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| << | < | > | >> |IndiceI La bambina nel pollaio 31 II La gallina gialla 40 III Lettere nella sabbia 51 IV Tictoc, l'uomo automatico 61 V Dorothy apre il secchiello-pranzo 73 VI Le teste di Langwidere 83 VII Ozma di Oz alla riscossa 104 VIII La tigre affamata 117 IX La famiglia reale di Evland 126 X Il gigante col martello 137 XI Ul Re degli Gnomi 150 XII Gli undici indovinelli 167 XIII Il Re degli Gnomi si diverte 173 XIV Dorothy si fa coraggio 181 XV Billina spaventa il Re degli Gnomi 192 XVI Porpora, verde e oro 201 XVII Lo spaventapasseri vince la battaglia 209 XVIII La sorte del boscaiolo di stagno 217 XIX Il Re di Evland 226 XX La città degli smeraldi 233 XXI La cintura magica di Dorothy 241 |
| << | < | > | >> |Pagina 31La bambina nel pollaioIL VENTO soffiava forte forte e increspava l'acqua dell'oceano, formando piccole creste bianche in superficie. Poco dopo gonfiò tanto quelle piccole creste da farle diventare onde vere e proprie, e poi tanto sospinse le onde da trasformarle in cavalloni. I cavalloni rotolavano spaventosamente alti: perfino più alti dei tetti delle case. Alcuni erano addirittura alti come alberi giganteschi, e parevano montagne; i solchi fra un'ondata e l'altra assomigliavano a valli profonde. E tutto questo pazzesco mugghiare e schiumare del vasto oceano, che il vento perverso si divertiva a provocare senza una ragione al mondo, causò una spaventosa burrasca, e una burrasca sull'oceano è capace di giocar molti tiri birboni e scatenare un sacco di guai. Proprio quando il vento cominciava a soffiare, c'era una nave che salpava. E quando le onde cominciarono a rincorrersi e a gonfiarsi e a diventar sempre più grosse, la nave ne seguiva il movimento su e giù, su e giù; poi si inclinò su un fianco, poi sull'altro, sballottata tanto violentemente che perfino i marinai dovevano tenersi ben forte alle sàrtie e alle gòmene per non essere spazzati via dal vento anche loro o scaraventati in acqua. Le nubi in cielo erano tanto fitte che il sole non riusciva a trapassarle. Il giorno poi era buio come la notte, aumentando l'orrore della burrasca. Il comandante della nave non aveva paura, perché aveva visto altre burrasche e aveva sempre portato in salvo i suoi bastimenti; ma sapeva che i suoi passeggeri erano in pericolo rimanendo sopra coperta. Così, li fece ritirare tutti in cabina e raccomandò loro di rimanervi finché non cessava l'uragano: non dovevano aver paura, si facessero coraggio e tutto sarebbe andato bene. Ora, fra questi passeggeri c'era una bambina del Kansas che si chiamava Dorothy Gale, che era in viaggio con suo zio Enrico alla volta dell'Australia per andare a conoscere certi parenti che non avevano mai visto. Lo zio Enrico non stava molto bene, perché aveva tanto lavorato nella sua fattoria del Kansas che ne aveva risentito in salute ed era piuttosto debole e nervoso. Allora aveva lasciato a casa la zia Emma a sorvegliare i contadini e a occuparsi della fattoria, mentre lui se ne andava in Australia a visitare i cugini e a riposarsi. Dorothy aveva mostrato tanto desiderio di seguirlo nel suo viaggio che lo Zio Enrico aveva pensato che, dopo tutto, sarebbe stata un'ottima compagna e l'avrebbe aiutato a riacquistare il buon umore: così aveva deciso di prenderla con sé. E poi, quella bambina era una viaggiatrice esperta, perché una volta un ciclone l'aveva trasportata di colpo nella Terra Incantata di Oz, dove aveva avuto una quantità di straordinarie avventure prima di riuscire a far ritorno nel Kansas. Perciò non era tipo da spaventarsi facilmente, e quando il vento cominciò a urlare e a fischiare e le onde a gonfiarsi, la nostra Dorothy non si sentì affatto turbata da tutto quello sconquasso. — Certo che faremo bene a restarcene in cabina, — diceva allo zio Enrico e agli altri passeggeri, — e a rimaner fermi e tranquilli finché la burrasca non finisce. Perché il capitano dice che se si va sul ponte si rischia di essere spazzati via! Certo, nessuno aveva voglia di esporsi a un pericolo del genere, così tutti i passeggeri se ne stettero rannicchiati nella cabina semibuia, ascoltando l'ululato della tempesta e lo scricchiolio degli alberi e delle sàrtie, attenti a non ruzzolare uno addosso all'altro ogni volta che la nave si inclinava sul fianco. Quanto a Dorothy, s'era quasi addormentata quando si destò di soprassalto accorgendosi che lo zio Enrico non c'era più. Non riusciva a immaginare dove fosse andato, e siccome lo zio non era molto forte di salute, cominciò a preoccuparsi per lui, temendo che fosse stato tanto imprudente da salire sul ponte. In quel caso correva certo grave pericolo, a meno di non tornare indietro all'istante. In realtà zio Enrico aveva preferito andarsi a sdraiare nella sua cuccetta, ma Dorothy questo non lo sapeva. Si ricordava soltanto che la zia Emma le aveva raccomandato di prendersi cura di lui, e decise perciò di salire sul ponte a cercarlo. Ora però la bufera imperversava più tremenda che mai e il bastimento era terribilmente sballottato. A Dorothy parve di aver già compiuto il massimo sforzo quando si trovò in cima alla scaletta che portava sopra coperta. Quando mise piede sul ponte, il vento la colpì tanto selvaggiamente che per poco non le strappò di dosso la sottanina. Ma le dava una certa eccitazione sfidare la tempesta, e, mentre si teneva forte al parapetto, cercava di scrutare nella semioscurità, sperando di scorgere lo zio. A un tratto le sembrò di intravedere non lontano da lei un uomo avvinghiato all'albero maestro. E allora si mise a chiamare con quanto fiato aveva in corpo: — Zio Enrico! Zio Enrico! Ma il vento ululava e sibilava in maniera così pazza che Dorothy quasi non sentiva nemmeno la propria voce, e l'uomo certo non l'udiva, perché rimaneva immobile. Dorothy volle raggiungerlo e, approfittando di una breve tregua della bufera, fece un balzo in avanti, verso un punto dove una grossa stia da polli quadrata era assicurata al ponte per mezzo di corde. E fin lì giunse sana e salva, ma non appena si fu aggrappata alle assicelle di legno di cui era fatto il pollaio, il vento, quasi infuriato che una bimbetta osasse resistere alla sua forza, raddoppiò il suo impeto. Con un urlo simile a quello di un gigante imbestialito strappò le corde che tenevano la stia e la sollevò in aria, mentre Dorothy non mollava la stretta dei paletti. E vvvv... vvvv... il povero pollaio turbinava e roteava vorticosamente: qualche minuto dopo precipitò in mare dove un'ondata più alta delle altre lo scaraventò prima su una cresta spumeggiante e poi giù giù in una valle profonda, come se stesse divertendosi con un giocattolo. Dorothy fece un bel bagno, non c'è che dire, ma non perse affatto la sua presenza di spirito. Non abbandonò mai i paletti, e quando poté liberarsi gli occhi dall'acqua notò che il vento aveva scoperchiato la gabbia e che i poveri polli starnazzavano fra le onde incalzati dal vento in ogni direzione come tanti piumini senza manico. Il fondo del pollaio era fatto di assi solide: Dorothy infatti si accorse di essere aggrappata ad una specie di zattera i cui fianchi sostenevano facilmente il suo peso. Tossì un poco per l'acqua salata che aveva bevuto, riprese un po' di fiato, e infine riuscì a scavalcare i paletti laterali e a porre i piedi sul fondo della stia, che sembrava reggerla senza difficoltà. — Ecco, ho una nave tutta per me! — pensò Dorothy, più divertita che spaventata dall'improvviso mutamento di situazione; poi, quando il pollaio venne sospinto sulla cresta di un potente cavallone, la bambina si guardò ansiosa intorno in cerca della nave da cui era stata soffiata via. Era molto molto lontana ormai. Forse, a bordo, nessuno si era ancora accorto della sua assenza o sapeva della sua strana avventura. In quella fu di nuova travolta fra un'ondata e l'altra, e quando, senza mai mollare la stia, montò in groppa al cavallone successivo la nave le apparve minuscola come un giocattolo, tanto era lontana. Presto scomparve del tutto nella semioscurità; fu allora che Dorothv trasse un sospirone di dolore all'idea di separarsi dallo zio Enrico, e cominciò a domandarsi cosa le sarebbe successo. Per ora era sballottata nel cuore di un vasto oceano, con una miserabile stia di polli come unica risorsa che aveva il fondo piatto e sui lati assicelle attraverso cui l'acqua passava continuamente bagnandola fino alle ossa. E se avesse avuto fame non avrebbe avuto nulla da mangiare — perché certo le sarebbe venuta fame — e non avrebbe avuto né acqua fresca da bere, né un vestitino asciutto da infilarsi. — Be', — esclamò la bambina con una risata, — Dorothy Gale sei in un bell'imbroglio, te lo dico io! E non ho la più pallida idea di come riuscirai a cavartela. Quasi ad aumentare i suoi crucci, stava ora calando la notte e i nuvoloni grigi su nel cielo si fecero neri come l'inchiostro. Ma il vento, come se finalmente si sentisse soddisfatto delle sue cattiverie, smise di soffiare su quel mare e scappò via a mettere in subbuglio qualche altra parte del mondo. Allora anche le onde, non più sbattute, cominciarono a calmarsi e a comportarsi come si deve. Fu una fortuna per Dorothy che la tempesta finisse, non vi pare? Altrimenti, per quanto coraggiosa, temo che sarebbe finita male. Al posto suo molti bambini avrebbero pianto e si sarebbero disperati. Ma Dorothy che aveva avuto tante avventure e ne era sempre uscita sana e salva, questa volta non aveva avuto quasi paura. Era bagnata e a disagio, è vero, ma dopo aver tratto quell'unico sospiro di cui vi ho detto prima, riuscì a riacquistare un po' del suo abituale buon umore e decise di aspettare pazientemente la sua sorte. A poco a poco i nuvoloni neri si dissolsero lasciando intravedere un bel cielo limpido con in mezzo una luna d'argento e tante stelline allegre che sembravano sorriderle dall'alto. La stia ora non si agitava più, ma superava dolcemente le onde, dondolandosi come una culla, e il fondo su cui stava Dorothy non era più inondato dall'acqua. Perciò ormai esausta per le emozioni passate, la bambina decise che un buon sonno le avrebbe ridato forza e l'avrebbe aiutata nel modo più semplice a passare il tempo. Il pavimento del pollaio era umido e lei stessa era inzuppata come un pulcino, ma per fortuna il clima era caldo e Dorothy non si sentiva per niente infreddolita.
Così si sedette in un angolo della stia, appoggiò la schiena contro le
assicelle e, con un cenno d'intesa alle amiche stelle, chiuse gli occhi. Mezzo
minuto dopo era profondamente addormentata.
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