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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 7 0. PREAMBOLO 0.1. La vita senza universo, la vita senza sistema 9 1. VIVERE D'INDUSTRIA 1.1. Il gruppo di lavoro 15 1.2. Le prime proposte 19 1.3. Non s'ammettono di me più altre immagini 20 1.3.1. Quale impresa senza transfert? 22 1.4. Il Principe. Il brainworker 24 1.5. L'impresa non è più democratica 26 1.6. Per un dispositivo sessuale 28 1.6.1. Dove cessa l'ostile proprio all'ideologia del concorrente 31 1.7. La voce non più muta 34 1.8. L'oggetto mutacico è causa della politica e della fabbrica dove la parola è di moda 38 1.9. Il modo senza l'erotismo del tempo: la castità sessuale 43 1.10. Il capitano non abbandona e non teme la morte 47 1.11. L'etica dell'impresa 51 1.11.1. Senza etica, la sessualità rimane tabù 54 1.11.2. L'etica: l'inosservanza delle regole 56 1.12. La voce come condizione della missione 59 1.12.1 Niente redazione senza voce. Impossibile amare la voce 61 [...] |
| << | < | > | >> |Pagina 7Io non scrivo questo, perché desideri troppo le cose, né perché io voglia che voi pigliate per mio amore né un carico, né un disagio, né uno spendio, né una passione di cosa alcuna; ma perché voi sappiate l'animo mio, et, potendomi giovare, sappiate che tutto il bene mio ha da essere sempre vostro [...]. Sappiano, i fautori del bene comune, che tutto il bene nostro ha da essere sempre loro. Sappiano, i partigiani di ogni sistema, che il formalismo e la correttezza tanto inseguiti si sfasciano dinanzi alla formalizzazione della scrittura dell'esperienza. Sappiano, i denigratori, che la dignità e la condizione della vita non vengono mai meno. Di tutte queste figure, noi siamo grati. E ringraziamo chi ci assicura gli strumenti per dire, per fare e per scrivere: che lo sappia oppure no. Ringraziamo il dispositivo dell'absolutio, della narrazione e della redazione. Il dispositivo alla Pragmalux Empirical e a Cassano Nono. Il dispositivo con ciascuno che sia intervenuto nelle associazioni di Portofluviale e di Milano. E con le donne. Sempre, per la scrittura. Noi non scriviamo per denunciare, per demistificare o per edificare un mondo migliore. Noi scriviamo e restituiamo quanto mai abbiamo posseduto. Senza ricordi. E leggiamo non per decodificare né per interpretare né per risolvere l'enigma. Leggiamo scrivendo. E raccogliamo i frutti. Dalla collezione, materia finanziaria, risalta l'ipertesto: la fioritura come dispositivo di poesia nel giardino della finanza. | << | < | > | >> |Pagina 90.1. La vita senza universo, la vita senza sistema Nel 1965 Arno Penzias e Robert Wilson, due fisici della Bell Telephone Company, puntano un'antenna di sei metri a forma di corno, verso il satellite per le telecomunicazioni Echo. Il loro compito era di valutare la sensibilità dell'apparato ricevente. Durante le misurazioni, si accorgono che la ricezione è disturbata da un ronzio indipendente dall'orientazione dell'antenna. I due radioastronomi ipotizzano qualche difettosità nello strumento e per alcuni mesi lavorano per migliorare la ricezione, ma il ronzio resta inalterato. Puliscono l'antenna dai nidi dei piccioni. Cercano attorno se ci sia una sorgente di disturbo. Invano. Nella vicina università di Princeton altri fisici stavano lavorando alla costruzione di un'antenna dalle dimensioni di un grammofono perché captasse la radiazione fossile prevista da George Gamow. I fisici della Bell interpellano i colleghi universitari per ricevere lumi intorno alla loro scoperta: quel ronzio è la prova tanto attesa che l'universo sarebbe uniformemente avvolto dalla radiazione a microonde di 2,7 K° (2,7 gradi centigradi sopra lo zero assoluto), residuo del big bang. La radiazione uniforme costituisce forse la prova dell'universo strutturato come un sistema? Si può forse affrettatamente concludere che, in questo modo, viene riproposta l'idea di sostanza nonostante le ricerche di Albert Michelson avessero dissipato, nel 1908, l'idea di etere cosmico? A chi interessa l'uniforme? La scoperta della radiazione fossile con la sua isotropia tanto esaltata avrebbe creato problemi. Se da una parte salvava il modello del big bang e dell'origine, dall'altra non permetteva di capire la difformità, l'improporzione dello stesso cosmo e la formazione delle galassie, delle nubi e della materia interstellare. Se la radiazione uniforme prova l'esistenza di un cosmo uniforme, da dove vengono le galassie? L'uniformità è funzionale al cosmo come sistema. Da Leibniz il discorso scientifico cerca di far tornare i conti puntando all'armonia. Prestabilita. E quando l'armonia è quasi raggiunta, il sistema decide che è tempo di rinnovarsi. Con una rivoluzione o con un'esplosione, ad esempio. Il fisico russo George Gamow formulò questa idea nel 1948, precisando come il sistema cosmico finisca per implosione, una volta raggiunto il punto di massima espansione. Quanto questa teoria deve all'esplosione della prima bomba atomica? Le figure della contrazione e dell'espansione sono assimilabili al cosiddetto movimento del pendolo. Sarebbe per una sorta di accettazione del punto di vista condiviso che l'universo oscillerebbe tra un minimo e un massimo. Espansione e contrazione sono figure cinematografiche e non ontologiche. La teoria dell'universo che giustifica l'esistenza dell'uniforme, del simmetrico, dell'ordinato e dell'armonico diventa un sistema cosmopolitico, dove il tempo circola e dove la storia si ripete. Qual è, dunque, la questione? Il sistema è la favola dell'impossibile socializzazione dell'armonia, condivisa da ognuno, a vantaggio della compatibilità. La socializzazione si fonda sulla sopprimibilità del sesso ossia sulla comprensione umana del linguaggio, sull'obiettivazione e sulla strumentalizzazione del linguaggio sotto il patrocinio dell'uomo? Ogni sistema necessita della sovrapposizione di un tempo pensato uniforme alla simmetria totalizzata nell'equazione: il sistema che funziona correttamente è il sistema uniforme e simmetrico, all'interno del quale ha inizio e fine il tempo. Cristopher Zeeman nel 1969, intorno all'elaborazione della teoria delle catastrofi e alla simmetria, inventa la macchina per catastrofi, una semplice macchina che permette di constatare come non ci sia rottura, per un verso né conservazione, per l'altro, della simmetria. Assurda questa denominazione. Come mai è sovrapposta la catastrofe all'asimmetria? Il terrore del sistema è credere che l'asimmetria sia una catastrofe destrutturante, distruttiva, e possa effettivamente togliere la struttura. Queste sono le premesse perché sia creata l'inquisizione la quale si basa su[lla] mitologia dell'azione affinché l'eresia non sia scientifica, non sia catastrofica, non effettui un sapere impossibile [...] nel processo di linguaggio. Quale struttura? Il terrore può circoscrivere ciò che si sottrae? Il punto di sottrazione, in quanto ostacolo, obietta all'appiattimento conseguente all'edificazione di un ordine delle cose. Simmetrico. Immobile. Ordinale. E l'ordine del mondo, come nota Vittorio Mathieu, vorrebbe riportare a un punto fisso il divenire. In altri termini, una prosecuzione meccanicistica purché nulla accada. Da dove vengono le cose? Da un dentro? da un'origine uniforme? E vanno verso un fuori? una separazione? La facile vulgata intorno all'origine dell'universo situa l'avvenire nel ciclo giuntura-separazione, esplosione-implosione, o in un'eterna separazione, risolvendo la questione. Da dove vengono le cose? Nessuna traiettoria spaziale né temporale. Da dove vengono le cose designa l'interesse. Senza nulla di personale. Il punto. Un ostacolo inaggirabile! La traiettoria spaziale o temporale, invece, ha sempre come riferimento il presente: è sincronica al presente e pertanto ha la facoltà di conformarsi al sistema. In un tempo immobile. Finito. Per questo motivo, che le galassie siano originate dal big bang non ha nessun interesse. Importa il vento delle galassie e, delle stelle, la fioritura nel velluto del cielo. Come avrebbe potuto dipingere Van Gogh le stelle se fosse stato dominato da un'idea di radiazione isotropa? L'arte è senza isotropia!
Da dove vengono le cose? La materia non muore.
Non c'e più eutanasia cosmica perché è impossibile
fare della morte la relazione sostanziale degli umani. Gli uomini si conoscono
perché muoiono; hanno questo in comune: la morte. Ovvero, i difetti, i limiti,
le paure e gli affetti. Louis Wolfson, forse, andrebbe
letto come un contributo alla dissipazione della morte
come forma di uguaglianza cosmica.
La questione rimane questa: come instaurare dispositivi di parola, per la vita come valore assoluto, nonostante ognuno sia esposto alle tentazioni facili dell'epoca che tenta, ad esempio, di sommare, sottrarre o spazializzare il tempo facendone un'algebra o una geometria. Un sacco. Si tratta di non accettare la realtà come dato di fatto per cui tutti gli elementi debbano adattarsi al modello dell'immobile, al modello matricida. La vita stessa non è un dato di fatto, come sembrerebbe. Occorre accogliere l'elaborazione degli scrittori, degli artisti, dei poeti e di quanti intendono che la materia, in ciascun caso, è linguistica. E ciò di cui si tratta non ha basi reali né fisiche né verificabili con strumenti di misura che non siano di parola. Ciò di cui si tratta non è né ha da riferirsi a un'unità, come invece insegna il pensiero filosofico da Aristotele in poi. E, allora, noi non possiamo più accettare l'edificazione del sistema che vorrebbe togliere la parola originaria e fondarsi, ad esempio, su una totalizzazione della simmetria, o dell'armonia, o del tutto chiaro, senza l'asimmetria, la disarmonia, lo scuro. Il sistema è tuttavia una credenza: è la nobile menzogna di Platone che va dissipata, non combattuta consacrandola. Le cose procedono da un contrasto irresolubile. Ma non sono relative, opinabili, falsificabili! Le cose non sono queste. Non sono enti. E nessuno, allora, può incarnare il contrasto e schierarsi da una parte o dall'altra, come se l'unità fosse a fondamento: questo varrebbe a togliere la libertà della parola. Il contrasto è una sfida. L'apertura è una sfida. E se c'è apertura si può incominciare a vivere. Può incominciare e inaugurarsi la storia nella prova di realtà e, nella prova di verità, l'impresa. | << | < | > | >> |Pagina 151.1. Il gruppo di lavoro Quell'anno, era il 2000, nella fabbrica Pragmalux Empirical della cittadina di Campiello Maggiore, c'era un'inquietudine strana. Il millennio appena incominciato esigeva l'audacia, la forza. Alcuni operai, quelli abili, negli intervalli della giornata, si incontravano per discutere dei sogni e dei progetti fantastici della superfabbrica. Costituirono una sorta di gruppo di lavoro per un'esigenza di compimento e, nelle discussioni, un filo venne tessendosi in un programma ambizioso. C'era l'entusiasmo e il troppo; l'azzardo e la scrittura perché l'imprenditore non fosse più negato. Quelli erano i significanti. Quella era la formulazione. Quella era la vita. Tre persone. Non sette. Non otto. Ciascuno intuiva che sarebbe stato tratto a fare dall'idea di imprenditore senza più paura, integrando il lavoro manuale e l'elaborazione, l'ascolto, la poesia. Ciascuno ascoltava nuove formulazioni, come, ad esempio, che alla ragione occorreva la mano. Anche per pensare. Sino a intendere. Pensare non era più un'opzione né una facoltà né una competenza dell'ingegno incarnato nel professionista. Niente ingegnere senza la mano. Ci fu anche chi sorrise per l'ingenuità. Tre persone. Il più semplice ragionamento, come l'innesto di una vite, non nega il pensiero. Per avvitare un bullone occorre disporre di un avvitatore collocato lì e non là. E i bulloni, allo stesso modo, si trovano lì e non là. L'organizzazione sorge rispetto al come fare, certamente non per dominare i deboli né per imporre una visione delle cose! L'organizzazione non rispecchia la volontà di potenza del tiranno né si costituisce per tenere sotto controllo i collaboratori. Dell'organizzazione resta la serie di immagini, irrappresentabili nel loro inganno. Immagini, non rappresentazioni di morte! L'organizzazione non si dispone secondo la via ideologica, come può sembrare accostando alcuni articoli del contratto nazionale dei metalmeccanici con il regolamento di disciplina militare. E allora anche la linea non significa più la catena di montaggio, ma è una invenzione, per certi versi ancora semplice ed efficace. Linea: on line!
Quello speciale gruppo puntava all'investimento
per la produzione e per il prodotto. Infatti c'era la sensazione che lo sforzo
verso quella direzione avrebbe dato effetti constatabili. E nessuno avrebbe
potuto dirsi estraneo, risparmiarsi o farsi soccorrere dalle infermiere
sindacali!
Iniziò così. In una linea c'era una persona che aveva notato che il modo di certe lavorazioni poteva essere modificato. E aveva chiesto anche ad altri se avessero invenzioni e trovate efficaci, anche di poco conto, in direzione della semplicità. In effetti, c'erano. Ma chi era disposto a questo sforzo? Chi era disposto a formulare idee, ipotesi, a raccogliere proposte, senza che venissero più demandate al superiore di grado? Fino allora c'erano stati solo alcuni esperimenti da parte dell'azienda, insoddisfacenti, perché presupponevano sempre che l'idea fosse partorita dall'Idea. In altri termini, la cosiddetta azienda riteneva di dover allestire un apparato di promozione e di incentivi affinché ciascuno partorisse la soluzione ai problemi cosiddetti pratici di ciascun giorno. No! L'arte e l'invenzione non risolvono problemi! E non necessitano di pungoli drogologici. Il problema da risolvere risponde a una fantasia di circolazione e di preservazione dell'armonia sociale. Tuttavia, a poco a poco, sorse un certo interesse. E alcuni, di diversa esperienza lavorativa, sull'impulso di tre persone, sentirono la necessità di costituire un dispositivo nuovo, perché non accettavano più di lavorare come se ci fosse il confinamento, come dicevano. Il paradiso della valorizzazione della vita non poteva più essere abolito né rimandato. Furono sentite anche alcune ragazze che dettero un contributo interessante. Alcune. E altre? Avveniva, dunque, che ciascuna ipotesi, raccolta o pensata durante la giornata, venisse verificata anche durante la convocazione del gruppo di lavoro, nella dissipazione della credenza di rubare il lavoro altrui. Senza più credere che il viaggio verso la qualità dovesse sottoporsi a una gerarchia (sociale, militare, chiesastica), o a una organizzazione fondata su tale gerarchia. A un certo punto affiorò la questione delle norme e delle regole, e la prima formulazione fu questa: quali norme e quali regole dovrebbero porsi per il gruppo di lavoro? Ci fu un certo dibattito per alcuni giorni, ma infine si concluse che norme e regole non potevano stare dinanzi a regolamentare o a normalizzare l'occorrenza. La parola è libera. Il fare è libero. Non il fare secondo la volontà, più o meno buona, o secondo il dovere, più o meno imposto, o secondo il potere. Finalmente, qualcuno disse, la porta poteva dirsi spalancata. E, sull'onda della novità, una persona elaborò ulteriormente la cosa. E così intervenne. Se il dispositivo fosse basato sulla norma codice, allora, riferendoci all'impresa potremmo dire: l'impresa è tutti debitori. Dunque tutti sarebbero debitori verso l'impresa, sino forse a dire: l'impresa è dei debitori. Se invece il dispositivo fosse disciplinare, basato sulla regola, allora potrebbe essere: l'impresa è tutti creditori, sino forse a dire: l'impresa è dei creditori. Se dinanzi c'è la norma, l'occorrenza, negata, può pensarsi come controinvestimento totale. Un fallimento. Se invece è la regola a porsi come pragmatica, l'occorrenza può pensarsi come trasgressione. In entrambi i casi la vita sarebbe predestinata. E gli umani oscillerebbero tra un fare postumo, dove il debito alla Norma è totale e tra un fare limitato, il fare dell'ultima ora, in un credito alla Regola totale.
Erano le prime articolazioni, come di chi stia imparando a camminare. Nel
cielo.
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