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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 11 PARTE PRIMA - Una generazione e le sue famiglie 1. GENERAZIONE TRENTENNE 25 La generazione: un concetto delicato 25 Avere 30 anni al giorno d'oggi 28 L'assenza del padre 29 Le ragazze assomigliano ai ragazzi 35 Verso nuovi modelli culturali 40 2. STORIE FAMILIARI 45 Il disagio paterno 45 Fabienne, quando il passato determina il presente 49 Aude, l'inferiorità della madre 50 Nicolas, quando il rispetto sostituisce l'autorità 52 Cambiare a ogni costo 53 Stiamo a vedere 55 Il doppio gioco dei genitori 56 Papà è un seme 58 Divorzio: l'emulazione 60 Con lo sguardo degli altri 62 La famiglia è malata? 63 PARTE SECONDA - Cosa dicono i trentenni? 3. SULL'AMORE 69 Sesso, ma anche amore 69 La prima storia 71 La fedeltà nei tradimenti 76 No al sesso senza amore! 79 L'importanza della vita di coppia rispetto a quella professionale 81 Una condivisione d'idee e sentimenti 82 Quando si va via di casa? 85 4. I VALORI DEI TRENTENNI 89 Essere sinceri e onesti con se stessi 90 Tolleranza e rispetto degli altri 91 Gli amici prima di tutto 95 Poca o nessuna religione 97 5. POLITICA: SFIDUCIA E DISGUSTO 99 Sfiducia verso lo Stato 100 Disgustati 101 Quando i trentenni s'impegnano in politica 103 Una coscienza ecologista 103 Gli eventi più significativi 104 6. I TRENTENNI, IL LAVORO, IL SUCCESSO E IL DENARO 107 Una gioventù alla ricerca di se stessa 107 L'imitazione lineare 109 I declassati 111 Gli accaniti del successo 112 Piccoli lavoretti 114 Fuori dagli schemi 116 I disoccupati 117 E i soldi? 118 Per una società più responsabile 121 7. LA SALUTE, LO SPORT E IL TEMPO LIBERO 124 Molte sigarette 124 Poca marijuana 125 E gli psicofarmaci? 126 L'alcolismo mondano 126 Aiuto, aiutatemi! 128 Sport e tempo libero 130 8. IL POST '68 133 E il rapporto genitori-figli? 134 La dialettica dei rapporti uomo-donna 137 E il femminismo? 141 I trentenni e il Maggio '68 142 Cosa pensano i trentenni della loro generazione? 145 Conclusioni 149 Indice biografico 153 Bibliografia 161 |
| << | < | > | >> |Pagina 11Sono nati nella speranza, quasi dei bimbi viziati, gli eredi del maggio del '68. Oggi, hanno trent'anni. Molti di loro sono single e senza figli. La maggior parte ha finito per trovare un lavoro. Dovrebbero essere felici. Invece danno l'impressione di un immenso disincanto. Come se tutte le loro illusioni fossero crollate. Come se a loro fosse stato permesso tutto senza lasciare che facessero nulla. Come se il loro potenziale fosse stato sprecato. Ma perché mai sarebbero stati «sacrificati»? Chi sono i loro genitori? E loro chi sono in realtà, questi trentenni che rappresentano le forze vive del paese, il bersaglio preferito dei pubblicitari? Qual è il loro vero volto? Una cosa è certa, ed è che le cifre del censimento del 1999 non isolano questa fascia d'età, la fondono invece con altre due fasce più ampie: quella che va dai venticinque ai trentaquattro anni e quella che va dai trentacinque ai quarantanove. Dal punto di vista statistico, i trentenni non esistono. Tuttavia, recentemente è stato loro dedicato un libro, Génération 69, che li ricolloca in una precisa generazione, quella dei figli dei baby-boomer, che tutto ha preso e tutto si è tenuta. Divertente e polemico, il libro descrive i trentenni come giovani frustrati dai loro genitori e li etichetta come «una massa di Tanguy». Nei loro panni ci stanno certamente male, ma la ragione di questo malessere è da ricercare piuttosto in un'infanzia e in una giovinezza vissute sotto il segno di un'onnipotenza materna e di un'autorità parentale continuamente da rinegoziare. Perché i loro genitori proprio negli anni '60 hanno proclamato, per la prima volta con forza e convinzione, la morte dell'autorità del padre e del professore. Si è parlato di «crepuscolo dei padri» per indicare questo periodo che ha modificato non solo lo stile di vita, ma anche la mentalità dei giovani cresciuti in quell'epoca, dando vita a comportamenti specifici, in particolare nell'età dello sviluppo. Ma non dimentichiamolo, i trentenni sono anche diventati adulti in un periodo di crisi profonda. Molti hanno conosciuto, all'inizio della loro vita professionale, le angosce legate alla disoccupazione e alle incertezze economiche, anche se con meno intensità rispetto ai ragazzi più giovani. I baby-boomer erano dei bambini giudiziosi, se paragonati agli adulti che sarebbero divenuti. Nati dopo la guerra, essi obbedivano, docili, ai loro genitori, ed erano del tutto estranei a quella ribellione che avrebbero ostentato venticinque anni più tardi, quando fecero della giovinezza un'esigenza permanente. Ancora una volta, il punto di svolta risale agli anni '60, quando i giovani si sono ribellati con orrore alle debolezze degli adulti e hanno sviluppato nuovi stili fondati sulla propria esperienza. Non avendo potuto trovare nei loro genitori degli effettivi modelli di vita da adattare alla loro età e alla loro epoca, essi hanno inventato l'eterna giovinezza che, ancora oggi, caratterizza la nostra società. Le donne e gli uomini di cui si occuperà questo libro sono i discendenti della generazione del '68, quella generazione «lirica» attorno alla quale e in rapporto alla quale si è giocata e continua a giocarsi la sorte di tutte le fasce d'età, dalle più giovani alle più anziane. È stata la generazione del '68 ad annullare l'arbitrarietà di una certa autorità, è stata lei a liberare i corpi e i sensi da un puritanesimo giudicato ipocrita, ed è stata ancora lei a fare della giovinezza il valore supremo. Ispirandosi all'opera filosofica di Pierre Bourdieu, Luis Althusser, Gilles Deleuze, Felix Guattari, Jaques Derrida e molti altri, questa generazione ha inoltre creato un pensiero rimasto unico nel suo genere: il pensiero del '68. Il ritratto dei trentenni qui presentato è prima di tutto quello di una generazione alquanto individualista, ma anche solidale, senza essere completamente autonoma. Naturalmente ci interesseremo alle storie di alcune famiglie - poiché tutto si costruisce prima di tutto in famiglia - ma si parlerà anche di sentimenti, di modi di essere e di pensare, di coscienza, di valori e di espressioni dell'esistenza. Qui viene dunque presentato il ritratto di una generazione, quella dei giovani uomini e delle giovani donne che hanno avuto la fortuna - o la sfortuna - di essere «i figli del '68»; una generazione rovinata da genitori lassisti ma che, non lo dimentichiamo, ha anche accettato di negoziare l'autorità; una generazione menomata da crisi continue attribuite di volta in volta alla rapidità sconvolgente delle trasformazioni intervenute nella loro vita quotidiana, al crollo della famiglia tradizionale, al deterioramento del capitalismo, al trionfo di una tecnologia senz'anima, al declino dei valori e delle istituzioni, e alla comparsa di una malattia destinata a cambiare i costumi sessuali dei giovani: l'AIDS. Ma i trentenni costituiscono davvero una generazione nel senso demografico del termine? Secondo il sociologo tedesco Karl Manheim, la generazione è un concetto storico. Essa si costituisce di conseguenza a un evento portante, avvenuto verso l'età di massima recettività, ovvero intorno ai vent'anni. I trentenni sono cresciuti nella mentalità post '68. Hanno conosciuto i primi divorzi di massa dei genitori e, nell'età dei grandi sogni, sono stati testimoni di tre eventi fondamentali: la caduta del muro di Berlino, la prima guerra in Iraq e l'AIDS. Eppure è da notare che quando si domanda loro quali eventi li abbiano segnati, essi fanno raramente cenno alla fine del blocco comunista, non avendo vissuto o quasi il periodo della guerra fredda. Come sottolineano i sociologi Christian Baudelot e Roger Establet, l'età di trent'anni, per tutte le generazioni che vi giungono, presenta il vantaggio di costituire un punto silenzioso del sistema delle età. Non si tratta di una soglia amministrativa come lo sono ad esempio la maggiore età a diciotto anni o la pensione a sessantacinque. Quest'età non gode di uno status ufficiale ben definito, tanto più visto che non è mai divenuta oggetto di controllo sociale: nessuna istituzione l'ha mai usata come limite di età. Nessuna statistica l'ha definita come scaglione. Oggi più di ieri, nonostante torni continuamente all'attenzione di giornalisti e di saggisti, l'età di trent'anni si colloca al margine dei grandi fermenti che si trovano nelle età più estreme e ne demoltiplicano i segmenti: da una parte, abbiamo l'infanzia, l'adolescenza e la post-adolescenza; dall'altra l'età matura, la terza e la quarta età. A trent'anni, in linea di massima, i grandi cambiamenti si sono già verificati. Solitamente è terminato — più o meno — il processo di scolarizzazione, si sono avute esperienze amorose, a volte addirittura si è diventati genitori. Eppure, dicono, quest'età è una «lastra sensibile», specialmente per quella generazione nata da genitori che hanno vissuto in prima linea le turbolenze degli anni '60 e i suoi effetti: il crollo dell'autorità paterna, l'avvento del femminismo e dei movimenti di emancipazione delle minoranze razziali e sessuali. A trent'anni, anche se il periodo di formazione in teoria è terminato, la vita familiare non sempre è cominciata, nonostante il delinearsi di prospettive per l'avvenire. Privata di qualsiasi valore istituzionale, quest'età ha ispirato numerosi scrittori che, sul piano simbolico, ne hanno fatto un momento di pausa significativo. In effetti, questo cambiamento di decade in Europa corrisponde, a partire dal XIX secolo, a una netta trasformazione sia dal punto di vista affettivo che da quello dell'ambizione, soprattutto per le donne. Così, ne L'amore (1822), Stendhal parla di un'età in cui si pietrificano e deperiscono le disposizioni e le sensazioni necessarie alla passione amorosa. Per Balzac, la donna a trent'anni si trova alla fine della sua giovinezza ed entra risolutamente nell'età matura (in questo modo, è come se descrivesse la cinquantenne dei giorni nostri). Scrivendo nel 1830 che Madame de Renal, benché ancora piuttosto bella, somiglia a una donna di trent'anni, Stendhal, ancora una volta lui, suggerisce ne Il rosso e il nero che la trentina sia l'età in cui la bellezza e le attrattive femminili cominciano a declinare. Fino a poco tempo fa, l'età di trent'anni aveva il compito di chiudere un ciclo e di aprirne un altro. Era una verità innegabile per le donne, per le quali la prima giovinezza svaniva. Lo era probabilmente meno per gli uomini che, ancora oggi, invecchiando acquisivano fascino e potere. Allora, per quanto riguarda la scansione dell'età, i percorsi degli uomini e delle donne erano diversi. Segnando la fine di una giovinezza avventurosa, appassionata e creativa, la trentina era dunque l'età in cui ci si metteva in riga. Oggi non è più così: i trent'anni sono l'età dei dubbi, delle prime separazioni, della ricerca di un impiego valorizzante, del disincanto, ma anche, a volte, del primo figlio o del desiderio di un figlio. È anche un osservatorio privilegiato del processo di trasmissione intergenerazionale, dato che i genitori dei nostri trentenni molto spesso hanno ancora un ruolo attivo e influenzano le scelte di vita dei loro figli. [...] La trasmissione che esiste ancor oggi tra genitori e figli, sebbene operi diversamente rispetto alle generazioni precedenti, non è un mero trasferimento di beni: essa implica soprattutto il trasferimento di disposizioni personali, di storie familiari che risalgono a volte fino ai nonni. Che si tratti di un periodo di espansione come il 1968 o di un periodo più difficile come quello che conosciamo oggi, il passaggio generazionale è sottoposto a forti tensioni. A partire dagli anni '80, infatti, la classe operaia, resasi conto che l'istruzione professionale non era più una garanzia di promozione sociale, ha tentato di negoziare con i figli un avvenire migliore tramite l'accesso a un'istruzione più generale e completa. A livello globale, le crisi economiche degli anni '70 e '90 si sono trasformate in crisi etiche (depenalizzazione dell'aborto nel 1975 in Francia e nel 1990 in Belgio, incremento nel numero dei divorzi, seconde nozze, svalutazione del lavoro manuale), condannando il passaggio generazionale a non essere più la semplice riproduzione dei beni materiali e simbolici, ma una serie di aggiustamenti permanenti, spesso insostenibili per quei giovani che oggi sono sulla trentina. L'ingresso nella vita adulta delle nuove generazioni è particolarmente influenzato dal clima politico e dall'ambiente sociale, dalla sua apertura o, al contrario, dal suo pessimismo o rassegnazione. Politicamente parlando, molti dei trentenni francesi che abbiamo incontrato sono pessimisti e rassegnati, in bilico tra la speranza di una società nuova (con l'arrivo al potere nel 1981 di François Mitterand quando avevano l'età della scoperta della politica) e il fallimento di una diplomazia, di una cultura internazionale con gli attentati terroristici e la guerra in Iraq. Come accennato prima, ciò che caratterizza sopra ogni cosa questa generazione è il fatto che i trentenni siano tutti colpiti dalla democratizzazione dei rapporti familiari. Spesso si parla di lassismo quando si vuole definire lo stile educativo generato dal maggio del '68. Si dovrebbe parlare piuttosto di autorità assente o negoziata in seno alle famiglie. Non si tratta di obbedire per principio, ma di discutere costantemente le raccomandazioni e le indicazioni imposte dai genitori. Certo, questi hanno continuato a dire ai loro figli cosa potevano o non potevano fare, ma le loro parole non sono più state investite d'autorità come era stato per la generazione precedente. «No» è stato sostituito da «Se vuoi». Questa democratizzazione, di cui parla il sociologo Michel Fize, ha avuto come conseguenza l'omogeneizzazione delle classi sociali. Nella generazione dei genitori, l'autorità non doveva giustificarsi: s'imponeva e basta. A partire dagli anni '70/'80 essa viene contratta giorno per giorno. I genitori devono convincere i loro figli e non sempre sono in grado di farlo, perché essi stessi attraversano difficoltà familiari e divorzi. Quasi ogni volta, si ricorre alla discussione e al compromesso. I trentenni intervistati, contrariamente al fenomeno Tanguy, hanno lasciato relativamente giovani i propri genitori, o per vivere da soli o per compiere gli studi, e la stragrande maggioranza di loro non descrive il distacco come una rottura. Tuttavia, è anche vero che le negoziazioni variano a seconda della classe sociale. Le famiglie del ceto popolare possono avere maggiori difficoltà a convincere o a essere convinte rispetto a quelle dei ceti più agiati. La generazione del '68 di cui si parlerà qui, attraverso i propri figli, ha inventato altri modi di socializzazione, completamente estranei a quelli che aveva ereditato dai propri genitori. In precedenza, lo status delle donne e dei figli era perfettamente regolato. Dopo il '68, si entra in una fase di improvvisazione e di forte individualismo. Grazie alla valorizzazione incessante del dialogo, della partecipazione, dell'ascolto e della domanda, lo spirito di tolleranza si trova integrato nel processo educativo. Come precursori, tutti i trentenni ne beneficeranno ampiamente. Nel contesto della storia sociale della famiglia nasceranno gli interrogativi sull'importanza dei ruoli parentali per il mantenimento di una determinata struttura familiare, e per lo sviluppo del bambino. La questione che diventa essenziale e che i genitori sessantottini hanno avuto la tendenza a trascurare è: «Che cosa è importante per il bambino?». Nicolas, 32 anni, non esiterà, a tal proposito, a parlare della sua generazione come di un modello per i più giovani, che crescono lontani dai genitori e devono per forza conciliare la società dei pari con l'assenza dell'autorità dei padri. Spazio ai trentenni, allora!
In un primo momento affronteremo il problema della loro identità sia
dal punto di vista generazionale che familiare; poi ci occuperemo dei
loro stili di vita in relazione con l'amore, i valori, il lavoro, gli svaghi e
la politica, mentre la fine del libro è dedicata all'idea che i trentenni
hanno dei loro genitori... e di loro stessi!
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