|
|
| << | < | > | >> |IndiceNota del traduttore 7 LA QUESTIONE EBRAICA: IL PROBLEMA DELL'UNIVERSALISMO POLITICO 9 di Massimiliano Tomba 1. Perché la Judenfrage 10 2. Critica del cristianesimo e dell'ebraismo: un «contributo alla crisi del XIX secolo» 13 3. Riformulazione della questione ebraica 18 4. Emancipazione e liberazione 22 5. Dialettica dei diritti umani 28 LA QUESTIONE EBRAICA 41 di Bruno Bauer Introduzione 43 I. L'esatta formulazione della questione 47 L'innocenza degli ebrei 47 La Spagna 48 La Polonia 49 La società civile 51 L'intraprendenza degli ebrei 52 La tenacità dello spirito del popolo ebraico 53 La vita sotto l'oppressione 55 Il numero dei criminali 57 L'atteggiamento della conseguenza verso il suo presupposto 58 Il fervore e il carattere esclusivo dell'amore cristiano 59 I diritti dell'uomo e lo Stato cristiano 61 L'opposizione religiosa dell'ebraismo e del cristianesimo 63 II. Considerazione critica dell'ebraismo 67 È la legge mosaica o il Talmud? 67 L'incoerenza e l'ostinatezza della coscienza del popolo ebraico 73 La vita conforme alla legge dell'ebreo 77 Il punto di vista etico del tardo ebraismo 83 III.La posizione del cristianesimo verso l'ebraismo 87 IV. La posizione degli ebrei nello Stato cristiano 97 V. Conclusioni 101 VI. Gli ebrei francesi in relazione alla religione della maggioranza dei francesi 105 VII.Dissoluzione dell'ultima illusione 117 L'ebraismo illusorio 117 Gli ebrei come «paladini della verità» 122 L'ebraismo e il cristianesimo disvelati 126 L'ebreo nello Stato assolutistico 129 L'illusione fondamentale 134 Dichiarazioni del juste milieu tedesco 139 Il grande sinedrio di Parigi 146 Conclusione 152 LA CAPACITÀ DI DIVENTARE LIBERI DEGLI EBREI E DEI CRISTIANI DI OGGI 155 di Bruno Bauer SULLA QUESTIONE EBRAICA 173 di Karl Marx I. La questione ebraica 175 II. La capacità di diventare liberi degli ebrei e dei cristiani di oggi 199 Note 207 |
| << | < | > | >> |Pagina 7La scelta di pubblicare la Questione ebraica di Bruno Bauer assieme alla risposta di Karl Marx non richiede certo una giustificazione, essendo lo scritto marxiano, nei fatti, la risposta allo scritto di Bauer. Quest'ultimo apparve con il titolo Die Juden-Frage nei «Deutsche Jahrbücher für Wissenschaft und Kunst», 17-26 Novembre, 1842, nn. 274-282, pp. 1093-1126, e venne ripubblicato con l'aggiunta dei lunghi capitoli VI e VII nel 1843 per l'editore Otto Friedrich di Braunschweig. Nello stesso anno Bruno Bauer pubblicò negli «Einundzwanzig Bogen aus der Schweiz», curati da Georg Herwegh (Zürich und Winterthur, Verlag des Literarischen Comptoirs, 1843), Die Fähigkeit der heutigen Juden und Christen, frei zu werden. Il giovane Karl Marx recensì entrambe le opere nel celebre scritto intitolato Zur Judenfrage ed apparso nei Deutsch-Französische Jahrbücher, pubblicati a Parigi nel 1844 e curati da Arnold Ruge e dallo stesso Marx. Gli scritti di Bauer non sono mai stati tradotti in italiano, e per quanto riguarda la Judenfrage non è nemmeno mai stata ripubblicata in lingua tedesca, nonostante sia molto probabilmente l'opera che per prima introduce e rende popolare l'espressione "questione ebraica" nei paesi di lingua germanica. Diverso è naturalmente il destino dello scritto di Marx, che ha avuto nel nostro Paese diverse traduzioni, più o meno buone e più o meno azzardate. Ho in ogni caso cercato di tenere presente questa lunga tradizione di traduzioni della Questione ebraica. Qualche parola in più merita sicuramente lo scritto di Bauer, il cui stile energico e appassionato rischia di perdere molto nel mero calco di una traduzione letterale. Ho però cercato, per quanto possibile, di riprodurre il più fedelmente possibile l'andamento discorsivo e la sintassi di Bauer al fine di riuscire a dare un'idea dell'innovazione stilistica della prosa baueriana nel contesto della letteratura posthegeliana. Ma c'è anche un'altra ragione che mi ha indotto a rimanere entro gli steccati di una traduzione quanto più letterale possibile: la Questione ebraica di Bruno Bauer è stata ed è ancora uno scritto controverso. Innumerevoli sono infatti le critiche di antigiudaismo ed antisemitismo rivolte contro quest'opera. Spero che questa traduzione non accenda una simile polemica anche in Italia – sulla letteratura al riguardo si veda l' Introduzione – ma serva invece, oltre che ad inquadrare lo scritto marxiano nel suo contesto teorico e storico-politico, a mostrare anche come la radicalità del discorso baueriano porti importanti elementi di complicazione alla concettualità politica moderna, anche in relazione a problemi contemporanei relativi al multiculturalismo e ai diritti umani. | << | < | > | >> |Pagina 9Sarebbe veramente poca cosa se questa traduzione italiana della Questione ebraica di Bruno Bauer servisse solo ad aprire o a riaprire discussioni e polemiche sul più o meno presunto antigiudaismo di Bauer. Al riguardo molto è già stato scritto. La questione che ci interessa mettere in evidenza riguarda piuttosto il modo in cui la straordinaria consequenzialità dialettica con la quale Bruno Bauer affrontava le questioni del proprio tempo – si trattasse della questione della storicità dei Vangeli, del problema dell'emancipazione politica e dei diritti, o del giudizio da dare sulla Rivoluzione francese e sul 1848 – ci può essere d'aiuto oggi per far fronte a una nuova crisi, che però, per molti aspetti, affonda le proprie radici nella crisi del Vormärz. L'intera riflessione di Bauer ha infatti a che fare con categorie in stato di crisi, ed egli si assunse il compito, attraverso la critica, di dispiegare la crisi fino alle sue estreme conseguenze. Proprio questa sua radicalità intellettuale lo portava a mostrare indifferenza rispetto ai giudizi morali e politici del tempo. Non solo attaccava i liberali con la stessa radicalità con la quale attaccava i conservatori, ma anzi, di fronte alla velleità delle richieste liberali di diritti universali e libertà, era portato a riconoscere maggiori ragioni ai conservatori. Con la stessa veemenza criticava la religione, sia l'ebraica sia quella cristiana. In ogni sua posizione mostrava indifferenza rispetto ai giudizi che lo colpivano. Questo suo cinismo si spiega a partire da un duplice ordine di ragioni: Bauer si identificava realmente con la Critica, e assumeva su di sé il destino di portare il vecchio mondo alla fine. Le critiche che gli venivano rivolte non erano altro, ai suoi occhi, che vagiti di un mondo in disfacimento e colpito a morte. Ma c'è anche un'altra ragione: la Critica di Bauer si innesta sulla crisi epocale, è compenetrata dalla crisi, si fonde con essa. Ma questa stessa crisi non può non trascinare con sé valori e morale, che vengono così a perdere ogni senso e riferimento per il giudizio. Se la crisi coinvolge anche il mondo morale, perdono senso vecchie dicotomie come bene e male, buono e malvagio, eccetera. Esse lasciano il posto alla sola che ancora merita di essere presa in considerazione: quella tra il vecchio e il nuovo mondo. Qui anche il punto di arresto di Bauer. Egli non è un partigiano del nuovo mondo, ma lo è invece della Critica che, nelle sue mani, diventa avanzamento nella rovina del vecchio mondo, ricerca di quei conflitti e quelle contrapposizioni che ne accelerano la fine. Per Bauer non si tratta di negare Dio e lo Stato, ma di trovare la radice polemica della statualità moderna e del concetto di religione. È su questa strada che Bruno Bauer, anticipando Carl Schmitt, coglie la natura essenzialmente polemica dei concetti teologico-politici. È avendo ben presente questo problema che si deve leggere la Questione ebraica. | << | < | > | >> |Pagina 43«Libertà, diritti dell'umanità, emancipazione e riparazione di un torto millenario» sono diritti e doveri talmente importanti che anche solo appellandosi ad essi si può essere certi di fare breccia in ogni uomo per bene; le sole espressioni sono spesso sufficienti per rendere popolare la causa che si deve difendere. Tuttavia accade troppo spesso di credere di aver già vinto una causa semplicemente utilizzando per essa delle espressioni ricoperte, per così dire, da un'aura sacrale alla quale nessuno può opporsi se non vuole essere considerato disumano, sacrilego o sostenitore della tirannia. In tal modo si possono avere dei successi momentanei, ma non si può né vincere la causa né superare le difficoltà reali. Nei dibattiti attuali sulla questione ebraica capita spesso di sentire grandi espressioni, come "libertà, diritti umani, emancipazione", parole che vengono accolte con grande plauso; ma per quanto riguarda la causa, non l'hanno fatta avanzare di molto e sarà forse più utile usare meno spesso quelle espressioni e pensare invece più seriamente all'oggetto in questione. Se la causa degli ebrei è divenuta una causa popolare, ciò non è un merito dei suoi difensori, ma si spiega con il fatto che il popolo ha il presentimento del nesso esistente tra l'emancipazione degli ebrei e lo sviluppo della nostra situazione complessiva. I difensori dell'emancipazione degli ebrei non hanno esaminato questo nesso e non lo hanno realmente descritto. In un'epoca in cui la critica si è rivolta contro tutto ciò che finora ha dominato il mondo, essi, per farla breve, hanno lasciato essere gli ebrei e l'ebraismo ciò che sono, o meglio: non ci si è mai chiesti che cosa sono e, senza indagare se la loro essenza si accorda con la libertà, li si vuole liberare. Si grida addirittura al tradimento dell'umanità se la critica si accinge a indagare l'essenza dell'ebreo in quanto ebreo. Gli stessi che probabilmente ammirano soddisfatti la critica quando essa si rivolge verso il cristianesimo, o che considerano questa critica necessaria e addirittura la richiedono, quegli stessi sono pronti a condannare chi ora sottopone al vaglio della critica anche l'ebraismo. All'ebraismo dovrebbe quindi essere concesso un privilegio, proprio ora che i privilegi cadono sotto i colpi della critica e anche quando, in futuro, tutti i privilegi saranno caduti? I difensori dell'emancipazione degli ebrei si trovano quindi in una posizione particolare: nel momento stesso in cui lottano contro i privilegi, concedono all'ebraismo il privilegio dell'immutabilità, dell'inviolabilità e della mancanza di responsabilità. Essi lottano con le migliori intenzioni a favore degli ebrei, ma manca loro il vero entusiasmo, poiché trattano la causa degli ebrei come una faccenda a loro estranea. Quando prendono partito per il progresso e il perfezionamento dell'umanità, escludono gli ebrei dal loro partito. Essi chiedono ai cristiani e allo Stato cristiano, ma non agli ebrei, di rinunciare ai pregiudizi ai quali non solo si sono affezionati, ma che costituiscono il loro cuore e la loro essenza. Non si deve insidiare l'ebraismo. Il mondo cristiano deve ancora fare esperienza di grandi sofferenze per la nascita della nuova epoca in formazione: gli ebrei non devono patire alcuna sofferenza? Devono avere gli stessi diritti di chi ha lottato e sofferto per la nuova epoca? Come se ciò fosse possibile! Come se potessero sentirsi a proprio agio in un mondo che non hanno fatto, al quale non hanno apportato il loro contributo e che anzi contraddicono con la loro essenza immutata! I peggiori nemici degli ebrei sono quindi quelli che non vogliono far sentire loro le sofferenze della critica che investe oggi ogni cosa. Senza essere passati attraverso il fuoco della critica, nulla potrà entrare nel nuovo mondo che sta per sopraggiungere. Non avete ancora nemmeno reso la causa degli ebrei una causa realmente popolare, una causa universale del popolo. Avete parlato delle ingiustizie dello Stato cristiano, ma non vi siete ancora domandati se queste ingiustizie e questa durezza non abbiano il proprio fondamento nell'essenza delle costituzioni statuali finora vigenti. Se l'atteggiamento dello Stato cristiano verso gli ebrei è connaturato alla sua essenza, allora l'emancipazione degli ebrei è possibile solo presupponendo una trasformazione totale di quell'essenza – nel caso cioè e nella misura in cui anche gli ebrei abbandonino la loro essenza: ciò significa che la questione ebraica è solo una parte della grande e universale questione alla cui soluzione lavora il nostro tempo. Gli avversari dell'emancipazione degli ebrei sono stati finora di gran lunga superiori ai loro difensori, poiché hanno realmente preso in considerazione l'opposizione esistente tra l'ebreo come tale e lo Stato cristiano. Il loro unico errore fu quello di presupporre lo Stato cristiano come l'unico vero Stato, senza sottoporlo alla stessa critica con la quale consideravano l'ebraismo. La loro concezione dell'ebraismo apparve dura e ingiusta solo perché non indagarono criticamente anche lo Stato che negava, e doveva necessariamente negare, la libertà agli ebrei. Noi volgeremo la critica verso entrambi i lati dell'opposizione: solo così e in nessun altro modo essa troverà la propria soluzione. Può essere che la nostra concezione dell'ebraismo appaia ancora più dura di quella degli oppositori dell'emancipazione degli ebrei, concezione alla quale ci si era ormai abituati. Può essere che essa sia realmente più dura: ma la mia unica preoccupazione è che essa sia vera; l'unica questione è se un male può essere realmente estirpato senza andare alle sue radici, e chi vuole lamentarsi, accusi solo la libertà, poiché essa esige non solo dagli altri popoli, ma anche dagli ebrei, il sacrificio di tradizioni invecchiate, e non che ci si consacri ad esse. Che la critica appaia dura, o che lo sia realmente, è comunque certo che sarà essa e solo essa a portare la libertà. Iniziamo col porre la questione in modo corretto e a sbarazzarci degli errori del passato. | << | < | > | >> |Pagina 175I. BRUNO BAUER, LA QUESTIONE EBRAICA, BRAUNSCHWEIG 1843 Gli ebrei tedeschi vogliono l'emancipazione. Che emancipazione vogliono? L'emancipazione civile, politica. Bruno Bauer risponde loro: nessuno in Germania è politicamente emancipato. Noi stessi non siamo liberi. Come potremmo liberare voi? Voi ebrei siete egoisti se pretendete un'emancipazione particolare per voi in quanto ebrei. Dovreste, in quanto tedeschi, lavorare per l'emancipazione politica della Germania e, in quanto uomini, per l'emancipazione umana, e sentire la forma specifica della vostra oppressione e della vostra infamia non come un'eccezione alla regola, ma piuttosto come la conferma della regola. O forse gli ebrei pretendono l'equiparazione con i sudditi cristiani? In tal modo essi riconoscono come legittimo lo Stato cristiano, così riconoscono il regime dell'asservimento generale. Perché disapprovano il proprio soggiogamento particolare se accettano quello universale? Perché il tedesco dovrebbe interessarsi alla liberazione degli ebrei, se l'ebreo non si interessa alla liberazione del tedesco? Lo Stato cristiano conosce soltanto privilegi. In esso l'ebreo possiede il privilegio di essere ebreo. Come ebreo ha dei diritti che i cristiani non hanno. Perché vuole dei diritti che non ha e di cui i cristiani godono? Volendo essere emancipato dallo Stato cristiano, l'ebreo pretende che lo Stato cristiano rinunci al suo pregiudizio religioso. Ma egli, l'ebreo, abbandona il suo pregiudizio religioso? Ha quindi il diritto di esigere da un altro questa rinuncia alla religione? Lo Stato cristiano non può, per sua essenza, emancipare l'ebreo; ma, aggiunge Bauer, l'ebreo, per sua essenza, non può essere emancipato. Fino a quando lo Stato rimane cristiano e l'ebreo ebreo, entrambi saranno altrettanto incapaci di concedere e di ricevere l'emancipazione. Lo Stato cristiano può riferirsi all'ebreo soltanto alla maniera dello Stato cristiano, cioè secondo il sistema del privilegio: esso permette che l'ebreo sia distinto dagli altri sudditi, ma gli fa sentire la pressione delle altre sfere particolari, e gliela fa sentire tanto più duramente in quanto l'ebreo si trova in contrasto religioso rispetto alla religione dominante. Ma anche l'ebreo può riferirsi allo Stato soltanto come ebreo, cioè come uno straniero di fronte allo Stato, poiché alla nazionalità reale egli contrappone la sua nazionalità chimerica, alla legge reale la sua legge illusoria, poiché si crede in diritto di distinguersi dall'umanità, poiché per principio non partecipa in alcun modo al movimento storico, poiché egli spera in un futuro che non ha nulla in comune con il futuro universale dell'uomo, poiché si considera un membro del popolo ebraico e ritiene il popolo ebraico il popolo eletto. A quale titolo voi ebrei chiedete l'emancipazione? In considerazione della vostra religione? Ma essa è nemica mortale della religione dello Stato. Come cittadini? In Germania non vi sono cittadini. Come uomini? Voi non siete uomini, così come non lo sono coloro ai quali vi appellate. Bauer ha posto in termini nuovi la questione dell'emancipazione degli ebrei, dopo aver fornito una critica delle precedenti tesi e soluzioni del quesito. Quali sono, egli si domanda, le caratteristiche dell'ebreo che deve essere emancipato e dello Stato cristiano che deve emancipare? Egli risponde con una critica della religione ebraica, analizza il contrasto religioso tra ebraismo e cristianesimo, spiega l'essenza dello Stato cristiano, tutto ciò con arditezza, acutezza, spirito, profondità, con uno stile tanto preciso quanto robusto ed energico. Come risolve dunque Bauer la questione ebraica? Qual è il risultato? La formulazione di un quesito è già la sua soluzione. La critica della questione ebraica è la risposta alla questione ebraica. Questo il resumé: Dobbiamo emancipare noi stessi prima di poter emancipare gli altri. La forma più rigida del contrasto tra l'ebreo e il cristiano è il contrasto religioso. Come si risolve un contrasto? Rendendolo impossibile. Come si rende impossibile un contrasto religioso? Eliminando la religione. Non appena l'ebreo e il cristiano riconoscono che le loro rispettive religioni non sono altro che differenti stadi dello sviluppo dello spirito umano, differenti mute di pelli di serpente deposte dalla storia, e che l'uomo non è altro che il serpente rivestito di esse, allora essi non vengono più a trovarsi in un rapporto religioso, ma soltanto in un rapporto critico, scientifico, umano. La scienza è quindi la loro unità. I contrasti nella scienza si risolvono però mediante la scienza stessa. In particolare all'ebreo tedesco si contrappone la carenza di emancipazione politica in generale e la pronunciata cristianità dello Stato. Nel senso di Bauer, la questione ebraica ha però un significato universale, indipendente dalla specifica situazione tedesca. È la questione del rapporto tra religione e Stato, della contraddizione tra il pregiudizio religioso e l'emancipazione politica. L'emancipazione dalla religione viene posta come condizione, sia all'ebreo, che vuole essere emancipato politicamente, sia allo Stato, che deve emancipare ed essere esso stesso emancipato.
Bene! Si dice, ed è lo stesso ebreo a dirlo, che l'ebreo deve essere
emancipato non in quanto ebreo, non perché è ebreo, non perché
possiede un principio tanto eccellente e universalmente umano
dell'eticità, piuttosto l'ebreo passerà in secondo piano rispetto al
cittadino e sarà egli stesso cittadino, nonostante il fatto che egli sia
ebreo e debba rimanere ebreo; ciò significa che egli è e resta
ebreo, sebbene sia cittadino e nonostante viva all'interno di rapporti
universalmente umani: la sua essenza ebraica e limitata vince
sempre e senza eccezione sopra i suoi doveri umani e politici. Il
pregiudizio permane nonostante sia sormontato da universali principi
fondamentali. Ma se permane, è esso a sormontare piuttosto
ogni altra cosa. Solo per un sofisma, solo in apparenza, l'ebreo
può rimanere ebreo nella vita dello Stato; qualora egli volesse
rimanere ebreo, la mera parvenza trionferebbe e diverrebbe
l'essenziale, cioè la sua vita nello Stato diventerebbe mera parvenza, una
momentanea eccezione rispetto all'essenza e alla regola
(La capacità di diventare liberi degli ebrei e dei cristiani di oggi,
infra, p. 156).
Vediamo, d'altra parte, come Bauer delinea il compito dello Stato: Per quanto riguarda la questione ebraica — così come in tutte le altre questioni politiche —, la Francia, si dice, ci ha recentemente offerto (Dibattiti della Camera dei deputati del 26 dicembre 1840) lo spettacolo di una vita che è libera, ma che revoca la propria libertà nella legge, dichiarandola quindi un'apparenza e, dall'altra parte, negando nei fatti la sua libera legge (La questione ebraica, infra, p. 107). La libertà universale in Francia ancora non è legge; neanche la questione ebraica è risolta perché la libertà legale – (secondo la quale tutti i cittadini sono uguali) – viene limitata nella vita, che è ancora dominata e lacerata dai privilegi religiosi; questa illibertà della vita retroagisce sulla legge obbligandola a sanzionare la distinzione dei cittadini, in sé liberi, in oppressi e oppressori. (La questione ebraica, pp. 107-8). Quando, dunque, sarebbe risolta per la Francia la questione ebraica? L'ebreo, ad esempio, dovrebbe aver cessato di essere ebreo qualora non si faccia ostacolare dalla sua legge nell'adempiere ai suoi doveri verso lo Stato e i suoi concittadini, come ad esempio recarsi alla Camera dei deputati o prendere parte ai pubblici dibattimenti nel giorno di sabato. Ogni privilegio religioso in genere, e quindi anche il monopolio di una chiesa privilegiata, dovrebbe essere abolito, e se un singolo o i più, o anche la stragrande maggioranza credesse ancora di dover adempiere a doveri religiosi, allora un tale adempimento dovrebbe essere concesso loro come una mera faccenda privata (p. 107). Non c'è più religione se non c'è più nessuna religione privilegiata. Si tolga alla religione la sua forza di esclusione ed essa non esiste più (p. 109). Come il signor Martin du Nord, nel progetto di tralasciare dalla legge il riferimento alla domenica, scorgeva la proposta di dichiarare che il cristianesimo aveva cessato di esistere, per la stessa ragione (e questa ragione è pienamente fondata), dichiarare che la legge del sabato non sarebbe più vincolante per gli ebrei, equivarrebbe a proclamare la dissoluzione dell'ebraismo (pp. 113-4). Bauer pretende quindi, da una parte, che l'ebreo rinunci all'ebraismo, e in generale che l'uomo rinunci alla religione, per poter essere emancipato come cittadino. Dall'altra identifica in tutto e per tutto la soppressione politica della religione con la soppressione pura e semplice della religione. Lo Stato che presuppone la religione non è ancora uno Stato vero, reale. La rappresentazione religiosa fornisce senz'altro delle garanzie allo Stato. Ma a quale Stato? A quale tipo di Stato? (p. 138) A questo punto appare chiaramente il carattere unilaterale del modo di porre la questione ebraica. Non bastava assolutamente chiedersi: chi deve emancipare? Chi deve essere emancipato? La critica doveva porre una terza domanda. Doveva chiedere: di che tipo di emancipazione si tratta? Quali condizioni sono implicite nell'essenza dell'emancipazione richiesta? La critica della stessa emancipazione politica avrebbe già costituito la critica conclusiva della questione ebraica e la sua vera risoluzione nella «questione universale dell'epoca».
Ma poiché Bauer non porta la questione a questo livello,
cade in contraddizioni. Egli pone condizioni che non sono
implicite nell'essenza dell'emancipazione
politica
stessa. Egli solleva questioni che esulano dal tema e risolve problemi che
lasciano irrisolta la sua questione. Quando Bauer, riferendosi
agli avversari dell'emancipazione degli ebrei, dice: «Il loro unico
errore fu quello di presupporre lo Stato cristiano come l'unico
vero Stato, senza sottoporlo alla stessa critica con la quale consideravano
l'ebraismo» (p. 45), noi rileviamo l'errore di Bauer nel
fatto che egli sottopone a critica
solo
lo «Stato cristiano», non lo «Stato in quanto tale»; non indaga
il rapporto tra l'emancipazione politica e l'emancipazione umana,
e pone perciò condizioni che sono spiegabili soltanto a partire da un'acritica
confusione tra l'
emancipazione politica
e quella universalmente umana. Se Bauer domanda agli ebrei: dal vostro punto di
vista avete il diritto di chiedere l'
emancipazione politica?
noi invece domandiamo: il punto di vista dell'emancipazione
politica
ha il diritto di esigere dall'ebreo la soppressione dell'ebraismo, e dagli
uomini in generale la soppressione della religione?
|