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| << | < | > | >> |Indice7 Prefazione 11 Contro la tirannia dei mercati finanziari: la Tobin tax e il controllo dei movimenti di capitale, Riccardo Bellofiore ed Emiliano Brancaccio 11 1. Fisionomia di una crisi valutaria 16 2. Tobin, la tassa e il movimento 19 3. Fine delle idee-guida e ripresa dei movimenti 20 4. Crisi finanziarie e speculazione 23 5. La liberalizzazione dei movimenti di capitale: due approcci 26 6. La Tobin tax: gli obiettivi e il funzionamento 31 7. La Tobin tax: i limiti e le critiche 38 8. Controllo dei movimenti di capitale e politica economica Antologia di testi di James Tobin 49 Proposta per la tiforma del sistema monetario internazionale 61 Una tassa sulle transazioni valutarie: come e perché 71 Ecco perché c'è bisogno di qualche granello di sabbia negli ingranaggi del mercato 75 Governare nei mercati, intervista a James Tobin I critici di Tobin 87 La Tobin tax: un'idea sbagliata che ha fatto il suo tempo, A.R. Riggs e Tom Welk 95 Interrogativi sulla Tobin tax, Joseph Halevi 101 Il miraggio della Tobin tax, Daniel Cohen In difesa della Tobin tax 105 La Tobin tax: una misura forte contro l'instabilità finanziaria, Suzanne de Brunhoff e Bruno Jetin 108 l. Obiettivi, limiti e funzioni della Tobin tax 109 2. Uno strumento di stabilizzazione dei tassi di cambio 110 3. Una maggiore autonomia delle politiche monetarie nazionali 111 4. Una fonte di finanziamento per lo sviluppo mondiale 112 QUALI SONO LE OBIEZIONI DI FONDO CONTRO LA TOBIN TAX? 113 5. Le virtù della speculazione? 115 6. La Tobin tax come strumento di stabilizzazione delle aspettative 117 7. La Tobin tax deve essere completata da altre misure 119 LA TOBIN TAX È REALIZZABILE? 120 8. La tassa è fattibile sul piano economico e tecnico 120 9. La risposta a queste critiche si trova nel modo di raccolta della tassa 125 10.Quali sono i vantaggi di un tale modo di prelievo della tassa? 126 11.La fattibilità politica della tassa 128 CONCLUSIONE 133 Profilo biografico di James Tobin |
| << | < | > | >> |Pagina 111. Fisionomia di una crisi valutaria Nel 1998, in seguito alla crisi della rupia indonesiana, alla periferia di Giacarta iniziarono a formarsi, ogni sera, lunghe processioni di diseredati diretti verso l'area del mercato del riso. Il loro scopo era quello di raccogliere i chicchi caduti a terra nel corso della giornata di contrattazioni, al fine di racimolare la dose di riso necessaria per sfamarsi. Più di recente, appena pochi mesi fa, in concomitanza con l'annuncio dell'abbandono della parità fissa tra peso e dollaro, l'Argentina è stata sconvolta da una tragica ondata di saccheggi e rivolte le cui immagini, trasmesse in tutto il mondo dai media, appaiono ancora vivide nelle nostre menti. C'è senza dubbio qualcosa di misterioso nel rapporto tra le oscillazioni del mercato dei cambi e l'inasprimento delle condizioni della vita quotidiana di milioni di individui. L'esistenza di un nesso è stata percepita da molti, e in particolare da coloro che hanno vissuto in prima persona la drammatica esperienza di una crisi valutaria. Ciò vale in parte anche per noi italiani che tendiamo spontaneamente a legare il ricordo degli attacchi speculativi alla lira del 1992 all'avvio della "politica dei sacrifici" da parte dei governi Amato e Ciampi. Questi legami vengono resi ancor più inquietanti dalla sensazione che, in particolari circostanze, la stabilità economica di un paese possa dipendere dalle decisioni di pochi, grandi speculatori. In tal senso, George Soros ha scritto che nel 1992 si trattenne dallo speculare contro il franco francese poiché non intendeva diventare il responsabile del crollo definitivo del Sistema monetario europeo. Una dichiarazione, considerata credibile da molti autorevoli studiosi, la quale tende ad avvalorare la percezione comune secondo cui, oggi forse più che in passato, il destino di molti può dipendere dalle anonime decisioni di pochi. Al di là delle mere percezioni, tuttavia, è sempre difficile andare. La comprensione della precisa sequenza logica in grado di avvalorare l'esistenza di un nesso tra le decisioni degli speculatori e il vissuto quotidiano di milioni di persone è difficilmente andata al di là di una ristretta cerchia di specialisti. Pertanto, proprio al fine di rendere il più possibile esplicito quel nesso, il ragionamento che segue proporrà uno schema semplificato in base al quale interpretare il fenomeno delle crisi valutarie. | << | < | > | >> |Pagina 235. La liberalizzazione dei movimenti di capitale: due approcciLa teoria e la politica economica dominanti sono fondate sulla convinzione che la liberalizzazione dei movimenti di capitale sia da considerarsi, nella sostanza, benefica. L'idea è che una maggiore concorrenza produce maggiore efficienza, in questo caso nell'allocazione dei risparmio mondiale, consentendo di ottenere rendimenti più elevati grazie a un'accelerazione della produttività e della crescita reale che altrimenti non si potrebbe ottenere. Di ciò si avvantaggerebbero tanto i paesi emergenti quanto quelli più avanzati: i primi potrebbero spingere per uno sviluppo più rapido con fondi presi a prestito all'estero; i secondi, grazie ai risparmi investiti nei paesi di recente industrializzazione o in via di sviluppo, avrebbero la possibilità di garantirsi redditi e pensioni che l'invecchiamento della popolazione renderebbe altrimenti impossibile mantenere. L'esplosione delle transazioni finanziarie viene poi considerata positiva per altre due ragioni. Per un verso, essa sarebbe dovuta alla creazione di nuovi strumenti finanziari come i derivati, e alla diversificazione dei portafogli che consentirebbero di trasferire e redistribuire il rischio tra gli operatori: per questa via verrebbero stimolati un più ampio commercio mondiale e maggiori investimenti diretti all'estero. Per l'altro, "inspessendo" i mercati, ovvero accrescendo il numero e la dimensione di chi vi partecipa, essa dovrebbe rendere i cambi meno volatili. Giudizi del genere dipendono in modo cruciale dal combinato disposto di una serie di ipotesi discutibili: che sui mercati finanziari e delle valute l'informazione sia ugualmente distribuita e pressoché perfetta; che le aspettative siano razionali; che, quindi, gli agenti conoscano l'equilibrio, unico, dettato dai "fondamentali" reali delle varie situazioni ed economie, e che i loro comportamenti individuali consentano, con il minimo di attriti, di raggiungere quell'equilibrio. In realtà, le cose stanno diversamente. A ben vedere, l'approccio dominante si fonda su una serie di indebite assimilazioni. Esso, infatti, confonde la speculazione, cioè l'attività dove si guadagna indovinando il comportamento degli altri e che non ha alcun ancoraggio con un equilibrio oggettivo, con l'arbitraggio, ossia l'attività di comprare e vendere che pareggia i tassi di rendimento dei diversi investimenti. E confonde l'incertezza radicale che caratterizza l'economia capitalistica con un rischio calcolabile e assicurabile. Per avere una rappresentazione più realistica di come stanno le cose è opportuno rifarsi alla visione di Keynes. Per l'economista di Cambridge la conoscenza del futuro è fluttuante, vaga e incerta - e tanto più lo è quanto più l'economia è caratterizzata da consistenti investimenti in capitale fisso e dotata di sofisticati mercati finanziari. Le aspettative economiche sugli eventi più lontani nel tempo si fondano su basi fragili e insicure: semplicemente, scrive Keynes, "non sappiamo". Le attese sui corsi di borsa, come quelle sulle valute in un sistema di cambi flessibili, sono soggette a una violenta instabilità anche sulla base di semplici "rumori". | << | < | > | >> |Pagina 266. La Tobin tax: gli obiettivi e il funzionamentoÈ chiaro che chi muove da una concezione dei mercati del primo tipo, quella dominante, si accontenterà di proposte di riforma della finanza globale che non invertono la tendenza di lungo periodo alla liberalizzazione e non comportano una riduzione del volume delle transazioni sui mercati monetari e finanziari internazionali. Negli ultimi anni, di ricette del genere ne sono state avanzate molte. Si va dalla definizione di norme volte a determinare maggiore trasparenza e imporre dunque maggiori controlli alle banche e agli intermediari finanziati, a proposte che intendono promuovere una migliore valutazione del rischio da parte di chi presta fondi, far pagare il costo della crisi al settore privato, promuovere la creazione di una corte internazionale delle bancarotte, ridefinire le funzioni del Fmi, facendone un'autentica banca mondiale in grado di fornire credito in ultima istanza o delegandogli la sorveglianza prudenziale dei mercati finanziati mondiali. Altri ancora, partendo dall'ammissione che per i paesi emergenti l'apertura ai capitali internazionali è stata forse troppo rapida, riconoscono che occorre tempo per consentire l'adeguamento dei sistemi bancari e finanziari locali al nuovo contesto di maggiore apertura. D'altra parte, è necessario aggiungere che non sono certo mancati coloro per i quali la soluzione a tutti i problemi risiederebbe in un'accelerazione del processo di deregolamentazione dei movimenti di capitale, o addirittura nella soppressione del Fmi che con i suoi salvataggi, si obietta, favorirebbe "l'azzardo morale" di mutuanti e mutuatari, creando così le condizioni per il ripetersi di situazioni sempre più a rischio. È anche chiaro che chi muove, invece, da una visione dei mercati del secondo tipo, benché possa ritenere utili alcune delle misure appena indicate, non può accontentarsene e non può che auspicare misure di intervento più radicali, finalizzate, innanzitutto, a ridurre il volume degli scambi speculativi e a restituire alla politica un qualche grado di controllo sulla finanza. Tra tali misure, come si è detto, la Tobin tax gode oggi di particolare fortuna. I tre obiettivi della Tobin tax sono, nelle intenzioni del suo proponente, i seguenti: disincentivare i movimenti speculativi di capitale, e non il commercio reale; rendere compatibile un sistema di cambi flessibili con un certo grado di autonomia della politica monetaria e macroeconomica; fornire ai governi consistenti entrate fiscali, tratte sul capitale e non sul lavoro. L'esempio che segue descrive una tipica operazione speculativa di "andata e ritomo", effettuata tramite due operazioni a pronti. Esso dovrebbe offlire un'idea intuitiva del modo in cui la tassa persegue gli obiettivi menzionati. | << | < | > | >> |Pagina 40Non è dunque la singola misura a essere significativa, anche perché è certo che il capitale provvederebbe presto a inventare opportune modalità di "aggiramento'. Essenziale è piuttosto la determinazione a introdurre, simultaneamente o in sequenza, tutte quelle misure necessarie a rendere costosa o impossibile la "fuga" dei capitali, rendendo quindi credibile l'impegno per una svolta nell'orientamento della politica economica. È innegabile che misure come quelle appena indicate hanno carattere difensivo, mentre la Tobin tax intende prevenire la speculazione; ma è anche vero che l'efficacia stessa della Tobin tax dipende dalla definizione di un diverso quadro macroeconomico, caratterizzato da un'inversione di rotta nella dinamica capitalistica che renda le forze cooperative prevalenti su quelle disgreganti. Questa invasione non può attendere che la "comunità internazionale" si convinca dell'utilità della Tobin tax, né si può rischiare che le speranze di imbrigliare la speculazione siano rese vane dal verificarsi di gravi crisi valutarie rispetto alle quali quella misura è dichiaratamente impotente. A ben vedere, l'importanza delle mobilitazioni attorno alla Tobin tax va ben al di là dei vantaggi che la sua istituzione eventualmente sarebbe in grado di determinare. Essa consiste nell'impatto simbolico e politico che avrebbe l'adozione dell'imposta da parte dei maggiori governi, sull'onda di una spinta "dal basso". Si tratterebbe di un segnale di rottura con la pratica neoliberista di deregolamentazione della finanza, di un proclamato rifiuto del ricatto dei "mercati" nei confronti delle politiche per il pieno impiego. I successi parziali di una strategia del genere potrebbero rendere più facile l'effettiva adozione globale della Tobin tax, oggi difficilmente immaginabile, e far decollare la discussione sulla riforma del sistema monetario internazionale, oggi inevitabilmente astratta. In ogni caso, muterebbe il clima politico-economico in cui si muove attualmente il conflitto tra le classi sociali. L'introduzione della Tobin tax e di controlli sui capitali da un lato, e l'attivazione immediata di politiche economiche che non accettino come fatalità l'aumento della disoccupazione e la precarizzazione del lavoro dall'altro, sono due facce della medesima medaglia, e vanno perseguite insieme.| << | < | > | >> |Pagina 61Nel 1972 proposi una tassa uniforme a livello mondiale sulle transazioni valutarie a brevissimo termine (Tobin, 1974), e di nuovo la sostenni nel 1978 in occasione del mio Discorso alla Eastern Economic Association (Tobin, 1978). Ho scritto e discusso di questa proposta in varie occasioni, ma non sono tipo da tramutarsi in un crociato, ardente sostenitore delle proprie idee, diversamente dal mio grande predecessore a Yale, Irving Fisher. Ogni volta che risulta evidente che i cambi internazionali sono responsabili dello scompiglio monetario ed economico, la mia proposta viena scoperta o riscoperta. Recentemente è stata ripresa da un gruppo di non economisti, alla ricerca di nuove vie per finanziare le Nazioni unite e le altre agenzie internazionali, soggette a pressanti domande che le varie nazioni sono restie a supportare. [...] Le tasse sulle transazioni sono un modo, peraltro abbastanza innocuo, di gettare qualche granello di sabbia negli ingranaggi di questi veicoli finanziari iperefficienti. Una tassa di un quarto di punto percentuale si traduce in un tasso annuale del 2% sulle transazioni valutarie cosiddette round trip a tre mesi nel mercato monetario, e incide ancora di più su transazioni che implicano orizzonti temporali più brevi. Questo effetto crea spazio per differenze nei tassi di interesse nazionali, consentendo alle politiche monetarie dei vari paesi di rispondere a esigenze macroeconomiche interne. La tassa costituirebbe un deterrente minore per transazioni valutarie round trip più lente: rappresenterebbe un fattore irrilevante nelle scelte di portafoglio a lungo termine, o negli investimenti diretti in altre economie; e sarebbe troppo esigua, relativamente ai costi di trasporto o commerciali ordinari, per avere un grande effetto sullo scambio di merci. John Maynard Keynes, nel 1936 sottolineò che una tassa sulle transazioni avrebbe potuto rafforzare il peso dei fondamentali a lungo termine nella determinazione dei prezzi dei mercati azionari, agendo contro le previsioni di coloro che speculano a breve termine sui comportamenti degli altri operatori. Lo stesso principio può essere applicato ai mercati delle obbligazioni e dei cambi. Recentemente gli speculatori attivi in questi mercati si sono concentrati su particolari tipi d'informazione, riguardanti soprattutto gli eventi macroeconomici, le statistiche e le politiche. L'idea di Keynes del concorso di bellezza trova qui applicazione: gli speculatori si concentrano su come i "mercati" risponderanno alle notizie, anziché sugli indicatori economici o gli avvenimenti fondamentali. | << | < | > | >> |Pagina 71Per il popolo del Sudest asiatico, il peggio deve ancora venire. Gli accordi di salvataggio finanziario (di seguito bailout) della Corea, della Thailandia e dell'Indonesia avranno conseguenze dolorose per un gran numero di persone che si protrarranno per molti più mesi di quanto non sia determinato dalla crisi valutaria in se stessa. Il Fondo monetario internazionale e il Tesoro degli Stati Uniti stanno predisponendo nuovi aiuti finanziari per questi paesi, condizionandoli all'accettazione di misure d'austerità economica. La Corea del Sud, per esempio, dovrà incrementare i tassi di interesse, aumentare le tasse, ridurre la spesa pubblica e diminuire la crescita economica dal 6 al 2,5%. Ma la Corea del Sud e altri paesi asiatici (come accadde al Messico tra il 1994 e il 1995) saranno puniti per crimini che non hanno commesso. Essi hanno tassi d'inflazione e deficit governativi sotto controllo. Questi paesi non sono peccatori, ma vittime di un sistema internazionale dei tassi di cambio fallace che, sotto l'egemonia degli Stati Uniti, privilegia la mobilità dei capitali al di sopra di tutte le altre considerazioni. È troppo facile per le banche, i governi, le imprese e gli speculatori comprare e vendere immensi quantitativi di una determinata moneta in momenti di panico. Questi flussi di capitale possono far sprofondare un paese in una crisi in tempi rapidissimi. La lezione che si può trarre dalla caduta asiatica è che i leader dell'economia mondiale devono trovare delle modalità per rendere il sistema dei cambi meno volatile, in modo da scongiurare improvvise cadute economiche che possono distruggere posti di lavoro e reddito. Una tassa mondiale sulle transazioni in valuta è una delle soluzioni possibili. | << | < | > | >> |Pagina 105| << | < | > | >> |Pagina 128Nonostante i suoi limiti, la Tobin tax ha un ruolo eminente da giocare nel contesto delle riforme da intraprendere per ridurre un'instabilità finanziaria diventata insopportabile a partire dalla crisi del 1997-98. Al di là della sua efficacia rispetto allo scopo che si prefigge, la Tobin tax ha altre virtù che devono essere sottolineate. In primo luogo, si tratta di un'imposta che instaura una relazione chiara e trasparente tra lo stato e il settore privato. È forse questo aspetto che contraria i neoliberali, assai pronti in altre occasioni ad approvare l'intervento pubblico: durante i salvataggi in extremis del mercato e dei suoi operatori, come abbiamo visto di nuovo nel settembre 1998, quando la Banca centrale americana, la Fed, ha ridotto il suo tasso d'intervento per ripristinare i corsi di Wall Street e ha fatto pressione sulle grandi banche internazionali creditici del fondo speculativo americano Ltcm considerato troppo grosso per fallire ("too big to fail"); oppure nel caso giapponese in cui le autorità pubbliche dilapidano miliardi di dollari nel salvataggio di un sistema bancario gravato da crediti assai dubbi e sospetti. Questi interventi pubblici non hanno la trasparenza che avrebbe la Tobin tax, che inoltre presenta un carattere preventivo, in quanto mira a evitare le crisi di cambio prima del loro inizio. In secondo luogo, la Tobin tax è una misura cooperativa di carattere universale, e simultaneamente posta sotto la responsabilità di ogni singolo stato. Non può essere gestita da una sorta di direttorio dei paesi che battono le valute chiave. In contrasto con misure locali come il controllo del cambio da parte dei paesi "emergenti", la Tobin tax ha una vocazione universale e, da questo punto di vista, un carattere non gerarchico. Questo riguarda tutte le valute, dal dollaro-re alle valute dipendenti, e quindi ha il vantaggio di evitare le reazioni nazionaliste dei paesi lesi. Ridurre la concorrenza tra le valute chiave è un obiettivo decisivo nella prospettiva di una riforma stabilizzatrice delle relazioni finanziarie internazionali. In terzo luogo, la Tobin tax individua i responsabili dell'instabilità monetaria internazionale, i grandi operatori finanziari sul mercato dei cambi. Mettendo la loro logica destabilizzatrice in causa, la Tobin tax attacca il consenso politico attuale, di carattere neoliberista, sui vantaggi della libera circolazione del capitale e delle norme di rendimento economico che questa veicola. La sua adozione sarebbe quindi un atto politico importante, in rottura con le pratiche neoliberiste della globalizzazione economica e con il fatalismo che l'accompagna. Inoltre presuppone una cooperazione tra stati che va al di là del quadro ristretto delle riunioni del G8 o del G7. I governi dovrebbero partecipare tutti al controllo dei movimenti di capitale a breve termine coinvolti dalla Tobin tax nella loro sfera finanziaria. Ciò ridurrebbe le pressioni sui paesi emergenti, le cui monete dipendono dalle valute chiave. Anche la concorrenza finanziaria e commerciale tra paesi capitalisti sviluppati, che riguarda anche il tasso di cambio delle loro valute, sarebbe ridimensionata. Una cooperazione tra le grandi potenze, a cui si ricollegano queste valute, volta a promuovere la Tobin tax avrebbe un effetto stabilizzatore, e faciliterebbe in maniera notevole la ridefinizione di un nuovo ordine monetario internazionale, basato su una gestione concertata degli obiettivi di cambio. Tassare le operazioni di cambio per moderare il ruolo degli speculatori rappresenterebbe anche un avvertimento politico forte ai diversi attori economici. Le deregolamentazioni e ristrutturazioni capitaliste in opera dalla fine degli anni settanta hanno contribuito, in tutti i paesi, a un cambiamento nei rapporti di forza favorevole al capitale rispetto al lavoro. Che si tratti del livello degli stipendi, dell'occupazione, delle prestazioni sociali o della fiscalità, la pressione sui salariati non ha smesso di aumentare, per accrescere i profitti degli azionisti. Questa pressione è presentata come un fenomeno mondiale inevitabile al quale ci si deve sottomettere, se no si sparisce. Tassare la speculazione sui tassi di cambio avrebbe un forte impatto simbolico, aprendo una breccia nel muro del fatalismo che ribadisce rapporti di forza sfavorevoli al lavoro. La Tobin tax non rappresenta però la panacea universale nei confronti di una deregulation finanziaria legata al modo di accumulazione capitalista. Non impedisce gli attacchi speculativi di grande ampiezza sulle valute. Non risolve le difficoltà nate dal regime monetario internazionale di cambi fluttuanti tra le valute chiave, attualmente in vigore.
La Tobin tax deve quindi essere completata da altre
misure volte a ridurre la potenza acquisita dai mercati
finanziari internazionali, e a rimettere questi mercati
sotto l'autorità delle istituzioni responsabili delle
politiche economiche nazionali. Essa rappresenta però il
primo anello di altre indispensabili riforme. Rompe con
l'ideologia neoliberista dominante fin dagli anni ottanta, e
con la mitizzazione di una "globalizzazione finanziaria" di
mercato senza limiti istituzionali e oltre a un significato
economico, possiede quindi anche un forte valore simbolico.
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