Copertina
Autore Marco Belpoliti
Titolo Il tramezzino del dinosauro
Sottotitolo100 oggetti, comportamenti e manie della vita quotidiana
EdizioneGuanda, Parma, 2008, Piccola biblioteca , pag. 224, ill., cop.fle., dim. 12x20x2 cm , Isbn 978-88-6088-825-9
LettoreGiorgia Pezzali, 2008
Classe costume , sociologia
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Indice


Introduzione                  9


Ace                          13
Adesivi                      15
Agenda                       17
Air design                   19
Altoparlante                 21
Asfalto                      23
Babbo Natale                 25
Bamboo                       27
Bianchetto                   29
Bicicletta                   31
Biglietti                    33
Bottiglietta                 35
Bottone                      37
Box                          39
Bracciale                    41
Brain Training               43
Buste                        45
Cacciavite                   47
Campanello                   49
Cane                         51
Cantina                      53
Carnevale                    55
Carrellini                   57

[...]

Sticker                     179
Supermercato                181
Swatch                      183
Tappo                       185
Tastiere                    187
Tatuaggio                   189
Taxi                        191
Tenda                       193
Tornello                    195
Tramezzino                  197
Tuta                        199
Vespasiani                  201
Vetri                       203
Walkie Talkie               205
W.C.                        207
XL                          209
Zebre                       211


Nota e ringraziamenti       213


 

 

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Pagina 35

Bottiglietta



Improvvisamente, quattro o cinque anni fa, negli uffici, nelle scuole, nelle caserme, nei tribunali, nella maggior parte dei luoghi pubblici, sono comparse le bottigliette d'acqua. Bottiglie di plastica che hanno sostituito le lattine per dissetare migliaia, o forse milioni, di italiani. Da tempo, da molto tempo, le fontane sono sparite dalle strade di gran parte delle città del Bel Paese. Resistono solo nelle piazze dei paesi e nelle città ricche d'acqua. Ma spesso il getto libero è stato sostituito dall'economico rubinetto. Perciò quasi nessuno, con un gesto molto antico, si piega più sotto il getto dell'acqua tendendo il cavo della mano per bere. Fino a una decina d'anni fa, si ricorreva al bicchiere d'acqua nei bar. Sulle acque pubbliche era caduto il discredito e la bottiglia di vetro era diventata il simbolo di una nuova purezza igienica. Ma poi quel decilitro di acqua minerale è diventato caro, carissimo. Perciò la gente ha smesso di bere nei bicchieri e al bar, sia perché più economico (oggi una bottiglia da 0,50 litri costa mediamente tra i 50 centesimi e un euro) sia perché più pratico (si può bere dove e quando si vuole). La maggior parte degli italiani, soprattutto giovani, è passata alla bottiglietta. Così tutti bevono dal collo della bottiglia, attingendo direttamente dal recipiente, contravvenendo a un principio di etichetta che, almeno per la mia generazione, era categorico: in nessun caso si beve dalla bottiglia, ma dal bicchiere. Solo gli operai, i contadini, i lavoratori in genere, si dissetano accostando le labbra alla bottiglia. Ma non è solo una questione di costi e di ceto sociale. Nella nostra società postindustriale trionfano gli oggetti portatili. Ogni cosa è diventata sempre più piccola per essere portata con sé: dal computer al telefono cellulare, dal palmare all'ombrello, tutto l'essenziale per comunicare, scrivere, registrare, proteggersi, offendere, si è miniaturizzato. L'emblema di questo mondo portatile è ovviamente lo zainetto: la casa portatile, dentro cui c'è di tutto. L'acqua potabile è ora portabile. La bottiglietta è il nostro modo per accedere alla purezza, in modo pratico e conveniente. L'acqua, simbolo della vita stessa, della rigenerazione, della freschezza e della salute, grazie alla bottiglietta in polivinilcloruro, è ora un bene individuale. Se le fontane rappresentano la civiltà contadina e il bicchiere condensa l'immagine della civiltà borghese, la bottiglietta raffigurerà invece la società postindustriale: trasparente, fluida, flessibile, autonoma, immateriale. Tuttavia, come ci ricordano gli organizzatori della prossima «giornata mondiale dell'acqua» due miliardi di persone non hanno ancora accesso all'acqua potabile.

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Pagina 37

Bottone



Hanno aperto nuovi negozi. Vi si rammenda, si cuce, si fanno gli orli a gonne e pantaloni, s'attaccano i bottoni. Per lo più nelle grandi città — Roma e Milano —, perché nelle città di provincia questi mestieri di piccola sartoria li fanno ancora le donne di casa. Sempre più persone vivono da sole — single — e hanno sempre meno tempo per la manutenzione di oggetti, cose, vestiti. Anche la scomparsa dal programma delle scuole medie delle ore di cucito ha contribuito a questo; la materia «Economia domestica» è stata abolita in modo unilaterale dal Sessantotto, invece di estenderla, lo ricordava Carlo Petrini, ai maschietti. Un altro colpo l'ha ricevuto dall'abolizione del servizio militare obbligatorio: lì si imparava per forza di cose a cucire i bottoni della divisa, essenziali per ricevere licenze. Poco prima della sua scomparsa, nel 1985, Italo Calvino, interrogato da un intervistatore televisivo sulle cose essenziali da sapere per il prossimo millennio, aveva detto: prima cosa, saper attaccare i bottoni. Un'affermazione che dà da pensare. Del resto, in molti alberghi, oltre a fornire ai clienti saponette, sali da bagno, shampoo, spazzolino, pantofole, si offrono piccoli nécessaire con ago, filo e qualche bottone di emergenza. Il bottone, spiega Daniel Roche in Storia delle cose banali, è un oggetto prettamente maschile, segno della potenza virile; donne e bambini uniscono invece gli orli dei loro abiti per mezzo di spille e lacci. Lo si vede bene nei giochi infantili. Lucien Febvre, il grande storico francese, prima della Seconda guerra mondiale aveva pensato di scrivere una storia del bottone, per rivelare la geografia e la gerarchia di un tipo di abitudine mentale in cui il cucito si oppone al drappeggiato, il maschile al femminile. La donna viene sempre frenata nella sua attrazione per stoffe e articoli di merceria, e anche questo è un aspetto, seppur occulto, della lotta tra i sessi. I bottoni sono apparsi nel XIII secolo in Italia, mentre erano già in circolazione in Francia da prima. Si chiamavano «pomelli» o «maspilli», e servivano ad aprire la manica per infilarla e poi abbottonarla stretta (Rosita Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana). Nelle miniature dell'epoca la loro forma e dimensione è volutamente esagerata, probabilmente a scopo ornamentale. La praticità sembra l'ultima cosa che interessa ai medievali. Indossavano i vestiti passandoli dalla testa e su un abito al massimo applicavano uno o due bottoni per allargare il varco dello scollo. Nella prossima riforma scolastica dei primi cicli d'insegnamento si può pensare d'introdurre di nuovo «Economia domestica», affiancandola ad «Applicazioni tecniche», sia per le femmine sia per i maschi? Visto che i bottoni li hanno introdotti i secondi, è bene che sappiano attaccarli. Calvino docet.

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Pagina 73

Crocetta



I più lesti e attivi li sbrigano nelle prime ore del mattino, i renitenti e svogliati se li vedono imporre di pomeriggio o prima di cena. I compiti delle vacanze sono la croce di ogni estate. I genitori si mobilitano e siedono al tavolo a fianco dei figli, non senza averli chiamati, richiamati e, nei casi peggiori, rincorsi. Per fortuna ora le cose si semplificano. Adesso si usa il libro con l'audiocassetta. La prossima estate forse debutterà la cassetta video, più avanti il DVD. Hanno nomi diversi, che nel titolo comprendono parole come «estate», «sole», «allegria», «gioia». Colori accesi: gialli, rossi, verdi, blu. Magari il disegno di copertina è quello di una bella fetta di cocomero, fresca e invitante. Per non assomigliare troppo ai compiti veri, quelli della scuola (ma la parola «compito» non è politicamente corretta), i libri delle vacanze assomigliano più a un album, a un questionario, a una raccolta di quiz. Non c'è molto o moltissimo da scrivere. Qualche frase, ogni tanto, alcuni nomi. Per lo più si tratta di congiungere con linee oggetti e parole, collegare personaggi e storie, riempire caselle, barrare quadratini. I compiti dei nostri figli più piccoli sono dominati dalle crocette. Dell'antico significato della parola (antico strumento di tortura, costituito da due tronchi fissati trasversalmente, su cui veniva inchiodato il condannato), le crocette moderne conservano ben poco, se non il senso di punizione che i bambini provano nel dedicarsi alla scuola durante le giornate estive, e nonostante la evidente diminuzione di impegno e di fatica che questo comporta (ma loro certo non lo sanno). Salimbene da Parma, nella sua Cronaca, usava «crucesignare», per indicare la segnatura dei membri della spedizione sacra. In un certo senso, i bambini si sentono dei crociati. Ma non perché la croce se la devono portare, almeno sul petto, come gli antichi cavalieri, ma perché la devono distribuire mane o sera su fogli e libri che i maestri e le maestre distribuiscono loro. La rana vive nel mare, nel fiume o in fossi e stagni? Segnare con una croce la risposta giusta. I capelli di Maria (vedi disegno) sono biondi, bruni o rossi? Altra croce. E anche nei problemi di matematica, una matematica delle somme e sottrazioni, c'è la domanda con tre o quattro risposte da sbarrare. Loro, i bambini, non possono sapere che si andrà avanti così per tutta la vita: questionari medici, patente, visite specialistiche, leva militare, domande di assunzione, domande di servizio, pensionamento, statistiche, anagrafe, censimento, richieste fiscali, schede elettorali. Ovunque bisognerà barrare la risposta giusta. Per i più fortunati, la didattica della crocetta potrà forse rivelarsi utile da grandi, in uno di quei quiz televisivi che distribuiscono milioni in gettoni d'oro. Prima o poi occorrerà dirlo ai bambini: anche le crocette servono. Un tempo, la crocetta era la firma degli analfabeti; oggi è invece il simbolo dell'alfabetizzazione: leggere, scrivere, far di conto, ma soprattutto crociare.

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Pagina 127

Occhiali



Gli occhiali sono cambiati. Da strumento ottico sono diventati un oggetto di moda. A dire il vero è un'evoluzione iniziata da parecchio tempo, almeno da quando le griffe del settore ne hanno fatto un capo d'abbigliamento producendoli con il proprio marchio. Ma forse anche da prima. Sono apparsi occhiali in cui le stanghette stringono le tempie invece di appoggiarsi alle orecchie, ritorno alle origini medievali. Poi sono comparsi occhiali decorati con strass o brillantini di diversi colori. Una marca, Mood, ha messo in commercio occhiali colorati, in cui il cigliare (o frontale) e le aste sono prodotte mediante due lastre di acetato che inglobano uno strato di tessuto di seta: pezzi unici, diversi l'uno dall'altro. Alan Mikli, un altro produttore francese, vende occhiali numerati. Un recente modello ha il cigliare dello spessore di tre centimetri, decorato da una scacchiera bianca e nera, motivo riprodotto anche nella parte interna delle aste. Da un paio di estati si sono però diffusi occhiali a mascherina con la lente polarizzata, che ricoprono parte del viso. Li ha messi sul mercato quattro anni fa Gucci, ma senza troppo successo. La scorsa estate li avevano tutti, o quasi, uomini e donne. Anche in questo caso la produzione diversifica aste e frontale decorandoli: la griffe o marchio diventa un elemento decorativo o strutturale (Dolce & Gabbana). I maggiori produttori industriali sono italiani, in particolare Luxottica, la più grande industria mondiale del settore. Del resto, l'invenzione degli occhiali è avvenuta in Italia. Come racconta Chiara Frugoni in Medioevo sul naso, nel 1304 durante una predica in Santa Maria Novella a Firenze, Giordano da Pisa ne annuncia la nascita tacendo però il nome dell'inventore. La Frugoni afferma che si tratta di un laico; li ha costruiti con vetro e ossa e ne ha conservato per un certo tempo il segreto. All'inizio la loro forma è a pince-nez; li usano soprattutto i religiosi per correggere la presbiopia; servono a leggere, ma anche a far di conto, ovvero a «fermare sul foglio debiti altrui e illeciti guadagni»: gli usurai. L'occhiale è il perfetto complemento per l'intellettuale. Oggi è invece un abito o un suo accessorio, qualcosa da ostentare, invece che da nascondere. Non ha più infatti la forma di una protesi spartana. Diventa una vera e propria maschera. E non se ne possiede uno solo, bensì tanti e diversi, da indossare a seconda dell'umore o del gusto, per dar forma alla propria identità. Servono non solo per nascondere, ma anche, e soprattutto, per mostrare.

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Pagina 165

Scrivania



Al ritorno dalle vacanze un buon numero di italiani l'ha ritrovata lì, dove l'aveva lasciata: in ordine o in preda al caos, vuota o carica di carte. La scrivania è il secondo oggetto sotto cui gli abitanti del mondo occidentale infilano ogni giorno i propri piedi (l'altro è la tavola da pranzo). La scrivania è un oggetto oggi irrinunciabile. Una rivista, «Handelsblatt», ha pubblicato i risultati di una ricerca secondo cui il disordine è sempre presente in ogni scrivania. Questo contravviene a una convinzione diffusa nel mondo anglosassone per cui una scrivania in ordine (meglio: sgombra) è invece indispensabile per lavorare. Esistono agenzie di consulenza, profumatamente pagate, che assicurano alle aziende a cui si propongono un risparmio di diversi minuti al giorno per ogni singolo impiegato. Secondo David Freedman, coautore di un recente libro, Il caos perfetto, un tavolo vuoto farebbe infatti perdere il 36% di tempo al suo proprietario per cercare il materiale che gli serve. La lotta tra cultori dell'ordine e cultori del disordine è solo agli inizi. Uno psicologo, Stephan Grünewald, sostiene che sul tavolo esistono zone calde e zone fredde – la terminologia deriva probabilmente da McLuhan – che contengono rispettivamente documenti importanti e documenti non indispensabili. Una mano invisibile – la nostra – distribuirebbe le carte, rendendo il disordine più ordinato di quanto non sembri. L'imposizione forzosa di un altro ordine procurerebbe solo stress. Grünewald sostiene che un tavolo caotico è indice dello status sociale del suo proprietario, così come l'altezza delle montagne di carta proporzionale al suo livello di istruzione, al reddito e all'esperienza. Un altro studioso del comportamento umano raccomandava anni fa di diffidare di coloro che possiedono una scrivania trasparente, di cristallo (in realtà posseduta solo da manager o alti dirigenti). Nel 1975 Primo Levi spiegò nel Sistema periodico i principi della « scienza delle scrivanie»: una scrivania scarsa denunzia un proprietario da poco; un impiegato che entro otto o dieci giorni dall'assunzione non ha conquistato una scrivania «è un uomo perduto» come un paguro senza guscio; per capire il potere del proprietario della scrivania, non si deve seguire un criterio quantitativo: c'è infatti chi usa il massimo disordine, chi invece, sottilmente, impone il proprio rango attraverso la pulizia meticolosa (così si dice facesse Mussolini a Palazzo Venezia). Come si vede, la scienza delle scrivanie è ancora «anesatta», scienza futuribile, in attesa di ulteriori perfezionamenti.

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