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| << | < | > | >> |IndicePrefazione (Riccardo Mazzeo) 9 Introduzione 13 Capitolo primo 19 Il cervello aumentato, un uomo alterato? Capitolo secondo 45 Quando il cervello costruisce un mondo Capitolo terzo 53 La temporalità del cervello: la macchina del tempo Capitolo quarto 57 La scultura del cervello Capitolo quinto 67 Il cervello sradicato Capitolo sesto 75 Informazione, comprensione e significato Capitolo settimo 79 La delega di funzioni nella coevoluzione Capitolo ottavo 87 Possibili e compossibili Capitolo nono 97 I tre modi di essere Capitolo decimo 111 Il cervello senza organi, gli organi senza cervello Capitolo undicesimo 129 Il cervello non pensa, pensa tutto il corpo Capitolo dodicesimo 145 La memoria e l'identità Capitolo tredicesimo 153 Morale e cervello Capitolo quattordicesimo 169 Il cervello modulare (sordi e competenze) Capitolo quindicesimo 177 Gli affetti e i moduli, il cervello degli affetti A mo' di inconclusione 189 Bibliografia 195 |
| << | < | > | >> |Pagina 9Il cervello è più esteso del cielo Perché, mettili fianco a fianco, L'uno l'altro conterrà Con facilità, e te, in aggiunta. Il cervello è più profondo del mare, Perché, tienili azzurro contro azzurro, L'uno l'altro assorbirà, Come le spugne, i secchi, assorbono. Il cervello ha giusto il peso di Dio Perché, soppesali, libbra per libbra, Ed essi differiranno, se differiranno, Come la sillaba dal suono. (Emily Dickinson) Il cervello poetico di Emily Dickinson s'incastona nel nostro immaginario come un tempo l'anima o lo spirito s'inguainava nei nostri moti del cuore. Perdurava, in ciascuno di noi, una radicata consapevolezza dell'esistenza dell'insondabile, la confortante certezza di essere trascesi nella nostra dimensione umana da qualcosa di più grande di noi, di inconoscibile, che opacizzandoci ci apparentava al brulicare del nostro gruppo, della nostra specie, all'inarrestabilità del mondo. Quello era il tempo in cui si accettava la propria finitezza, il proprio «non essere tutto», e le grandi imprese così come le utopie erano concepibili soltanto insieme ad altri individui, con un occhio attento a tutto ciò che era vivente, poiché si coglieva l'essenzialità dell'esistente e l'imprescindibilità di armonizzarsi e di consonare con la natura, pur perseguendo i nostri obiettivi personali. Non c'è più traccia di quel tempo oggigiorno. Forse la nostra capacità di accettare i limiti umani si è andata a nascondere in una piega della Storia e riaffiorerà in un momento più propizio, forse bisogna solo aspettare che il pendolo temerariamente sospinto in una corsa folle verso l'attuale estremo di egocentrismo assetato di trasparenza e di immortalità, giunto al suo approdo, rioscillerà tornando a una dimensione che abbandoni il farnetico del trans e del post (transumanismo, postumanismo...) per rientrare nell'alveo dell'umano. Oggi le neuroscienze tendono a ritenere che il cervello possa essere aumentato a dismisura, che tutto sia possibile, che si sia gloriosamente in marcia verso un'estensione delle capacità cerebrali in grado di operare anche indipendentemente dal corpo, attraverso una esternalizzazione che ne prolunghi indefinitamente la potenza e la durata. E tutto questo è non solo dissennato ma anche impossibile, come dimostra questo libro. Miguel Benasayag, che oltreché filosofo è biologo e porta avanti una cospicua ricerca internazionale con, fra gli altri, Giuseppe Longo dell'Ecole Normale Supérieure di Parigi, spiega le asimmetrie che ci compongono come esseri umani e come esse siano la condizione stessa della vita. Il cervello è solo una parte del nostro corpo e scinderlo da esso, trattarlo come un organo indipendente, è semplicemente folle. La modularizzazione, l'arrotondamento digitale, le competenze da coltivare in se stesse per diventare sempre più «performanti», sono i criteri su cui si fonda l'illusione manageriale odierna secondo cui la sagace flessibilità dei direttori d'impresa può gestire qualunque situazione, vendere qualunque prodotto. [...] L'illusione di poter trattare la letteratura come una fornitura di petrolio o una fabbrica di scatole di latta è molto più diffusa di quanto si potrebbe immaginare: nelle aziende le parole chiave sono ottimizzazione, riduzione dei costi, semplificazione, flessibilità, ma in questo modo i dipendenti, al pari dei loro capi, non agiscono ma sono agiti come delle macchine. Trasferire il cervello su una memoria esterna, scinderlo o pensarlo come una cosa a sé, indipendente dal corpo che lo ospita, un corpo scolpito dalla vita insieme al cervello, alle mani che hanno accarezzato la persona amata, ai piedi che ci hanno sorretti e portati dove ci troviamo, equivale a frantumare l'equilibrio che ci appartiene, con tutte le sue faglie e le sue dissonanze, nel nostro essere Persone, un equilibrio fatto della nostra storia, delle gioie e delle sofferenze che ci hanno farti diventare quello che siamo e che non potremmo mai essere se ci svuotassimo della nostra complessità e assumessimo i tratti inquietanti di una Macchina di Turing lineare, priva di spigoli e sfasature, perfettamente matematizzata, perfettamente disumana. Riccardo Mazzeo | << | < | > | >> |Pagina 13Il cervello umano è pensato — o forse dovremmo dire piuttosto «si pensa» — come il punto culminante dell'evoluzione delle specie. Questo, va da sé, da un punto di vista materialistico — o anche scientifico -, dato che da altri punti di vista il cervello è il nido, il ricettacolo dell'anima. È come se, in un mondo caratterizzato dall'amore per la novità (il nuovo è buono perché è nuovo), questa novità particolare non fosse «una novità in più», bensì quella che modifica l'insieme delle nostre conoscenze e credenze: siamo riusciti a conoscere i segreti del funzionamento del cervello. Il cervello umano conosce, studia, si spiega delle cose e comprende, ma è arrivato il momento in cui il suo oggetto di studio è esso stesso. Il fatto che il cervello conosca se stesso implica il venir meno di molte credenze e presupposti della cultura occidentale, senza dimenticare che queste potenti e recenti conoscenze sono accompagnate dalla possibilità — e dal desiderio — di modificare e aumentare il cervello nelle sue capacità, riducendo al contempo le sue debolezze e i suoi «difetti». Siamo così entusiasti delle conoscenze oggi accessibili sulla chimica e stilla fisiologia del cervello che ci dimentichiamo, semplicemente, di accorgerci che in realtà la possibilità di conoscere il cervello ha un corollario fondamentale: una vera e propria rivoluzione antropologica nelle nostre culture. In quest'opera cerco di mostrare, al lettore interessato ai cambiamenti radicali del nostro mondo in piena mutazione, non già l'una o l'altra delle conoscenze che le scansioni mediche e la biochimica cerebrale ci permettono oggi di vedere. Il mio intento è piuttosto quello di analizzare, nei termini di una contestualizzazione, ciò che tali conoscenze e possibilità di modificazione implicano come rottura storica fondamentale. Una cosa è sapere quale neurone si attivi per pensare il numero 5 o come, grazie alle nuove neuroprotesi, sia possibile che i sordi sentano e i paralitici camminino; o anche come si speri in un futuro prossimo di modificare il contenuto della memoria di un essere umano; o come il richiamo «chimico dell'amore» ci permetta di comprendere i meccanismi in gioco nel sentimento e nell'affetto degli umani. Ma è ben altra cosa comprendere che cosa avvenga nel mondo e nella cultura che possono manipolare e modificare questa dimensione dell'uomo. Il cervello, come si dice nella tradizione occidentale, è il nido, il ricettacolo dello spirito ma, forse proprio per questo, come organo ha sempre occupato un posto particolare nella comprensione dei fenomeni umani. Detto altrimenti, a partire da Cartesio il cervello è ciò che si trova in questa interfaccia che articola il divino con la materia, lo spirito e il corpo. Non è dunque un dettaglio poter oggi studiare il cervello e modificarlo come se fosse un organo qualunque, sottostante alle stesse leggi come il resto del corpo. La tradizione filosofica che fonda l'Occidente si basa, fin da Platone, sull'ipotesi secondo cui il corpo e gli organi, sottomessi alle leggi della natura e alle leggi della fisica, non rivelano la vera essenza dell'uomo. Per Platone l'uomo non è un insieme di organi. Vediamo come lo spiega in questo notissimo passaggio del Timeo: «Noi, dice Socrate, siamo una pianta del cielo e non della Terra. Dio, nel sollevare il nostro capo verso ciò che è per noi come la radice del nostro essere, verso il luogo dove è stato al principio generato, dirige così tutto il nostro corpo» (Platone, 1997). Per Platone il corpo è la parte mortale dell'essere, mentre lo spirito è quel che ci permette di accedere alla realtà vera, all'immortalità dell'anima. Questa citazione evoca quel che fu, in diversi modi, il nucleo dell'Occidente: il cervello, generatore di pensiero, affetti e tendenze, non poteva essere studiato né curato, e tanto meno modificato, come se obbedisse alle stesse leggi dell'insieme del corpo e alle leggi della fisica e della chimica. È questo il fondamento della nostra cultura, che risale ai greci classici e che sta subendo una trasformazione a causa della conoscenza del cervello e delle sue funzioni «nobili». Oggi, così, il cervello perde tale «nobiltà». Attraverso le tecnoscienze contemporanee, conoscere richiede che in una certa misura il sistema studiato venga scomposto e, come vedremo, questo riduzionismo fisicalista (naturalmente tutto deve essere compreso in linea con le leggi della fisica) ignora qualunque esistenza di un livello o di una dimensione di organizzazione che trascenda le parti elementari che costituiscono l'organo. Tutti gli studi attuali sono governati da una tendenza bottom-up, cioè dal basso — le parti — verso l'alto — il tutto. Questo tutto non sarebbe altro che una somma delle parti secondo la tendenza oggi dominante nella ricerca. Dunque, è ovvio che una tendenza olistica non sarebbe gradita per sviluppare la conoscenza dato che, se «tutto è nel tutto» e le parti non sono separabili a fini di studio, la conoscenza è impossibile. Si tratta, allora, di come sia possibile oggigiorno articolare la tendenza bottom-up con un lavoro a sua volta top-down, partendo dall'ipotesi che in biologia non c'è una dimensione privilegiata ma è necessario pensare in termini di un'integrazione organica complessa. È questa la modesta ambizione di quest'opera. La biologia molecolare e quelle che vengono chiamate «neuroscienze» si presentano come se partissero da una posizione «quasi» senza ipotesi. Si tratterebbe di studiare empiricamente quel che esiste nel modo in cui esiste. Tuttavia, in realtà, se senza un minimo di riduzionismo qualunque studio è impossibile, tale riduzionismo dovrebbe essere un «momento del lavoro» per poi poter passare in seguito a un'integrazione organica complessa. L'attuale tendenza dominante nella ricerca pretenderebbe, in tal modo, di operare senza modelli, senza «a priori», ma questa è appunto un'illusione, e si tratta di un'illusione pericolosa visto che è impossibile lavorare senza un'ipotesi di partenza, come ha scritto Merleau-Ponty (1972): «Nella ricerca, se non sappiamo che cosa stiamo cercando non possiamo trovarlo, ma anche se sappiamo troppo non possiamo trovarlo». È fra questi due poli che la ricerca deve essere effettuata; in realtà, i modelli che oggi pretenderebbero di essere neutri — poiché sono semplicemente quantitativi — eclissano o ignorano la sua ipotesi di base. Cercheremo di comprendere quale sia questo modello implicito che oggi guida la ricerca e l'azione. La questione del cervello, vale a dire della recente conoscenza del funzionamento del sistema nervoso centrale (SNC), segna una svolta per l'umanità, come vedremo; questo «autoincontro» fra il soggetto e l'oggetto in esame, che si riconosce come «lo stesso», si spinge molto in là nel progresso della conoscenza scientifica dell'umanità. Ma è indispensabile tenere presente che lo studio del cervello non è affatto indipendente dallo sviluppo delle tecnologie che stanno modificando il mondo stesso, vale a dire, la digitalizzazione del reale. La comparazione e l'interazione, senza dimenticare la già operante ibridazione del cervello con le macchine digitali, fa sì che chiunque desideri comprendere i progressi nello studio del cervello debba al tempo stesso comprendere l'articolazione che queste nuove vie pongono con il mondo della computazione. Lo studio del cervello mette in discussione le basi medesime di quello che culturalmente si considera il soggetto umano. In effetti, se l'amore, la ricerca della libertà, le nostre tendenze e la mia memoria, ecc., sono effetti più o meno illusori di processi fisiologici cerebrali, è la stessa unità dell'essere umano, il suo «io» che sembra disperdersi, svisarsi in un movimento centrifugo. Per molti ricercatori di neuroscienze, lo stesso sentimento di «essere io» è un'illusione creata dal cervello al servizio di determinati fini ma che non possiede una realtà in sé. I problemi che credevamo «psicologici» e soggettivi, ma anche quelli morali e sociali, devono essere compresi come imperfezioni, disordini di un organo, certo complesso, ma il cui funzionamento si basa su leggi «semplici» e fisiche, dicono i nostri colleghi. Questa decostruzione, questa alterazione del soggetto nelle sue parti e funzioni cerebrali non avviene in un momento qualunque della storia della nostra piccola umanità: avviene nel momento in cui la fede nel futuro, le promesse storicistiche e teleologiche di un mondo venturo e perfetto sono venute meno una dopo l'altra. È in questo mondo del disincanto, dove la tecnologia occupa antropologicamente un posto che solo di rado ci fermiamo a pensare. Lungi da qualunque posizione di sfiducia e meno ancora tecnofoba, si tratta di comprendere come la tecnologia abbia occupato il posto lasciato vacante dalle utopie logorate fino all'esaurimento. La nuova promessa già esiste, il mondo disincantato che si è delineato dopo la caduta dei muri e delle ideologie si è già ristrutturato attorno a nuove profezie e a nuovi orizzonti. Domani per certo, oggi chissà, l' uomo nuovo comincia già a respirare: è l'uomo dal cervello aumentato. Grazie all'ibridazione fra cervello e computer, gli impianti e le neuroprotesi ci presentano un mondo incredibile: vedere al buio, udire a distanza, scaricare competenze, recuperare i ricordi perduti, modificare tali ricordi, teledirigere macchine per il pensiero, ecc. L'elenco è molto lungo e comprende impianti cerebrali che, fra le altre «meraviglie», potrebbero — come afferma un gruppo di ricercatori francesi — curare i nostri stati depressivi e governare a piacimento la nostra coscienza e i nostri affetti con un dispositivo: un magnete che attraverso una stimolazione magnetica transcranica attiverebbe i neuroni della corteccia prefrontale. Altri impianti più sofisticati potranno, ci dicono, ben presto calibrare lo stato psicologico delle persone o ridurre il dolore. L'ibridazione umano-biologia-artefatto è già oggi una realtà; si tratta, allora, di comprendere che in tale ibridazione esistono, contrariamente a quanto si crede, varie vie possibili e che, quantunque per adesso la tecnologia abbia colonizzato la cultura e la vita, si può sviluppare una modalità di ibridazione che favorisca la colonizzazione della tecnologia da parte della vita e della cultura. Infine, nella questione riguardante il cervello e il cervello aumentato, entrano in gioco altre questioni: la libertà, l'essenza di ciò che è umano, la vita stessa. Se ogni atto non è niente di più che la conseguenza di una catena sovradeterminata di processi fisiologici, non c'è posto per concepire l'atto di un essere umano come frutto della sua singolarità. Quel che è peggio, la stessa singolarità tende a sparire. Non si tratta di piangere su illusori mondi passati in cui l'essere umano era libero; al contrario, in questo lavoro si tratta di offrire un'umile partecipazione al pensiero, alla cassetta degli attrezzi — come la chiamava Michel Foucault (1969) — che ci permetta di individuare dove si sia posizionata la singolarità in un mondo e in un paesaggio che cambiano giorno dopo giorno.
L'alternativa sembra essere fra un mondo svisato in cui la vita e la
cultura sarebbero segmenti della tecnologia e della macroeconomia, o la
produzione di nuovi paesaggi da parte della vita e della cultura che includano
e sviluppino una tecnologia addomesticata dalla e per la vita.
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