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| << | < | > | >> |Pagina 11Anche se da qualche tempo è pronto a giurare il contrario, il cattolicesimo non ha mai amato eccessivamente la donna. L'ha sempre sospettata di essere portatrice di tare di ogni sorta. Solitamente, è stata rappresentata soltanto in quattro modi: la viziosa, la compagna del diavolo, l'imbecille e, qualche rara e imbarazzante volta, la santa. Talvolta questo fantasma aleggia ancora sulle decisioni di Roma che, nel corso dei secoli, si sono espresse attraverso la volontà deliberata di sottomissione, di esclusione della donna: nel mondo del lavoro, sapere, cultura, ordinazioni, diritti civili le sono stati a lungo negati, con l'approvazione di buona parte dell'opinione pubblica maschile occidentale. Quella che intendiamo scrivere è la storia di questa misoginia ecclesiastica. Un errore molto díffuso Eppure è un'altra l'idea che trionfa, un preconcetto che fa comodo alla Chiesa e che ascoltiamo continuamente intorno a noi. Questo prologo intende distruggerlo: la prima concezione che i teologi cristiani si sono formati della donna è piuttosto quella della madre, donna sposata dalla progenie numerosa, consacrata al focolare e sempre pronta a donare il meglio di sé alla famiglia. Sin dagli inizi, Maria, madre di Gesù, ne incarna l'immagine luminosa. Quest'idea è falsa, o almeno va molto sfumata, soprattutto nel tempo (fu vera soltanto in parte, e in certi rari momenti). La donna ideale non è mai stata la madre né per i primi cristiani, né probabilmente per molti dei loro successori. Prima di entrare nel vivo del dibattito, riportiamo questa illuminante citazione di Joseph de Maistre (1753-1821), che riassume bene la concezione più usuale della donna nella religione cristiana. Con un misto di ammirazione e disprezzo, l'autore, francese e cattolico, ha giudicato le donne persone mediocri che, non avendo mai inventato nulla, hanno sempre avuto interesse a diventare madri, solo così, coccolando un neonato, riescono a fare qualcosa: figli. Non hanno creato né l'Iliade, né l'Eneide... né il Partenone, né la chiesa di San Pietro, né la Venere dei Medici... né il Libro dei Principi, né il Discorso sulla storia, né Telemaco. Non hanno prodotto né l'algebra, né i telescopi, ma fanno qualcosa di più grande di tutto questo. È sulle loro ginocchia che si forma quanto c'è di più eccellente al mondo: un uomo onesto e una donna onesta. Secondo questa concezione, già presente in san Paolo nel primo secolo della nostra era, la donna, partita male con il tradimento di Eva nei giardini dell'Eden, può salvarsi soltanto trasformandosi in madre. Ma se la donna deve farsi madre, trasformarsi in madre, significa ammettere che in origine non lo è affatto, che la maternità non è la sua vocazione primaria, bensì la sua vocazione secondaria e forzata. La madre, oggi spesso presentata come l'archetipo della cristiana, fu a lungo considerata spregevole e peccatrice. A un certo punto ciò che la rese meno spregevole fu la considerazione di cui fu oggetto Maria. Ma questa devozione non risale affatto ai Vangeli; fu tardiva. Il fatto che Gesù avesse un particolare rispetto per sua madre non ha riscontro nei testi. La vera famiglia di Cristo non era rappresentata né da Maria, né da Giuseppe, bensì dalla folla dei poveri, degli sventurati, di coloro che abbandonavano tutto per seguirlo. Infatti gli autori dei Vangeli fanno parlare Maria soltanto quattro volte. Spesso è presente, ma non dice nulla; è assente in un gran numero di episodi della vita del figlio. Quando Gesù si rivolge a lei, non lo fa con grazia e rispetto. Alle nozze di Cana, Maria gli dice che manca il vino: «Non hanno più vino». La risposta di Gesù è sbalorditiva: «Che cosa hai tu con me, donna?». Oggigiorno, si traduce più semplicemente con: «Donna, che vuoi da me?». È meno arrogante, ma non sembra affatto più gentile, se si considera che è un figlio che si rivolge alla madre. Cosa ancora più sorprendente, Gesù non ha mai chiesto nulla a Maria e, sapendosi condannato, non l'ha incaricata di alcuna missione, in tal modo distinguendola nettamente dagli apostoli. In quanto madre, sembra essere stata soltanto un personaggio secondario della vita di Cristo. Si può allora sostenere che la Chiesa cristiana sia stata costantemente favorevole nei confronti della madre e della maternità? In certe epoche, certamente. Ha incoraggiato la famiglia, e persino quella numerosa, sino all'assurdo. Si dovettero attendere quindici o sedici secoli perché alcuni spiriti illuminati (come Dominique de Soto e Pierre Ledesma) comprendessero e osassero affermare questa scandalosa verità: che troppi figli potevano porre problemi, impoverire le famiglie e mettere in discussione l'unione di una coppia. Nel frattempo, parecchi teologi hanno auspicato una prole numerosa. Nel XVI secolo fu decantata l'irresponsabilità matrimoniale. Benedicti, il teologo lionese della fine del secolo, consigliava ancora di fare il maggior numero di figli possibile. Dio, come per gli uccellini, avrebbe provveduto al loro nutrimento e al loro mantenimento. Nel XIX e XX secolo, epoche di battaglie per la contraccezione e l'aborto, furono incoraggiate maternità a getto continuo. L'orrore della gravidanza Eppure, sarebbe del tutto inesatto parlare di un cieco popolazionismo della Chiesa ritenuta costante fautrice di nascite illimitate. Sin dall'origine, alcuni Padri della Chiesa e alcuni grandissimi teologi hanno manifestato riserve e talvolta ostilità nei confronti della procreazione. Siccome Gesù riteneva vicina la fine dei tempi, timore condiviso dai suoi immediati successori, per un certo periodo si continuò a pensare che, approssimandosi il Regno, non fosse più il momento di darsi ai piaceri carnali per fare figli. Nei primi secoli della nostra era, si era già convinti che la Terra fosse troppo popolata. All'epoca della predicazione di Basilio (329-79), di Gregorio di Nissa (335-94) e soprattutto di san Gerolamo (347-420), si sosteneva che "il mondo è già pieno, la Terra non ci contiene più". In quel momento il popolazionismo non è di moda, e non ci si augura più lo sfrenato moltiplicarsi di quei bambini che Gesù voleva "lasciar venire a sé". È più frequente sentire il contrario dai Padri della Chiesa nascente. Durante l'impero romano, i cristiani non hanno tregua fino a quando non fanno abolire nel IV secolo le leggi Giuba e Papia dell'imperatore Augusto, che incoraggiano il matrimonio e la procreazione. Purezza e celibato vengono preferiti alla maternità. Gregorio di Nissa ama le vergini, che vuole divinizzare, e non ammira le madri. Ambrogio (340-97), come già in passato certi eretici gnostici, commenta favorevolmente una parola che sembra preannunciare Malthus e la limitazione delle nascite: «Felici le steríli!». Crede persino di percepire, accanto alle vergini, un «profumo delizioso». Nel cristianesúno nascente, non è né il momento dell'amore sessuale (non lo fu mai) e nemmeno della riproduzione (come troppo spesso si crede). «A noi, al contrario» scrive Gerolamo «è stato detto: quelli che hanno spose facciano come se non le avessero.» Gerolamo mette persino in dubbio l'importanza del matrimonio, cosa abbastanza stupefacente dopo le parole di Cristo sull'indissolubilità e la santità del legame coniugale, creato da Dio stesso. «Colui che si sposa è preso fra due fuochi» dice Gerolamo. «Se ha sposato una donna sgradevole, non può sopportarla. Se è una donna gentile, il suo amore è paragonabile allo sheol (l'inferno), a una terra arida, a un incendio.» Per Gerolamo, il matrimonio ideale s'incarna nella coppia formata da Giuseppe e Maria: due "amici" che non hanno rapporti sessuali. Se la prende pure con la gravidanza, cosa che rappresenta una novità. La gravidanza dà alla donna un «aspetto orrendo», la fa diventare brutta. Nel 393, nel suo Contro Gioviniano, descrive la gestazione come un autentico orrore e la accosta al periodo delle mestruazioni, tempo d'impurità. Avere figli, significa sottomettersi a un marito, vedere il proprio utero gonfiarsi, essere rapidamente circondata da una progenie in lacrime. Niente di tutto questo è piacevole. Si direbbe che Gerolamo nutre un vero e proprio disgusto per le madri. [...] Per quanto concerne l'oggetto di questo prologo (l'invito alla cautela nell'identificazione della madre come donna ideale vista dalla Chiesa), è íncontestabile che la madre non fu sempre, e forse non fu mai, la donna perfetta. La santificazione delle madri non fu piuttosto una tendenza repubblicana e, se non socialista, quanto meno laica, tardiva e propria dei tempi moderni, soprattutto del XVIII XIX secolo? Quanto alla Chiesa, malgrado un repentino cambiamento a favore delle madri, o almeno un ripensamento sulle parole e le condanne eccessive lanciate a suo tempo, occorre proprio dire che il suo ideale femminile sembra essere sempre rimasta la vergine. | << | < | > | >> |Pagina 25Tutto quello che vi è di cattivo nella donna è la conseguenza della sua originaria debolezza: i teologi cristiani dei tempi passati hanno tutti più o meno condiviso questo punto di vista sull'inferiorità fondamentale delle figlie di Eva. Davvero curioso, visto che Gesù non ha mai detto nulla di simile. Ma questo non è che un ulteriore tradimento del suo messaggio. Vedendolo in compagnia delle donne della sua epoca, si constata che Gesù non le disprezza. Mentre i suoi contemporanei in Palestina le ritengono impure sotto molteplici aspetti, egli non teme di insudiciarsi frequentandole. Evidentemente non le considera né più cattive degli uomini, né più perverse, né più inclini al male. La visione di Gesù Gesù va anche oltre questo atteggiamento benevolo mediante un approccio positivo nei loro confronti. Alle donne mostra amicizia, le rispetta, si sforza di comprenderle, eventualmente di aiutarle. Gli capita di guarirle. Le accoglie e, almeno da parte di Maria Maddalena, accetta omaggi che si spingono sino al contatto. Si rivolge a una samaritana, colmandola di stupore. Entra in casa di Marta e Maria. Esalta l'atteggiamento rispettoso di una presunta peccatrice, in casa di un fariseo, e ne perdona i peccati. [...] Effettivamente, il grande nodo della questione Gesù si situa altrove rispetto al rapponi uomo-donna, al punto che la sessualità lo interessa pochissimo. Due idee originali contraddistinguono il suo messaggio. Innanzitutto, l'amore del prossimo: «Io vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Amatevi come io vi ho amato!» vasto programma, mai applicato, che conferisce al cristianesimo un aspetto particolare, che rifiuta ogni guerra santa fra gli uomini. Quindi, un vivo sentimento di urgenza. Ecco che il Regno si avvicina, dice, prima della catastrofe finale. Bisogna pentirsi in fretta, se si vuole essere salvati. In queste condizioni, soltanto la purezza può essere di rigore. Non c'è più tempo per altro. Non riabilita Eva, ma non ne parla nemmeno per condannarla. Ripete i comandamenti di Dio, sotto una forma assai breve: fra questi, la condanna dell'adulterio, che vale sia per gli uomini sia per le donne. Per costoro, non decreta nessuna proibizione precisa che le svaluterebbe o le assimilerebbe a presunte peccatrici. È inflessibile soltanto sul rifiuto del divorzio, in quest'epoca sinonimo di ripudio, che avveniva sempre per iniziativa degli uomini. Così facendo, protegge piuttosto la donna. Tuttavia, se considera la donna rispettabile quanto l'uomo, non la ritiene uguale, e in ogni caso non sotto tutti i riguardi. Ma non lo dice neppure. Si constata soltanto che, accanto alla stima che manifesta alle donne, non vi ricorre mai (neppure a sua madre) per rappresentarlo. Pietro è un uomo, i discepoli non contano donne nelle proprie fila. Nessuna donna assiste alla Cena, pasto finale in cui Gesù annuncia la propria morte seguita dalla resurrezione, e istituisce l'eucarestia. Infine, il Dio in tre persone, la Trinità, non annovera l'elemento femminile. Ma cosa vorremmo? Che nel primo secolo della nostra era e nel mondo mediterraneo, Gesù proclamasse la parità dell'uomo e della donna? Questa idea (non parliamo della sua realizzazione, tuttora in corso) non vedrà la luce per più di dieci secoli. Senza dubbio Gesù è un uomo del suo tempo, e neppure particolarmente rivoluzionario. Insiste sul fatto che non è venuto ad «abolire la legge, ma a compierla». Poiché tali erano i costumi della sua epoca, il posto riservato alla donna, l'umanità riconosciutale, lo straordinario perdono accordato, in pieno ambiente ebraico, a una donna adultera ("Va, e d'ora innanzi non peccare più") costituiscono già di per sé la novità della sua concezione fondata sull'amore. «L'atteggiamento di Gesù di fronte alle donne è stato a tal punto innovatone da scandalizzare persino i suoi discepoli» afferma Jean Delumeau. | << | < | > | >> |Pagina 60Le donne non hanno mai smesso di essere figlie di Eva, figlie della colpevole, e quantunque Roma si sforzi, a tratti, di risalire la corrente, ricompare di tanto in tanto una pesante deriva. La donna non è sempre pari all'uomo. Forse, in seguito a un grande aggiornamento, lo diventerà nel XXI secolo. Possiamo affermare che, durante il XX secolo, è rimasta spesso, troppo spesso, se non nelle dichiarazioni ufficiali, quanto meno nel clima cattolico, nei preconcetti dei confessori, la femmina inferiore, servile e colpevole dell'Antico Testamento.La donna deve forse mettere sempre al mondo i propri figli nella sofferenza? Sì, basta ricordare le proteste determinate dai primi parti indolore negli ambienti cristiani agli inizi del XX secolo. Léon Bloy, scrittore e libellista cattolico, annotava a questo proposito nel suo Journal, poco prima della grande guerra: Venuta a sapere una curiosa mostruosità. Ci sono donne che si fanno addormentare per sfuggire ai dolori del parto. Questo mi ricorda la grande dama del XVIII secolo che si ubriacò per morire. Ma questa novità è forse più demoniaca." La necessaria sottomissione della donna? È stata continuamente riaffermata dalla fine del Medioevo. Si forniranno agevolmente su questo argomento tutte le citazioni che occorrono. Prendiamone un paio dai papi del XX secolo. Nel 1930, Pio XI rendeva pubblica un'enciclica sul matrimonio cristiano talmente dura da urtare numerosi cattolici per il suo tono ancora interamente ispirato alla severa morale agostiniana. In questo testo, dichiarava: Quella società domestica che è il matrimonio deve essere consolidata dall'ordíne dell'amore, che implica la supremazia del marito sulla moglie e i figli, e la sottomissione premurosa della moglie così come la sua spontanea obbedienza." Le concezioni di questo papa erano chiaramente "messe in orbita" dalle attrazioni occulte di cui abbiamo parlato. Avevano quindici secoli di età e, probabilmente, di ritardo. Si poteva almeno sperare che, dopo questo papa particolarmente retrogrado, il suo successore sarebbe stato più favorevole alle donne. Aveva preso il nome di Pio XII ed era uomo di grande fede. Non rimase per questo meno legato all'obbedienza della donna nella coppia, e lo disse. In una dichiarazíone del 24 settembre 1941, insisteva infatti sull'autorità dei capofamiglia, venuta da Dio, e sulla sottomissione che le donne dovevano manifestare nei confronti dei loro mariti: Non ascoltino le voci ingannatrici che le definiscono del tutto uguali o persino superiori ai mariti. Dio stesso ha voluto questa dipendenza delle mogli." L'accostamento di testi antichi e moderni permette di spiegare come si siano formate certe opinioni che oggi appaiono inintelligibili ai fedeli; come e perché la Chiesa storica, sino ai nostri giorni, abbia rappresentato la donna soltanto a partire dai testi calunniatori. «Il cristianesimo» scrive Jacques Le Goff «ha fatto assai poco per migliorare la posizione materiale e morale della donna.» È il minimo che si possa dire. La donna, qualunque cosa abbia fatto, è sempre stata un elemento dubbio per la Chiesa. Perché? Perché questa donna era inferiore, a causa della sua origine. E attraverso quali comportamenti si traduce tale debolezza di partenza? Nei prossimi capitoli, vedremo con maggiore precisione che l'istituzione ecclesiastica sospetta (o ha sempre sospettato la donna di essere puttana e strega; che la teme anche in quanto santa; che le ha sempre suggerito, per creare il minimo sommovimento possibile durante la sua meschina esistenza, di limitarsi al ruolo di Bécassine, l'oca. | << | < | > | >> |Pagina 63La donna non è soltanto mediocre e insignificante. È una puttana.
Questo emerge dalle affermazioni di un grandissimo
numero di teologi del Medioevo e, come vedremo, dai pensieri
riposti, più o meno confessati, di alcuni loro successori in
cattedra. Puttana, vale a dire donna lubrica, che non può
fare a meno di congiungersi carnalmente e va in cerca senza
posa del piacere. In questo senso utilizzeremo qui questa
parola, riservando quella di prostituta alle professioniste.
Ma, in questo capitolo che intende esporre la teoria
cristiana del sesso nella quale ha preso posto l'immagine
della donna peccatrice, possiamo benissimo incominciare con
il parlare di "quelle", le sventurate costrette in tutte le
epoche a fare commercio del proprio corpo. L'esame della
loro collocazione nella società antica aiuterà a comprendere
cosa abbia pensato Roma delle donne in generale.
Al giorno d'oggi, la Chiesa è generosa e compie uno sforzo di comprensione. Nell'ultimo Catechismo, dichiara che la prostituzione «attenta alla dignità della persona che si prostituisce», ma si mostra soprattutto severa verso il cliente. Chi paga, viene affermato, pecca gravemente contro se stesso, rompe la castità alla quale lo impegnava il battesimo e insudicia il proprio corpo, tempio dello Spirito Santo. La Chiesa, senza giustificare completamente le prostitute stesse, sembra aver colto la dimensione del fenomeno: La prostituzione costituisce un flagello sociale. Riguarda abitualmente le donne, ma anche uomini, bambini e adolescenti... Se è sempre gravemente peccaminoso dedicarsi alla prostituzione, la miseria, il ricatto e la pressione sociale possono attenuare l'imputabilítà della colpa. | << | < | > | >> |Pagina 107Inferiore e lubrica, dunque smaniosa di piaceri e vendette, la donna vista dalla Chiesa è necessariamente portata alla stregoneria. In tutti i tempi cristiani, ha sempre esalato un profumo diabolico. San Lugido spiegava i motivi per cui non si sarebbe mai arreso alle seduzioni femminili: «No, non andrò. Poiché dov'è la donna, si trova il peccato; dov'è il peccato, si trova il diavolo; e dov'è il diavolo, si trova l'inferno». La strega è stata un personaggio essenziale della storia dell'Occidente. E la storia della stregoneria fu in gran parte la storia del martirio delle donne. Ancora una volta bisogna intenderci sulle parole. Ci sono, ci furono sempre, streghe e ancora streghe. Dal XIX secolo, e soprattutto al giorno d'oggí, la parola viene intesa in un senso quasi positivo. A partire da un libro di successo di Jules Michelet pubblicato nel 1862, che assomiglia più a un romanzo che a uno studio storico, si incominciò a immaginare la strega come un personaggio innovatore, una sorta di femminista ante litteram, in grado di gestire più liberamente il proprio corpo, guaritrice di campagna, in rivolta soprattutto contro il proprio destino sociale, una donna che avrebbe scelto di vivere ai margini della società e dei preti. Questo mito è un'invenzíone fra le altre della società romantica e non spiega in alcun modo le streghe, o presunte tali, del tempo passato. | << | < | > | >> |Pagina 122Donne diabolicheIl Malleus, fedele al suo titolo, parlava soprattutto di donne. Erano le streghe a costituire un problema, e non gli stregoni. Esso ricordava le argomentazioni classiche che le designavano come prede e complici favorite dei demonio. Le donne erano più inclini alla stregoneria in ragione della loro debolezza, infedeltà, credulità e lussuria congenite. Ma il Malleus avanzava altre motivazioni. Le donne credevano male e poco in Dio. Secondo l'etimologia (o presunta tale), la donna era colei la cui fede era fievole, dal momento che la parola femina si scomponeva con molta ovvietà in fe e minus (cosa che gli autori traducevano con "inferiore per la fede"). Sulla capacità sessuale delle donne, i due domenicani erano inesauribili. Esponevano dettagliatamente tutti i sortilegi che esse conoscevano per accrescere notevolmente o, al contrario, spegnere la passione erotica. Loro stesse erano insaziabili, «folleggiavano con i demoni» e la notte ricevevano la visita dei loro amanti diabolici sotto forma di incubi, nello stesso letto del marito e senza che costui si accorgesse di nulla. Proseguendo nel loro delirio, gli autori ricordavano il mito della vagina dentata, che tagliava i membri maschili. A tratti, sembravano dire che si trattasse soltanto di un'illusione: gli uomini si credevano castrati o impotenti. Ma nel settimo capitolo della seconda parte, l'opera affermava che le streghe amavano tanto i sessi maschili da collezionarli. Alcune ne avrebbero posseduti sino a venti o trenta dentro scatole di ferro, dove avrebbero continuato a contorcersi come vermi. Ahimè, non li trovavano mai in occasione delle perquisizioni, dicevano gli autori, poiché le streghe li nascondevano fuori delle loro abitazioni, il più delle volte dentro nidi di uccelli. [...] Nel giro di qualche anno andarono a ruba trentamila esemplari del Malleus. Pubblicato in un primo tempo a Strasburgo nel 1487, fu ristampato nove volte prima della fine del secolo nella zona occidentale dell'Impero (Spira, Basilea, Colonia) e altre sei volte prima del 1520 (comprese, fuori della Germania, Parigi, Lione e Venezia). Le risposte, gli inviti alla cautela di alcuni autori che non avevano perduto la testa, come l'eccellente Ulrich Molitor, avvocato a Costanza nel 1489, non servirono a nulla. Nel 1491, scrivendo al consiglio della città di Norimberga, Heinrích Krämer, con la coscienza tranquilla, poteva vantarsi di aver consegnato al fuoco più di duecento streghe. Era un risultato onorevole per un libro che, dopotutto, era piuttosto un imbroglio. In ogni caso, un buon esordio. Rimanevano da liquidare migliaia di donne pericolose, ma per questo occorrevano l'appoggio del popolo, il terrore del popolo. L'emozione e il panico dovevano estendersi oltre il piccolo ambiente dei chierici. Le sventure del XVI secolo e dell'inizio del XVII avrebbero favorito questi assassinii. Antifemminismo e Riforma Mostrando ancora una volta che non si può trovare l'origine unica di un fatto storico, gli specialisti hanno scoperto almeno una dozzina di cause possibili della repressione contro la stregoneria. Citiamo senza un ordine d'importanza: la volontà cristiana di sradicare i resti del paganesimo, l'antifemminismo del tempo, la necessità di reprimere le eresie, la Riforma, la Controriforma, lo zelo religioso dell'epoca barocca, la nascita dello stato moderno maggiormente preoccupato dell'ordine, l'instaurazione del capitalismo, le guerre europee, la miseria generalizzata, l'acculturazione delle campagne, la negazione delle élite da parte del popolo ecc. Si possono trovare buoni argomenti a favore di ciascuna di queste "cause". Beninteso, sono state tutte insieme a produrre il loro disastroso effetto. Il nostro scopo in questa sede non è quello di riscrivere la storia della stregoneria, ma di mostrare soltanto come, su istigazione della Chiesa e su richiesta di un popolo preso in ostaggio in un conflitto religioso, le donne siano diventate le principali vittime della repressione. Inoltre, insisteremo soltanto su due "cause" certe del moltiplicarsi dei roghi: in primo luogo, i tumulti religiosi al momento del maggior numero di roghi (1570-1630), intorno dunque alla Riforma protestante e alla Controriforma cattolica, che sfoceranno in una radicalizzazione delle posizioni; in secondo luogo, l'ondata di freddo che sommerse l'Europa a partire dal 1560, che incitò le popolazioni a ricercare i responsabili della propria miseria. | << | < | > | >> |Pagina 251Dopo aver trattato abbastanza duramente la Chiesa cattolica, è giusto ricordare due cose. La prima è che le altre religioni non sono state più generose: se la donna cristiana è stata calunniata e disprezzata, non e stata martirizzata, non ha conosciuto le mutilazioni sessuali delle africane o i piedi fasciati delle cinesi. La seconda è che la donna cristiana ha visto a poco a poco attenuarsi la propria oppressione. Infatti, il tentativo di tutela religiosa sul suo corpo e sul suo spirito, per molto tempo ingiurioso e anche pesante, ma in parte teorico, finì per fallire. La donna disprezzata ovunque Il giudaísmo, almeno nei testi, è piuttosto scostante con le donne. Nei loro confronti, la Bibbia e il Talmud «oscillano fra la benevolenza accondiscendente e il disprezzo». L'autorità paterna è essenziale, il capo (maschio) della famiglia ha un'autorità quasi pari a quella di un sacerdote. Nella sua preghiera del mattino, egli ringrazia ogni giorno Dio di non essere nato del sesso opposto. La sposa, considerata prima di tutto nel suo aspetto domestico, non è molto più che madre del figlio e, molto secondariamente, quella delle figlie. Per molto tempo, solo la nascita del maschio venne celebrata in sinagoga. Sino a poco tempo fa, nell'Europa dell'Est, la figlia, cui ovviamente era vietato unirsi con un non ebreo (goy), veniva sposata a un altro ebreo per il tramite di un mezzano (shadkben); oggigiorno, anche in Occidente, si sposa ancora troppo spesso grazie a un accordo tra le famiglie e senza che possa dire granché. [...] L'islam, altra religione monoteistica, è altrettanto vario. Estendendosi su diversi continenti, mancante di una gerarchia paragonabile a quella del cattolicesimo, diviso in numerose scuole giuridiche, non è evidentemente lo stesso in Marocco, in Albania o in Iran. Tuttavia non è da nessuna parte favorevole alla donna. A suo favore citiamo il fatto che la Turchia musulmana ha concesso il diritto di voto alle elettrici dieci anni prima della Francia, ma questa appare più una conquista della laicizzazione che della religione. Nel sufismo (tassawuf), che è la mistica dell'islam, le donne hanno avuto un ruolo sin dall'origine: Fatimah, figlia del Profeta, Maria, madre di Gesù, Rabi'a (721-801), che fu la prima a cantare l'amore divino, Yasminah di Marchena e Fatimah di Córdoba, che furono le guide di Ibn' Arabi. Questo non invalida in nulla la posizione inferiore della donna nella religione islamica, dove forse è considerata meno perversa sessualmente che in Occidente. In effetti ci furono sempre due correnti nell'islam, una giurisprudenziale e l'altra amorosa, la corrente tradizionale che assegna alla donna un ruolo piccolissimo e quella della poesia cortese che, da Ibn Hazm e Ibn' Arabi (X secolo), idealizza le virtù femminili. Nella vita corrente, prevale la tradizione. La legge, la sharia, vuole la donna sottomessa al maschio, vale a dire al padre, al marito e anche al fratello. Questa non ha diritto a una quota uguale di eredità. Alla moschea, viene ammessa soltanto nei posti secondari. Il Coráno dice che la parola di un uomo vale quella di due donne. [...] In Oriente, celebre per il suo erotismo, la condizione della donna è forse preferibile? Ne dubitiamo, ma tutto dipende dai luoghi e dai tempi, anche se certe religioni di quei paesi sono di moda in Occidente. Per esempio il buddhismo, come si presenta attualmente in Europa, assomiglia a un luogo in cui i proseliti sembrano soprattutto apportare le proprie idee. Di solito rifiutano di prendere coscienza degli aspetti sgradevoli di una religione talvolta molto esigente, aspetti su cui del resto si è sorvolato proprio per facilitare l'adesione. [...] Ma se il Risveglio è lo scopo di ogni vita, la grande liberazione che il saggio può conoscere, la donna ha il diritto di parteciparvi? No, ha detto il sutra del Loto, parere condiviso dalla maggior parte dei fedeli orientali di oggi. Nel buddhismo tibetano, il dalai lama sembra favorevole alle ordinazioni di donne... ma non procede a nessuna. Una sola corrente del buddhismo (poiché questa religione presenta più aspetti, come le altre), la corrente Mayana, pensa che "anche la donna" possa accedervi. Siddharta (563-483 a.C.), vale a dire lo stesso Buddha, ha molto esitato prima di riconoscere che la donna potesse accedere al Risveglio, e sembra essersi pentito per la sua decisione positiva. [...] L'induismo, versione moderna del brahmanesimo, che, sino alla metà del XX secolo, alla morte dei rajah, ne bruciava le spose, che prescriveva che le vedove del popolo non potessero risposarsi, che credeva come molti altri alla fondamentale perversità delle donne, non pare meno antifemminista nella sua essenza. Secondo le leggi di Manu, vi si afferma in particolare che gli orifizi femminili sono puri al di sopra della cintura e impuri al di sotto. Il confucianesimo cinese, al tempo in cui organizzava la società, sembra a sua volta essere stato molto ostile nei confronti delle donne. Le considerava meno di nulla, sempre sottomesse al padre e al marito, e tollerava la poligamia. Un poemetto cinese contemporaneo alla nascita del saggio Confucio (551-479) dà un'idea della differenza che separava un sesso dal'altro: È nato un maschio, copriamolo d'oro e di giada. È nata una femmina, che si diverta con pezzi di mattone. Queste brevi osservazioni, che non hanno la pretesa di giudicare le religioni dell'Asia o dell'Estremo Oriente, hanno soltanto il fine di constatare che vi si ritrova un atteggiamento spesso comune nei confronti delle donne: tutte le religioni e anche le tradizioni di una qualche importanza che esistono ancora in questo mondo l'hanno considerata inferiore. Ma da dove può derivare un'idea che sembra così universalmente condivisa? Le cause dell'antifemminismo La tanto invocata differenza fra uomo e donna, la gerarchizzazione dell'uno in rapporto all'altra, trovano probabilmente in modo banale una parte della loro origine nel dimorfismo sessuale. Come in molte specie (ma non in tutte), l'uomo è fisicamente più alto, più pesante, più forte della donna. Numerose altre particolarità biologiche separano Eva da Adamo. Anche Simone de Beauvoir, persuasa che la qualità di donna si acquisti attraverso l'ambiente culturale, insisteva nel Secondo sesso (1949) su questa differenza come uno dei fondamenti dell'inferiorità statutaria della donna: Nelle donne il peso specifico del sangue è inferiore: c'è meno fissazione di emoglobina; esse sono dunque meno robuste, più disposte all'anemia. Il loro polso batte più in fretta, il sistema vascolare è più instabile: arrossiscono facilmente. L'instabilità è un tratto sorprendente del loro organismo in generale; fra le altre, c'è nell'uomo una stabilità nel metabolismo del calcio; mentre la donna fissa molti meno sali di calcio, ne elimina durante le mestruazioni e la gravidanza; sembra che le ovaie abbiano, riguardo il calcio, un'azione catabolica; questa instabilità porta disordini nelle ovaie e nella tiroide che è più sviluppata nella donna che nell'uomo: e l'irregolarità delle secrezioni endocrine agisce sul sistema nervoso vegetativo; il controllo nervoso e muscolare è assicurato imperfettamente. Tale mancanza di stabilità e di controllo determina la loro emotività, direttamente legata alle variazioni vascolari: battiti del cuore, rossori ecc.; per questo le donne sono soggette a manifestazioni convulsive: lacrime, ridarella, crisi di nervi. Possiamo vedere che molti di questi tratti provengono ancora dalla subordinazione della donna alla specie. Simili dati biologici hanno sicuramente giocato un ruolo considerevole nell'alienazione della donna, nel corso dei secoli, avendo l'uomo forte, spinto dal suo testosterone, la naturale tendenza a comandare la sua debole compagna, ad assoggettarla. Simone de Beauvoir rifiutava ovviamente che questi dati «costituiscano per la donna un destino fisso». A dire il vero, la differenza uomo/donna, sottolineata a grandi tratti nel XIX e persino ancora all'inizio del XX secolo (quando si scoprì la sessualizzazione dell'embrione dovuta alla XXIII coppia di cromosomi, xx nella donna o xy per l'uomo) è a poco a poco diventata meno evidente. Nei fatti, si constata e si ammette che negli individui i due sessi possano trovarsi mescolati, a gradi diversi. Nelle spiegazioni teoriche, i pareri dei biologi sono diventati meno netti. Così non si tratta più di considerare l'uomo radicalmente diverso dalla donna, ancora meno di sostenere, come si faceva ancora non molto tempo fa, che le cellule maschili sono cataboliche (consumatrici di energia) e le cellule femminili anaboliche (conservatrici di energia), cosa che permetteva, dietro il paravento della scienza, di opporre un uomo naturalmente attivo a una donna tristemente passiva. Al giorno d'oggi, anche a livello cromosomico, la differenza fra i sessi è difficile da definirsi. Il biologo Jean Didier Vincent, insiste, per esempio, sul fatto che i cromosomi xx e xy non siano sufficienti ad assicurare la differenza fra i sessi. Esiste, si, un gene della mascolinità in y, ma anche un gene repressore di tale mascolinità in x. Così il sesso non è legato alla sola espressione di un gene mascolinizzante che opererebbe per difetto nella donna, ma «a un bilancio complesso, che fa intervenire una cascata di altri geni, fra un gene mascolinizzante e un gene femminilizzante». Nell'impossibilità di reperire determinanti biologiche convincenti per giustificare l'alienazione quasi costante della donna nella maggior parte delle civiltà, ci si rivolge spesso allo storico alla ricerca di una spiegazione. Ma forse sopravvalutiamo troppo il suo potere e le sue conoscenze. Certo, la donna ha una storia, così come la misoginia e la più o meno grande superiorità di un sesso sull'altro. Da qui a sapere come i rapporti fra i sessi si siano stabiliti agli inizi dell'umanità... In mancanza di documenti, poiché questa subordinazione risalirebbe a molto lontano nel tempo, troppi autori hanno immaginato, fabbricato schemi privi di basi solide. Secondo il modello più comunemente impiegato negli ambienti femministi, la società antica, intorno ai 10.000 o 8000 anni prima di Cristo, sarebbe stata matriarcale. Le donne vi avrebbero disposto, se non di tutti i poteri, almeno di una grande importanza nella società, e non sarebbero state in ogni caso sminuite. Punto di partenza che si fonda sui culti della fecondità, la cui esistenza è certa a quell'epoca, ma le cui conseguenze, tratte dalle femministe, sono francamente ipotetiche. [...] Inversamente, non vi e dubbio che la promozione della donna e il suo accesso a nuove professioni siano stati facilitati dall'emergere, in Occidente, di una società che utilizzava meno la forza muscolare. La sua emancipazione professionale è rigorosamente contemporanea alla diminuzione dell'occupazione di lavoratori addetti ad attività pesanti. Nel mondo industriale, la donna ebbe certo un ruolo, ma modesto e mal pagato. Nel mondo dei servizi, pur non raggiungendo ancora la parità soprattutto in materia di salario, può competere con l'uomo, e non vi rinuncia. Simili affermazioni possono essere accolte senza speculare su un improbabile matriarcato ai tempi delle caverne. Tuttavia, possiamo credere che la misoginia abbia avuto per unico fondamento la differenza dello sviluppo muscolare nei due sessi? È molto dubbio. L'inferiorità giuridica della donna può parzialmente spiegarsi attraverso la sua inferiorità fisica: ma non l'odio per la donna, la paura che l'uomo sembra aver provato senza posa in sua compagnia. Perché doveva temere qualcuno più debole di lui? [...] La donna ha sempre suscitato al tempo stesso attrattiva e inquietudine presso i suoi partner. L'angoscia di fronte alla donna è stata probabilmente vissuta da ogni uomo sin dalle origini. Per quanto lo riguarda, gli interrogativi sono molteplici: è all'altezza? Si mette in pericolo penetrandola? Uscirà vivo dal contatto con lei? La sua salute non sarà compromessa? Nei maschi è presente un terrore permanente della donna, che spiega, molto meglio della debolezza muscolare del secondo sesso e della comparsa del cavallo nella trazione degli aratri intorno all'8000 prima di Cristo, il fatto storico che essi abbiano cercato, in tutte le latitudini, di controllare la libertà femminile, la sessualità femminile, la personalità femminile, la nocività femminile. Dal momento che questi motivi di angoscia sono invariati per i maschi di tutti i tempi, si comprenderà meglio che tutte le religioni abbiano costruito pressappoco un destino identico alle donne, e persino, come ha mostrato Pierre Bourdieu, si siano adoperate affinché le istituzioni (famiglia, scuola, mondo del lavoro) perpetuino questo stato di dipendenza. Il cristianesimo vittima di se stesso Da queste osservazioni, possiamo forse concludere che, essendo universale il tenere a freno la donna, la Chiesa cattolica non ha fatto che agire come gli altri e si è limitata di rispecchiare nelle sue leggi interne il dimorfismo e la paura generati dalla differenza dei sessi? No, ed è questo il problema; la Chiesa è andata molto al di la nello sminuire le cristiane. Tutte, o praticamente tutte le filosofie, le religioni e le morali antiche hanno insistito sull'inferiorità della donna, vista ovunque come una puttana, qualche volta anche come un essere diabolico, ma già più raramente, perché esistono pochi diavoli al di fuori del cristianesimo. La Chiesa ha creduto tutto, seguito tutto; ha accumulato i motivi di risentimento e ne ha persino aggiunti. Ma soltanto la Chiesa ha pensato contemporaneamente la donna come inferiore, puttana, infernale e, in più, idiota, cosa del resto contraddittoria: come si potrebbe al tempo stesso possedere le astuzie del diavolo e la stupidità dell'oca? Fatto sta che molti teologi cristiani sono andati al di là dell'opposizione classica dei sessi. Con quest'ultima, si riconoscevano le categorie di alto, diritto, duro, chiaro, fuori, che s'incarnavano nell'uomo; e le categorie di basso, curvo, molle, scuro, dentro, che si ritrovavano nella donna. Era a dir poco infamante. Dopo tutto, ci vuole ogni cosa per fare un mondo, non può esserci l'alto senza il basso, la luce senza l'ombra e la dolcezza è talvolta più apprezzabile della durezza, la luna del sole. Ma ai caratteri simmetrici della donna la Chiesa ha aggiunto specificità degradanti, come l'incapacitá di pensare, che giustificavano un controllo implacabile. Andando più lontano di chiunque altro nella negazione della donna come persona, la Chiesa le ha tuttavia concesso una contropartita, e non delle più piccole: l'interdizione della violenza nei suoi confronti. Anche qui, ritroviamo la stessa difficoltà di parlare della donna nel cristianesimo: questa vi ha trovato il disprezzo peggiore e forse il destino migliore. Dal punto di vista materiale, il cristianesimo è stato generoso e protettivo nei confronti delle donne. In esso non si trova l'obbligo di portare il velo, né i matrimoni di bambine di meno di dodici anni e nemmeno quegli autentici sequestri che altre religioni hanno raccomandato o perlomeno tollerato: gineceo, harem, purdah. Sconosciute pure presso le cristiane le mutilazioni sessuali o di altro tipo, i piedi deformati, la clitoridectomia, l'incisione clitoridea, la cucitura delle grandi labbra; e più in generale la vendita e l'asservimento del corpo delle donne che si perpetuano ancora oggigiorno in altre civiltà. In compenso, il cristianesimo è stato più severo moralmente. A tutti gli aggettivi sprezzanti volti a sottolineare la sua inferiorità, impiegati unicamente alle altre religioni, ha aggiunto parole che miravano a ridicolizzare la donna, a farla passare per una bambina, una mezza persona, talvolta considerandola un animale, e non fra i più intelligenti: un'oca, una tacchina, una beccaccia ecc. |
| << | < | > | >> |RiferimentiALBISTUR, MAÏTÉ e ARMOGATHE, DANIEL, Histoire du féminisme français du Moyen Age à nos jours, Ed. des Femmes, Paris 1977. ANDERSON, BONNIE S. e ZINSSER, JUDITH, A History of their Own: Women in Europe from Prehistory to the Present, Harper and Row, New York 1989. ARIÈS, PHILIPPE e BÉJIN, ANDRÉ (sous la direction de), Séxualités occidentales, Communications n. 35, Le Seuil, Paris 1982. ARIÈS, PHILIPPE e DUBY, GEORGES (sous la direction de), Histoire de la vie privée, Le Seuil, Paris 1985, 5 voll. D'ALVERNY, MARIE-THÉRESE, "Comment les philosophes et les théologiens voient la femme", in La Femme dans la civilisation des X-XIIIe siècles, Actes du colloque de Poitiers, 1976, in Cahiers de Civilisation médiévale, 20, pagg. 105-128. D'ARMAILLÉ (Comtesse), Quand on savait vivre heureux, Paris 1934. ARON, JEAN-PAUL (sous la direction de), Misérable et glorieuse, la femme au XIXe siècle, éd. Complexe, Bruxelles 1984. [...] | << | < | |