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| << | < | > | >> |IndiceGalateo dell'estremismo moderato 7 di Marco Bascetta La maggioranza rumorosa 9 Gli acari di Erba 17 Alzare la voce, alzare le mani 25 La polizia ha sempre ragione 31 Bravi figlioli o classi pericolose 39 Unire l'utile al caritatevole 47 Que se vayan todos! Cosa è l'antipolitica 53 Nulla salus extra ecclesiam 69 L'inizio e la fine 77 Chi è causa del suo mal... 83 Belli buoni e dominanti 89 Catechismo fiscale 97 Breve lessico dell'ideologia italiana 107 di Marco d'Eramo |
| << | < | > | >> |Pagina 9Cosa sia il moderatismo, nessuno dei molti che vi si richiamano, indicandolo come la via maestra del benessere e del progresso, sembra in grado di spiegarlo. Non trattandosi di un metodo, né di un insieme precisabile di principi, il termine finisce con l'indicare nulla più che un punto intermedio su una scala relativa a ogni unità di misura possibile (la febbre, il vento, la magnitudo di un sisma, così come la passione politica) e applicabile a qualsivoglia contenuto. Versatile, indeterminato, pronto all'uso, come molti altri termini del lessico politico contemporaneo, a cominciare da «governabilità». Nel linguaggio corrente la forma avverbiale è frequentemente associata a un'idea di mediocrità, ad esempio nel caso in cui di qualcuno diciamo essere «moderatamente intelligente» o «moderatamente coraggioso», espressioni che non suonano certo come un apprezzamento e tutt'al più possono mettere in scena le modeste virtù di un minimo denominatore comune, di una condizione «alla portata di tutti». Tuttavia, qualsiasi dizionario ci rivela a prima vista che è nella tradizione moralistica che la moderazione e la «persona moderata» celebrano i propri fasti: «una persona sobria, temperata nel bere, regolata nel mangiare, temperante, parca nel parlare, discreta nei suoi desideri». In poche parole una persona docile, ben disposta verso freni e limitazioni, poiché già costitutivi del suo stesso carattere, radicati nella sua propria natura. È appunto a questa immagine e a queste «qualità» che fa riferimento il moderatismo politico. Prendendo le distanze tanto dalla celebrazione veteroborghese dell'egoismo e della lotta, quanto dall'utopia libertaria che valorizza il pieno e armonico dispiegamento dei desideri, sulla base di un ottimismo antropologico di fondo, il moderato si tiene alla larga dalle passioni forti e dalle pretese eccessive. Sebbene condivida con la morale religiosa l'apprezzamento della sobrietà, della continenza e dell'obbedienza, il moderatismo politico è per sua essenza laico, poiché la fede religiosa pretende nell'adesione dei fedeli ai suoi dogmi la rinuncia ad ogni «moderazione» o compromesso. Non si può essere «moderatamente» cristiani o «moderatamente islamici». Non si può credere «moderatamente» in dio. Così, l'espressione ricorrente «islamici moderati», salvo designare i fedeli di quella religione che non condividono i metodi e gli obiettivi del terrorismo, ha ben poco fondamento. Almeno fino a quando non si comincerà a distinguere anche tra «cristiani moderati» e «cristiani estremisti», cosa che il moderatismo politico nostrano si guarda bene dal fare, rimanendo, pur nella sua laicità, del tutto ossequioso nei confronti della chiesa che con il nuovo pontificato di Benedetto XVI non sembra per nulla incline a mostrare segni di «moderazione». Ma se tutte le definizioni di moderatismo si richiamano costantemente all'idea di sobrietà, morigeratezza, discrezione, accettazione (o invocazione) del limite, si rivelano invece del tutto estranee, quando non apertamente ostili, a qualcosa come un punto di equilibrio. Il «giusto mezzo», l'equidistanza dagli estremi, il «centro», non costituiscono un punto di equilibrio, ma una negazione. Non la mediazione tra gli opposti, ma il loro rifiuto. Il motivo di questa esclusione non è difficile a intendersi. Un punto di equilibrio non potrebbe che scaturire da un precedente squilibrio, e cioè, in termini politici, da un conflitto. Circostanza che finirebbe col conferire al conflitto quella sua necessità storica, che gli si vuole appunto negare. Ma, a differenza della socialdemocrazia, che faceva della ricomposizione dei conflitti, del compromesso sociale e dell'equilibrio tra le forze in campo, la sua ragione d'essere, il moderatismo politico si fonda sulla prevenzione-negazione di qualsiasi dimensione conflittuale. Il «giusto mezzo» in quanto rappresentazione di un mondo senza conflitti è autosufficiente, potremmo quasi considerarlo una versione domestica e popolare della «fine della storia». Trova in sé la sua ragione e la sua necessità. È l'esclusione degli opposti non il loro punto d'incontro. Non il prodotto inedito di una interazione, ma qualcosa che c'è fin da sempre. Ma contro chi è chiamato allora a battersi il moderato? Non su un qualche versante delle contraddizioni che attraversano il presente, che ciò lo condurrebbe inevitabilmente a riconoscere ed agire questo o quel conflitto, ma contro coloro che, per ideologia, irrazionalità o meschino interesse di parte, insisterebbero nel trascinare quelle vecchie contrapposizioni in un mondo che non le prevede e non le tollera più. Il moderato si batte, insomma, contro il passato. Il moderato è un «riformista». Parola che forse, nelle illusioni lungamente coltivate di conservare migliorando e di migliorare conservando, ha meritato il triste destino che alla fine le è toccato in sorte. Quello di diventare la bandiera di ogni cospirazione a favore dell'ordine costituito. Il conflitto è il passato, le contraddizioni sono il passato. Oltre alle forze oscure, e soprattutto fuori dalla realtà, che impediscono a quel passato di passare, non vi sarebbero oggi che problemi e difficoltà che la tecnocrazia economico-politica, con temperanza e sobrietà, si sforzerebbe di superare. Per il resto non si tratterebbe che di «variabili dipendenti». Questa dottrina, che istituisce una sorta di «neutralità della politica», prende corpo sempre più estesamente in quelle ibridazioni politiche che includono nei medesimi governi esponenti della destra e della sinistra. Nell'aprire questa strada, che sembra incontrare crescenti favori e ferventi sostenitori anche fuori della Francia, il nuovo presidente francese Nicolas Sarkozy compie in effetti un passo avanti rispetto alla stagione delle «grandi coalizioni». In quelle vigeva ancora la logica del compromesso e della contrattazione, mentre nell'esecutivo «bipartisan» domina l'appello generale a confrontarsi, attraverso strumenti «tecnici» neutri, con una sorta di indiscutibile oggettività del reale. L'unitarietà sostanziale del mondo globalizzato deve infine riconoscersi come una verità libera da contraddizioni che altro non sarebbero se non mere parvenze. Che ciò non costituisca in nessun modo un punto di incontro ma il sostanziale trionfo di una parte sull'altra è una circostanza talmente evidente da non richiedere ulteriori dimostrazioni. Ma in realtà il moderatismo politico vive quello stesso paradosso che imputa ai suoi avversari. Trascina infatti gli schemi della vecchia politica interclassista in un mondo che ritiene ormai non essere più diviso in classi. Si fa garante, come il vecchio centro, di un interesse generale che sovrasta gli interessi di parte e propugna quell'idea della crescita economica secondo cui l'incremento dei profitti e delle rendite si riverserebbe a cascata sul benessere generale della società e di tutti i suoi componenti. Rifiutando qualsiasi ottica di redistribuzione delle risorse, di rottura delle gerarchie sociali, o di trasformazione dei modi di produzione ripristina l'ideologia della crescita come flusso unidirezionale di un benessere destinato a toccare, in molto diversa misura, tutti e ognuno. Di «nuovo» c'è solo il fatto che tutto questo è ancor meno vero di quanto non fosse ai tempi dell'industrializzazione, come dimostra il divario crescente tra ricchi e poveri, la concentrazione dei beni comuni in poche mani e le condizioni sempre più pericolanti di quel ceto medio che del «giusto mezzo» sarebbe la canonica incarnazione sociologica. Questo interclassismo senza classi, riporta in auge un'idea inquietante come quella di massa («gente» nel linguaggio corrente dei politici e dei media), e cioè di una omogeneità di aspirazioni e comportamenti per definizione maggioritaria. Che altrimenti non potrebbe essere, nella sua mediocrità, «alla portata di tutti». Il moderatismo è dunque maggioritario perché moderato e moderato perché maggioritario, una tautologia assolutamente inattaccabile. Il riconoscimento della complessità sociale, che si proponeva come un superamento dello schema classista, incapace di includere le sempre più vaste «zone grigie» e la continua moltiplicazione delle figure sociali, si rovescia nella più totale indistinzione. L'articolazione estrema della realtà sociale si trasforma nella sua standardizzazione. Il moltiplicarsi delle differenze in una omologazione normativa dei comportamenti. La vita virtuosa è ridotta a un minimo denominatore comune. Il conformismo immanente della massa si sostituisce all'unità trascendente del popolo. Alla sacralità del sovrano subentra l' appeal del manager. Ma la presunta scomparsa del conflitto di classe comporta anche un'altra conseguenza rilevante. Se nella società divisa in classi, pur combattendole ferocemente, le ragioni dell'avversario potevano essere comprese e financo parzialmente incluse, nel regno della maggioranza moderata la deviazione dalla norma, gli «eccessi», la trasgressione, la forzatura delle regole, l'interrogazione «radicale» sulla legittimità delle norme (della «legalità» prevale oggi una concezione dogmatica e fideistica, che maschera qualsivoglia relazione tra questa e i rapporti di forze vigenti nella società), diventano incomprensibili, irrazionali, frutto di immaturità o peggio di una inclinazione individuale al male. Comportamenti, insomma, con i quali non si deve né si può scendere a compromessi. Ne consegue che il moderatismo non presenta in nessun modo i tratti della mitezza, dell'ascolto, della comprensione e coltiva una sua versione postmoderna dell'«inimicizia assoluta». La maggioranza moderata è per sua natura intransigente. E, non a caso, gli esponenti politici che pretendono di rappresentarla, propugnano in ogni occasione possibile il valore dell'intolleranza, la fermezza dell'autorità, la necessità inflessibile della punizione. La «tolleranza zero», per quanto possa apparire paradossale, è la cifra più propria del moderatismo politico. Spazzata via la cultura socialdemocratica del compromesso, il meccanismo dell'esclusione e dell'inclusione si fa sempre più rigido e feroce, la vecchia idea di eguaglianza si ricicla in un conformismo artificioso e protetto da una selva di norme e regolamenti che non mancano di riscuotere il plauso della sinistra. Il rafforzamento del confine tra inclusione ed esclusione, tra norma e devianza, tra moderazione ed eccesso reca inoltre con sé lo sviluppo di un diritto a geometria variabile applicato ai migranti come a ogni soggetto ritenuto potenzialmente pericoloso, che siano i minori o gli abitanti delle banlieues, i recidivi o le tifoserie più esagitate. E se tutto questo finisce per ledere e ridimensionare la sfera delle libertà individuali poco male, il moderato non ha infatti che un bisogno moderato di libertà. Interamente racchiuso in un sobrio stile di vita dai forti tratti prescrittivi. La «personalità moderata», imputata alla maggioranza e arbitrariamente sovrapposta all'esperienza vissuta dei singoli, non è che la proiezione del cittadino «governabile», del cittadino modello, del cittadino compatibile con lo stato di cose esistente, del cittadino «economicamente sostenibile», così come i professionisti della politica se lo immaginano e si sforzano di costruirlo. La moralità dei comportamenti è infatti anche una unità di misura economica, e viceversa. L'eccesso è assimilabile a uno spreco, a una diseconomia, a un colpevole errore nel calcolo costi-benefici, a una pretesa insostenibile e dunque immorale. Il limite che il moderato interiorizza è un limite economico e morale al tempo stesso, laddove i due termini si fanno sempre più indistinguibili. Prima viene il bilancio dello stato, le regole della competizione neoliberista, i dispositivi dell'accumulazione, poi, come variabile dipendente, il cittadino moderato e il suo rappresentante politico. Il moderatismo non è altro che la compatibilità dei desideri, delle aspirazioni e dei modi di vita con l'assetto dei poteri esistente e sostanzialmente intrasformabile. La politica è l'amministrazione di questa immutabilità. Qualche tempo fa un noto giornalista italiano, già militante dell'estrema sinistra, e comunque schierato in campo democratico, plaudendo in un suo articolo alla repressione della mendicità, dei lavavetri e degli ambulanti, sanciva con involontaria e agghiacciante comicità il triste destino della politica realista e bipartisan dei nostri giorni: «Cancellare la presenza delle vite derelitte in mezzo a noi non è possibile. Ma ripristinare dignità e legalità agli incroci cittadini è doveroso». Non c'è che dire: una grandiosa impresa storica! In una sua celebre opera, I sette peccati capitali dei piccolo borghesi, Berthold Brecht, ci offriva una perfida rivisitazione in chiave «moderata» delle note prescrizioni morali, riadattate al servizio del successo economico e sociale. Destinataria dei precetti, una giovane in carriera, incitata e giudicata dal coro ossessivo della famiglia. La lussuria veniva stigmatizzata come amore disinteressato, la gola come attentato alla linea, l'ira come indebita ed eccessiva rivolta contro l'ingiustizia, la superbia come rifiuto di ossequiare il potere e il denaro, l'accidia come sottrazione al ritmo frenetico del guadagno e dell'arrampicata sociale, e così di seguito. Nella parabola brechtiana il peccato consisteva, insomma, nell'incompatibilità dei desideri con le norme sociali dominanti. La virtù nel rendersi compatibile, nel moderare opportunisticamente le proprie aspirazioni, la propria idea di libertà. Disciplina tanto più rilevante quanto più il liberismo sacrifica le libertà sostanziali, ma anche formali dei singoli alla salvaguardia delle sue prerogative, quanto più la deregulation si rivela una fitta rete di divieti, obblighi, prescrizioni. Per il moderato, che si vede assediato da ogni sorta di eccessi, di devianze, di pretese illegittime, il restringimento delle libertà individuali risponde, fra l'altro, a una crescente e inquietante domanda di protezione dei cittadini da loro stessi e dalle loro infantilie costose pretese che sta alla radice di ogni proibizionismo, dalle droghe al fumo, dagli orari delle discoteche alla pornografia, dalla raccolta dei funghi al divieto di bagnarsi col mare mosso, dalla pillola del giorno dopo alla procreazione assistita. In un processo di iperregolamentazione della vita quotidiana sottoposta a una moltiplicazione infinita di patenti, permessi, autorizzazioni, che miniaturizza e diffonde le prerogative persecutorie dello stato e degli enti locali, tracciando sempre più rigidamente i confini della «vita normale». Laddove al tradizionale argomento etico e paternalistico si affianca l'imperativo liberista della riduzione della spesa pubblica (vi impediamo di farvi del male per non dovervi curare col pubblico denaro ricavato dalle tasse). Tutto questo non solo convive con la deregulation economica e le privatizzazioni (ivi compresa quella di alcuni comparti repressivi dello stato, dalle multe ai Cpt, dai «campi di rieducazione» per tossicodipendenti, fino alla gestione delle carceri, che fanno, seguendo il modello americano, dello sviluppo della repressione un moltiplicatore di profitti) ma ne costituisce addirittura il supporto giuridico. Questa ideologia, che si presenta naturalmente come il superamento di tutte le ideologie, le supera solo nella pervasività delle sue prescrizioni. Non esiste catechismo più rigido e soffocante di quello del moderatismo politico, né integralismo più arrogante di quello propugnato dai suoi esponenti. I quali, va da sé, non sono «né di destra né di sinistra» e volentieri sacrificano l'eccesso delle passioni alla passione per un potere senza qualità. | << | < | > | >> |Pagina 105ambientalismo: 1. ricorrenza che si festeggia una volta l'anno con il Giorno della Terra; 2. + all'italiana: comprare un fuoristrada per spostarsi in città; misura dell'+ all'italiana: esame di quel che buttano nei cassonetti per la raccolta differenziata i buoni borghesi italiani; + ufficiale: la tenace, irresistibile spinta che, nei sei anni in cui sono stati al governo, i ministri verdi hanno impresso per imporre in Italia la rapida diffusione di energie pulite.
amnesia:
indispensabile processo della psiche collettiva che
consente di sentirsi
buonisti, benpensanti e moderati.
Esempio: i neri sudafricani che oggi commettono angherie
razziste nei confronti dei
colored
(gli indiani) sono colpiti da + delle violenze razziste subite durante
l'apartheid. + allo stato acuto è anche quella degli israeliani che bruciano i
libri dei palestinesi, immemori dei roghi dei libri ebrei appiccati dai
nazisti durante il Terzo Reich. Esibiscono una forma irreversibile di + gli
italiani che incendiano gli immigrati somali
dimenticando i linciaggi che immigrati italiani subirono negli
Stati uniti, per esempio quello del 1890: il 15 ottobre di quell'anno fu ucciso
il sovrintendente della polizia di New Orleans, David Hennessy. Gli abitanti ne
attribuirono la responsabilità ai siciliani. In un clima d'isteria la polizia
arrestò centinaia di italiani e ne fece processare nove. Con gran costernazione
della comunità americana, la giuria trovò sei dei
nove accusati «non colpevoli» e non riuscì a raggiungere un
verdetto sugli altri tre. Politici e giornali chiesero che si rimediasse a
questo «fallimento» della giustizia. Una folla attaccò
la prigione, ne tirò fuori undici italiani e li linciò. Grande + mostrano ancora
gli italiani quando inveiscono contro la criminalità e la delinquenza degli
immigrati, albanesi, romeni,
zingari o maghrebini che siano, dimentichi dei risultati cui
giunse nel 1911 la Commissione immigrazione degli Stati uniti nel volume
Immigrants and Crime,
in cui tracciò uno schema di «razze e nazionalità che mostrano caratteristiche
criminali chiaramente definite». Ogni nazionalità avrebbe una «vocazione», una
predisposizione genetica solo per certi tipi di crimine. Tra gli arrestati, gli
irlandesi primeggiavano per ubriachezza e vagabondaggio, francesi ed ebree per
prostituzione.
Gli ebrei venivano secondi solo dopo gli americani per i crimini contro la
proprietà, il furto e la ricettazione. Gli italiani
erano più versati per i crimini di violenza personale, incluso
l'assassinio. Per la commissione, «certe forme di criminalità
sono inerenti nella razza italiana».
antiamericanismo: 1.
peccato capitale che chiude a chi lo pratica la porta del nirvana
bipartisan,
del paradiso
moderato. Chi fa prova di + non è
pluralista.
arabi:
primati che credono di essere umani, Gli + sono per natura infidi e
integralisti.
A differenza delle nostre donne, le femmine di questa specie sono maltrattate
dai loro maschi (vedi
famiglia).
A queste femmine è imposto di portare sul
capo un panno esattamente uguale a quello che indossavano
le europee nell'antichità e nel medioevo. Il loro culto, l'
Islam,
è basato su un libro ed è apparentemente simile al
nostro, ma a differenza delle altre due grandi religioni monoteiste, non va
incoraggiato e vanno vietati i suoi luoghi di preghiera chiamati moschee dove
viene inculcata la venerazione non solo di Allah, ma anche di Al Qaida. Tutti
fli + sono
terroristi.
bambina/o: 1.
accessorio indispensabile da tenere in braccio
nei manifesti elettorali e nei dépliants delle Ong per raccogliere fondi (in
quest'ultimo caso, i ++ devono essere preferibilmente di colore). Consigliabile
anche nelle foto di soldati venuti a portare la
democrazia
con i mitra e a salvare i ++ sopravvissuti ai bombardamenti democratici.
2.
entità da tutelare: dalla metà dell'800, i ++ divengono oggetto di
società di protezione del +,
contemporanee alla società di protezione degli aborigeni (1837) e alle società
di protezione degli animali (1866). Per i filantropi ottocenteschi, in comune
animali, aborigeni e ++ hanno l'
innocenza
e la possibilità di essere sussunti nella categoria di
vittime. 3.
feticcio-tabù della società mediatica, da idolatrare in pubblico, viziare e
maltrattare in privato. Efficacissimo negli spot di merendine,
pannolini, detersivi.
4.
Oggetto di morbose fantasie collettive, il + è
vittima innocente
del
pedofilo
che esercita su di lui atti abominevoli che vanno descritti su tutti i
mass-media con vibrata indignazione, a lungo e nei minimi particolari,
senza nascondere nessuna turpitudine né tralasciare alcuna oscenità.
benpensante:
come al commissario ateniese Kostas Charítos
dello scrittore Petros Márkaris, al + due cose fanno schifo: il
razzismo e i negri.
bipartisan: 1. anglismo: due volte partisan, doppiamente settario, due volte fazioso, come le melanzane biparmisan hanno il doppio di parmigiano. 2. stato che caratterizza la fine della storia e la società ideale, in cui tutte le decisioni sono prese da uno schieramento +. In questo paradiso della democrazia rappresentativa, i cittadini sono chiamati a votare per due schieramenti contrapposti, alternativi e inconciliabili, perché poi questi si accordino su una gestione comune e + del paese. 3. aggettivo sinonimo di colossale, totale, assoluto, come in: castroneria +, corruzione +, pastetta + e, soprattutto, insabbiamento +. | << | < | > | >> |Pagina 138umanitario/a: predicato dell'imperialismo. L' imperialismo + si esercita soprattutto nei confronti di chi ne farebbe volentieri a meno, ed è una variante dell' imperialismo liberale coniato da William Gladstone nell'800 e che ebbe la sua massima espressione in quel che Mike Davis ha chiamato Olocausti tardo vittoriani, cioè nella morte di decine di milioni di persone per carestie provocate dall'imperialismo +. Una variante adottata da George Bush dell' imperialismo + è l' imperialismo compassionevole che finora in Iraq ha provocato la morte di 600.000 civili. Si parla anche di emergenza +.
valori:
entità totalitaria che, secondo
Carl Schmitt,
permette a una minoranza di esercitare una dittatura in nome dei ++.
1.
++ cristiani, professati dai leghisti che vogliono linciare gli immigrati;
2.
vedi
famiglia.
Vaticano: 1.
fornitore dei negozi di filatelia;
2.
sede decisionale della politica italiana.
3.
sinonimo di Chiesa cattolica e, in quanto tale, unica vera multinazionale
rimasta nel nostro paese (il + è la multinazionale con più personale al mondo):
come Torino è la company town della Fiat, Detroit della
General Motors, così Roma è la company town del +.
visionario/a: 1.
nel Medioevo pittoresca figura di invasato, trascinatore di folle riottose;
2.
nel mondo moderno + è solo un/a manager che esercita disciplina ferrea sui
dipendenti, la notte si eccita nel sonno con voluttuosi licenziamenti,
estatici tagli salariali e di giorno a occhi aperti sogna poetiche cedole,
liriche stock options e si commuove per un bell'outsourcing.
vita:
qualcosa da difendere a tutti i costi, anche allo stato
ameboide e vegetale.
Difesa della +,
dottrina della Chiesa che risale alle stragi degli albigesi compiute da San
Domenico e affermata con forza dai roghi dell'Inquisizione. Il valore
sacro e inviolabile della + fu dimostrato in modo inconfutabile la notte di San
Bartolomeo (24 agosto) del 1572 quando ferventi cattolici massacrarono in
Francia tra i 5 e i 10.000 protestanti. In realtà la retorica sulla +, la
commozione per la +, l'idea che la + sia un valore in sé a prescindere dai suoi
contenuti, risale a circa due secoli fa, con l'avvento del macchinismo, la
rivoluzione industriale e la nascita, appunto, del
+lismo.
Altre società e altre epoche hanno ritenuto che quando la + non è più degna di
essere vissuta, il suicidio è non solo legittimo, ma stimabile: così pensavano
gli stoici romani, tale è oggi il sentimento comune in Giappone. Poiché il
Vaticano
è per la difesa della + sempre e comunque, in tutti gli ospedali italiani
l'eutanasia selvaggia è una pratica di massa: nel nostro paese anche la morte è
«aumm aumm».
vittima:
status sociale ambitissimo, soprattutto nel Terzo
mondo. Di asiatici e africani si parla solo se sono ++ dello
tsunami o, meglio, di un genocidio. Vi sono ++ della malvagità umana, come i
bambini ++ dei pedofili, ma vi sono invece ++ della fatalità, come le morti
bianche e gli incidenti stradali. In quanto + di un carnefice, la + è sempre
innocente,
anche quando è essa stessa stata carnefice di un'altra +, o anche
carnefice del proprio carnefice.
western:
filosofia della storia introdotta dal celebre epistemologo Henry Fonda. Secondo
questa'elaborata Weltanschaung, il mondo è diviso in buoni e cattivi. Noi siamo
sempre i buoni e i cattivi sono sempre gli altri. I buoni siamo belli e i
cattivi sono brutti (vedi
identità).
I buoni subiscono svantaggi temporanei perché devono rispettare la
democrazia
e non possono calpestare i diritti umani, come invece fanno i cattivi. Ma
poi vincono sempre i buoni perché possono imporre la democrazia con la loro
superiorità militare.
zingari:
popolo che ha introdotto in Italia il furto e lo scippo sui mezzi pubblici,
reati che prima del loro arrivo erano
assolutamente sconosciuti nelle nostre città. Gli italiani infatti sono stati da
sempre famosi in Europa e nel mondo per la loro tenace, puritana contrarietà a
ogni forma di appropriazione indebita, frode, scasso, rapina (vedi
amnesia).
Nella civilissima Svizzera fino alla seconda guerra mondiale è stata praticata
la
caccia agli ++,
sport di cui si dilettavano già gli aristocratici cinquecenteschi. Poiché tra
poco sarà impossibile cacciare quaglie e pernici (per estinzione
delle medesime), non si potrebbe restaurare questa civile
usanza? Se ne otterrebbe un doppio vantaggio: i partiti della
sinistra calmerebbero lo scontento dei loro elettori venatori, le città
sarebbero ripulite da questi criminali (vedi
mendicanti).
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