Copertina
Autore Ermanno Bencivenga
Titolo I delitti della logica
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2008, Container , pag. 106, cop.fle., dim. 12,6x19x0,9 cm , Isbn 978-88-6159-256-8
LettoreRenato di Stefano, 2009
Classe narrativa italiana , fantascienza , logica
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


  1     1.  Il programma di Andrea

  5     2.  Il caso Martha East

 11     3.  Il volto

 21     4.  Differenze specifiche

 29     5.  Ricordi perduti

 35     6.  Una settimana di apprendistato

 43     7.  L'abbreviazione

 47     8.  Problemi di articolazione

 59     9.  I papà di Tommy

 63    10.  L'originale

 73    11.  Relazione di maggioranza

 79    12.  L'esame

 85    13.  Un problema morale

 91    14.  La stanza dei balocchi

101    15.  Genesi


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 1

1. Il programma di Andrea


Alle 9.05 del 7 febbraio, Qualcuno commise un errore. Non è chiaro che cosa sia successo. Forse l'operatore cedette alla fatica, forse affiorò la maligna influenza di un virus o forse la corrente venne a mancare per una frazione infinitesima di secondo: in casi di questo genere è estremamente difficile risalire dagli effetti alle cause. Fatto sta che lo schermo si oscurò e Andrea si accasciò al suolo privo di vita. Dopo un attimo comparve il segnale: «Task aborted. Document needs retrieval».

La moglie di Andrea applicò la procedura di recupero. Ma, per quanto seguisse fedelmente le istruzioni, il computer continuava a recitare lo stesso messaggio: «Information lost. Insert copy». Inutile a dirsi, non era disponibile alcuna copia del programma di Andrea. Per molti anni parlamento e media avevano dibattuto l'opportunità morale e religiosa di ammettere tali copie, ma le autorità si erano sempre espresse negativamente e la famiglia di Andrea era ligia al volere delle autorità.

Chiunque altro si sarebbe rassegnato all'avverso destino. Non lei, però: Carla era una donna energica, abituata a ottenere quel che voleva e con i contatti giusti a disposizione. Così, senza perdere la calma, tolse il disco dalla macchina, diede un colpo di telefono e un'ora dopo era a colloquio con un abilissimo programmatore, un vero mago nel ramo.

Il problema sembrava disperato, in quanto nemmeno l'indice del disco menzionava più il documento; era come se esso fosse svanito in un mondo invisibile, parallelo a quello dell'agire quotidiano. Ma dopo qualche minuto l'atmosfera si era già rasserenata. In realtà, spiegò l'esperto, niente di ciò che si scrive su un disco va mai perduto. Rimane tutto lì; si tratta solo di arrivarci. Per farlo occorre ricostruire il programma, non tanto com'era in origine (perché allora il formato era del tutto standard) quanto piuttosto com'era diventato per opera di un agente imprevedibile e misterioso. Popoli primitivi parlavano di questo passaggio dalla vita alla morte come di una vera e propria trasformazione, di un salto in una specie profondamente diversa di esistenza; oggi però si sa come vanno le cose e ci si rende conto che in generale la differenza è minima, e che comunque niente cambia nell'oggetto in se stesso ma solo nell'ordine delle sue parti e quindi nelle istruzioni cui esso risponde. Certo bisogna intervenire al più presto per evitare che la situazione degeneri. In un ambito già in parte compromesso, ogni granello di polvere che si accumuli sul disco, ogni traccia di umidità, ogni eventuale interferenza di un campo magnetico non faranno che complicare ulteriormente il problema rischiando di renderlo davvero insolubile, non in senso teorico ma in termini di un'analisi di costi e benefici. In questo caso, però, ci si era mossi con sollecitudine e dunque c'erano buone probabilità di ottenere un risultato favorevole.

Tranquillizzata, Carla lasciò il disco al programmatore e prese un appuntamento per la settimana successiva. Poi, visto che era venerdì e Andrea rimaneva fuori uso, ne approfittò per andare un paio di giorni al mare con Ludovico, un giovane manager molto promettente sul quale aveva deciso di investire con reciproca soddisfazione. Il tempo era bello, l'inquinamento ambientale sotto controllo e il cibo piacevole e leggero: quel che ci voleva per rilassarsi dopo tanta tensione. La mattina del lunedì la segretaria le ricordò l'appuntamento; Carla diede un'occhiata all'agenda e si mise in moto.

Il danno era riparato, disse l'esperto quando si videro. Era stato un compito interessante, perché il programma si era letteralmente frantumato in mille pezzi, come un vaso di cristallo che cade a terra: pezzi irregolari, sia nelle dimensioni (qualcuno una riga, altri parecchie pagine) sia nella struttura. Si era dovuto quindi elaborare un tracciato logico che andasse da un pezzo all'altro e usare quel tracciato per ricucire il tutto, cosicché, al comando appropriato, la «cosa» si mettesse in funzione in modo sintonico, evitando le tensioni interne che l'avevano immobilizzata. Non era stato un lavoro da poco ma era riuscito bene, e in ogni caso l'assicurazione lo copriva. I due si salutarono cordialmente.

Carla tornò in ufficio e si avviò verso il computer. Andrea era ancora riverso sul divano sul quale lo avevano adagiato il venerdì precedente; sarebbe bastato inserire il disco nella macchina e avrebbe ricominciato a funzionare. Mentre allungava la mano verso l'apertura, però, Carla vide l'orologio: erano le 11.30. Giusto l'ora per un aperitivo e un pranzo veloce con Ludovico, magari a casa, dove ci si poteva anche riposare un po'. Tanto ormai il programma era a posto. Ritirò la mano, mise il disco nella scatola e si allontanò in fretta.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 35

6. Una settimana di apprendistato


Lunedì

Il pupazzo è fatto; adesso bisogna alitarci la vita. E qui cominciano i guai. Se il Capo mi avesse detto come fare... Ma le sue vie sono sempre misteriose. Tutto quel che sono riuscito a cavargli di bocca è che questa espressione, «alitare la vita», va «interpretata». Già, interpretata, bella scoperta! Ma in che modo? Se gli buffo in faccia il pupazzo fa semplicemente una smorfia, e se gli «alito» su altre parti del corpo si divincola per il solletico. È fatto bene, perbacco: il suo comportamento è inappuntabile. Quando abbasso la temperatura nella stanza dice: «Ho freddo», di tanto in tanto va in cucina per prepararsi qualcosa da mangiare, di notte dorme e la mattina non manca mai di andare in bagno per i bisogni quotidiani. Insomma, mi meriterei dei complimenti, invece di questa specie di terrorismo intellettuale, questo tentativo neanche troppo mascherato di mettermi in difficoltà. Non sarò il più bravo della classe, d'accordo, ma bisogna tener presente che questo è il mio primo pupazzo e nelle condizioni di totale isolamento in cui mi trovo mi sembra di aver già fatto abbastanza. Non credo che questo sia il metodo giusto. Ti piazzano qui, ti dicono di fare un pupazzo e di alitarci la vita, ma non ti spiegano come. E ti fanno sentire colpevole se non ci arrivi da solo. Ma uno non ha colpa se non gli vengono idee geniali. Ha colpa se non fa quel che gli si dice, e io quello lo faccio, sono sempre pronto a farlo, anche se non ho mai chiesto a nessuno di essere un Agente Creatore. È un ruolo che mi è stato imposto e lo svolgo come mi riesce; magari non sono all'altezza, ma che ci posso fare? È forse merito Suo se Lui è tanto dotato? Invece di sputare sentenze come un oracolo perché non parla chiaro? E perché mi lascia sempre solo? Sono stufo di stare solo. Se continua così divento matto.


Mercoledì

Domani me ne vado. Ormai sono quarantott'ore che ho finito il lavoro e qui non ci resto neanche un giorno di più. Me ne torno ad accompagnare le anime al loro destino: un compito tranquillo, di routine, senza sorprese. Sarà vigliaccheria, sarà che non ho leadership, sarà quel che volete, ma alla mia salute mentale ci tengo e qui le cose stanno degenerando con molta rapidità. Oggi per la disperazione mi sono addirittura messo a parlare con il pupazzo. Non c'era nessuno intorno, così mi sono lamentato con lui: gli ho raccontato le mie disgrazie, per ore. E lui, ovviamente, è stato a sentire, mi ha risposto quando c'era da rispondere, ha perfino cercato di consolarmi. A un certo punto mi ha posato una mano sulla spalla e mi ha detto: «Va' là, non prendertela. Non sei solo. Ci sono io». Già, c'è lui; che bellezza! Dal produttore al consumatore. Uno si fa un pupazzo e poi ci convive. Tanto lui funziona sempre come si deve. Basterebbe rimbecillirsi del tutto e si finirebbe per essere contenti, io e il pupazzo. Ma che dico? Il pupazzo non può essere contento, al massimo può comportarsi come se fosse contento. Si vede proprio che sto perdendo anche quel minimo di ragionevolezza che mi era rimasta. E davvero meglio che me ne vada; non sono fatto per questo mestiere.


Giovedì

Non me ne sono andato. Sono ancora qua. Stamattina mi ero vestito di tutto punto ed ero pronto per uscire quando il pupazzo mi ha guardato con occhi imploranti e mi ha chiesto: «Che cosa fai? Mi lasci solo?». Ho maledetto ancora una volta la perfezione del suo programma e mi sono precipitato verso la porta. Allora lui, cambiando tono, ha suggerito: «Almeno facciamo colazione insieme». E a me è sbollita la rabbia. Bello stupido sono, ho pensato, a prendermela con un pezzo di tolla. So ben io con chi dovrei prendermela. In fondo questo l'ho fatto io; dovrei esserne fiero invece di infuriarmi. E mi sono anche reso conto di aver fame: la sera prima mi si stringeva troppo lo stomaco per mandar giù qualcosa. Così mi sono seduto a tavola e per un po' abbiamo mangiato in silenzio. La salsiccia era rosolata a puntino, il pane croccante e il caffè forte e bollente, come piace a me. Sfido, le istruzioni le avevo scritte io! Poi all'improvviso, mentre cominciavo perfino a star bene, il pupazzo mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: «Sono stanco di essere trattato come una macchina. Che cosa devo fare perché mi consideri un agente responsabile?». Lì per lì la cosa mi ha lasciato senza parole: questo suo prendere iniziative, fare ragionamenti, accampare pretese mi coglieva del tutto impreparato. Sapevo benissimo che anche in questo caso non faceva che reagire, non a ordini espliciti ma a indicazioni subliminali, inconsce. Raccoglieva dati dal mio comportamento, li analizzava con la cura e l'efficienza che gli sono proprie e sceglieva quindi l'output più appropriato. Con tutto ciò la situazione non cessava di stupirmi, perché io, in sede di messa a punto, quell' output non solo non l'avevo inserito ma non l'avevo neanche lontanamente preso in considerazione. Si fa presto a dire: la capacità combinatoria di un meccanismo del genere è in grado di produrre sequenze comportamentali del tutto nuove e in quanto tali non previste dallo stesso programmatore. Quando poi hai a che fare con qualcosa di così imprevisto ti vengono comunque i brividi, o, quantomeno, ti eccita il pensiero di scoprire conseguenze ignote, starei per dire «creative», del tuo sistema formale. Allora mi sono detto: «Ho perso tanto tempo; ne posso perdere ancora un po'. Mi fermerò un paio di giorni per studiare il comportamento del pupazzo. Dopo tutta la fatica che ho fatto, ci mancherebbe altro che perdessi l'opportunità di imparare qualcosa gratis.


Giovedì notte

Ho scoperto una cosa importante. Banale, forse, ma le cose più importanti sono anche banali, ci stanno sempre davanti agli occhi e non le vediamo. Ho scoperto che il pupazzo ha un comportamento più insolito quando interagisce con me. Lasciato a se stesso non fa che ripetersi; se invece io non mi limito a guardare ma ci parlo, se anche solo con il mio atteggiamento dimostro di essere un po' coinvolto, il suo repertorio si anima, le sue mosse si fanno più atipiche. Dicevo che la cosa è banale, e in effetti avrei dovuto prevederla: l'introduzione di un elemento di disturbo complica i percorsi logici che fungono da retroterra per i suoi atti, aggiunge nuovi parametri, insomma moltiplica il coefficiente di variabilità del sistema. Ma un conto è pronunciare questi teoremi generali e un altro è vedere come avvengono di fatto le variazioni: c'è la stessa differenza che fra leggere (o magari scrivere) un libro di testo di psicologia e studiare invece i nostri vicini di casa, o gli indigeni di un'isola lontana. Mi sento un po' come un naturalista che osserva una specie sconosciuta: potrebbe fare a meno di osservarla; potrebbe rubarle qualche cellula, portarsela a casa e analizzarla al microscopio, al riparo da ogni influsso esterno. E invece preferisce star lì e seguire tutte le strane evoluzioni del suo animaletto, anzi darsi da fare per renderle ancora più strane: mettersi in mezzo e creare con la sua presenza una situazione inaspettata ed eccezionale. C'è senz'altro passione in tutto questo, e ben venga: siamo o non siamo esseri passionali? Allora le cose ci riusciranno meglio se investiremo tutto di noi, passione compresa.


Sabato

Dingo è proprio un fenomeno. L'ho chiamato «Dingo» perché mi sembra così superiore alla media. Sono sicuro che se lo immettessi nella comunità là fuori la sbaraglierebbe in men che non si dica con la sua efficienza, come il dingo ha sbaragliato i grandi marsupiali appena introdotto in Australia: senza fargli la guerra, solo rubandogli il cibo davanti agli occhi. È un fenomeno, dicevo. Mi sono messo a insegnargli qualcosa: un po' di storia, un po' di matematica, un po' di letteratura. E lui è così brillante, impara così bene. Sapete come succede con quelli a cui bisogna dire tutto più e più volte, e quando si sforzano di dirvelo loro se ne dimenticano sempre un pezzo. Con Dingo non c'è pericolo: è sempre un passo avanti. Vi state ancora chiedendo se ha capito e lui vi fa una domanda trabocchetto, per rivelarvi di aver già voltato pagina. E sì, perché è anche furbo, non si limita a ripetere a pappagallo. C'è sempre un lampo d'ironia nei suoi occhi, bonaria s'intende, perché poi è buono, non è che voglia sfottermi. È solo che è così intelligente, vede così lontano; non può non sentire l'inadeguatezza delle mie spiegazioni e allora gli occhi gli ridono, e ridono anche a me. La prossima settimana devo pensare a qualcosa di nuovo, a un metodo più attivo di insegnamento, anzi a un metodo con cui si possa imparare in due. Anch'io voglio imparare, ho tanto da imparare da Dingo. Io ho a disposizione quattro dati ma lui ha una testa così incredibile per elaborarli... E l'elaborazione è tanto importante quanto i dati, se non di più. Speriamo che mi lascino in pace, mi sto proprio divertendo. O meglio, ci stiamo divertendo, a quanto dice Dingo, e non credo che racconti storie.


Domenica sera

Stamattina è venuto il Capo e si è portato via Dingo. Io gli ho detto: «Aspetti. Non gli ho ancora alitato la vita». E Lui ha risposto che non era vero. Ha aggiunto che adesso non poteva più lasciarmelo perché mi ci stavo affezionando e Dingo ha bisogno di essere indipendente, di trovarsi i suoi affetti e i suoi legami. Ma non ha capito niente, con licenza, non ha proprio capito. Certo sembra che Dingo sia vivo, perché si comporta come se lo fosse, ma io so che non è vero: da che l'ho costruito non è successo assolutamente nulla, e posso dirlo perché l'ho avuto sotto gli occhi ogni momento, a parte quando dormivamo. Non abbiamo fatto altro che sviluppare le potenzialità del suo programma. E adesso lui si troverà in mezzo a quelli che sono vivi e chissà come andrà a finire. È bravo, certo, ma gli manca qualcosa, non ho avuto abbastanza tempo. Perché non me lo ha lasciato ancora un po'? Gli avrei dato più autonomia, più resistenza. Mi ha anche detto di farne un altro. Un altro come? Uguale? E come potrebbe essere uguale? Diverso, allora? Ma chi lo vuole, diverso? Io no. Io sono stufo di questo mestiere e voglio tornare a fare la guida.

| << |  <  |