ricaduti, e messi in un fondo di fortuna, poco più che da Cavaliere privato. E così andaron successivamente que' Regni, passando d'una in altra mano, finchè tutti all'ultimo vennero in pugno ad un solo Fasciba, che gli strinse, e riunì, come furono cinquecento anni prima, in un corpo di monarchia, che fino al presente dura; con gran miracolo della istabilità Giapponese. Ma questa si è materia d'altro tempo. Or'in un campo sì strepitoso per lo continuo romore dell'armi, far silenzio, a sentirvi la predicazione della Legge di Cristo; e una gente d'ingegno (è vero) acutissimo, e quanto, se non anche più che qualunque altra del mondo, disposta a rendersi vinta alla ragione e alla verità, ma in estremo dissoluta in ogni più sconcia e abbominevole bruttura di vizj, condurla a vivere secondo le pure e sante leggi dell'Evangelio; questa fu, come dicevamo, impresa dell'Apostolo S. Francesco Saverio, che v'aperse la porta alla Fede, e vi fondò la prima Cristianità: la quale di poi i due compagni che vi condusse, e lasciò, Cosimo de Torres, e Giovanni Fernandez, e appresso, di tempo in tempo, altri venuti loro in sussidio d'Europa, proseguirono a stenderla sì ampiamente, che il Torres, morendo, vide oltre a cinquanta Chiese fondate ad altrettanti popoli convertiti. Vero è, che una sì gran mercede, com'è l'eterna salute di tante anime, non si diè loro altramente, che a costo di gran fatiche e gran patimenti, e d'aver la vita ogni ora in punto di morte, per le occulte insidie e le manifeste persecuzioni, massimamente de' Bonzi, Sacerdoti per grado, Religiosi per professione, e per ufficio Maestri, ma non tanto de' riti dell'idolatria che sostengono, quanto de' vizj, in che, peggio che sozzi animali, fin dalla fanciullezza s'allievano ne' monisteri. Nè punto meno incontrarono che sofferire gli altri, de' cui fatti abbiamo a scrivere in questo rimanente d'Istoria: benchè come i principj d'ogni grande impresa sono la più difficile e stentata parte di tutto il rimanente, che poi viene appresso più agevole a condursi; questi, de' quali qui abbasso ragioneremo, raccolsero delle loro fatiche frutto oltre ad ogni paragone maggiore, che i primi non avean fatto: fino a contare qual'anno quindici, e qual'altro venti, trenta e più mila Idolatri acquistati alla Chiesa, oltre a due Re d'Arima, e a quegli di Tosa e di Bungo, con le Reine lor mogli, e figliuoli, e più altri Principi, d'altrettanto e men chiaro nome, in brieve spazio battezzati. Ma prima che ad essi, mi convien dar luogo a diversi altri avvenimenti che l'ordinata successione de' tempi mi sumministra: e prima in quella parte del Giappone a Ponente, che chiaman lo Scimo, poi colà più oltre, ne' Regni che s'attengono a Meaco. [1.] | << | < | |