Copertina
Autore Micol Arianna Beltramini
CoautoreThomas Bires [illustrazioni]
Titolo 101 cose da fare a Milano almeno una volta nella vita
EdizioneNewton Compton, Roma, 2009 [2008], 101 6 , pag. 288, ill., cop.fle., dim. 12x22,4x2 cm , Isbn 978-88-541-1222-3
LettoreDavide Allodi, 2010
Classe citta': Milano
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Indice


  7 Introduzione

  9 1.  Sedersi da qualche parte e leggersi questo punto
 12 2.  Perdersi tra meandri e leggende nella cattedrale gotica più bella del mondo
 16 3.  Toccare il cielo con un dito sulla cima del Duomo
 19 4.  Darsi arie da dandy in Galleria
 22 5.  Vedere l'interno della Scala senza pagare il biglietto
 25 6.  Contare le colonne di San Lorenzo Maggiore
 28 7.  Farsi venire la pelle d'oca in piazza Vetra
 31 8.  Respirare di sollievo nel parco delle Basiliche
 33 9.  Seguire la stella dei Re Magi fino a Sant'Eustorgio
 36 10. Prendere lezioni di acquerello in Vico Lavandai
 39 11. Prendere al volo un panzerotto da Luini
        (e mangiarlo in piazzetta San Fedele)
 41 12. Cercare il mostro di Loch Ness nella chiesa di San Marco
 43 13. Riflettere sulla caducità dell'esistenza davanti al Tombon de San Marc
 45 14. Lasciarsi stregare dalla grazia di Santa Maria delle Grazie
 48 15. Prendere parte a un'Ultima Cena molto speciale
 52 16. Un giro di shopping alla Rinascente
 54 17. Farsi una memorabile scorpacciata di pesce crudo
 56 18. Imparare a tirar di scherma a Palazzo Spinola
 58 19. Prendere lezioni di ballo da un'ex prima ballerina della Scala,
        per di più in un castello
 60 20. Sentirsi a Roma in via Brisa
 62 21. Visitare la Pinacoteca di Brera e togliersi una curiosità
        alla Mediateca di Santa Teresa
 64 22. Giocare al telefono senza fili in piazza Mercanti
 67 23. Farsi ingannare dal trompe l'oeil più ingegnoso in Santa Maria presso San Satiro
 70 24. Lasciarsi insegnare la vita dalla pista da skateboard del parco Lambro
 72 25. Riempirsi gli occhi di colori e ascoltare un concerto d'organo a San Maurizio
 74 26. Fermarsi a leggere o a mangiare qualcosa nei cortili del Castello Sforzesco
 78 27. Contare ventimila leghe sotto i mari al Museo della scienza e della tecnologia
 80 28. Scoprire che sarà di noi nell'Ossario di San Bernardino alle Ossa
 82 29. Farsi ipnotizzare dal ballo degli automi al muretto di San Babila
 84 30. Riscoprire l'olfatto all'orto botanico di Brera
 87 31. Per un venerdì sera diverso: boicottare Blockbuster, scegliere Bloodbuster
 89 32. Rovinarsi i polmoni a San Siro
 92 33. Porgere omaggio a una tra le fiabe più famose del mondo
        di fronte alla sua statua dimenticata
 94 34. Passare una notte al Grand Hotel et de Milan, nella suite
        in cui Verdi visse l'ultimo quarto del 1800
 97 35. Capire cos'è l'amore davanti a una statua in largo Marinai d'Italia
 99 36. Comprare le sigarette a qualunque ora della notte da Peppuccio
        il tabaccaio della Darsena
102 37. Restare perplessi di fronte ai misteri di Sant'Ambrogio
105 38. Giurare di essere ancora fanciulla per farsi ammettere
        nel giardino delle Vergini in Cattolica
108 39. Un giovedì pomeriggio ai giardini di Porta Venezia
110 40. Farsi accompagnare da un minore di dodici anni nel giardino della Villa Reale
112 41. Godersi la quiete del Quadrilatero del Silenzio
115 42. Incantarsi di fronte a Palazzo Fidia e Palazzo Berri Meregalli
118 43. Trovarsi di punto in bianco di fronte a uno stormo di fenicotteri rosa
121 44. Farsi abbagliare dal Sole di Arnaldo Pomodoro
        (e ricordarsi che un tempo girava pure)
123 45. Regalarsi felicità a 10CorsoComo
125 46. Farsi confezionare un nano da giardino su misura alla Fornace Curti
128 47. Innamorarsi disperatamente dei piani alti della Fornace (e dei loro abitanti)
131 48. Lanciarsi in un dopo-cinema in stile revival paninaro
133 49. Sentirsi giovani e quasi ricchi in fiera di Sinigaglia (o Senigallia)
136 50. Amoreggiare al Monte Stella
138 51. Fare affari inseguendo e facendosi inseguire dalle api
141 52. Riflettere sui danni dell'inquinamento acustico osservando
        la cima del campanile di San Gottardo
144 53. Lasciarsi i crucci del giorno alle spalle e scompisciarsi dal ridere al cabaret
147 54. Auscultare i tre cuori della Stazione Centrale
150 55. Guardare il Pirellone e sentirsi italiani, nel bene e nel male
153 56. Farsi prendere da un colpo di testa a qualunque ora e a qualunque prezzo
156 57. Capire cos'è davvero il Codice Da Vinci all'Ambrosiana
159 58. Rivivere, letteralmente, le emozioni del Rocky Horror
161 59. Farsi trascinare dalla movida in Sempione
163 60. Un pomeriggio da Bukowski all'Ippodromo
165 61. Sentirsi piccoli piccoli di fronte al cavallo di bronzo più grande del mondo
167 62. Andare a teatro nella capitale del teatro italiano
170 63. Street Art, Sweet Art: murales e molto altro
172 64. Gustarsi un risotto alla milanese DOC
174 65. Sbirciare tra le inferriate delle Case dei Puffi in via Lepanto
176 66. Dominare Milano dalla terrazza della Torre Branca
180 67. Sentirsi multimediali e decisamente avanti nel centro storico di Milano
183 68. Milano come Amsterdam: un giro a Lambrate
185 69. Far pace con l'arte contemporanea tra via Ventura e via Massimiano
187 70. Specchiarsi nelle vetrate più fascinose della città
190 71. Attendere l'arrivo della dama in nero, di notte al parco Sempione
192 72. Comprare un panetùn alla Pasticceria Marchesi
195 73. Imprecare contro il sistema di fronte al Sciòr Carera
197 74. Far colpo su una non-milanese prenotando un tavolo a bordo dell'ATMosfera
199 75. Fare alla propria casa un regalo di classe da De Padova
202 76. Fare il pieno di libri nelle splendide librerie tra Cadorna e Sant'Ambrogio
205 77. Una serata all'Isola di Milano
207 78. Farsi una Stramilano (o una Stramilanina se proprio non ce la si fa)
209 79. Azzardare un'incursione nella lussuosissima hall del Principe di Savoia
213 80. Visitare, prima che lo demoliscano, il villaggio in miniatura
        nella scuola elementare di via Barabino
216 81. In via Tortona, dalle stalle alle stelle
219 82. Passeggiando tra le stelle: i dintorni di via Tortona
223 83. Sentirsi sottosopra da Viktor £t Rolf
225 84. Comprare e vendere a piazza Affari
228 85. Girare per il Cimitero Monumentale come fosse un museo
232 86. Immergersi nel carnevale di sei giorni della settimana del Salone del Mobile
234 87. Passeggiare di sera in via Brera e dintorni
238 88. Intrufolarsi in Statale e immaginarla come un bellissimo ospedale
241 89. Verso le sette, un irrinunciabile happy hour
245 90. Tre bar in controtendenza: Magenta, Jamaica, Basso
248 91. Rendere omaggio ai caduti delle Cinque Giornate
        dove un tempo sorgeva la porta più oscena di Milano
250 92. Cercare l'ombelico del mondo in via Padova
252 93. Cenare allo Chandelier, il salotto più esotico di Milano
254 94. Cercare il platano dell'impiccato in Corso Lodi
256 95. Far realizzare a Milano un vostro sogno di rock'n'roll
259 96. Visitare il museo all'aperto della Milano liberty di Porta Venezia
262 97. Visitare la Triennale, ma soprattutto il suo caffè, in un giorno di sole
265 98. Farsi trascinare dalla movida milanese
268 99. Sgambettare per case che in realtà sono musei (e viceversa)
271 100. Shopping non-plus-ultra: il Quadrilatero della Moda
275 101. Rifarsi occhi, sorriso e guardaroba nei tre negozi più adorabili in città


 

 

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Pagina 9

1. SEDERSI DA QUALCHE PARTE E LEGGERSI QUESTO PUNTO


Quando, come e da chi venne fondata Milano? Nessuno sa dirlo con precisione. È quasi certo che non sia stato un popolo italico, il che spiega forse il motivo per cui i milanesi vengono percepiti come "alieni" o "strani" - evviva gli eufemismi - in qualunque altra parte d'Italia. A meno che non siano stati gli Etruschi, che poi tanto italici a ben vedere non erano, e si tratta comunque della versione meno accreditata. Ma procediamo con ordine e vediamo di passare in rassegna, con un po' di ironia, le diverse ipotesi.

La prima leggenda, analogamente a quella di Roma, ha a che fare con un animale. Certo il contesto è un po' meno epico e serio, come dire, un po' più ridicolo. Correva l'anno 623 avanti Cristo, e capitan Belloveso, con la sua schiera di Galli, scendeva in Italia per sottometterci e conquistarci. Avuta facilmente la meglio su un popolo quasi interamente contadino, Belloveso si trovò in condizione di dover fondare una nuova città, ed ebbe la felice idea di interrogare gli dèi sul da farsi. Con il criptico ma indiscusso senso dell'umorismo che tanto spesso li contraddistingue, gli dèi emisero il loro verdetto: la città andava fondata nel punto in cui fosse stata rinvenuta una scrofetta coperta a metà di lana bianca. Immaginate le facce dei poveri Galli nel momento in cui il capitano diede loro l'annuncio. Con tutto ciò si misero in marcia, e gira di qua e gira di là, nella classica radura ai margini del bosco, finirono per imbattersi in quel che stavano cercando: la scrofetta semilanuta, che sempre secondo questa versione del mito suggerì a Belloveso il nome da dare alla nuova città (medio-lanum).

La seconda leggenda è quella cui accennavamo qualche riga sopra parlando di Etruschi. Due fra i loro capitani, Medo e Olano, si aggiravano per il Nord Italia con le stesse poco pacifiche intenzioni di Belloveso; a un certo punto giunsero nella solita radura tra due fiumi, in cui non videro nessuna scrofetta ma che sembrò loro adatta a tirarci su l'accampamento; in capo a un paio di mesi si sentirono a casa e decisero di stanziarsi un po' più seriamente. Medo si occupò delle costruzioni, Olano delle fortificazioni; diedero così vita a una città in continua espansione che battezzarono senza troppo sforzo di fantasia, facendo comunella di nomi.

La terza versione è poco leggendaria, più noiosa e quindi più probabile: non fu Belloveso a fondare Milano ma gli Insubri, popolazione indoeuropea che bazzicava nel Nord Italia un migliaio di anni prima, secolo più secolo meno, e che con tutta probabilità aveva impiantato in loco un insediamento chiamato Alba, più tardi conquistata da Belloveso che fece poco più che cambiarle il nome. Nome che potrebbe avere una terza radice, anche in questo caso noiosa e plausibile: medius, "in mezzo a", e lanum, "pianura" o "acqua" a seconda dell'origine, gallica o gaelica, del termine; il nome "Milano" indicherebbe quindi semplicemente quella benedetta radura o pianura circondata da corsi d'acqua su cui tutte le versioni, scrofetta lanuta o meno, sembrano concordare.

Curiose anche le leggende legate al simbolo di Milano, che anche in questo caso non è unico: diverse dominazioni hanno lasciato diverse impronte, come l'aquila bicipite austriaca (Torre dell'Imperatore, Palazzo della Stampa in via Soncino), o, dicevamo, la scrofa semilanuta (Palazzo della Ragione, piazza Mercanti). Il più famoso (e più sfruttato) di tutti è però senza dubbio il biscione (Castello Sforzesco, Loggia degli Osii), presente, fra l'altro, sui simboli di Alfa Romeo, Inter e Fininvest (in questo caso l'uomo in bocca al serpente è sostituito da un fiore, oh leggiadra ironia).

Ma cos'ha veramente in bocca il serpente? Un giovinetto? Un saraceno? E sta davvero mangiandoselo, o non sta piuttosto evitando di farlo? Le storie in proposito si sprecano e per lo più riguardano i Visconti, che pagarono fior di bardi per cantare (inventare?) le gesta della loro stirpe. Capitò così curiosamente che la paternità del biscione se la spartissero in tre: Ottone, Azzone e Uberto Visconti. Pare che il primo intorno al 1100 affrontasse in guerra il tremendissimo saraceno Voluce, che nessuno mai aveva battuto e la cui insegna guerresca era un serpente che divorava un uomo, e non dite che non vi aveva avvisati. Ovviamente Ottone ebbe la meglio su Voluce: lo ammazzò, lo spogliò delle insegne e le riportò a casa facendole proprie, solo sostituendo il fanciullo divorato con un saraceno, cioè semplicemente dipingendolo di rosso (come nel simboletto dell'Alfa Romeo).

Azzone invece, un nome una garanzia, ancor prima di diventare signore di Milano si prese sulle spalle la guerra contro i fiorentini, e nel 1323 tornava bel bello dall'impietosissima battaglia. Narra la leggenda che a un certo punto, stremato per la lunghissima cavalcata, smontò da cavallo e si addormentò lì dov'era, togliendosi solo l'elmo. Al risveglio fece per rimetterselo e senti come un sibilo; volse gli occhi in su e vide una biscia (ma le scritture dicono vipera) che affacciata a una fessura della visiera (doveva essere una bestia enorme!) guardava in giù con occhi cattivi. Per niente impressionato il prode Azzone restituì lo sguardo, tolse l'elmo e lo appoggiò a terra: valutata dal basso la superiorità dell'avversario la saggia biscia ritenne opportuno, per quella volta, sbisciolare via. Il condottiero immortalò l'episodio sul proprio stemma; come a dire che di fronte a lui persino i serpenti diventavano agnelli, tanto che a ficcar loro un ragazzetto in bocca per reverenza non lo divoravano nemmeno.

La terza leggenda ha per protagonista un antenato e rispetto alle altre risale a circa mille anni prima. Il buon Ambrogio aveva da poco tirato le cuoia, e profittando della sua dipartita una bestia diabolica sul genere Loch Ness aveva preso dimora a Milano. Nonostante la grotta del mostro si trovasse fuori dalle mura cittadine più di un malcapitato era già finito tra le sue grinfie, masticato, ingollato e digerito a dovere. Diversi cavalieri, in cerca di onore e imprese gloriose, avevano invano tentato di abbattere il salamandrone; la città languiva, il commercio pure e i poveri milanesi non sapevano più dove sbattere il capo. Finché all'orizzonte non comparve l'Eroe con la E maiuscola: Uberto Visconti. Nel livore di un alba d'inverno si diresse verso la tana del mostro, giusto in tempo per vedere la Nessie brianzola catturare un fanciullo e apprestarsi a mangiarselo. In due giorni durissimi la bestia fu uccisa e il fanciullo salvato, e il nuovo vessillo fu fin troppo facile da scegliere.

E ora che sapete qualcosa di più o di meno, a seconda dei punti di vista, sulle origini e il simbolo di questa città, preparatevi a conoscerla, corteggiarla e amarla come una donna, altera ma accessibile, orgogliosa ma di mente aperta, gran lavoratrice, severa, schiva, inafferrabile a volte ma, se riuscite a stringerla tra le braccia, generosa e bellissima, viva di passioni segrete e nascoste, viva, soprattutto, che non vuol dire frenetica e ansiogena, ma viva, forte, coraggiosa e intatta. Viva.

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2. PERDERSI TRA MEANDRI E LEGGENDE NELLA CATTEDRALE GOTICA PIÙ BELLA DEL MONDO

Non c'è nemmeno bisogno dì spiegarvi come arrivare in piazza Duomo, da sempre il cuore di Milano, da cui parte la numerazione civica e, a raggiera, le principali direttrici stradali: passano di qui la metropolitana rossa, la gialla, dodici tram e sei autobus; davvero non rischiate di mancarla.

La facciata sembra sempre meravigliosa finché non si è fatto un giro tutt'intorno; a quel punto ci si rende conto che la fronte - come accade, lo vedremo, per il novanta per cento delle chiese milanesi - è in realtà la parte meno scenografica, meno riuscita dell'edificio.

Costruita su ordine di Napoleone, evidentemente disturbato dall'aspetto "provvisorio" della cattedrale, la facciata fu cominciata nel 1805 e completata nel 1813; non sorprende che tanta "fretta" non abbia portato gli stessi risultati del resto dell'edificio, iniziato nel 1386 e, si può tranquillamente dire, mai terminato.

Il numero di aneddoti e leggende che gravitano intorno al Duomo è pressoché infinito. Vale comunque la pena soffermarsi almeno su due fattori. Il primo: fin dalle sue origini il Duomo è stato dedicato a figure femminili. Il suo vero nome, riportato in facciata, è Santa Maria Nascente. Il primo edificio ad avere qui le sue fondamenta era dedicato a una misteriosa vergine nera, da Cesare identificata con Belisama, dea madre celtica; in seguito fu riedificato e dedicato a Minerva, quindi a Santa Tecla, quindi a Santa Maria Maggiore.

Questi ultimi erano in effetti due diversi edifici che si spartivano lo spazio dove oggi sorge la cattedrale. Santa Maria Maggiore, più piccola, era chiesa hyemalis; Santa Tecla, di precedente edificazione, era chiesa aestiva. Ognuna aveva il suo proprio battistero: Santa Tecla aveva San Giovanni alle Fonti, in cui Sant'Ambrogio aveva battezzato Sant'Agostino la notte di Pasqua del 387, e in cui si battezzavano solo i maschi; Santa Maria Maggiore aveva Santo Stefano alle Fonti, consacrato esclusivamente al battesimo delle femmine.

Volontà divina o muliebre destino, fu proprio Santa Tecla a sparire con tutto il suo battistero: un incendio la rase al suolo nel 1075, lasciando in piedi solo le fondamenta (tuttora visitabili). Santa Maria Maggiore fornì invece la base per la chiesa successiva, cominciata nel 1386 per intercessione dell'arcivescovo Antonio da Saluzzo; e qui veniamo al secondo punto di cui sopra, su cui pare giusto fermarsi un momento a riflettere.

Il Duomo è a tutti gli effetti la chiesa dei milanesi, da loro voluta e solo grazie a loro edificata. Fu infatti il popolo a chiederla a gran voce, e a continuare a sovvenzionarla nel corso dei secoli per mezzo di generosissime donazioni di privati. Un certo Gian Galeazzo Visconti ci mise il marmo, quei meravigliosi blocchi bianchi venati di azzurro e di rosa che dal lago Maggiore arrivavano in città navigando lungo il Ticino e il Naviglio Grande, fino a depositarsi nel laghetto di Santo Stefano, sopravvissuto, come diremo altrove, unicamente nella toponomastica.

Proprio dalle vicende di quei blocchi nasce una delle interiezioni più usate in tutta Italia, nonché uno dei modi di dire più tipici del lombardo. Essi riportavano infatti la sigla AUF, ad usum fabricae, che serviva a esentarli, come da accordo coi Visconti, dalla tassa di trasporto e dal dazio di entrata. Detta sigla diede origine all'interiezione auf!, poi declinata in uffa!, segno d'impazienza per una lunga attesa; e al modo di dire a ufo, che indica attività svolte senza compenso o cose ottenute senza spesa.

Ma diamo un po' i numeri, come si suol dire, e rendiamoci conto delle misure di questa meraviglia di marmo, giustamente assurta a simbolo dell'intera milanesità. Il Duomo è lungo centocinquantasette metri e largo tra i sessantasei e i novantadue; l'area interna è di circa dodicimila metri quadri, per una capienza di circa quarantamila persone (metà di San Siro, e senza anelli!). Conta ben centoquarantacinque guglie, di cui la più alta raggiunge i centonove metri; e ben tremilacentocinquantanove statue, senza contare i novantasei giganti dei doccioni e le miriadi di mezze figure nelle cornici dei finestroni.

Impressionati? E ancora non sapete tutto. All'interno, le immense colonne su cui poggia la volta sono cinquantadue; ben trentanove finestroni e vetrate, originali tranne quelle dell'abside, narrano storie di santi e dell'antico testamento. Non è né utile né necessario soffermarsi ulteriormente su cifre o dettagli; lasciatevi semplicemente impressionare dalla magnificenza, dallo splendore di ogni singolo dettaglio, mentre finisco di raccontarvi due o tre cose, giusto perché non vi sfuggano.

La prima campata a destra, ad esempio, presenta diversi dettagli gustosi. Vi si trova la lapide che sancisce, in milanese, l'inizio dei lavori: El Principio Del Domo di Milano Fu Nel Anno 1386. Alzando gli occhi vedrete un foro attraverso cui penetra un filo di luce; tenetelo a mente, ci torneremo più tardi. Proseguite ammirando crocifissi, sarcofagi, altari; giungete nel transetto, e ammirate il capolavoro di Marco d'Agrate, nonché statua prediletta dalla sottoscritta: il San Bartolomeo Scorticato, capolavoro anatomico, massa di muscoli e tendini che porta sulle spalle, a mo' di mantello, la propria pelle. Nel presbiterio, al culmine della volta, osservate un gran tabernacolo a croce raggiata; pare che dal 1461 vi sia contenuto uno dei chiodi della croce di Cristo, miracolosamente ritrovato dal solito Ambrogio nella bottega di un fabbro. Come nella storia di Pinocchio, il fabbro, per quanto vi battesse sopra, non riuscì a scalfirlo neanche di un millimetro. Tale chiodo è protagonista di una delle più singolari cerimonie liturgiche milanesi: a settembre, in occasione della festa dell'Esaltazione della Croce, uno strano marchingegno - una specie di cesto in lamiera rivestito di cartapesta e decorato con angeli avvolti in vaporose nubi - solleva l'arcivescovo e cinque canonici fino alla custodia del chiodo, posta a quarantacinque metri di altezza; pare che dietro all'ingegnosa macchina, detta Nivola, vi sia nientepopodimeno che Leonardo.

Tramite una gradinata marmorea è possibile accedere alla bellissima Cripta; dal retrocoro, previo pagamento di un euro, allo Scurolo di San Carlo e al Tesoro del Duomo. Nel transetto sinistro, risalendo, si trova l'immenso Candelabro Trivulzio, anche detto Albero in virtù dei suoi sette bracci. Squisita opera di artista francese del XII secolo, in bronzo, alto più di cinque metri, introduce e presiede alla cappella della Madonna dell'Albero, così chiamata proprio in virtù dell'immenso candelabro.

Proseguendo verso l'uscita, un'altra singolare sorpresa: i segni zodiacali lungo il pavimento, terminanti nel Capricorno, a parete. Si tratta della meridiana del Duomo, anche detta Gnomone; a mezzogiorno esatto la luce filtra attraverso il foro della prima campata a destra, fermandosi a illuminare il segno corrispondente a quel periodo dell'anno. L'ultimo Capricorno indica il solstizio d'inverno. Unico segno riportato tre volte (due a terra e una a parete), alcuni hanno voluto vedervi una raffigurazione del diavolo: considerando la quantità di raffigurazioni sataniche disseminate dentro e fuori la cattedrale non si vede perché una in più dovrebbe far differenza.

Prima di uscire, in controfacciata, trovate la scala che conduce alle fondamenta di Santa Tecla e del battistero di San Giovanni alle Fonti, cui accennavamo sopra; visitateli, se vi ispirano, poi uscite all'aperto. Pensavate di aver finito? Vi aspetta tutto il perimetro della cattedrale, con le sue mille statue e prospettive da capogiro, l'intricato arabesco delle sue guglie, dei suoi contrafforti, delle sue vetrate in negativo. Vi sfido a trovare almeno queste tre chicche: la sirenetta di Andersen che si impala su uno spigolo, la statua di Primo Carnera, il ratto con la testa mozzata. Il resto del giro, vedrete, non sarà meno magico. Una sola avvertenza: ogni tanto guardate anche di fronte a voi. Sbattere il muso, circumnavigando il Duomo, è più probabile di quanto crediate.

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3. TOCCARE IL CIELO CON UN DITO SULLA CIMA DEL DUOMO


Inizialmente pensavo di accorpare tutte le informazioni ine- renti la cattedrale in un unico punto, ma poi mi sono resa conto che le terrazze del Duomo sono un'esperienza di tipo completamente diverso. Persino l'accesso è a sé stante; si può tranquillamente andar su senza visitare la chiesa, anche in minigonna, volendo. È l'altra anima del Duomo, in un certo senso meno sacra, in un altro, se possibile, ancora più mistica.

Partiamo dalle informazioni base. L'accesso alle terrazze si trova sul lato che dà sulla Rinascente. Si può scegliere di farla a piedi o in ascensore. Non è impossibile farla a piedi, e costa un po' meno; le scale però sono coperte, quindi non aspettatevi di veder nulla durante la salita. Disponendo di due euro in più, vi consiglio l'ascensore: tanto arrivando su troverete ben altri motivi per restare senza fiato.

Certo sarebbe bello poterci arrivare su scope volanti, come in Miracolo a Milano, lo splendido, surreale film di De Sica. Passare dalla miseria di certa periferia alla meraviglia classica delle guglie della cattedrale, di notte, quando non c'è nessuno. Va detto tuttavia che le terrazze del Duomo non sono quasi mai terribilmente affollate. Soprattutto se ci si sale durante la settimana, in orari lavorativi, la prima cosa che colpisce è proprio il silenzio, l'aria di pace che vi si respira.

È un effetto che il Duomo raggiunge per mezzo di diverse variabili. Anzitutto i colori; quel marmo così elegante, che non è grigio ma bianco e rosato, dalle romantiche venature azzurre, soprattutto nei punti in cui è appena stato pulito. Poi, lo spazio. Al tetto, ampio, aperto in mezzo al cielo, si accede attraverso corridoi stretti, percorribili solo da una persona alla volta, fiancheggiati dalle grandi vetrate della cattedrale. Fa impressione pensare che durante la guerra dette vetrate siano state rimosse da una popolazione affezionata e prudente; fa impressione soprattutto in retrospettiva, perché si sarebbero senz'altro schiantate visto lo scempio compiuto dai bombardamenti in galleria.

Poi, appunto, il silenzio. Per uno strano effetto sonoro sul Duomo non sembra esserci rumore. È anche vero che nessuno urla: la voce vien fuori bassa, ovattata, quasi un bisbiglio. Il luogo, indubbiamente, ispira e impone un certo rispetto. Cosa che è particolarmente evidente nell'assenza totale di scritte sui muri. Eppure in giro ci sono in tutto tre guardie, non sarebbe un'impresa impossibile. Però non succede.

Si procede guardandosi intorno, senza parlare. Un percorso pressoché obbligato conduce dall'ascensore al terrazzo principale. La vista a destra affaccia sulla piazza; lasciatela come chicca finale prima di scendere. Camminate sul terrazzo in pendenza; giratelo in lungo e in largo. Arrivate fino in fondo ed esplorate la parte di guglia disponibile. Saliteci, se volete; potete farlo. Poi spostatevi di nuovo al centro del tetto. Contemplate la bellezza delle guglie su cui si rifrange il sole, la Madonnina così vicina, così abbagliante. Cercate dettagli, piccole cose vostre, da portarvi dentro come souvenir. Se volete, giocate alla statua su uno dei pilastri. Guardatevi intorno: siete circondati da statue che guardano nel sole. Pare un'accolita di dei e semidei. Sembrano tutti bellissimi.

Scendendo, dicevamo, andate a sbirciare la piazza dalla facciata: i famigerati e orribili piccioni sembrano formiche da quest'altezza. Non si fa caso, camminandoci sopra, a quanto sia bella anche solo la pavimentazione, regolare e simmetrica come un mosaico. Un tempo, paradossalmente, era luogo più moderno: vi si trovavano i capolinea di tutti i tram, e il palazzo di fronte, detto della Pubblicità per via dei cartelloni al neon che ne coprivano la facciata, suggeriva atmosfere londinesi, da Piccadilly Circus; «nella notte si accendono parole», chiosava poeticamente Umberto Saba.

Chissà di chi fu l'idea di spegnere tutto a fine anni Novanta. Del paesaggio di allora resta la Galleria, sulla destra, e via Mercanti, su cui affaccia la bellissima Loggia. Sull'altro lato, cominciati nel 1939, si possono ammirare invece i palazzi gemelli dell'Arengario; quello di sinistra, in fase di ristrutturazione, dovrebbe ospitare entro la fine dell'anno il nuovo Museo del Novecento.

A proposito di luci e modernità, di recente, in occasione di una mostra a Palazzo Reale, qualcuno ci aveva montato sopra una scritta al neon: Everything's gonna be alright. Vien da pensare una cosa così, mentre si scende dal Duomo. Andrà tutto bene. Finché sarà in piedi, finché ci si potrà salire, andrà proprio tutto bene.

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